In un calciomercato monopolizzato dalla Juventus, sia per l’affare Ronaldo che per i fantasiosi scambi con il Milan, la mossa del Sassuolo di portarsi a casa Boateng è passata in secondo piano. Eppure il centrocampista ghanese potrebbe avere ancora tanto da dare al nostro campionato, al Sassuolo, al vostro centrocampo del Fantacalcio o al vostro Instagram magari troppo povero di tamarri tatuati. Boateng è stato uno dei primi giocatori giganteschi ma al contempo spaventosamente tecnici che hanno abitato il nostro campionato (nella stessa categoria di Pogba, Savic, ma anche l’Ibrahimovic del Milan). Ora che le sue possibilità fisiche sono diminuite, Boateng è diventato un giocatore diverso.
Boateng è stato lontano dall’Italia, ha cambiato il suo carattere, smussato le sue criticità, e il suo modo di giocare a calcio, grazie anche all’esperienza in contesti tattici differenti in cui è comunque riuscito a dare il suo apporto. Alla sua prima partita, in casa contro l'Inter, Boateng ha dimostrato di essere un calciatore tutt'altro che finito, dando un contributo essenziale al gioco tra le linee della squadra di De Zerbi, specie in transizione. A un certo punto Boateng ha colpito anche un palo, girando con grande senso balistico un cross di Lirola.
Cosa possiamo aspettarci dal ritorno di un giocatore passato rapidamente da essere un precursore di Pogba e Milinkovic-Savic a diventare carne trita per i rotocalchi, fenomeno da baraccone dei gol strani su YouTube?
Il Boateng che conosciamo
Kevin-Prince Boateng è apparso nei radar del campionato italiano quasi dieci anni fa, nel 2010. Ad agosto di quell’anno il Portsmouth, che deteneva il suo cartellino, era in cattive acque finanziarie e durante il mondiale di Sudafrica un suo calciatore si mise parecchio in mostra con le sue conduzioni e la potenza fisica: Boateng giocava nel Ghana, aveva fatto un buon campionato e un buon mondiale (in tutto 32 partite e 6 gol) e il Genoa lo desidera. Non sembra male, un buon prospetto, 23 anni, gran fisico, esperienza internazionale, nel Genoa potrebbe fare bene; ma passa un giorno e i grifoni lo cedono al Milan in prestito, che dopo una settimana diventa una comproprietà (ve le ricordate che belle le comproprietà?) col ghanese che giocherà a Milano, stipendiato dal Biscione.
Arriva in Italia con la fama da cattivo ragazzo, con alle spalle anche una denuncia per il danneggiamento di tredici autoveicoli in una notte berlinese insieme ad un ex compagno di squadra. Sembra però concentrato nel veicolare la sua energia nell’agonismo sportivo, a mettersi in gioco; d’altronde arrivava a fare il centrocampista nella squadra di Seedorf, Pirlo, Gattuso, Ronaldinho, e non poteva pensare di fare il titolare né di poter giocare senza essere disciplinato e senza impegnarsi. Il primo anno si sbatte molto e finisce la stagione con 34 presenze con 3 gol e 3 assist. Allegri lo fa giocare alle volte come interno di centrocampo quando i suoi giocano col rombo e le due punte (Inzaghi/Pato e Ibrahimovic davanti a Ronaldinho/Robinho), ma soprattutto lo spinge e lo reinventa in avanti, come trequartista, insieme a Ronaldinho o in solitaria, o ala destra nel 4-2-3-1. Con quel Milan Boateng vince il campionato e decide di premiarsi con un tatuaggio discreto, un clown con la faccia da teschio che tiene in mano lo scudetto.
Boateng fa gli auguri per gli 8 anni di Al Jazeera cantando come un usignolo. Pato non ha idea di cosa stia facendo e Boateng indossa i Carrera da ragazzetto ed è unTom Haverford che ce l’ha fatta.
Il Milan lo riscatta e, più vicino alla porta, l’anno successivo fa una delle sue stagioni migliori, nonostante giochi praticamente solo la metà degli incontri per via di problemi muscolari.
