Perché la Juventus dovrebbe confermare Pirlo
di Niccolò Carradori
“Ora siamo in un territorio inesplorato.”
Fabio Paratici, primo ministro juventino, all’alba della nomina di Andrea Pirlo
come nuovo allenatore della prima squadra.
La Pax Bianconera che da dieci anni caratterizza il nostro calcio sta vivendo la prima, vera, crisi profonda della presidenza di Andrea Agnelli. Non solo perché la Juventus è andata incontro alla terza eliminazione europea di fila contro squadre dal fatturato e dalle rose nettamente inferiori, o perché per la prima volta che in campionato sembrava esserci una squadra più solida si è perso in casa col Benevento, ma per tutta una serie di altri motivi che non hanno direttamente a che fare con i risultati.
Innanzitutto perché il ciclo dell’ossatura storica della squadra è palesemente arrivato alla fine, e poi perché la società due estati fa si è fermata a un bivio esistenziale: o provava a rinnovare il proprio DNA, proseguendo sulla strada di allenatori dal gioco offensivo (almeno sulla carta) o sceglieva di tornare indietro, verso l’autarchia del gabbione. Lo scontro interno, relativo al giudizio che ognuno ha sui vari allenatori, si somma da due anni anche a quello fra i tifosi yankee del “calcio all’europea” che sembra aver deciso di perseguire la società (finora con effetti sul gioco praticamente impalpabili), e i dixie che gongolano ogni volta che sentono Fabio Capello incensare la vecchia Juventus cinica, sparagnina e affidabile. Per questi ultimi si torna alla questione di identità, del riflesso pavloviano che ha sempre permesso alla Juventus di raggiungere i successi a cui è arrivata. Una società che progetta il proprio futuro e il piano tecnico in base all’ottimizzazione delle risorse (integrandole secondo la convenienza del momento, specie in fase di mercato), alla concretezza, e a un’atavica fame di vittorie che deve essere soddisfatta costi quel che costi.
Sacrificare i due grandi mantra juventini—”vincere è l’unica cosa che conta” e “la Juve è condannata alla vittoria ogni anno”—in favore di una nuova visione rischiosa e lenta a portare risultati (che magari non ci saranno mai), non convince questo genere di juventini. Ci abbiamo già provato con Maifredi 30 anni fa ed è stata una Caporetto. Alcuni cominciano a chiedere la testa di Paratici, di Nedved, di chiunque abbia voluto fare il passo più lungo della gamba.
Mio padre, juventino ortodosso, si aggira con l’Armata della Virginia Settentrionale: continua a bombardarmi su Whatsapp con degli haiku di Massimiliano Allegri, cercando di farmi desistere dal mio sogno progressista. Desidera ardentemente il ritorno dell’Humphrey Bogart di Livorno nell’ottica di uno scontro epocale contro Conte—l’Apollo traditore e il Dioniso di questo decennio juventino messi faccia a faccia—per urlare ai nostri nemici che possono toglierci lo scudetto, ma non ci toglieranno mai l’appalto della Continassa. Per come la vedo io, invece, dopo questi tre anni tormentati la via per uscire dal caos è una soltanto: confermare Andrea Pirlo. Per una questione progettuale, per una svolta filosofica, perché le alternative sono impraticabili, e per una purga morale dagli effetti benefici su tutta la juventinità.
Nella tarda primavera del 2019 la società aveva tampinato Maurizio Sarri a Londra, poco dopo lo aveva presentato con convinzione prussiana e sembrava intenzionata a portare avanti un progetto diverso rispetto alle stagioni precedenti. Già poco oltre il girone d’andata però qualcosa era cambiato: l’aura che circondava l’allenatore aveva assunto la freddezza che si riserva agli ospiti sgraditi, un ingombro di cui è difficile liberarsi. Secondo qualcuno a scaricare Sarri sarebbero stati i senatori della squadra—tesi alimentata dai riferimenti al “giocatore più falso che io abbia mai incontrato” e dalle ripetute volte in cui Cristiano Ronaldo lo ha screditato in campo con i suoi accessi di stizza e snobismo — secondo altri era “l’alchimia” generale con l’humus juventino a non essere sbocciata.
