Quando Zaire-Emery porta palla, con l’esuberanza dei suoi 17 anni, abbiamo già capito. Avevamo visto Mbappé proporsi alla sua sinistra e avevamo già capito. È stato come vedere il coltello in un film di Hitchcock: sappiamo che quel coltello prima o poi ucciderà. Mbappé fa una corsa in diagonale per defilarsi e creare una tasca di spazio alla sua destra. Zaire-Emery gliela dà sui piedi e a quel punto Mbappé è uno contro uno con Tomori. È stato come vedere una tigre che punta una preda nei documentari: sappiamo che prima o poi quella preda morirà. Il campo inizia a prendere una pericolosa pendenza verso la porta di Maignan. Mbabbé porta palla con l’esterno senza fare particolari movimenti, ma i suoi piedi sembrano viaggiare su un tapis-roulant; vanno a una velocità leggermente superiore al normale. Tomori è costretto a retrocedere passo passo, ma è attento a chiudere l’angolo alla destra di Mbappé, quello verso cui c’è lo spiraglio per la porta: non deve farlo tirare. Tomori è veloce, uno dei 10 giocatori più veloci della Serie A; la sua postura è corretta per chiudere Mbappé. Sa che cercherà di rientrare per calciare in porta, e che calcerà sul primo palo. Lo sa perché tutti sanno come gioca Mbappé, e magari lui - con eccesso di zelo - si sarà pure visto qualche video in settimana per prepararsi. Mbappé fa una piccola finta a destra, Tomori si sbilancia, ed è morto. Mbappé rientra effettivamente sul destro e calcia sul primo palo. Maignan resta fermo, Tomori viene disarcionato come da un toro meccanico e cade a terra goffamente. Tutti sapevano che Mbappé avrebbe fatto quell’azione, ma la velocità, la precisione, la ferocia con cui l’ha eseguita, l’hanno comunque reso immarcabile. L’unica speranza, per Tomori e per il Milan, era che Reijnders arrivasse in raddoppio da dietro, invece di corricchiare all’indietro come chi non si accorge della brutalità che sta per andare in scena.
Pochi giorni dopo Mbappé fa la stessa identica cosa. Siamo in casa del Brest, che subisce una transizione in campo aperto. Mbappé punta Chardonnet in uno contro uno, e sappiamo già che non avrà lunga vita. Lo sa anche lui, e infatti si guarda attorno come per cercare rinforzi (o, chissà, vie di fuga). Non ne vede. Mbappé sterza a destra, e il difensore si gira per parargli il tiro, e girandosi apre le gambe. Mbappé, spietato, tira sul primo palo facendo passare la palla in mezzo alle gambe del povero Chardonnay. Il tiro, a dire il vero, non sembra nemmeno irresistibile, è anche deviato. C’è qualcosa, però, in questi tiri secchi di Mbappé sul primo palo che paralizza i portieri come il più infido dei veleni. Lo ha segnato al Milan, al Brest tre giorni dopo, e tante tante altre volte. È il gesto che ripete più spesso: la sua signature move. Cioè una sequenza di movimenti che un giocatore ha perfezionato per semplificare le dinamiche del calcio. Una parte del proprio repertorio, a cui attingere nel momento del bisogno, per non dover sempre inventare tutto da capo, e spremendo di volta in volta la massima efficacia possibile da un’azione codificata. Non stiamo parlando, però, della croqueta di Iniesta, della ruleta di Zidane, o della Thiago Turn. Cioè di gesti tecnici codificati dai centrocampisti per gestire l’uno contro uno e la pressione avversaria. Sono azioni in cui Mbappé risolve la situazione dell’uno contro uno col difensore, si ricava lo spazio per il tiro, e batte il portiere. Il difensore che è lì con lui sa cosa non deve concedere a Mbappé, il portiere sa che se partisse il tiro sarebbe probabilmente sul primo palo. Tutti sanno, ma sapere non basta a prevenire che Mbappé riesca nella sua azione. È il grande mistero di alcune finte meccanicizzate, che producono momenti di grandezza con continuità industriale. Il calcio nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.
