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La folgorante stagione d'esordio di Montella
03 feb 2017
Vent'anni dopo, ricordo della stagione in cui Montella segnò 22 gol al primo anno in Serie A.
(articolo)
12 min
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L'ultimo campionato di Franco Baresi, il primo di Crespo e Zidane. La legge Bosman, il Vicenza primo in classifica per una settimana. Le prodezze di Weah al Verona e Djorkaeff alla Roma, due dei gol più belli della storia di San Siro, nel giro di tre mesi. Il poker di Otero alla Fiorentina, Milan-Juventus 1-6, Inzaghi capocannoniere con l'Atalanta. La ragionevole follia del 3-4-3 dell'Udinese di Alberto Zaccheroni, Carlos Bianchi che vuole vendere Totti alla Sampdoria. La Serie A 1996-97, ammirata nel mondo e desiderata da migliaia di calciatori, vent'anni dopo è un Sussidiario Illustrato della Nostalgia. Alcune foto sono ingiallite (Tetradze?), altre sono divenute locandine immortali e non solamente per melanconici calcio-hipster (la rovesciata di Luiso che costò la panchina del Milan a Oscar Tabarez). Nel loro piccolo, è anche il torneo di due primati curiosi, squillo di partenza di un decennio di grandi attaccanti italiani che si concluderà in gloria all'Olympiastadion di Berlino: il record delle quattro doppiette consecutive e il record di gol in serie A (22) per un debuttante italiano. Entrambi vengono stabiliti da un ragazzo di 22 anni dai capelli sempre uguali e la tecnica assolutamente fuori dal comune.

Vincenzo Montella non ha la progressione da autorimorchio di Christian Vieri né l’ossessività di “Pippo” Inzaghi. Le origini napoletane (e i tratti somatici banalmente definiti "da scugnizzo") e i gravi infortuni che ha già patito gli danno un'aria più ironica e sensibile, ma non per questo debole, anzi venata da una furbizia poco classificabile. Le circostanze del suo passaggio dal Genoa alla Sampdoria chiariscono il concetto. Il ragazzo è in comproprietà tra Genoa ed Empoli; i due presidenti Aldo Spinelli e Fabrizio Corsi stipulano una scrittura privata in cui il Genoa s'impegna a versare 3 miliardi e 600 milioni di lire per acquistare anche l'altra metà. Ma quando si avvicina l'estate le parti iniziano a fare ostruzionismo: l'Empoli fa marcia indietro, mentre Montella - ben consigliato dal suo procuratore Sergio Berti - chiede a Spinelli un irricevibile aumento dell'ingaggio fino a 900 milioni all'anno. Dietro ci sono Parma e Sampdoria, società amiche per la pelle, tanto da aver appena negoziato il trasferimento di Enrico Chiesa. Il Parma presta all'Empoli 5 miliardi e 165 milioni buoni per aggiudicarselo alle buste per poi venderlo alla Samp, che - forte delle palanche incassate per Chiesa - non ha problemi a sborsare 8 miliardi e mezzo per fare di lui il nuovo miglior amico di Roberto Mancini.

"Non c'ero abituato"

Gabbato e coperto di ridicolo davanti ai tifosi inferociti, Spinelli tenta la carta disperata dell'ammuina con tanto di spettacoloso esposto in Procura, mentre qualcuno fa scoppiare davanti a un Genoa Point un paio di petardi che, nell'enfasi giornalistica, diventano "bombe carta". Seguendo il suo istinto fatto dell'ironia e furbizia di cui sopra, le prime parole blucerchiate di Montella accendono il gremitissimo Palasport di Genova: "Quanta gente, non c'ero abituato". Quell'estate 1996 in pochissimi identificano in lui la nuova grande speranza bianca. I titoloni sono tutti per Weah e Batistuta, per il cavallone Boksic appena acquistato dalla Juve o per Ivan Zamorano, il nuovo centravanti dell'Inter del quale si dice che salti da fermo come Javier Sotomayor. Un sorteggio di coppa Italia particolarmente spiritoso mette di fronte proprio Genoa e Samp: alla sua prima partita ufficiale con il “Doria”, Montella segna due gol sotto la Gradinata Nord, non sognandosi nemmeno di reprimere l'esultanza che lo ha reso famoso, inventata proprio col rossoblù addosso, in un altrimenti trascurabile Genoa-Cesena di serie B.

