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Klopp scopre la Premier League
12 gen 2016
I miglioramenti e le difficoltà del Liverpool dopo i primi mesi dell'era Klopp.
(articolo)
15 min
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Lo sbarco di Jürgen Klopp in Inghilterra ha generato un hype mediatico con pochi precedenti, paragonabile solo al primo approdo al Chelsea di José Mourinho. La coincidenza dell’esonero del suo predecessore Brendan Rodgers con la pausa per le Nazionali di ottobre ha fatto sì che un periodo non particolarmente ricco di argomenti di discussione fosse interamente dedicato all’ex allenatore del Borussia Dortmund, su cui si sono create aspettative notevoli prima ancora che esordisse sulla panchina del Liverpool.

In un campionato che vive una fase di stallo, se non di vera e propria crisi, a livello tecnico-tattico, i media (inglesi e non) hanno identificato in Klopp l’ancora di salvezza della Premier e del calcio inglese, che sembra aver perso definitivamente il ruolo di movimento leader del calcio europeo che aveva fino a quattro, cinque anni fa.

Le credenziali calcistiche del tedesco sono indiscutibili, ma anche la personalità dell’icona Klopp ha sicuramente contribuito a questa prematura investitura messianica: la battuta pronta, la teatralità delle sue conferenze stampa, la gestualità esasperata, tutto ciò fa di Klopp il perfetto sostituto del catalizzatore mediatico Mourinho, anche se con una narrativa diversa rispetto alle polemiche artefatte, l'indisponenza e il “rumore dei nemici” del portoghese.

Sir Alex (Ferguson) in persona si è esposto sul nuovo allenatore dei “Reds”, esprimendo la sua preoccupazione da tifoso del Manchester United sui risultati che il Liverpool potrà raggiungere sotto la sua guida. Ma nemmeno un uomo pragmatico come lui si è potuto esimere da un commento sul personaggio, dichiarandosi attratto dalla personalità di un allenatore «che sorride sempre mostrando i dentoni bianchi».

Klopp che impara lo “Scouse”, il dialetto del Merseyside e in particolare della zona di Liverpool, con l’aiuto del piccolo Isaac, è una delle perle regalateci da tutta questa sovraesposizione mediatica.

Tutta questa esposizione nei confronti di Klopp ha creato un’urgenza, non solo di vederlo all’opera, ma di vederlo vincere: ecco perché dopo i primi buoni risultati, tra cui le vittorie esterne su Chelsea (1-3), Manchester City (1-4) e Southampton (1-6 in Coppa di Lega), il pubblico inglese è rimasto quasi sgomento nel constatare la fallibilità di Klopp, quando una serie di risultati negativi ha di fatto ripristinato lo status quo, con il Liverpool che attualmente siede all’ottavo posto in classifica dopo le prime dodici partite di campionato dell’era Klopp: Rodgers lo aveva lasciato nono, a pari merito con il Southampton. Dopo la sconfitta con il West Ham, su Twitter ha addirittura iniziato a circolare, tra il serio e il faceto, anche l’hashtag #KloppOut.

Esplosa la bolla dell’hype, anche oltremanica ci si è resi conto che Klopp, come qualsiasi altro allenatore, ha bisogno di tempo, a maggior ragione visto che è subentrato a stagione in corso, senza poter guidare la preparazione né ricorrere al mercato e dovendo instaurare la sua filosofia di gioco praticamente da zero. Klopp è stato scelto non per guidare una risalita decisa e magari effimera, verso le zone alte della classifica, bensì per porre le basi di un progetto a lungo termine.

Counterpressing

In ogni caso, seppur con risultati altalenanti, la mano di Klopp sul gioco del Liverpool è evidente: la rosa ha diversi giocatori duttili e adattabili a diversi sistemi di gioco e, di conseguenza, come già aveva fatto il suo predecessore Rodgers (uno dei pochi a schierare una difesa a tre in Premier League), anche il tecnico tedesco ha sfruttato questa flessibilità schierando diversi moduli di gioco.