Ad ottobre del 2011 Boateng concentra praticamente tutti i tratti del suo carattere in un mese di prestazioni. Il 2 prende una doppia ammonizione sciocca con la Juventus e si fa espellere a ridosso del 90’. Il 19 fa il suo primo gol in Champions League contro il Bate Borisov con uno stop secco e un missile terra-aria di destro all’incrocio. Il 23 praticamente da solo rimonta il Lecce che vinceva sugli ospiti per tre gol a zero in dieci minuti (mina di sinistro sotto la traversa, mina di destro sotto la traversa, tiro sporco sul primo palo), rendendo più facile l’impensabile rimonta con un colpo di testa di Yepes e donandoci uno dei peggiori esempi di follia tifosa televisiva della storia.
Il 29 Boateng è a Roma e si fa espellere da appena sostituito perché prende a male parole al guardalinee. Il 23 novembre, poi, fa un gol senza senso in Champions League, al Barcellona, che concentra cos’è Boateng in generale e il suo momento di forma in particolare: strapotere fisico con piedi sopraffini. Su un pallone volante in area a qualsiasi giocatore sarebbe bastato il primo stop col piede in cielo per smettere di pensare; Boateng strafà con un tacco per portarsi avanti il pallone alla sinistra di Abidal, che non riesce neanche a pensare a cosa stia facendo il ghanese; termina l’azione con un tiro violento che Valdes fa passare sul suo palo. Da gennaio dell’anno successivo gli infortuni lo tengono distante dal campo, e tra una ricaduta e l’altra riesce a tornare in campo solo a fine aprile; ciò non basta per impedire al Milan di perdere lo scudetto di quell’anno a favore della prima Juventus di Conte. A fine anno alcuni tra i mentori, compagni di squadra e bastioni del Milan lasciano la squadra: Nesta, Gattuso, Seedorf, Inzaghi, Zambrotta, Ibrahimovic, Thiago Silva, Cassano.
La stagione 2012-2013 è difficile, Boateng deve ritagliarsi un nuovo spazio in quel centrocampo svuotato, e lo fa giocando una buona annata, adattando ed espandendo il suo modo di intendere il ruolo. i impegna di più in fase difensiva (raddoppia i suoi tackle a partita), ma allo stesso tempo aumenta il suo rendimento offensivo con più tiri (anche se segna solo tre gol in tutte le competizioni) e più passaggi chiave a partita. Boateng ha 25 anni, è al top della sua forma fisica (è straripante e perde solo una partita per infortunio), ha la 10 di Seedorf sulle spalle e prova a onorarla come si deve, massimizzando il suo ruolo e dando sempre tutto per i suoi, mischiando le sue origini come mediano al ritrovato ruolo offensivo. Il 3 gennaio Boateng è vittima di alcuni insulti razzisti a Busto Arsizio, durante un’amichevole contro il la Pro Patria; al 26’, in seguito ad urla e offese, prende il pallone tra le mani e lo tira rabbiosamente verso la tribuna, per poi lasciare il campo seguito dai suoi. L’evento ha avuto grande rilevanza nazionale e internazionale e la FIFA decise di insignirlo del titolo di ambasciatore della prima task-force contro le discriminazioni della federazione; a marzo le Nazioni Unite lo hanno nominato ambasciatore dell’anti-razzismo.
Il Milan di quella stagione finisce terzo; questo dà a Boateng la possibilità di farsi notare ancora una volta in Champions League, nei preliminari col PSV di fine agosto 2013, in cui segna una doppietta. Con queste reti sigilla il suo primo capitolo rossonero che termina con una cessione allo Schalke 04.
Il secondo capitolo in rossonero, a gennaio 2016, inizia in modo bizzarro ed ha delle caratteristiche preoccupanti: 1. ha quel profumo di “amore che fa giri immensi e poi ritorna” dell’ultimo Galliani, ritrovatosi con una squadra mai riuscita a svecchiarsi e che prova a salvarsi con ritorni di vecchie conoscenze (Kakà), 2. ha di conseguenza anche il profumo di ultimo tentativo per Kevin-Prince: se non riesci a fare bene nella società in cui l’hai già fatto vuol dire che non sei più quello di prima, che sei peggiorato.