Il Genoa rimonterà, pareggerà 2-2 e passerà il turno al replay. Già, l'edizione della coppa Italia 1996-1997 è stata l'unica con un regolamento che prevedeva il replay stile FA Cup.

La quinta (e ultima) Sampdoria di Sven Goran Eriksson si è appena messa in casa un altro grande giocatore, destinato a segnare una piccola epoca: si chiama Juan Sebastian Veron, arriva dal Boca Juniors con lettera di presentazione di Maradona ed è un centrocampista di eleganza e potenza rare anche nel mega-football italiano anni Novanta. Attorno a loro giostrano Mancini, il kanako Karembeu, che sembra sempre sul punto di andarsene in Spagna ma ogni volta rimane lì, e un folto gruppetto di giovincelli, da Iacopino a Carparelli, innescati dai passaggi laser di Mihajlovic. Si attacca meglio di come si difende. L'esordio è traumatico: una sconfitta a Perugia per 1-0, in una partita altrimenti famosa per essere la prima da presidente di serie A di Luciano Gaucci. Montella tenta due tiri in porta, uno in rovesciata e uno rasoterra, entrambi deboli e centrali. «Non è Enrico Chiesa», lo bollano i giornali dell'indomani. Giudicate voi.

Grazie Carlos

I biografi di Francesco Totti hanno sottolineato più volte la centralità di Carlos Bianchi nell'eterno Bildungsroman (tuttora incompiuto) del “Pupone": se avesse accettato, se fosse andato, se avesse mollato... Il discorso può valere ironicamente anche per Montella, buttato in campo da Eriksson a mezz'ora dalla fine, con la Samp sotto 1-0 in casa della Roma. Se al 90' il risultato è 1-4 evidentemente non può essere solo merito del “Doria”, ma i due primi decolli dell’"Aeroplanino" in serie A meritano qualche riga. Su assist di Mancini, autentico mattatore del secondo tempo, con Montella che in entrambi i casi si limita pudicamente ad allungare la gambina e a mettere in rete, per la più classica delle relazioni sportive Father&Son.

It's not time to make a change, penseranno a questo punto i tifosi doriani. Invece Montella entra di colpo nel tunnel. La pubalgia si presenta spietata in un brutto pomeriggio a Bologna in cui non la becca mai, costringendolo a cinque panchine di fila senza mai giocare un minuto («Quella domenica toccai il fondo. Mi sembrava di non riuscire a venirne fuori e anche psicologicamente risentivo di quella situazione»). Il suo sostituto Carparelli, molto meno dotato di lui, beneficia delle pennellate di un Mancini più tormentato che mai. Moratti smania per portarlo all'Inter e per il secondo autunno di fila si è rifatto sotto per scipparlo alla Samp nel mercato di riparazione; questa volta Roberto sembra propenso ad accettare. Lo comunica al suo presidente Enrico Mantovani, pallido simulacro del grande papà Paolo, che tentenna, timoroso dei tumulti di piazza. Ma sembra tutto fatto, e Sampdoria-Piacenza del 3 novembre pare la veglia funebre al “Mancio" che saluta Marassi con due gol, un assist e otto colpi di tacco (contati) dispensati come bis finali di un repertorio sconfinato. È un Farewell Tour in unica data con vent'anni d'anticipo, ma a sorpresa Mantovani tiene duro e costringe Mancini a rispettare il contratto. Il “Mancio", mai semplice da contraddire, risponde con un gelido comunicato direttamente dalla sua torre d'avorio: «Il presidente Mantovani mi ha comunicato alle 12 telefonicamente la sua decisione. Pur prendendone atto, intendo sottolineare la mia insoddisfazione. Il desiderio di misurarmi con me stesso in un club glorioso e ambizioso come l'Inter era ed è un'opportunità professionale che avrei con gioia accettato. Non posso negare di essere rimasto profondamente deluso». L'addio sarà posticipato solo di qualche mese: migrerà alla Lazio insieme a Eriksson, e insieme vinceranno un bel po’.