Nelle prime uscite, fin dall’esordio contro il Tottenham, il Liverpool è sceso in campo con il 4-3-2-1, modulo che permette un buon controllo delle zone centrali e interne del campo.

Il 4-3-2-1, con Lallana e Coutinho alle spalle di Origi, è stato il modulo scelto nelle prime gare dell’era Klopp, a partire dall’esordio contro gli "Spurs".

Dal 4-3-2-1 al 4-3-1-2, il passo è breve: nella vittoria di coppa sul Southampton, Klopp ha virato verso il modulo con il rombo.

Contro il Southampton si è visto invece il rombo a centrocampo, con Lallana vertice alto: il 6-1 finale conferma la riuscita dell’esperimento.

Ma “l’albero di Natale” non si discosta nemmeno poi tanto dal 4-3-3: il Liverpool ha anche giocato con il tridente classico (contro Sion e West Bromwich Albion) semplicemente allargando i due trequartisti sulle fasce. Nelle ultime partite, con Milner out per infortunio, fondamentale nel 4-3-2-1 in un ruolo ibrido tra l’interno e l’esterno, Klopp ha virato verso il 4-2-3-1, il modulo più impiegato durante i suoi anni al Dortmund.

La varia gamma di formazioni schierate non ha probabilmente accelerato l’apprendimento delle idee di Klopp, ma chi aspettava più o meno spasmodicamente di vedere un pressing organizzato in Premier League, può dirsi almeno in parte soddisfatto. Il pressing ultraoffensivo del Borussia Dortmund era unico nel suo genere, perché l’obiettivo era mantenere la squadra compatta vicino alla zona della palla, senza focalizzarsi in particolare sulle linee di passaggio o sugli avversari, ma congestionando il più possibile lo spazio intorno al portatore.

Rispetto a una tipologia di pressing basato su marcature individuali, l’esecuzione è solitamente più efficace, perché ogni giocatore può contendere il possesso a più avversari; ma è anche vero che l’implementazione di un sistema di questo tipo richiede tempo e meccanismi ben oliati. Il Liverpool è giunto in breve tempo a un risultato accettabile, ma la perfezione è ancora lontana.

Durante il pressing ultraoffensivo, il Liverpool mantiene un uomo più avanzato (solitamente il centravanti), il cui compito è di restringere le opzioni a disposizione del portatore di palla, in modo da tagliare il campo in due parti e canalizzare il gioco verso le corsie, dove aumentano le probabilità di riconquistare il pallone: i confini geometrici del campo infatti congestionano ulteriormente lo spazio a disposizione degli avversari. Il resto della squadra si mantiene compatto appena dietro la prima linea di pressione, in attesa del passaggio che faccia scattare il pressing vero e proprio.

Nel caso l’avversario ricorra a un pallone lungo, è compito della difesa, sempre alta vicino al cerchio di centrocampo, recuperare il possesso con il gioco aereo.

In questa situazione, Firmino controlla Muniesa: il suo posizionamento rende molto rischioso un passaggio verso destra e lo costringe a orientarsi verso il lato sinistro del campo. I centrocampisti si mantengono molto vicini al brasiliano, creando superiorità sul centro-sinistra, visto che presumibilmente il gioco passerà dai piedi di Muniesa a quelli di Johnson o Walters. Il Liverpool ha creato le condizioni ottimali per cominciare il pressing.

Come accadeva anche a Dortmund, il Liverpool inizia il pressing solo in seguito al crearsi di alcune particolari situazioni, i cosiddetti “triggers” (gli inneschi). Quando il pallone viene giocato lateralmente o lungo le corsie; quando il portatore di palla è posizionato in maniera da dare le spalle alla porta o particolarmente isolato; quando il portatore di palla riceve un passaggio particolarmente difficile o un retropassaggio.

