La fase a eliminazione diretta di un Mondiale è il miglior momento per capire le qualità delle squadre favorite: se e come riescono a superare le difficoltà, le paure e lo stato d’animo dei giocatori più rappresentativi, quanto ancora bisogna migliorare. In questo Mondiale, agli ottavi di finale erano già cadute alcune favorite e i due giocatori più forti: Brasile-Messico poteva quindi essere un interessante test o l’ennesima ghigliottina di un torneo giacobino.
Al Brasile spettava infatti uno degli ostacoli tattici più grandi: il punto di forza della Nazionale messicana allenata da Osorio è sicuramente nella capacità di individuare e sfruttare i punti deboli avversari - come d’altronde ben ricorderanno i giocatori tedeschi. Da questa partita ci si aspettava di sapere qualcosa in più sul Brasile - è davvero il più forte? - e anche sull’evoluzione del calcio messicano: incapace di aumentare il livello competitivo nel momento che conta (sei eliminazioni consecutive agli ottavi di finale dei Mondiali, dal 1994)? E in effetti la partita ha fornito diverse risposte, ma forse a domande diverse, offrendo forse la migliore sfida tattica di questi ottavi.
Venti minuti di ricreazione
A volte bisogna rischiare così da tanto da provare a organizzare un sogno: sapendo che nella realtà probabilmente non sarà realizzato: ma a che serve fallire senza ambizione? Deve essere stata all’incirca questa l’idea del colombiano Osorio, Ct del Messico, che ancora una volta ha modellato il contesto tattico iniziale della partita, trovando l’ennesimo piano gara teoricamente perfetto. I messicani sono scesi in campo con un 4-3-3 che sostanzialmente diventava un 4-1-4-1, con El Gran Capitán Rafa Márquez davanti alla difesa, e una linea di giocatori ad occupare i corridoi verticali del campo: le ali Vela e Lozano schierate sulla fascia del loro piede naturale, per garantire ampiezza; le mezzali Guardado ed Herrera, ad occupare i mezzi spazi, con Chicharito Hernandez esponente di punta del confusionismo, dedito ad attaccare la profondità, pulire palloni, occupare l’area, ostacolare gli avversari (copriva le ricezioni di Casemiro) e qualunque altra attività possibile.
In fase posizionale, Osorio voleva approfittare delle difficoltà di Casemiro a coprire il campo in orizzontale, viste le scarse coperture delle mezzali Paulinho e Coutinho, e trovare quante più ricezioni possibili negli spazi di mezzo. Con le ali schierate così larghe e sul piede naturale voleva allargare la difesa brasiliana, soprattutto spezzandone la solidità centrale, e cercando possibilmente dei cross bassi all’indietro per gli inserimenti dei centrocampisti; inoltre, voleva sfruttare i compiti offensivi dei terzini brasiliani per attaccare lo spazio alle loro spalle - le ali a piede invertito sarebbero invece finite nell’imbuto centrale. Con tutti questi uomini tra le linee, il Messico poteva trovarsi anche più comodo senza palla, difendendo in avanti e sporcando il più possibile l’inizio azione brasiliano. L’unico grande rischio di questo piano era il potenziale spezzamento in due tronconi della squadra - con Márquez che serviva come collante tra i reparti, ma eventualmente anche come ancora di un blocco difensivo che si trovasse abbandonato.
Croce e delizia: fondamentali i 6 dribbling riusciti di Lozano, ma solo 1 a ridosso dell’area avversaria; la partita di Carlos Vela forse è peggiorata quando è tornato sulla fascia destra, a piede invertito: non è riuscito a servire filtranti in verticale, e si è spesso appoggiato all’indietro.
Il piano di Osorio ha funzionato bene per quasi mezzora, forse il tempo che ci vuole perché la squadra avversaria riesca a riposizionarsi: il Brasile non riusciva ad impostare e si ritrovava spesso costretto al lancio lungo, con Coutinho che abbassandosi spesso finiva proprio nell’imbuto preparato dal Ct del Messico. Nei primi 20 minuti, la Seleçao è riuscita ad effettuare solo un tiro verso lo specchio, da fuori area, contro i 3 messicani (di cui però ben 2 bloccati); la manovra ristagnava tra difesa e centrocampo, dove avvenivano circa l’85% dei passaggi. Al restante 15% di passaggi brasiliani nell’ultimo terzo di campo, il Messico rispondeva con una percentuale più che raddoppiata, il 32%. Tutti i giocatori difensivi messicani aiutavano nell’impostazione, con una particolare importanza per i due centrali nelle conduzioni palla al piede per scardinare la pressione avversaria.