Boateng, a causa di beghe societarie con lo Schalke, si è allenato col Milan da ottobre a dicembre 2015 e ha fatto ritorno coi rossoneri ufficialmente il 5 gennaio 2016, con la maglia numero 72. Come può comportarsi uno che arriva da sei mesi senza vedere il campo, con molte responsabilità sulle spalle in una squadra al collasso? Malino, certo, ma non è tutta colpa sua. Dieci presenze ma titolare solo contro il Carpi, segna solo un gol, il raddoppio milanista contro la Fiorentina; tutta la sua seconda esperienza a Milanello sembra strozzata come la capriola con cui lo festeggia, distante dalle esplosioni a cui ci aveva abituati.
Il Boateng che non conosciamo
Ci sono tre Boateng che non conosciamo, o meglio che conosciamo meno perché la loro storia si è sviluppata lontana dai riflettori italiani.
1. Il “Boateng Giovane Sregolato Che Rompe Ballack”
Boateng è cresciuto nelle giovanili dell’Hertha Berlino e appena compiuti 18 anni, nel 2005, è stato aggregato alla prima squadra in Bundesliga; in due anni e 42 presenze fa quattro reti e si fa notare. Nel 2007 il Tottenham lo porta a Londra ma non trova spazio negli Spurs, forse anche per motivi extracalcistici: Boateng, ragazzo cresciuto nei quartieri popolari che per la prima volta è lontano da casa con uno stipendio come si deve, ricorda quegli anni con tristezza, nessuno lo conosce, nessuno gli chiede come sta, va in discoteca 6 giorni su 7, beve e mangia male, raggiunge i 95 kg e decide di cambiare.
La sua presa di coscienza non basta per fargli avere la fiducia del tecnico Jol, e a gennaio 2009 viene mandato in prestito al Borussia Dortmund, squadra di cui Boateng è tifosissimo. A Dortmund va pure bene, gioca dieci partite, incrocia Klopp e ne rimane affascinato, ma la società non vuole rilevare il suo cartellino e così torna in Inghilterra, dove il Portsmouth decide che quell’enorme centrocampista fa al caso suo.
Nell’Hampshire Boateng esordisce con un gol al Bolton e termina la stagione con 22 presenze e 3 reti. Quando incontra la sua ex squadra è particolarmente agguerrito: fa un gol molto bello al Tottenham in casa, al ritorno è infortunato, e li punisce in semifinale di FA Cup con un assist e un gol (entrambi nei tempi supplementari). Per le bellezze implicite del sistema delle competizioni inglesi, Boateng si ritrova in zona retrocessione in Premier League e al contempo in finale di FA Cup col Chelsea; in questa fa un brutto intervento su Ballack (a sua volta colpevole di varie provocazioni e schiaffetti) che resta infortunato e salta i mondiali del 2010, i suoi ultimi. La sua fase da bad boy gli era comoda, perché era giovane e si sentiva più fico, ma con l’arrivo al Milan l’ha iniziata ad archiviare per relegarla ad un “passaggio” nella sua vita sportiva e umana.
2 .Il “Boateng Che Torna In Germania”
Tra i due capitoli milanisti (da agosto 2013 a gennaio 2016) Boateng viene richiamato in Germania, allo Schalke 04. Il suo primo anno è grandioso dal punto di vista realizzativo (sei reti e due assist, con una continuità di prestazioni notevole) e umano, con un Boateng perfettamente inserito, faro emotivo della squadra e pupillo del tecnico Keller che se lo coccola e lo vede come esempio per i giovani della squadra (nonostante abbia solo 26 anni). Si prende la maglia numero 9, in tre occasioni è capitano, arringa il pubblico, gioca come punta per poi venire arretrato nella trequarti o a centrocampo nel 4-2-3-1 col ritorno della punta vera (Huntelaar). Lo Schalke arriva terzo in Bundesliga.
I mondiali di Brasile 2014 del Ghana sono fallimentari e caratterizzati dall’allontanamento di Boateng e Muntari dalla Nazionale per insulti ad alcuni dirigenti (pare legati alla ridistribuzione dei premi FIFA), premonitori di un secondo anno allo Schalke decisamente più difficile. Nei Royal Blues a Keller subentra Di Matteo, che non impiega Boateng così spesso e in generale non trova un buon feeling con la squadra, il rendimento del centrocampista ne risente.