Un torrido inverno

L’"Aeroplanino" torna a decollare di colpo a dicembre, quando ritrova il filo interrotto all'Olimpico con un gol a Verona buono per un 1-1. Dopo un'onorevole sconfitta contro la Juve in cui la struscia assai di rado, l'epifania di Vincenzino avviene proprio in casa dell'Inter, in mezzo a una delle partite più folli degli anni Novanta. Pur dotata in attacco di una certa brillantezza (grazie alla prima, clamorosa stagione di Djorkaeff), l'Inter di Hodgson è un colabrodo. Va avanti 3-1 con facilità irrisoria, ma altrettanto facilmente sprofonda nella mezz'ora finale finendo per perdere la partita. Montella segna due gol castigando di testa e di piede la lentezza di passo e di pensiero della coppia centrale Festa-Fresi.

A tre giorni da Natale è finalmente il tempo di sbloccarsi a Marassi. Arriva il Vicenza di Guidolin secondo in classifica, reduce da 9 risultati utili consecutivi. La Samp lo liquida in meno di mezz'ora. Montella butta in rete di destro un pallone vagante, con la sicurezza e la pulizia di un grande stoccatore, e dieci minuti dopo, con un movimento perfetto, suggerisce a Veron il corridoio per presentarsi davanti al portiere, battendolo stavolta di sinistro.

Il 1997 riparte com'era finito, anzi portandosi dietro qualche fuoco artificiale di Capodanno. L'Udinese di Zaccheroni non è ancora la rivelazione che diventerà ad aprile e nel solo primo tempo combina una serie di nefandezze difensive quante ce ne stanno in un girone intero. Ma Montella, in preda allo stesso incosciente entusiasmo che potevamo ritrovare nel girone d'andata del suo attuale Milan, regna sovrano: segna il suo gol più bello, un arcobaleno di sinistro da fuori area che lascia di sasso Turci, una traiettoria che tante altre volte rivedremo in futuro. Il primo tempo finisce 2-4 ed è ancora lui a firmare la cinquina, con un'altra giocata sopraffina che manda al bar il povero Luca Compagnon, di cui Montella si serve per preparare un rasoterra chirurgico.

La quarta doppietta che consente a Montella di eguagliare il record di Puricelli 1940-1941 arriva contro il Cagliari, alla fine di un lungo show in cui il maestro cerimoniere è l'impagabile Mancini, chioccia ispiratrice di una covata di ragazzini. I suoi due gol sono una volta di più piuttosto bruttini, il primo è addirittura grottesco nella dinamica ed è all'origine di un piccolo caso diplomatico col “Mancio". Entrambi a 10 gol, con un gol in più diventerebbero capocannonieri assieme a Balbo e Inzaghi. Mancini non lo è mai stato in carriera e un po' ci tiene, rivendica il gol come suo («Con la gamba non l'ho toccata, ma col parastinco sì»), ma Montella imprevedibilmente lo gela con parole che rivelano l'astuzia dello scudiero: «Con le potenzialità che ha, mi sembra strano che Mancini non sia mai stato capocannoniere. Ma se il gol è mio, è la quarta doppietta consecutiva».

Il giovane Montella rivela una personalità complessa che sfugge alle banalizzazioni da "ragazzo del Sud" che hanno marchiato tutto un filone di attaccanti in miniatura, da Schillaci fino ai futuri Miccoli e Di Natale. Vincenzo ha movenze da serpentello, nelle sue prime prodezze da serie A si fa apprezzare più per l'istinto alla Inzaghi che per la tecnica pura, mentre curiosamente a Bergamo “Superpippo" inanella gol a raffica ma quasi tutti di pregevolissima fattura. La Sampdoria vola, è a -2 dal primo posto, vette che non raggiungeva dall'anno dello scudetto. La coppia Mancini-Montella ha segnato 21 gol in 16 partite, i paragoni con Vialli sono di banalità quasi offensiva, e c'è chi chiede al neo-ct Cesare Maldini di trapiantarla in azzurro. Ma a lungo andare le amnesie difensive diventano un handicap, le sconfitte in casa sono pesanti batoste nel morale e a batosta segue batosta, come il 4-0 incassato a Bergamo che archivia definitivamente i sogni di Champions League.