Tutti sapevano che Arjen Robben sarebbe rientrato sul suo sinistro per calciare sul secondo palo, ma nessuno poteva davvero farci qualcosa - per citare il più famoso caso di un giocatore che sembrava giocare caricato a molla per eseguire perennemente la sua azione più pericolosa, come un dannato dell’inferno dantesco. Si può uscire anche dal calcio, per trovare un’essenza che appartiene allo sport in generale. In una puntata della Riserva Daniele Manusia ha paragonato l’azione di Mbappé a una classica combinazione “jab-diretto-gancio”. Nel basket si può citare il fadeaway di Dirk Nowitski. Un tiro eseguito col peso del corpo all’indietro, difficilissimo da marcare. Nel tennis, uno sport fatto di pattern, le combinazioni appartengono a tutti i giocatori, e nel tennis contemporaneo non si può prescindere da una buona combinazione servizio esterno+dritto in campo aperto se si vuole competere ad alti livelli. In uno sport estremamente vario e complesso come il calcio è più raro che i giocatori riescano a sistematizzare l’efficacia di certe proprie azioni. Ma cos’è che rende così efficace quell’azione di Mbappé, e che la rende efficace nonostante sia un’azione attesa?
In realtà i motivi sono tutti piuttosto intuitivi ma si possono ridurre anche a uno solo: alla velocità con cui Kylian Mbappé esegue tutta l’azione. Chi porta palla, nel calcio, comanda il tempo; è chi porta palla che decide se l’azione deve accelerare o rallentare. Quando Mbappé porta palla, il mondo della partita subisce un’accelerazione brusca, quantica. Si gioca a una velocità che per gli altri giocatori in campo non è leggibile. Non c’è molto che possano fare: sono sempre costretti a rincorrere, a reagire alle sue mosse, sempre in leggero ritardo. Anche la scelta della conclusione, per Mbappé, è basata sulla velocità, e sull’idea di cogliere di sorpresa il portiere.
Il movimento della sua gamba è quasi perfettamente continuo, tra lo spostamento a destra del pallone e il calcio d’interno verso sinistra. Il tempo della preparazione del tiro viene strozzato fin quasi a non esistere più. Un tiro sul secondo palo, invece, richiede una meccanica di tiro, una spinta delle gambe, più laboriosa. E infatti quando Mbappé ha più tempo a disposizione calcia sul secondo palo.
Ho chiesto a Federico Principi, che fa il portiere, cosa rende quel tipo di conclusione così difficile da contrastare per un portiere. Mi ha detto che Mbappé tira con una rapidità che non permette al portiere di fare lo split step, cioè quel saltello sul posto che gli permette di prendere spinta. Per questo vediamo spesso i portieri fermi, ghiacciati nel momento in cui devono ancora lanciarsi nella parata, come il tiro li avesse colti di sorpresa, facendogli la fotografia - come si dice in gergo. È come fronteggiare un tiro di punta a futsal, dove i portieri sono costretti a stare sempre sulle punte per essere pronti a tiri che, all’apparenza, non stanno nemmeno per partire.
In più, ci sono altri due fattori che rendono il tiro di Mbappé particolarmente insidioso. Il primo è banalmente geometrico, e cioè che il tiro sul primo palo prende una traiettoria più breve e diretta. La palla ci mette meno tempo a fare il tragitto dal piede dell’attaccante alla rete. Il secondo, è che spesso il tiro passa tra le gambe del difensore, che allarga il “compasso” proprio per prevenire il tiro sul secondo palo.
Per finire, la cosa più ovvia. E cioè che Mbappé si può permettere di affidarsi con costanza a quel movimento perché nel suo repertorio ce ne sono molti altri. Mbappé può fare più o meno quello che vuole, col suo bagaglio tecnico, ma la velocità con cui fa le cose gli permette di prendere spesso la strada più semplice - cosa che anche Messi ha spesso fatto nei suoi anni migliori, e che ovviamente apparteneva anche a Robben. Quello di Mbappé, insomma, è un trucco: una manomissione della dinamica tradizionale del calcio.
