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Kevin Strootman, il più italiano tra gli olandesi
21 ott 2024
Venerdì l'ex centrocampista di Roma e Genoa ha annunciato il suo addio al calcio.
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7 min
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IMAGO / Insidefoto
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Nel 2013 ho vissuto in Olanda per sei mesi e da quel momento ho iniziato a pensare che non esistono persone più diverse dagli italiani degli olandesi. Gli olandesi dividono il conto al centesimo, gli italiani fanno la guerra per offrirsi la cena a vicenda. Gli olandesi pranzano in piedi con un panino riscaldato, gli italiani hanno reso i pasti delle convenzioni sociali. Gli olandesi sono diretti al costo di risultare sgradevoli, gli italiani hanno reso la cortesia una forma di teatro. Gli olandesi parlano quasi solo di soldi, per gli italiani parlare di soldi è tabù. Si potrebbe andare avanti a lungo.

Quando mi sono trasferito lì, uno dei primi problemi è stato - scusate il cliché - come vedere la Roma ed è stato piuttosto scioccante per me scoprire che alcuni grandi romanisti erano, in tutto e per tutto, olandesi. Condividevano con me, cioè, il lato più infantile e quindi anche più intimo della vita. Ci radunavamo al bancone di uno di quei terribili posti turistici con decine di televisioni appese alle pareti e pieni di inglesi ubriachi che si guardano la Premier League. E partita dopo partita si aggiungeva qualcuno, che da quel momento sapeva dove avrebbe visto la prossima partita della Roma. Eravamo soprattutto turisti o studenti italiani, gente in Erasmus come me, ma a volte c’erano delle novità. Una volta un signore sulla cinquantina - maglietta bianca stagione 2001/2002, scudetto cucito sul petto, sciarpa dedicata a Campo Testaccio - si è seduto con noi. Guardava la partita e malediva la vita, come fanno i romanisti. Solo che lui era olandese fino al midollo e nemmeno parlava italiano. Quando gli ho chiesto cosa era successo per produrre quel prodigio lui mi ha risposto che lavorava a Roma nell’anno dello scudetto, e che di fronte a quei festeggiamenti esagerati e assurdi si era convertito. Come San Paolo sulla via per Damasco, ma con i romanisti al Circo Massimo al posto dell’apparizione divina nel cielo. Credo che per una persona olandese le due esperienze siano davvero paragonabili.

A quel signore penso ogni volta che leggo una notizia qualsiasi su Frans Timmermans, ex ministro degli Esteri olandese nato a Maastricht, che dopo il celebre 3-0 al Barcellona è corso a svegliare i suoi figli e ha messo l’inno di Venditti «per tutta la notte». E ci ho ripensato anche venerdì quando, per annunciare il suo addio al calcio, Kevin Strootman nato a Ridderkerk in provincia di Rotterdam ha utilizzato una singola parola in italiano - grazie - e ho creduto, come tutti gli altri tifosi di Roma e Genoa, che stesse parlando proprio a me.

Kevin Strootman, l’avrete capito, non è per me un giocatore come un altro. L’ho iniziato a scoprire proprio lì, al bancone di quel posto terrificante al centro di Amsterdam, che - provate a immaginarvi l’orrore - faceva il servizio all-you can eat delle spare ribs all’americana. Era appena passata la stagione di Zeman e Andreazzoli, del 26 maggio. Di lì a poco avremo assistito alla stagione delle dieci vittorie di fila di Rudi Garcia (e del salvataggio sulla linea a Udine di Benatia e Castan, del cucchiaio dalla trequarti di Pjanic col Verona, del gol al Chievo di Borriello). In mezzo a questi due momenti Kevin Strootman decise di prendere il numero di maglia dell’ultimo capitano della Roma prima di Francesco Totti, il 6 di Aldair. Chissà se sapeva.

C’è una foto, piuttosto celebre nel tifo romanista, che riassume il senso di onnipotenza che emanava Kevin Strootman in quei primi sei mesi in Italia (solo ora mi rendo conto di quanto sia stato breve la sua “reale” carriera in Serie A). Mi sembra non sia più reperibile sul web, o comunque io non riesco più a trovarla, comunque è qualche momento dopo questa (o chissà magari invece è proprio questa e la memoria sta facendo la sua magia). Viene da un Roma-Genoa del 12 gennaio del 2014 e guardandola sembrava che Strootman, uscito palla al piede da contrasto in uno contro due tra Vrsaljko e Matuzalem, li stesse trasportando per il campo come valigie o buste della spesa.

Qui si vede il reale momento di gioco che, per quanto impressionante, è di sicuro meno vivido della foto che rimane nella mia memoria.