Quando possibile, il Messico cambiava campo per attaccare il lato debole; con un ritmo frenetico cercava spesso la verticalizzazione, soprattutto sulle fasce, per attivare i due elementi più talentuosi: e l’obiettivo era sempre lo stesso, sfruttare lo spazio dietro ai terzini brasiliani Fagner e Filipe Luis, e non farsi risucchiare nella fortissima barriera centrale verdeoro. Per 20 minuti il Messico è sembrato inclinare la partita dalla sua parte, per quanto possibile: sembrava insomma che avesse preparato bene le sue poche possibilità di sognare, e anche difendere in avanti sembrava la scelta giusta. Nelle inevitabili fasi di difesa posizionale, infatti, El Tri soffriva moltissimo, soprattutto non riusciva a reggere gli uno contro uno contro calciatori più tecnici e più veloci.
La grande falla di questo piano, alla fine, non è stata tattica, ma tecnica, e non legata all’allenatore, il Recreacionista Osorio, ma più a quelle scelte che definiamo di tattica individuale: i giocatori, a volte anche presi dai ritmi forsennati, hanno sbagliato quasi sistematicamente le scelta di definizione e assistenza. In particolare, Vela e Lozano ci hanno dimostrato quanto sono bravi con il pallone, ma quanto giocare a pallone sia anche una questione di decisioni corrette: i loro ricami barocchi erano bellissimi, e anche utili a creare associazioni con le mezzali, ma inefficaci sul piano offensivo.
Tutta l’inconcludenza dell’attacco messicano: funzionava bene fino alla trequarti, ma i tre davanti poi non riuscivano mai ad arrivare al tiro.
Alla mezzora, Osorio ha quindi sistemato le sue due ali a piede invertito, per aumentarne la pericolosità, permettendogli così di rientrare sul loro piede per calciare in porta. Ciò nonostante, la pericolosità del Messico - e la sua presenza in area brasiliana - è stata pressoché nulla: un solo tiro nello specchio in tutta la partita, effettuato al 60° minuto, da fuori area. Dieci minuti prima Jesus Gallardo aveva guidato una transizione pericolosa in zona centrale, poteva allargare per Lozano a sinistra, totalmente libero all'ingresso dell'area, oppure poteva provare a servire una traccia più complessa, davanti a sé, che avrebbe mandato Hernandez solo davanti ad Alisson, invece Gallardo ha provato il tiro da fuori area. Sul ribaltamento di campo il Brasile ha confezionato il gol dell'uno a zero, con una ripartenza di qualità assoluta guidata da Neymar e Willian. Il momento chiave della partita, insomma, racchiude bene il suo svolgimento: la frenesia e l'imprecisione del Messico, la calma e la qualità del Brasile.
Nel secondo tempo il Messico si è letteralmente afflosciato, nonostante i cambi di Osorio: forse per reggere un piano gara così intenso avrebbe dovuto passare in vantaggio, ma non ce l’ha fatta. Sarebbe ingiusto però dare delle colpe specifiche ai giocatori messicani, che hanno fatto il possibile: anche il piano migliore ha bisogno di un’esecuzione perfetta, quando l’avversario è così incredibilmente solido. Un avversario del genere si batte solo superando i propri limiti: non era una possibilità per questo Messico, che ha quindi raggiunto l’incredibile record della settima eliminazione consecutiva agli ottavi di finale di un Mondiale. Ma il vero ed unico errore sta nella sconfitta contro la Svezia nel girone, che ha determinato il secondo posto.
Testuggine brasiliana
La squadra di Tite ha risposto alle notevoli difficoltà iniziali con il passare dei minuti, come se un’intelligenza collettiva stesse elaborando le informazioni per poi trovare le risposte giuste. Il Ct brasiliano ha molto aiutato la sua squadra, provando a tirare fuori i centrali messicani con una sorta di area magmatica offensiva: Coutinho-Neymar-Gabriel Jesus molto vicini, ad alternarsi nei movimenti verso l’esterno e verso l’interno, con più campo per le ricezioni di Coutinho sul mezzo spazio di sinistra, e soprattutto maggiore possibilità di associarsi in verticale.
