Durante quella che al momento è l’unica stagione in Serie A nella storia del Carpi, quella 2015/16 in cui l’impresa del Leicester di Ranieri stava rendendo tutti più sensibili alle “favole di provincia”, la storia di Kevin Lasagna aveva colpito l'immaginario di molti. Nel mio caso l’interesse per Lasagna era dovuto soprattutto a quello che i mass media definiscono criterio di prossimità: un fatto diventa notizia per un bacino di pubblico se gli è accaduto geograficamente vicino. E nel fazzoletto di provincia mantovana di cui siamo entrambi originari, e in cui lui ha giocato fino a cinque stagioni fa, la sua prima stagione in Serie A era “La Notizia”.
Ho giocato negli stessi campi su cui ha giocato Lasagna, il suo negozio culto per le scarpe da calcio era anche il mio, i rispettivi paesi in cui siamo cresciuti sono due fotocopie di 250 abitanti aggrappati all'argine del Po, a dieci chilometri l'una dall'altra. Il contesto della storia di Kevin Lasagna non l'ho dovuto cercare, o immaginare: ce l’ho sempre avuto attorno. Ma solo ora che è tornato in Serie A mi sembra che la straordinarietà di quella trama da eroe provinciale sia davvero compiuta. Perché arrivarci può essere frutto di una serie di casualità; ritornarci è invece la conferma che il caso non c'entra nulla. Che a volte si può scoprire di meritare quel che non si osava nemmeno sognare.
Ho incontrato una sola volta Lasagna. Ci ha presentati suo padre Leonardo fuori dal Cabassi, a giugno, al termine dello 0-0 casalingo del Carpi nella semifinale playoff contro il Frosinone. Suo padre aveva accettato che lo intervistassi, mi aveva aperto le porte di casa e mi aveva raccontato la storia di quel salto vertiginoso dalla Promozione alla sua prima Serie A, breve come tre stagioni. La storia di suo figlio, ovvero la storia di uno che non ce l'ha fatta al primo tentativo. E nemmeno al secondo e nemmeno al terzo e nemmeno al quarto.
La prima volta in cui tutto stava stava per finire
Entrare in un settore giovanile professionistico non è nulla di troppo diverso dall'ammissione ad un'ambita facoltà a numero chiuso. Ma se è difficile entrarci, è enormemente più complicato uscirne professionisti. Quanti potenziali prospetti non vedono la luce per ogni ragazzo che invece intraprende una carriera ad alto livello?
Anche Lasagna ad un certo punto stava per finire come uno di loro. La prima volta in cui la favola di Kevin stava per spezzarsi è stato dieci anni fa, una domenica mattina di dicembre. Aveva quindici anni ed era seduto di fianco a suo padre e sua madre, dentro un ufficio piuttosto spoglio nella sede del Suzzara Calcio.
In allenamento con l'Udinese nel ritiro estivo di Sankt Veit, un ritorno al bianconero dopo i tempi del Suzzara.
Li aveva invitati il direttore sportivo dei bianconeri, allora in Serie D, dopo aver ricevuto la telefonata di un dirigente del «Abbiamo un ragazzo degli Allievi nazionali. Un '92. È rimasto un po' gracile rispetto agli altri e ultimamente gioca poco. Adesso lui e la famiglia hanno deciso di non venire più da noi. Stanno cercando una squadra lì in zona. Vi farebbe comodo?». Il padre di Kevin ricorda la sensazione che dentro quell'hanno deciso ci fosse tutto lo stupore dei responsabili del settore giovanile del Chievo. «Non se l'aspettavano, secondo me. Sembrava che pensassero C'è la fila per venire qui da noi e voi decidete di andarvene? Ma non era spocchia la nostra, solo voglia di vedere nostro figlio di nuovo sereno».