È un’azione che ci racconta del rapporto, forse poco esplorato, del rapporto tra innovazione e ripetizione nello sport - fra invenzione creativa e ripetizione del già noto. L’allenamento sportivo, lo sappiamo, si basa sull’iterazione di movimenti fino al loro più assoluto perfezionamento. I gesti tecnici vengono ripetuti fino a costruire un nuovo corredo genetico di questi sportivi - in Infinite Jest, parlando di tennis, Wallace scrive che il gioco a un certo punto deve arrivare fino all’hardware dei giocatori. Gli sportivi, quindi, come macchine. Un’idea che si accorda bene con Mbappé, cresciuto nel mito di Cristiano Ronaldo, e che da lui ha ereditato la ricerca dell’efficientazione del proprio gioco. Mbappé ha uno stile di gioco vagamente macchinico: non c’è niente di decorativo, nessun orpello, nessun pensiero davvero fuori dall’ordinario. È riuscito a liberarsi anche del narcisismo che rendeva affascinante e infantile il gioco di Cristiano Ronaldo. È questo, però, che rende il gioco di Mbappé così violento: l’esattezza e la sistematicità con cui il suo modo di giocare sfrutta la sua superiorità sui suoi avversari. Un gioco ridotto al suo puro valore d’uso, e che ha in quel tiro sul primo palo il suo prodotto, la sua merce, di maggior successo. È in parte una mortificazione dell’aura artistica che i giocatori offensivi, specie i migliori di loro, si portano dietro. Qualcosa di simile a quello che scriveva Walter Benjamin, secondo cui nell’era capitalistica l’artista diventa un produttore assorbito dal sistema, tramite la riproducibilità dell’opera.
Una ricerca di essenzialità è però spesso vitale, soprattutto per i giocatori offensivi. Trovare le cose che funzionano, e affidarsi a quelle, aiuta a risolvere situazioni complesse senza sforzi tecnici, fisici e cognitivi troppo grandi. Banalmente, se una cosa funziona perché non ripeterla? Nel tennis, che è appunto un gioco basato sull’iterazione, trovare un repertorio essenziale del proprio gioco a cui affidarsi è fondamentale. A inizio carriera Roger Federer “subiva” la vastità del proprio repertorio tecnico, nel senso che si dimenticava che a volte bisogna essere essenziali: giocare un servizio solido e un dritto nel campo aperto. Avere un colpo con cui essere sicuri di poter comandare, non complicarsi la vita. Sono tutte cose che, una volta imparate, gli hanno permesso di fare il celebre “click” a livello di risultati.
È interessante parlare di questo tema negli stessi giorni in cui va in scena il confronto tra Mbappé e Leao in Milan-PSG. Leao ha ammesso di guardare i video di Mbappé e Ronaldo per ispirarsi. Glielo avrebbe consigliato Pioli tempo fa: «Se vuoi arrivare al livello di Mbappé e Ronaldo, devi fare la differenza in tutte le partite, altrimenti sei un giocatore banale». Il gioco di Leao ha diversi problemi - e stiamo ovviamente parlando di problemi relativi, e cioè dalla distanza che lo separa dall’assoluta élite del ruolo. Si muove poco senza palla in profondità, per esempio, ha qualche difetto tecnico nell’esecuzione dei tiri, a volte però i suoi sembrano problemi di scelte. A volte Leao dà l’idea di non sapere esattamente cosa fare con le proprie potenzialità. L’azione che ripete con più frequenza è l’accelerazione sul fondo e la palla indietro: un’azione in cui in Serie A è stato devastante. Gli manca però la capacità di trasportare questo tipo di ferocia anche nell’attacco diretto verso la porta. L’azione classica di Mbappé, in cui rientra sul destro e calcia sul primo palo, è un esempio del tipo di azione che a Leao oggi manca nel repertorio: un modo per sfruttare in modo più semplice e diretto la sua superiorità fisica sugli avversari, e che lo porti a essere più produttivo. Come si dice, a volte il calcio è semplice.