Stasera Kylian Mbappé giocherà per la prima volta contro il Milan. A prima vista sarebbe questa la notizia, ma c’è di più. Mbappé infatti era (è?) un grande tifoso rossonero. Strano, no? Lo ha ricordato la madre Fayza in un’intervista alla Gazzetta dello Sport pochi giorni fa: «Quando tornava a casa parlava solo del Milan. Se il Milan perdeva, poteva lanciare il telecomando contro la TV e dire qualche parolaccia in italiano». Mbappé quindi non è un simpatizzante del Milan, quell’affetto che uno può avere per una squadra all'estero perché magari da bambino si era invaghito di qualche calciatore o dei colori sociali. No, Mbappé è un tifoso vero, di quelli che non ci dorme la notte, per cui il risultato della domenica fa l’umore della settimana successiva.
Ma come è possibile? Mbappé è nato a Parigi e cresciuto a Bondy, un piccolo comune alla periferia est della capitale francese dove il collegamento più diretto con l’Italia è un gemellaggio con Furci, un piccolo paese abruzzese vicino Chieti. Il padre era un educatore, la madre una giocatrice di pallamano. Anche qui, collegamenti con il Milan: zero.
Fosse stata un’altra epoca, se Mbappé fosse cresciuto durante il Milan degli olandesi, in un periodo storico in cui il calcio estero si vedeva solo in qualche partita di Coppa dei Campioni sarebbe stato più normale. Innamorarsi di una squadra rivoluzionaria e vincente, una delle poche trasmesse in televisione. Ma Mbappé è nato nel 1998 e considerando che - generalmente - si inizia a tifare una squadra verso i cinque, sei anni, soprattutto se non indirizzati dalla famiglia, possiamo presumere che la folgorazione sia arrivata verso il 2003.
Forse la scintilla è stata la vittoria della Champions League di quell’anno, ai rigori contro la Juventus. Era una versione del Milan magari non travolgente, ma comunque fortissima. Pirlo, Maldini, Nesta, Seedorf, Inzaghi, Sheva. È divertente pensare che Mbappé nel campo sotto casa potesse imitare le esultanze scomposte di Pippo Inzaghi, le corse disperate di Gattuso. Ma se a sei anni ha avuto la fortuna di sostenere l’esplosione di Kakà, la delusione di Istanbul e il riscatto di Atene, dai dieci anni in poi gli è toccato il tramonto del Milan berlusconiano. Le cessioni dolorose, gli acquisti sbagliati. La banter era. Cosa avrà pensato Mbappé di tutti gli infortuni di Pato, dello scudetto con Ibra, Cassano e Allegri, del gol di Muntari? Ma soprattutto, a 13 anni era ancora un tifoso del Milan così affezionato da avere un pensiero su Kévin Constant, M'Baye Niang, Dídac Vilà?
Quanto ci avrà creduto Mbappé in Jack Bonaventura?
Teoricamente a quell’età dovresti avere pochi pensieri: la scuola, le prime cotte, gli amici e il Milan. Ma Mbappé era già a Clairefontaine a studiare da fenomeno e magari aveva già smesso di pensare alla squadra per cui spaccava i telecomandi solo qualche anno prima. Eppure, a sentirlo parlare, Mbappé al Milan ci pensa ancora. Pochi mesi fa, a un tifoso che lo interpellava su un suo possibile futuro nel nostro Paese, il francese ha risposto che: «Se vengo in Italia, è solo per il Milan». Una frase da famiglia Maldini, che in bocca a lui ci fa capire come quell’amore giovanile per i rossoneri sia tutt’altro che estinto. È così impensabile immaginarlo nei pomeriggi post-allenamento mentre guarda gli editoriali di Mauro Suma a Milan TV? Che conosce a memoria tutti i soprannomi di Pellegatti? Mbappé sembra uno che il calcio lo ama per davvero, uno anche un po’ nerd.
«Il mio legame col Milan è speciale», raccontava qualche anno fa, «da piccolo avevo una baby sitter italiana e passavo molto tempo con la sua famiglia, tutti tifosi del Milan. Così grazie a loro anch’io tifavo rossonero e guardavo un sacco di partite del Milan». Le origini del suo tifo, allora, vanno ricercate nell’influenza intorno alla famiglia. Da piccolo infatti Mbappé passava un sacco di tempo in casa della famiglia Riccardi, dove il tifo per il Milan era una religione. Mbappé, quindi, tifoso rossonero per osmosi, più che per folgorazione. Furono loro a regalargli la maglia del Milan numero 70 (Robinho, probabilmente stagione 2010/11), una maglia che secondo la madre non voleva togliersi mai.
Antonio Riccardi, uno dei componenti di questa famiglia rossonera, ha confessato che Mbappé gli avrebbe detto che il Milan è nei suoi progetti, ma «a fine carriera». Poi ha aggiunto che però il francese scherzava, o forse magari un giorno si comprerà il Milan, dopotutto è la mossa più da tifoso che uno può sognare. Mbappé può farlo, può cioè parlare ancora con affetto del suo Milan, perché è molto improbabile che possa finirci a giocare. Se, ad esempio, fosse stato un giovane tifoso del Real Madrid, avrebbe detto le stesse cose? Non credo.
Ma siamo sicuri che il cuore di Mbappé non possa cambiare la storia? Su internet c’è chi parla di “piano Mbappé”, un piano organizzato nei minimi dettagli dal Milan che va avanti dal 2017 e la cui conclusione sarebbe l’approdo del francese in rossonero. Prima il Milan ha mandato Leonardo al PSG come infiltrato per lavorare affinché Mbappé avesse sempre più potere nel suo club (cosa riuscita), poi ha scelto Geoffrey Moncada, colui che ha scoperto Mbappé a 12 anni, come capo degli osservatori e preso Maldini, idolo giovanile di Mbappé, come DS (qui c'è stato un piccolo intoppo con l'arrivo di Cardinale). Poi ha iniziato a prendere tutti calciatori francesi per creare un contesto ideale. Anche l’acquisto di Leao è parte del piano: sarebbe una sorta di “prova”, viste le caratteristiche in qualche modo simili del portoghese. Poi è stato fatto tornare Ibra, amico di Mbappé. Ma il vero colpo di scena è l’ultimo: Gigio Donnarumma non ha lasciato il Milan per soldi, ma come agente infiltrato nel PSG, il cui compito è convincere il compagno di quanto è bella Milano e di quanto si sta bene al Milan.
La partita di stasera, casuale o meno, fa allora parte del piano. Dimostrare a Mbappé che niente è il Milan. Che giocare per soldi è bello, ma farlo per amore è meglio. È un piano comunque difficile, ma se stasera Mbappé dovesse segnare, ed esultare meno convintamente del solito, fateci caso: potrebbe essere un segno. Il tifo, lo sappiamo tutti, non si seppellisce.