La svolta del Brasile è stata quella di accorgersi dell’attrazione che il pallone esercitava sui messicani, e del loro orientamento sull’uomo: sempre molto attenti ad accorciare in zona palla, appunto, non riuscivano però ad assorbire gli inserimenti dei vari giocatori offensivi brasiliani. Il Brasile è paradossalmente riuscito ad attaccare meglio fermando il pallone e facendo correre i giocatori senza: e così negli uno-due Coutinho aspettava sempre una frazione di secondo in più, come in una pausa, per attirare più avversari e permettere l’inserimento senza palla di un compagno. Anche il primo gol, il vero momento di rottura di una partita tutto sommato equilibrata, è esemplare di questo meccanismo di risposta brasiliana: con un movimento ad entrare nel campo, Neymar riusciva ad arrivare al limite dell’area, in zona centrale, attirando ben 4 avversari, per poi servire di tacco l’inserimento del giocatore senza palla, uno straordinario Willian, che per tutta la partita ha letteralmente travolto ogni avversario, risultando il giocatore più decisivo nel far saltare il piano di Osorio.
Il giocatore più difficile da contenere per il Messico: ricerca costante della superiorità numerica con il dribbling, vero punto di attacco sulla destra, valvola di sfogo dei sovraccarichi sulla sinistra.
Il vero grande supporto di Tite ai suoi giocatori, però, sta nell’organizzazione tattica esemplare che gli ha fornito: il Brasile sembra non sentire dolore, non va in difficoltà neppure quando gli avversari provano a sfruttarne al massimo le debolezze. Si tratta di una squadra in grado di alternare tutti i registri di gioco, con grande pazienza nell’attacco posizionale ma massima pericolosità nell’isolare un giocatore offensivo nell’1 vs 1; ma altrettanto grande - o forse addirittura maggiore - pericolosità in transizione (come nel gol del 2-0 di Firmino), e quando è in vantaggio addormenta la partita riducendo la velocità del gioco per poi colpire con transizioni velocissime.
Il Brasile non lascia proprio entrare in area: a sinistra, è impressionante il numero di palle recuperate in zona centrale appena fuori l’area. In generale, si nota il maggior interventismo di Thiago Silva sul centrodestra, mentre Miranda impone l’ordine nella sua zona semplicemente con il posizionamento.
La solidità del Brasile nelle transizioni difensive e nelle fasi di difesa posizionale sono al livello massimo di questo Mondiale: in 25 partite sotto la guida di Tite, i brasiliani non hanno subito gol in ben 19 occasioni. In questo torneo, il Brasile ha concesso meno occasioni e tiri di qualunque altra squadra, lasciando solo 15 tentativi da dentro l’area in 4 partite. L’associazione tra Neymar e Coutinho è splendida, e quando il numero 10 riesce ad accendersi (ieri è sembrato molto più in palla rispetto alle partite del girone - una brutta notizia per i futuri avversari) la qualità offensiva dei brasiliani raggiunge livelli stellari: ma la vera forza del Brasile in questo Mondiale così particolare è la sua solidità difensiva, la sua capacità di annullare le risorse offensive avversarie.
Il Brasile non concede nulla.
In tutto ciò, grande merito ha il triangolo centrale Casemiro-Miranda-Thiago Silva, che sembra non lasciare spazi e mai disunirsi, in una sorta di copia del sistema del Real Madrid (e infatti anche le sbavature posizionali dei terzini vengono riassorbite): bravi sia in anticipo che in recupero, sia in difesa posizionale che in transizione, sia in ripiegamento che in aggressione. Gli avversari provano a circumnavigarli, ma così facendo possono solo arrivare al cross, che sarà poi un regalo per le teste dei due centrali difensivi; se invece provano a tirare, e non solo da fuori, il triangolo centrale ferma tutto (ben 8 tiri bloccati). Se è vero che questo Mondiale somiglia molto a quello del 2002, il Brasile sembra essere davvero a quei livelli, forse con ancora maggiore compattezza: dopo le varie sorprese degli ottavi è senza dubbio la Nazionale favorita, e quindi quella che da oggi in poi rischia di più, perché l’unica che non può fallire.