E noi la chiameremo normalità

Montella rimane ai margini della crisi, nessuno si sogna di discutere un debuttante da 11 gol in mezzo campionato. Segna al Perugia il suo primo rigore (calciato in modo impeccabile), segna un'altra rete rocambolesca alla Roma che evidentemente gli porta fortuna – e gliene porterà. Il colpo di testa al Bologna su assist di Mancini dimostra ancora quanto sia mortifero negli ultimi sei metri. La doppietta alla Reggiana, nel match che segna la fine della crisi, significa che il giovane Montella è sopravvissuto anche alla primavera. Il suo gol più bello di questo scorcio di campionato è pero quello realizzato al Piacenza, forte di uno dei migliori portieri del campionato, Massimo Taibi. Su un banale pallone spiovente si coordina con un tocchetto di mezzo esterno destro, questo sì, davvero da calcio di strada. Una rete che conferma quanto Montella sia presente a sé stesso in ogni momento della partita.

I primi 42 gol in serie A di Montella, tutti con la Sampdoria. Il gol di Piacenza compare intorno al minuto 3:17.

A sempre meno giornate dalla fine la Sampdoria è stabilmente in zona Uefa, pur barcamenandosi tra qualche 0-0 di troppo che però mostra come Eriksson abbia trovato la quadratura del cerchio in difesa: tanto, in attacco si è giunti a una situazione di pilota automatico. Contro la Lazio, nella sfida di Svengo e Mancini al proprio futuro annunciato, segna il gol-partita con un rigore tirato maluccio. Nel festoso 4-0 all'Udinese che vale una fetta di Europa Montella si occupa di segnare i gol numero 3 e numero 4: il primo, in particolare, è un classico sinistro à la Montella, un'anticipazione di futuro, il trailer di quello che verrà. Ma il meglio deve ancora venire, e Mancini&Montella lo riservano per il giorno dell'Europa aritmetica, a Cagliari, contro quella squadra per cui all'andata quasi avevano litigato per un gol. Mancini addomestica un pallone complicato e in due tocchi l'ha già scaricato alle spalle, ovviamente di tacco, sentendo sulla pelle il movimento del suo gemellino. Montella è lì, ha il problema di sbarazzarsi del portiere Abate (Beniamino, padre di Ignazio, il suo attuale capitano). Lo risolve con semplicità e freddezza, facendogli sfilare la palla sulla sinistra per poi scaraventarla gioiosamente nella porta vuota.

Manca un ultimo gol, nella festa finale a Marassi contro la Fiorentina. C'è da salutare Eriksson e Mancini e il cielo, opportunamente, piange lacrime di gratitudine. Montella si guarda alle spalle e si scopre capace di 22 marcature al primo anno di serie A. È un record tuttora imbattuto e probabilmente imbattibile per un italiano, anche considerando quanto distanti sono altri grandi centravanti del nostro campionato: Inzaghi arrivò a quota 2, Belotti a 6, Luca Toni a 9. Come il giovane Semola nella Spada nella Roccia – a cui peraltro lo accomuna il taglio di capelli – è investito della responsabilità di proseguire l'epoca d'oro e di traghettare la Sampdoria a future glorie anche internazionali. Ma il calcio italiano degli anni Novanta non è una favoletta della Disney: le scelte dissennate di Enrico Mantovani (tipo Cesar Luis Menotti e David Platt allenatori nel giro di due anni) porteranno a una prima annata amarognola e a una seconda drammatica, culminata in un'incredibile retrocessione. Ci metterà cinque anni a risalire stabilmente, anche senza poter più neanche noleggiare l'abito di lusso delle grandi occasioni. Montella invece emigrerà nella città in cui Mancini si era già rifugiato due anni prima, e sarà un'ottima idea. Il sorriso ora malinconico, ora ironico, ora strafottente rimarrà un tratto indelebile del suo modo di essere: difficilmente si capirà a cosa stia pensando davvero.

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