È praticamente impossibile capire cosa sia successo in quei mesi, perché la Juventus mantiene lo stesso riserbo comunicativo di un eremo, ma per quanto mi riguarda la società ha gestito male il suo primo tentativo di svolta. Lo ha fatto in molti aspetti: subito dopo la scelta di assumerlo ha progressivamente diminuito il livello di convinzione nelle idee di Sarri, lo ha supportato poco con le scelte di mercato, non si è imposta per aiutarlo nell’aggiustare le caratteristiche tattiche della squadra che voleva maneggiare, e non appena ha annusato l’esistenza di una frattura tra lui e l’ambiente (interno o esterno che fosse) lo ha scaricato, concedendogli appena una stagione per tentare di costruire qualcosa. È stato come acquistare un’auto elettrica e pomparci dentro la benzina.
Alla base ci possono anche essere state giustificazioni economiche comprensibili, perché ritoccare pesantemente una rosa costruita in gran parte prima dell’arrivo di Sarri, affidandosi maggiormente a lui, era molto rischioso per la Juventus. Nel calcio contemporaneo i giocatori sono capitali mobili, le plusvalenze una necessità, ed è tempo di ammettere che con l’acquisto di Ronaldo la società si è infilata in un imbuto. Averlo in rosa è come essere innamorati del Dottor Manhattan: il suo stipendio emana radiazioni, non capisce le tue insulse priorità, vede il mondo dalla sua grandezza distaccata, e vuole materializzarsi su Marte o sulla fascia quando gli pare. Rischiare di vederlo andare via, però, potrebbe essere altrettanto doloroso: ha pur sempre segnato 95 gol in 123 partite.
Adesso però la Juventus si trova di fronte a una scelta: o decide di accollarsi davvero il rischio di una transizione profonda (con tutti i possibili sbagli, gli investimenti che necessitano di tempo, e le frustrazioni del caso) o dice a sé stessa che cambiare non è possibile. Secondo me deve farlo, se vuole acquistare una dimensione di più ampio respiro. Ovvero l’idea di una squadra costruita attorno ai principi tattici di un allenatore e non sulla base delle occasioni di mercato (giocatori a parametro zero, giovani comprati da società amiche, senatori rinnovati eternamente). L’alternativa è richiamare subito Allegri e fargli firmare un contratto a vita come Ferguson, perché per il tradizionale genoma juventino— quello dei mantra—non credo esista nessuno migliore di lui.
Confermare Pirlo, invece, per la Juventus significherebbe innanzitutto acquistare credibilità nel voler proseguire un percorso: cercare di portare a termine un’ipotesi che dipende interamente dalle proprie scelte. Pirlo è un tecnico senza esperienza, che la dirigenza si è letteralmente inventato (sicuramente in larga parte anche per convenienza economica, ma comunque seguendo una certa scia), e per cui ha speso parole poco fraintendibili: “predestinato”, “le sue idee ci hanno convinto”, “scelta naturale”.
Non è Sarri, non esistono scusanti di incompatibilità con l’ambiente che non potevi prevedere, visto che Pirlo è stato scelto anche perché “sa cos’è la Juventus”. Ecco come la vedo io: in questa fase della storia bianconera rischiare di perdere tre anni dietro ad un tecnico che potrebbe non avere i numeri è esattamente il banzai esistenziale di cui abbiamo bisogno. Una dimostrazione di coraggio, uno shock per il quale bisogna farsi violenza.
La Juventus non deve farlo solo per coerenza o per imitare gli esempi virtuosi che il calcio europeo presenta, ma anche per cambiare finalmente la propria impostazione filosofica. A mio (modesto e sofferto) modo di vedere l’unica mossa tellurica che può scombinare la sua eterna posizione ancillare in Champions.
Oggi la Juve si trova di fronte al paradosso della propria autonarrazione, perché in questi anni ha vinto come non mai nella sua storia. Almeno secondo i paradigmi classici della società e i limiti temporali, visto che 9 scudetti di fila più che un’impresa sportiva sono una performance di arte brutalista. Eppure più vinceva, più le vittorie diventavano meno importanti. Non solo per la mancanza del trionfo europeo, ma anche perché (questo soprattutto gli ultimi due scudetti) piatte, grigie, senza gioia. Per certi versi, “Vincere è l’unica cosa che conta” si è dimostrato empiricamente falso.
Bisognerebbe cominciare a smettere di soffrire per la possibilità del fallimento: cominciare a pensare di poter perdere per vincere di più in futuro. Mettiamola così: e se per imparare a vincere di più, fosse prima necessario imparare a perdere un po'? Nella storia juventina non è mai esistito un momento migliore di questo per rischiare, visto che rimanere al palo dopo 18 trofei in nove anni mi sembra tutto sommato accettabile.