Una collezione di “pressing triggers”, ovvero di quelle situazioni che innescano l’opprimente pressione del Liverpool di Klopp.

Oltre al pressing, Klopp ha implementato fin da subito anche il gegenpressing, che in Inghilterra è stato ribattezzato “counterpressing”. Quando il pallone viene perso, il Liverpool tenta di riconquistarlo portando immediatamente pressione sul portatore: le violente transizioni dei “Reds” vedono sempre almeno tre giocatori convergere sull’avversario in possesso: un eventuale recupero della palla permette di ricominciare l’azione offensiva immediatamente, volgendo a proprio vantaggio una situazione di potenziale difficoltà.

Inoltre, in seguito a un efficace gegenpressing, è probabile che l’avversario si trovi in uno schieramento più disorganizzato rispetto a quando si trova a fronteggiare un’azione costruita, rivestendo così anche grande importanza offensiva. Come ricordava lo stesso Klopp: “il gegenpressing è il miglior playmaker”.

Il gegenpressing del Liverpool contro il Chelsea, nella vittoria di Stamford Bridge.

Anche per il gegenpressing si può fare un discorso simile a quello sul pressing. La mentalità della squadra sta cambiando radicalmente sotto la guida di Klopp. Il Liverpool è passato dal proporre una fase difensiva reattiva, per cui i calciatori agivano in risposta a una giocata degli avversari, a una difesa proattiva, per cui sono loro stessi a cercare di forzare una determinata azione da parte dei rivali, in modo da avere un maggior controllo sugli sviluppi delle giocate. Il processo non si è ancora concluso, per questo non è raro vedere un gegenpressing in cui gli interpreti sembrano essere poco decisi sul da farsi o situazioni di pressing non particolarmente coordinate. In ogni caso, il ritmo delle partite del Liverpool è sicuramente aumentato: la quantità di nuovi possessi creati a centrocampo per gara è passata a 115, rispetto ai 100 di media quando l’allenatore era Rodgers.

Quando il pressing fallisce e il Liverpool difende all’interno della propria metà campo, si riorganizza in formazione, con gli esterni offensivi che si abbassano sulla linea di centrocampo. La squadra si mantiene compatta verticalmente e opera scivolamenti laterali in relazione alla posizione della palla. L’unico giocatore che non si colloca dietro la linea è il centravanti: in caso di recupero palla, deve rappresentare un’opzione in contropiede oppure la testa di ponte necessaria a far ripartire un’azione d’attacco.

Con il 4-3-2-1, il Liverpool si riorganizza in un 4-1-4-1. I trequartisti si abbassano a formare una linea a 4, mentre il centrale del trio di centrocampo si posiziona tra le linee.

Quando invece il Liverpool va in campo con il 4-2-3-1, come nelle ultime gare, gli esterni si pongono sulla stessa linea del doble pivote, mentre il trequartista rimane più alto, formando un 4-4-1-1. In entrambi i casi, il centravanti rimane più avanzato per approfittare di eventuali opportunità di contrattacco.

Difesa e possesso

Dall’arrivo di Klopp, il Liverpool è migliorato non poco in difesa rispetto a quando era Rodgers a sedere in panchina: l’impressione visiva è confermata anche dai dati, come ha illustrato Michael Caley sul Washington Post. Un evidente difetto della fase difensiva del Liverpool è però la difesa sui palloni alti (in cui anche il portiere Mignolet ha sempre avuto difficoltà) soprattutto sui cross che arrivano sul secondo palo.

Difendendo a zona, quando la squadra scivola verso il pallone è possibile che siano i terzini a dover coprire le zone centrali dell’area di rigore. Come ben evidenziato dalla partita con il West Ham, né Clyne, né Moreno sono particolarmente a proprio agio nel difendere in situazioni di gioco aereo, visto che sono praticamente sempre sovrastati in altezza dagli attaccanti avversari. In un campionato come la Premier, con tanti centravanti fisici e squadre che ricorrono con frequenza al cross, già diversi avversari hanno trovato il modo di colpire questo punto debole.