Nonostante fosse stato messo fuori rosa clamorosamente nel maggio 2015 per “condotta non professionale” e “scarso rendimento”, Boateng non parla mai di attriti personali con Di Matteo: «C’erano tanti giovani, erano affamati, ma lui non dava loro il cibo giusto». La squadra finisce quinta, lui passa dei mesi di scoramento in cui pensa di lasciare il calcio perché nessun club ha fiducia in lui. Così decide di provare a tornare dove è stato felice, ottiene il permesso di allenarsi a Milanello e si svincola solo a dicembre 2015 per tornare al Milan un mese dopo.
3. Il Boateng al centro di progetti tattici
Dopo il deludente semestre milanista nel 2016 arriva l’anno canario di Boateng. Vi consiglio di andare a vedere la posizione delle Canarie nella mappa, perché probabilmente vi sarà scivolata via dalla memoria: è lontanissima da tutto, ad ovest della costa occidentale del Marocco; per arrivare dalla Spagna ci vogliono 3 ore di aereo. Boateng viene ingaggiato dal Las Palmas, club di Liga che gioca in un’isola da vacanza. È alle dicerie di chi pensava che lui sarebbe andato lì in vacanza che Boateng ha dovuto rispondere, prima con le parole, poi con i fatti.
Al Las Palmas trova Quique Setién, un allenatore dal calcio posizionale raffinato. Boateng si prende la 7 e gioca prevalentemente davanti, come punta o esterno d’attacco, col compito di ricercare uno degli ultimi tocchi per la conseguente finalizzazione, dopo ampi reticoli di passaggi. Le sue conduzioni non sono più solo manifestazioni di potenza, o ricerca del tiro o dell’assist, ma sono finalizzate anche ad assicurarsi la superiorità numerica. Quando la squadra di Setién (grande appassionato di scacchi; si dice abbia giocato anche con Kasparov e Karpov) gira, anche i passaggi all’indietro verso la difesa per far uscire gli avversari, cuore dell’idea di costruzione dell’azione del tecnico, sembrano vibranti. Più si avanza sul campo più la tensione di questi movimenti del pallone e di uomini – e il disorientamento degli avversari – sale, come il caricare di energia potenziale di un’enorme molla.
Boateng fa 10 gol (il massimo della sua carriera), segna di testa, di pallonetto, d’esterno, in anticipo, in corsa, da attaccante vero. Fa anche quello che forse fu il gol più bello della Liga di quella stagione.
Un altro passaggio col tacco e si ascende al cielo.
Il Las Palmas di Setién finisce undicesimo ma gioca un calcio celestiale, il cui possesso medio è secondo solo a quello del Barcellona e che sembra poter essere la base per un progetto di calcio tropicale da seguire. Peccato che per un litigio con la società Setién lascia la squadra a fine stagione, andrà a predicare calcio al Betis.
Dalle Canarie Boateng va via rinato, con nuova fiducia nei suoi mezzi, un rapporto sano con la squadra (nonostante contratto fino al 2020 rinnovato a maggio, ad agosto rescinde per ragioni personali, da “padre e marito”), un’esperienza di calcio diversa e di nuovo pronto a mettersi in gioco, magari più vicino alla sua famiglia.
Torna in Germania, all’Eintracht Frankfurt, sotto la guida tecnica del suo ex compagno dell’Hertha Niko Kovac. Il calcio del Francoforte è diverso da quello che si gioca alle Canarie: la squadra di Kovac si basa su una difesa a tre molto fisica e alta, che si allarga in fase di costruzione per ricercare i passaggi e l’uomo in più a centrocampo; il modulo più usato è il 3-1-4-2 (o il 3-4-1-2), con il mediano che si abbassa a dare linee di passaggio ai difensori, uno dei centrocampisti che lo supporta e conduce (spesso Boateng, che infatti dopo i centrali di difesa e il mediano è quello che fa più passaggi a partita, vero anello di congiunzione del team), l’altro che attacca il mezzo spazio tra difesa e centrocampo avversari mentre gli esterni si alzano (quasi un 3-2-5 in fase d’attacco).
