Nel terzo millennio, la distanza che c’è tra il calcio della Premier League e quello della quinta divisione è simile a quello che esiste tra Quarto Oggiaro e Monte Napoleone; tra Torrevecchia e Trinità de’ Monti.
Per poche settimane l’anno, però, i due mondi arrivano a toccarsi: durante l’FA Cup l’universo dei Paul Pogba e degli Eden Hazard incrocia quello dei Nathan Kerr e dei Fraser Franks. Quando si arriva al quinto turno, in corrispondenza col carnevale, e in giro tira aria di ribaltamento dei ruoli, la situazione diventa grottesca: il traguardo ormai è vicino e se qualche squadra di basso livello è riuscita a sopravvivere rischia di mettere in una brutta situazione psicologica l’avversario più quotato.
Sabato è successo al Milwall, che ha eliminato il disastrato Leicester, a cui si è rigirata contro la logica dell’underdog; ma soprattutto al Lincoln City, che ha eliminato il Burnley vincendo 1 a 0. Se il Millwall milita in terza divisione, e ha almeno un passato in Premier da poter vantare (oltre che una finale di FA Cup conquistata proprio in tempi recenti), il Lincoln City gioca addirittura in quinta divisione, in cui non esiste neanche il professionismo. Insomma, c’è molta più distanza tra il Millwall e il Lincoln che non tra il Millwall e il Leicester.
Per capire la profondità dell’impresa: non succedeva dal 1914 (il QPR, in quel caso) che una squadra di dilettanti riuscisse a superare il quinto turno di FA CUP. Ma, al di là dei dati, una storia così si porta dietro una grande quantità di dettagli surreali che vi farà sembrare normale l’impresa del Leicester dello scorso anno.
L’impresa in sé
Fino a un minuto dal novantesimo, il Lincoln non era riuscito quasi mai a tirare verso la porta del Burnley, una squadra peraltro ben al di sopra della zona salvezza della Premier League. Fino a quando un calcio d’angolo viene battuto verso il difensore centrale Waterfall, che fa da sponda per l’altro centrale Raggett, che riesce a segnare di testa.
Questo momento di puro delirio era stato preceduto da novanta minuti di lanci lunghi, gomitate, risse e provocazioni. Una specie di battaglia medievale con protagonisti assoluti Joey Barton - che tutti conosciamo come l’unico filosofo nietzschiano che è anche un personaggio di Trainspotting - e “Big Matt” Rhead, uno dei principali fattori del fascino da torneo da pub del Lincoln City.
Rhead pesa 106 chili, ha il riporto e gioca centravanti.
Fino a poco tempo fa lavorava in una fabbrica di ruspe, un mestiere che inquadra bene anche il suo stile di gioco. Ora guadagna 30 sterline a partita e passa sopra i difensori come una macchina da pressa: «Volevo così tanto diventare un professionista che la prima volta che mi hanno dato 30 sterline a Kidsgrove mi sono detto “oddio sono ricco!”».
Prima che sabato si consacrasse definitivamente, Rhead era già una leggenda del calcio minore, una specie di incubo delle difese avversarie. «Matt Rhead è ingiocabile a questi livelli. La sua abilità è ridicola per un calciatore che non sembra un calciatore e non si allena neanche da professionista» ha dichiarato uno dei suoi avversari qualche mese fa.
Per dire il suo livello di notorietà, esiste un suo account parodia che lo immagina come il contrario di sé stesso: un inglese medio noioso che beve tè ad ogni ora.
Quando parla di sé stesso prova un certo autocompiacimento nel descriversi come un attaccante old school: «Mi piace quel lato fisico del gioco che oggi non si vede molto tra i professionisti».
Contro il Burnley la sua forza disumana nel gioco aereo è stata l’elemento chiave che ha permesso al Lincoln di alleggerire la pressione offensiva avversaria. Per dire, durante la partita ha realizzato il triplo dei passaggi di testa rispetto quelli di piede. Questa è un’azione in cui un difensore del Burnley, dopo un contrasto con Rhead, chiede all’arbitro se è una cosa legale.
La circonferenza di Rhead è più ampia di qualsiasi altro giocatore sulla terra. Per questo quando prende posizione lo fa in modo completamente diverso, e anche se vanno a contrastarlo in due è impossibile contendergli il pallone: sabato è successo qui ad esempio.
Quando non arrivava sulla palla manipolava il suo avversario con le mani usandolo per fare da sponda. Ciò che lo rende un freak non è però solo la stazza, ma il suo incredibile atletismo in relazione al corpo. Ecco una situazione in cui sembra una foca volante.
Ma a catalizzare il drama della partita è stato soprattutto il suo duello con Joey Barton. In una delle prime azioni di gioco, Rhead cerca di decapitare Barton con una gomitata.
Barton, da parte sua, era in forma smagliante. Ha schiaffeggiato e calpestato un avversario, e poi ha messo in scena una situazione da teatro dell’assurdo, simulando una specie di gomitata di Rhead.