Già prima della gara di Upton Park contro il West Ham, il Southampton aveva messo in evidenza le difficoltà del Liverpool a difendere i cross sul secondo palo. In questo caso sul cross di Bertrand, sarà Sadio Mané, che con 175 centimetri di altezza non è certo un gigante, a vincere il duello aereo con Alberto Moreno e a depositare di testa in rete.

In fase di possesso il Liverpool di Klopp gestisce il pallone con continuità, ma fatica a creare occasioni da gol e a tirare nello specchio, specie quando gli avversari si compattano nella propria metà campo. Tutti, portiere e difensori compresi, sono chiamati a gestire il pallone. Mignolet ha fin da subito mostrato alcuni limiti tecnici e anche Skrtel non ha qualità tecniche da regista difensivo. Lovren da questo punto di vista gli è davanti. Di norma, durante la fase di costruzione dei “Reds”, i centrali difensivi sono chiamati a gestire il pallone con continuità, cercando spesso la giocata verticale.

Con Klopp i difensori centrali del Liverpool sono chiamati a gestire il pallone e a cercare anche il gioco in verticale, come probabilmente non avevano mai fatto in carriera. Tra Skrtel, Sakho e Lovren sembra essere il croato quello che se la cava meglio, anche perché già nel Southampton di Pochettino si trovava a partecipare alla manovra con continuità.

Il ruolo dei centrocampisti è molto dinamico. Fin dall’inizio dell’azione i terzini si alzano a fornire ampiezza, mentre i centrali di centrocampo vanno a turno o in contemporanea a occupare le zone lasciate vacanti dai laterali difensivi. Questo movimento verso le fasce ha lo scopo di cercare zone di campo meno affollate contro avversari molto chiusi, ma soprattutto di cercare di attirare fuori posizione i centrocampisti avversari, in modo di aprire spazio per i giocatori offensivi o linee di passaggio verticali per i centrali.

I terzini Clyne e Moreno si spingono in avanti, fin sulla linea dei trequartisti, mentre i centrali di centrocampo Henderson e Can si allargano, aprendo spazi e linee di passaggio nelle zone centrali del campo.

Sulla trequarti c’è una notevole fluidità di movimento, con continui interscambi fra i componenti del reparto offensivo, ma per Klopp c’è ancora da lavorare per creare una struttura offensiva in grado di sfruttare al meglio la mobilità e le qualità tecniche dei vari Coutinho, Lallana, Firmino, Ibe. Spesso, poi, il movimento ad allargarsi dei centrocampisti rende difficile superare il blocco avversario, che viene aggirato lateralmente piuttosto che tagliato per vie centrali.

Il Liverpool ha dimostrato di soffrire contro squadre particolarmente chiuse: in situazioni di questo tipo si ricorre con frequenza al tiro da fuori: l’esempio lampante è quello di Coutinho, che conclude da fuori area tre volte ogni 90 minuti, cioè lo stesso numero di conclusioni di Benteke da dentro l’area.

Proprio attorno a Benteke, pagato in estate la bellezza di 32,5 milioni di sterline, si è creato una sorta di caso. Il belga è un centravanti forte fisicamente, abile nel gioco aereo e con entrambi i piedi, e nella sua carriera in Premier League è sempre andato in doppia cifra. Aveva un’influenza inestimabile nel gioco offensivo dell'Aston Villa, ma ha trovato difficoltà con Rodgers e ne sta trovando ancora di più con Klopp. Il gioco del tedesco non presuppone un centravanti classico, ma uno molto mobile che possa offrire il proprio supporto alla manovra: caratteristiche non esattamente in linea con quelle del belga.