Per fare un passo in questa direzione, però, la Juve non può permettersi Guardiola, Klopp o Zidane. Non può pagare il loro stipendio, né costruirgli una rosa adatta. Allo stesso modo avrebbe poco senso buttare via l’anno appena passato per prendere Gasperini, De Zerbi, ten Hag, o altri allenatori simili con più esperienza. Perché Pirlo ha appena cominciato ad ottenere la fiducia dei nuovi giovani durante una stagione in cui non ha potuto svolgere neanche la preparazione, non sembra che lo spogliatoio gli stia facendo resistenza, e ripartendo da capo per il terzo anno di fila potresti rischiare nuovamente l’effetto Sarri.
Pirlo ha anche il fascino della cabala. È stato il primo zampillo di speranza del post-Calciopoli, la pietra angolare (insieme a Conte e al nuovo stadio) attorno a cui è stato costruita la Juventus vincente. Ma non è tutto, perché Pirlo ha un altro passato, è stato anche la pietra angolare del grande Milan di Ancelotti. Nei miei sogni, nei miei desideri più umidi, è come Neo di Matrix: il bambino pellegrino che può portarci in dono il segreto nascosto nelle viscere di Milanello.
Infine, la Juventus deve tenere Pirlo per sottomettere i propri tifosi a una purga morale. C’è bisogno di un bagno di realtà, di un po’ di fiele e disciplina sportiva. Non è possibile veder vincere così tanto, assistere a due finali di Champions ottenute contro ogni logica economica, e lamentarsi al primo periodo di reflusso.
Secondo me le uniche cose positive venute fuori dell’eliminazione col Porto, o dalla sconfitta col Benevento, sono state le dichiarazioni di Pirlo e di Paratici (e le mancate dichiarazioni di Agnelli a fornire interpretazioni alternative): il progetto è appena iniziato, abbiamo le idee chiare su come dovrebbe proseguire (non facendoci influenzare dall’esterno nella valutazione) e non verrà interrotto a fine stagione. I tifosi facciano un atto di fede e si preparino a soffrire: sarà lunga.
La Juventus in questo momento è come la Banda della Magliana dopo il sequestro Rosellini: stecca para pe’ tutti, investiamo sul lungo periodo, e pijamose la Champions.
La Juventus non può permettersi di aspettare Pirlo
di Marco D'Ottavi
Per quanto mi piacerebbe assistere a un “banzai esistenziale” all’interno della Juventus, devo a malincuore ammettere che la gestione di una società non è una relazione sentimentale, ma qualcosa di più simile a due genitori che crescono un figlio cercando di fare meno danni possibili (o, se vogliamo smarcarci dalle metafore sdolcinate, un consiglio di amministrazione che gestisce un’azienda). La Juventus non ha tre anni di tempo da perdere dietro a Pirlo come ipotizzi, nella misura in cui nel calcio moderno nessuno può stare dietro a un progetto sbilenco così a lungo.
Questa impossibilità di dare il beneficio del dubbio a Pirlo, però, non è una colpa del DNA della Juventus, ovvero della vittoria a ogni costo, ma è insita nella scelta fatta quest’estate. Se in un impeto di ricerca del belgiochismo avessero defenestrato Sarri per firmare Pochettino, Tuchel, Nagelsmann o magari anche De Zerbi e questi si fossero trovati di fronte a difficoltà simili a quelle che sta affrontando Pirlo, avrei volentieri accollato la colpa al contorno: la rosa, la dirigenza, l’aria che tira nei corridoi di Vinovo, e ammesso che serve del tempo per sradicare l’erba cattiva. Ma con Pirlo, non avendo prove contrarie, l’unica domanda che posso farmi è: “è un buon allenatore?” e già solo la presenza di questa domanda è un problema.
Prendiamo l’ultima partita col Benevento (lo so, è una cattiveria, ma questo è). Per la prima volta da molto tempo Pirlo ha avuto una settimana di tempo per prepararla, giustamente si era sempre lamentato che non aveva mai i giorni necessari per allenare la squadra per una singola partita, e quale è stato il risultato? La Juventus è ricaduta negli stessi problemi delle altre volte, senza dare la sensazione di avere un’idea di come vorrebbe attaccare o difendere. In tutta la stagione Cuadrado è sembrato l’unico sbocco della nostra manovra, un calciatore di 32 anni finito a fare il terzino perché troppo caotico nelle scelte offensive. In generale faccio fatica a ricordare molte partite in stagione in cui la Juventus ha dominato il gioco, dato l’idea di essere la squadra tra le due con le idee più chiare. Il suicidio contro il Porto, anche considerando la sfortuna, è figlio di questa vaghezza tattica.