Nel dopo-partita Barton non ha chiesto scusa e ha detto di essere effettivamente stato colpito, poi ha pubblicato una frase di Rumi, un poeta mistico persiano, che dovrebbe funzionare come monito ambiguo: “C’è uno spazio vuoto tra il comportarsi bene e il comportarsi male. Ci vediamo lì, dove l’animo riposa su una distesa d’erba che il mondo è troppo occupato per vedere”.
Nel frattempo è stato ripescato un tweet del 2012 di Sean Raggett, l’autore del gol vittoria, in cui scriveva quella che a posteriori suona come una bella vendetta: «Sogno di affrontare Joey Barton un giorno».
I fratelli Cowley
I principali artefici dell’impresa del Lincoln sono Danny e Nicky Cowley, la coppia di allenatori fratelli che ammette esplicitamente di affidarsi a Football Manager per compiere scelte reali: «È stata una palestra per quello che facciamo».
Ma non bisognerebbe credere troppo alla narrativa dei due sprovveduti fortunati. In un’intervista a Eurosport Danny Cowley ha dichiarato: «Il calcio per me è matematica, i numeri e le statistiche dicono tutto: aiutano a capire gli errori e a crescere».
Pare che il fratello Nicky, da bambino si costruì una specie di panchina in camera. La loro storia è stata già paragonata a quella di Graham Taylor, che negli anni ’70 fece partire dal Lincoln la propria scalata fino alla Nazionale inglese (quella di Taylor, a Italia 90, è ancora ricordata come la Nazionale inglese più divertente di sempre).
Taylor è morto un mese fa e a Lincoln viene ancora ricordato come un vero profeta. Dopo l’allenamento di rifinitura faceva passeggiare i giocatori attorno al terreno di gioco per fargli visualizzare le giocate che avrebbero fatto in partita. Il proprietario del Lincoln parla di Danny Cowley come il suo erede naturale: «Da quando se ne è andato Taylor non ho mai conosciuto uno che lavorasse duro come Danny. Lavora 20 ore al giorno, nel suo giorno libero».
Lincoln è una città persa nelle Midlands, “in the middle of nowhere” dice Cowley con una locuzione molto usata. Tifosi e giocatori della squadra vengono definiti “The Imps”, che nella tradizione inglese sono dei folletti satanici figli di Belzebù. Una creatura presente anche in uno degli stemmi più perturbanti del calcio.
Una volta arrivato, Cowley ha provato a creare un’organizzazione molto più professionale nel club, anche se basandosi soprattutto sul volontariato: ha assoldato un po’ di ragazzi dall’università locale che lo hanno aiutato a ottimizzare i carichi di lavoro, creare una dieta e migliorare in generale la forma fisica dei giocatori.
Il Lincoln City, nonostante il contesto dilettantistico, dispone di un video analyst, Glenn Skingsley, che ha attribuito un grande merito al lavoro di analisi tramite Hudl (una piattaforma di video utilizzata nei club professionistici): «Devo dire che la video analisi che abbiamo fatto tramite Hudl ha giocato un ruolo importante nella nostra corsa in Coppa, così come nel nostro primato in campionato».
Tifosi del Lincoln City fuori dallo stadio.
Ora il Lincoln è primo in National League, il livello più alto di dilettantismo in Inghilterra, 3 punti sopra la seconda ma con due partite in meno. Ai quarti di FA Cup rischia di affrontare il Sutton United, che nell’ultimo turno ha eliminato il Leeds e dovrà vedersela però con l’Arsenal (stasera). Il Sutton lo scorso anno militava addirittura in sesta divisione e anche loro hanno una storia incredibile: gioca su un campo con l’erba sintetica (dove l’Arsenal ha già detto che non schiererà i suoi giocatori meno integri fisicamente), nel suo stadio ci sono meno di 1000 posti a sedere e il suo portiere è semplicemente gigantesco.
Dopo la partita, Cowley ha dato un significato più ampio all’impresa della sua squadra: «Forse abbiamo riportato un po’ di magia indietro. Questa è una coppa bellissima e chiunque dica che la FA Cup è morta non ha vissuto a Lincoln nelle scorse otto settimane. Questo club ha passato momenti molto duri e questa coppa ha riportato il Lincoln all’attenzione della gente. È una grande cosa per noi e ci godremo ogni singolo minuto a venire».
La storia del Lincoln è chiaramente una storia sulle potenzialità dell’essere umano. Sulla capacità del calcio, come gioco di squadra, di riuscire a equilibrare il livello competitivo tramite il cuore, l’applicazione, e le motivazioni. Una storia in un certo senso molto inglese che sembra indicarci dove potrebbe andare il calcio di Premier se le conseguenze della Brexit dovessero corrispondere al peggior scenario possibile . In fondo, se togliessimo tutti i centravanti non-inglesi alla Premier League quanti Matt Rhead potrebbero uscire fuori? Quanti gradi di separazione calcistici ci sono, davvero, tra Matt Rhead ed Andy Carroll?
Ma è vero anche che il Lincoln è riuscito a spiccare in questi contesti per un approccio professionale inusuale per il suo livello. Anche alla base delle favole più incredibili c’è bisogno di una grande organizzazione che permetta alla magia di brillare.