L’attesa spasmodica e la ricerca del climax del Las Palmas a Francoforte si traducono in lampi di verticalizzazioni rapide. Il pressing alto istituito da Kovac si sposa bene con lo stile aggressivo ed energico di Boateng (e infatti i suoi tackle a partita aumentano – così come i cartellini per tutta la squadra, 72 alla fine della stagione contro i 55 del secondo classificato in maladisciplina, il Wolfsburg). Anche a Francoforte ritorna uno dei termini costanti in tutta la carriera di Boateng, leader, che è una sfumatura diversa e meno istituzionale di quella di capitano (che pure lo è stato, capitano del Francoforte, in due match), più complessa e sicuramente più adatta ad una macchina termodinamica come Boateng, che trasforma la pressione in potenza, ma che ha bisogno di un ambiente specifico per funzionare al meglio. Un piccolo cedimento nella parte finale della stagione ha portato il Francoforte al settimo posto, anche se Kovac è già stato appuntato come futuro allenatore del Bayern Monaco – il suo lavoro non è passato inosservato. Boateng saluta Francoforte con un assist nella finale di Coppa di Germania, vinta dai suoi proprio contro il Bayern: pressing asfissiante di Rebic su James Rodriguez e filtrante lungo di Boateng proprio per il croato.
Il Boateng che arriva
Prima dell’ufficialità del suo passaggio ai neroverdi si poteva già dare per fatto il trasferimento, complici la volontà del giocatore e il beneplacito dell’Eintracht. Boateng era in Sardegna che si allenava per riprendere la forma fisica giusta ora che, a 31 anni, è stato richiamato a giocare in Serie A per far parte del progetto Sassuolo di De Zerbi.
If it doesn’t challenge you,it won’t change you❗️❗️❗️ #prince17
Un post condiviso da Kevin Prince Boateng (@princeboateng) in data: Giu 29, 2018 at 12:17 PDT
De Zerbi è arrivato al Sassuolo dopo un anno grigio per i neroverdi. Il suo calcio, visto in Serie A col Benevento ma già apparso nella gloriosa stagione col Foggia, è basato su un gioco di posizione fluido e adattabile agli uomini in campo. Mi piace pensare che non sia un caso che l’ufficialità del trasferimento di Boateng sia arrivata lo stesso giorno della presentazione del nuovo allenatore, come ad annunciare una coppia già fatta, due nomi indissolubili e centrali per il rilancio di tutta la squadra.
Nella sua carriera Boateng ha giocato praticamente in tutti i ruoli dal centrocampo in su: mediano, centrale, trequartista, centrocampista sinistro e destro, ala sinistra, ala destra, seconda punta, punta. Questa sua duttilità tattica, mista alle sue capacità tecniche innate, dovrebbe accoppiarsi bene con l’idea del gioco di De Zerbi (ha detto «Conosco bene Kevin Prince, è un ragazzo intelligente e maturo oltre ad essere capace di interpretare più ruoli») e il suo calcio associativo.
La rosa del Sassuolo è ancora provvisoria ma dentro sembra esserci quella qualità potenziale che un tecnico come De Zerbi può far sbocciare: nonostante le partenze di Politano e Missiroli è arrivato Federico Di Francesco dopo un’ottima stagione al Bologna, si parla dell’arrivo di Locatelli e dello scudiero del tecnico Brignola. Si aspetta l’esplosione di Sensi e c’è sempre un Berardi da resuscitare. Quando gli hanno chiesto del suo nuovo allenatore, Boateng ha risposto «son contentissimo perché quando l’ho conosciuto ho detto “un giorno dobbiamo lavorare insieme” o “io voglio lavorare per te” perché penso che nella sua maniera è un genio, come vede il calcio.[…] Parlano tutti bene di lui e questo non è normale».
Kevin-Prince Boateng ha avuto una vita professionale travagliata ma vicende sportive da grande calciatore, e la speranza che abbia ancora qualcosa da dire è più che viva. Visto il suo recente rendimento sembra quasi assurdo che un top team non l’abbia considerato tra i suoi obiettivi di mercato, anche solo come un panchinaro di lusso. Nel furbo Sassuolo, con una proprietà intelligente e un allenatore dalla personalità spiccata, speriamo possa trovare tranquillità emotiva, tattica, e la continuità che può trasformare un punto di domanda in un grosso, tatuato punto esclamativo.