Nel calcio italiano siamo vittime di una narrazione secondo cui esistono idee giuste e idee sbagliate, ma la verità è che esistono idee e non idee. Il risultatismo di Allegri non era figlio della storia della Juventus, ma era il modo in cui l’allenatore aveva sublimato il materiale a disposizione dopo averci lavorato su. Della sua gestione ricordiamo soprattutto gli ultimi due anni, quelli in cui aveva una rosa mastodontica che vinceva 1-0, ma tendiamo a dimenticare l’anno della rimonta in campionato (e della drammatica eliminazione con il Bayern) giocando un calcio davvero piacevole con Pogba, Dybala e Morata al loro meglio. Quello non era Allegri?
Lì, con la cessione del francese, è iniziato il momento in cui la dirigenza ha pensato di poter scavalcare il campo con le sue decisioni e, personalmente, la colpa maggiore di Allegri è stata quella di averlo accettato senza battere ciglio; forse per il suo fatalismo (leggi aziendalismo) o forse perché comunque ad arrivare erano solo giocatori già pronti per continuare a vincere e gli andava bene così (e possiamo dire oggi che non aver iniziato a rinnovare quando era tutto rose e fiori è stato il primo problema).
Insomma, se hai un allenatore con un’idea chiara allora o vinci o perdi nella singola stagione, ma hai una direzione precisa che finisce per aiutare il lavoro di dirigenza, giocatori e staff su lungo periodo. Ma Pirlo non sembra averla. Magari a fine stagione la Juventus avrà più xG degli ultimi anni, magari anche più gol, ma nelle partite in cui era richiesto uno sforzo, di attaccare una difesa schierata, di risolvere una situazione tattica svantaggiosa, la soluzione di Pirlo è sempre sembrata quella un po’ casuale di portare la palla avanti e vedere che succede, senza prendere una decisione univoca su chi e cosa fondare l’identità di questa squadra.
Questa incertezza aleggerebbe anche sui piani futuri. Confermi Pirlo e poi? Chi sono i giocatori per il suo calcio? Un trequartista? Ma la sua Juventus non sembra voler passare per il centro. Un esterno? Ancora? È lui l’allenatore che pensiona Chiellini, Bonucci e tutti gli altri over 30? Ma poi da chi vengono sostituiti? Mi sembra che Pirlo più di tutti stia avendo difficoltà a inserire nel suo gioco quella che dovrebbe essere l’ossatura futura della squadra. Eccetto de Ligt, che è un fuoriclasse, Bentancur sta giocando male e non può passare le partite a ricevere spalle alla porta davanti l’area; che Arthur sia un playmaker lo ha deciso Pirlo (era arrivato per fare la mezzala di possesso); Dybala è un mistero; Kulusevski chissà. Anche Chiesa, la nota più lieta della stagione, sta tenendo un livello alto grazie alle sue caratteristiche, non perché inserito in un contesto che le esalti.
Se è un dato di fatto che la Juventus deve passare da un ciclo all’altro, non è detto che questa transizione la debba guidare un allenatore solo teoricamente rivoluzionario. Anzi il senso comune mi dice che più perdi controllo sulla possibilità di modificare la rosa, più dovresti aggiungere esperienza alla gestione della stessa. Il Chelsea, per esempio, è passato da Lampard a Tuchel e magari quest’anno non vincerà nulla, ma è già evidente come abbia preso una direzione precisa, che valorizzerà anche il ringiovanimento della rosa in corso.
Questo non vuol dire tornare indietro, prendere un allenatore capace di difendere l’area con 10 uomini e poi fidarsi che di là basti la superiorità dei singoli. Io sono favorevole a sradicare l’allegrismo di questa squadra, che è diventato un problema quando se ne è andato Allegri ma i suoi concetti sono rimasti come fantasmi nello spogliatoio, ma farlo con Pirlo è una scommessa che per ora non sta pagando. Paratici ha parlato spesso di riduzione dei costi, di sostenibilità e, come dici tu, risparmiare è alla base della scelta di un allenatore che non ha mai allenato prima. Ma Paratici non ha mai sentito la frase “chi più spende, meno spende”? Siamo arrivati al paradosso di dare 7 milioni l’anno a Rabiot (che non era Pirlo lo si sapeva) ma a non volerne dare altrettanti a un buon allenatore con un curriculum. L’idea che i giocatori siano più importanti dello staff è semplicemente sbagliata. Lo Scudetto quest’anno verrà vinto (probabilmente) dalla squadra che più ha speso per l’allenatore (l’Inter, che con Conte ha il tecnico più pagato della Serie A) e non per la rosa (noi, almeno per monte ingaggi, di quasi 90 milioni superiore a quello dei nerazzurri).