Era l’immagine della sua superiorità atletica brutale, della sua durezza competitiva, e frugando nella stampa dell’epoca infatti scopro che era diventata “un cult” per tanti e non solo per me. Vorrei poter dire che Strootman era un giocatore molto più ricco di così. Che la mascella squadrata, l’espressione incarognita che gli valsero anche la famigerata pagina Facebook “gioventù strootmaniana” (oggi chiusa per le norme dei social network che nel frattempo ci hanno regalato Donald Trump, Brexit e il neofascismo) fossero una rappresentazione riduttiva della sua essenza. Che dietro all’apparenza da centrocampista che ringhia avesse un’anima creatrice, una visione di gioco da mezzala cresciuta nell’Ajax che gli ha permesso di rimanere competitivo a lungo anche dopo i due terribili infortuni. Che un momento rivelatore di questo suo primo frammento di esperienza a Roma sia stato l’incredibile assist per Totti realizzato contro il Parma, a Parma - uno di quegli assist che avrebbe potuto fare solo il capitano della Roma. Vorrei poter dire che nessuno si ricorda dei sei assist che realizzò nel girone d’andata di quella stagione ma la verità è che nemmeno io me lo ricordavo prima di scrivere questo articolo.

Quando ho contattato un tifoso del Genoa per parlarmi del suo ricordo di Strootman, lui come prima cosa mi ha citato una scena che non conoscevo proprio. È successa il 21 gennaio di quest’anno, durante Salernitana-Genoa. La squadra di Gilardino va sotto dopo solo due minuti per un gol di Martegani ma poi ci mette poco a recuperare. Retegui riesce ad ammortizzare una verticalizzazione potente di Gudmunsson al limite dell’area, appoggiandola a Badelj, che riesce a servirlo in area, dandogli la possibilità di tirare da buona posizione. Retegui se l’aggiusta sul sinistro, segna tirando forte sotto la traversa, poi va esultare sulla linea di fondo campo, sotto la curva della Salernitana. Su di lui iniziano a piovere degli oggetti, la situazione si fa improvvisamente tesa. E mentre i giocatori del Genoa cercano di calmare le acque, Strootman prende una barretta al cioccolato che era stata lanciata in campo, la scarta guardando i tifosi avversari e gli dà un morso. Poi si gira, si mette una mano in bocca e lascia lì, sul campo, quel bolo di disprezzo.

È inutile negare che anche per molti tifosi della Roma il rapporto con Strootman è legato a una scena simile, anzi ancora più violenta, ovvero lo sputo sotto la curva del Napoli nella semifinale di ritorno di Coppa Italia 2013/14, poco dopo essere stato espulso. A quei tre scontri ravvicinati col Napoli (perché poco dopo le due semifinali in Coppa Italia si giocò anche il ritorno di campionato) è legata praticamente tutta la carriera di Strootman in Italia, e quindi quasi tutta la sua carriera in generale. All’andata segnò forse il suo gol più bello, un tiro sotto il sette da fuori area di una pulizia tecnica impressionante, che di lì a poco divenne l’immagine di ciò che sarebbe potuto essere; in campionato, pochi giorni dopo la semifinale di ritorno, sempre al San Paolo, il primo infortunio al ginocchio, l’incarnazione di ciò che non è stato.

In mezzo rimane quello sputo e anche se non sono mai stato particolarmente convinto della consapevolezza simbolica di quel gesto poco importa. Il fatto che chi lo ha visto ci abbia proiettato istintivamente quel significato è indicativo di come Strootman sembrasse voler appartenere sinceramente alle squadre in cui giocava. Una serietà di fronte alle implicazioni che derivano da una maglia che era tutt’altra cosa rispetto alla semplice professionalità, e che una volta, dopo una brutta sconfitta con la Fiorentina, lo portò a spazientirsi con un giornalista che gli chiedeva se era deluso per la prestazione. Un atteggiamento che è completamente alieno alla cultura calcistica olandese, dove Johan Cruyff decise di passare l’ultima stagione della sua carriera ai rivali del Feyenoord per una disputa contrattuale con l’Ajax.

Il rapporto tra Strootman e l’Olanda è controverso per un motivo ancora più grande, e cioè la decisione di operarsi lì dopo il primo infortunio al ginocchio che probabilmente gli è costata la carriera. Per le persone con cui guardavo le partite ogni settimana questo ha significato però solidificare l’idea di fondare un Roma club ad Amsterdam, che per quella occasione si riunì sotto l’ospedale in cui si operava per consegnargli una cartellina stampata con i messaggi di supporto da parte dei tifosi.

«È incredibile vedere quante persone ha unito quell’iniziativa», mi ha detto Francesco, che quel giorno era lì, e che oggi si ricorda ancora della partita fatta nel giardino dell’ospedale in attesa che finisse l’operazione, o della tifosa cinese che voleva esserci nonostante parlasse a stento inglese. L’Amsterdam Roma Club rimane oggi a testamento di quel momento, che - nel bene e nel male - non sarebbe stato possibile senza Kevin Strootman.

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