In un’interessante analisi, Mike L. Goodman, ex autore di Grantland, è giunto alla conclusione che in questi primi sei mesi con la sua nuova squadra, Benteke ha offerto un output statistico molto simile a quello della scorsa stagione, ma è il contesto in cui agisce a essere profondamente cambiato. In sostanza, la sua presenza in campo non influenza più in maniera determinante le azioni offensive della sua squadra, come accadeva quando invece vestiva la maglia dell’Aston Villa.

Ma d’altronde Klopp non ha avuto possibilità di provare altre soluzioni, visti i ripetuti infortuni che lo hanno privato di Ings, Origi (in campo per tutti i 90 minuti una sola volta da inizio ottobre) e soprattutto di Sturridge, che da quando è arrivato al Liverpool ha già perso 377 giorni a causa di un’interminabile lista di guai fisici. Fin dall’insediamento dell’allenatore tedesco l’incremento del numero degli infortuni è stato inesorabile e sono ben 13 i giocatori fuori per infortunio al momento attuale. Decisamente troppi, tanto che Raymond Verheijen, preparatore atletico e direttore della World Football Academy, si è scagliato via Twitter contro Klopp, che a suo dire avrebbe dovuto rimandare l’implementazione del suo stile di gioco energetico a un momento della stagione con un calendario meno fitto.

Indipendentemente dalle cause, gli infortuni hanno sostanzialmente negato a Klopp la possibilità di ruotare la formazione e sperimentare, tanto che di fatto era lo staff medico a dettare la formazione. Tra i giocatori praticamente mai a disposizione del nuovo allenatore del Liverpool figura anche Jordan Henderson, capitano fondamentale non solo a livello simbolico, come dimostra il suo Goal Impact di 164, il valore più elevato della rosa.

Il Goal Impact, un metodo matematico ideato da Jörg Seidel, è in grado di misurare l’impatto che un giocatore riesce ad avere sulla differenza reti della propria squadra nei minuti che passa in campo: possiamo pensare a questo algoritmo come una sorta di plus/minus cestistico applicato al calcio (a questo link è disponibile una più dettagliata descrizione del metodo, mentre qui è spiegato come leggere il diagramma). Sempre secondo questo metodo, Sturridge è il terzo giocatore del Liverpool per importanza: solo Henderson e Sakho superano il suo GI di 144. Oltre a essere una pedina chiave nello scacchiere del Liverpool, l’inglese sarebbe per caratteristiche più adatto al gioco di Klopp, come ha dimostrato con la grande prestazione nel 6-1 contro il Southampton, ma finora il tedesco non ha potuto fare affidamento su di lui.

Il lavoro di Klopp non sarà affatto facile e il Liverpool è appena all’inizio di un percorso molto simile a quello intrapreso dal Borussia Dortmund ormai sette anni fa. Al netto delle difficoltà oggettive (e prevedibili), l’allenatore tedesco ha già notevolmente modificato lo stile di gioco del Liverpool. C’è il rischio concreto che i "Reds" rimangano fuori dalla dall’Europa: con il ritorno a pieno regime degli infortunati e il mercato di riparazione aperto, questa squadra può solo migliorare, ma l’esclusione dalla Champions League sembra ormai una certezza.

La seconda parte della stagione non sarà probabilmente facile, ma sarà basilare per l’apprendimento del calcio del tedesco. Klopp ha 48 anni e allena da quando ne aveva 33, eppure ha allenato solo due squadre, il Mainz dal 2001 al 2008 e il Borussia Dortmund dal 2008 al 2015, rimanendo in carica per sette anni in entrambe le occasioni. È possibile che fino alla prossima stagione non vedremo il “suo” Liverpool: la dirigenza dei “Reds” dovrà pazientare, abbracciando fino in fondo il progetto e mettendo da parte l’ottica di breve periodo che sembra dominare il mondo del calcio. Il processo sarà probabilmente doloroso per i tifosi, ma del resto anche il Borussia Dortmund ha impiegato diverse stagioni prima di diventare la potenza europea che è oggi. Per raccogliere bisogna prima seminare.

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