Già l’anno scorso c’era quest’atmosfera da fine impero, ma almeno sembrava riguardare più il fuori che il dentro al campo. Se ricordi, la scelta di Sarri era arrivata dopo un silenzio interminabile, durante il quale secondo i sognatori si era inseguito Guardiola. Poi si era finito per riportare in Italia l’allenatore che era stato il migliore in Serie A dopo Allegri, una scelta anche questa più conservativa che rivoluzionaria. Quello è stato il jolly, ovvero l’errore che ti potevi permettere per la tua posizione di vantaggio rispetto agli altri (che poi, che fosse un errore è tutto da dimostrare, ma la società ha deciso fosse così). Confermare Pirlo sarebbe il terzo errore di seguito, di una società che in questo momento sembra poter fare solo errori.
Perché, se c’è un punto su cui si può concordare, è che le colpe sono anche, e soprattutto, di chi ha costruito questa rosa, chi negli ultimi anni è rimasto pericolosamente in bilico tra il buttarsi nel vuoto e il lasciare tutto immobile nella speranza che potesse durare per sempre. Si è finito per fare una accozzaglia di scelte solo apparentemente spregiudicate. Ora ti trovi a fine marzo senza essere certo della Champions (da quanto non accadeva?), la cui assenza sarebbe un macigno per i conti (perché l’aspetto economico bisogna ricordarselo bene quando di stipendi paghi quanto il MES). E se tutto dovesse rimanere così, avresti lo stesso problema l’anno prossimo. E non puoi sempre sperare che magari quelle dietro di te implodano da sole.
Tu dici: dobbiamo perdere per toglierci di dosso questa brutta filosofia della vittoria a tutti i costi. Sono anche d’accordo, ma il fatto che stai accostando Pirlo alla sconfitta non è un brutto segnale? Io spero che a cambiare sia la filosofia della Juventus secondo cui la vittoria si ottiene rinnovando Khedira e non investendo sulle giovanili (dove anche lì, non mi pronuncio perché non conosco bene la situazione, ma non viene fuori un buon giocatore da una vita). Per cambiare questa mentalità serve un allenatore con la forza di influenzare anche le dolorose scelte societarie che dovranno arrivare nel prossimo futuro. Non faccio nomi perché di certo non è un compito facile, scegliere l’allenatore della Juventus, e non voglio mettermi a fare fantapolitica. Chi decide in casa Juve (anche qui, è il Presidente? Il DS? Il consiglio di amministrazione?) saprebbe farlo sicuramente meglio di me.
In conclusione. La scelta di Pirlo è stata in realtà una non-scelta, perché dopo essere tornati indietro su Sarri, la dirigenza ha preferito mettere in stand-by il futuro della Juventus scegliendo un allenatore con un profilo così importante da distoglierci dalle crepe nelle fondamenta. Anche adesso siamo qui a discutere di Pirlo e non di tutto il resto, ovvero del capitale sportivo e economico che hai sprecato con scelte che si sono rivelate infelici. Obiettivamente nel calcio non esiste un algoritmo che possa facilitare il lavoro di chi decide, e altrettanto obiettivamente gli errori recenti sono stati commessi dalle stesse persone che invece a un certo punto sembravano in grado solo di fare scelte giuste, quelle che hanno portato alla vittoria di nove scudetti.
Io non voglio fare il tifoso ingrato, e scaricare la colpa su Pirlo è anche un modo per difendere gli altri. Ma forse, più che un allenatore che conosce la società, i giocatori e tutto l’universo Juventus, ora ci serve una persona che non sappia nulla di tutto questo, anzi forse ancora meglio che tutto questo lo odi. Qualcuno che arriva e apre le finestre, faccia prendere aria alla stanza, sia sì lo shock di cui tu parli, ma non emotivo, culturale. Se questa rivoluzione tellurica possa farla un allenatore, è una speranza che coltivo perché ancora credo siano le figure più importanti all’interno di una squadra. Ho dubbi che alla Juventus vogliano sia così, ma sperare non costa nulla, in attesa di tornare a disperarci per le finali perse e non per gli ottavi.