Lasagna era arrivato quattro anni prima e per lui indossare la maglia del Chievo era l'unica cosa che contava. Fin da piccolo aveva concepito il calcio come una passione da coltivare con metodo. Ad esempio prendendosi cura dei suoi scarpini, sempre perfettamente puliti, allineati un paio di fianco all'altro, dentro una stanza che per il resto sembrava la scena di un'esplosione, con vestiti e libri ovunque. Senza saltare mai un allenamento, spendendo tutta la dedizione di cui era capace nel calcio. Un investimento enorme, a livello emotivo, che adesso che aveva quindici anni, in quell'autunno 2007, sfocia in frustrazione.
Non giocava mai e ovviamente ne soffriva terribilmente. Le nubi erano sembrate diradarsi dopo una trasferta a Padova in cui, entrato in campo con la squadra sotto 0 a 2, aveva segnato una doppietta ed aveva trascinato la squadra al 2 a 3 finale. L'allenamento successivo le parole che il mister aveva speso per lui sembravano il segno di un cambiamento. Kevin è una lezione per tutti. Anche giocando poco, si è sempre allenato forte. Dopo la partita di domenica si è guadagnato il posto.
«Purtroppo però non è andata così», ricorda il padre. Nelle successive quattro partite Lasagna non gioca nemmeno per un minuto. Rinunciare alla maglia del Chievo è la decisione che non avrebbe mai voluto dover prendere, eppure. «Mentre rientravamo da quella famosa quarta partita, per la prima volta l'ha ammesso a voce alta e a se stesso». Papà andiamo a parlare con i dirigenti. Voglio tornare a casa.
La pedagogia calcistica del professionismo prevede che i ragazzini si applichino su più ruoli per acquisire un bagaglio di conoscenze tattiche il più completo possibile. Un processo di formazione che ha affrontato anche Lasagna. Nel momento in cui arriva negli Allievi regionali del Suzzara, stagione 2007-2008, la sua evoluzione è allo stadio di terzino sinistro a tutto campo.
La prima esperienza di Lasagna nel dilettantismo è una sfida tosta. Arriva in una situazione di classifica disperata, con il rischio retrocessione dal regionale al provinciale, e dentro uno spogliatoio di ragazzi che sperano che quello-che-arriva-dal-Chievo sia il salvatore della patria. La mattina dell'incontro in sede c'era anche Fabrizio Pini, l'allenatore di quegli Allievi. L’ho cercato e gli ho chiesto quale fosse stata la sua prima impressione: «Confesso che a vederlo ero un po' scettico. Mi sembrava strano che dal professionismo potesse arrivare un ragazzino così piccolo e mingherlino. Anche solo nella mia squadra avevo diversi ragazzi fisicamente molto più attrezzati». I dubbi se li è tolti dopo i primi allenamenti. Dice che c'erano tre caratteristiche in particolare che rendevano solare il suo essere di un'altra categoria: «La prima era la facilità di corsa, la sensazione che per lui la fascia sinistra fosse meno lunga che per gli altri; la seconda era l'approccio mentale: anche in allenamento stava dentro ad ogni esercizio, era impossibile distrarlo; la terza era il sinistro, la potenza secca che difficilmente si vedeva a quei livelli e a quell'età».
La facilità di corsa è una caratteristica sopra la media anche per il Kevin Lasagna adulto. Nel gol da cui parte questo video, per esempio, un box to box da duecentista.
La delusione per la bocciatura nel vecchio ambiente o il senso di superiorità verso quello nuovo, anche solo inconsciamente, avrebbero potuto portarlo ad adagiarsi, a trovarsi alibi, ad accontentarsi della sua superiorità senza alcun interesse a migliorarla. «Di giovani promesse mancate ne avevo già viste prima di Lasagna e ne ho viste anche dopo. Ma lui è stato l'unico che mi ha dato l'impressione come di avere cancellato il suo passato. Ad ogni sgambata si metteva a tirare il gruppo, ad ogni seduta si fermava a provare punizioni e calci d'angolo anche se nessuno gliel'aveva chiesto».
A Suzzara, Lasagna rimane in tutto una stagione e mezza, fino al maggio 2009. In quei mesi inizia a crescere in statura e viene avanzato dalla linea dei quattro di difesa ad esterno di centrocampo. Spesso gioca due partite a weekend, una con i suoi Allievi regionali, l'altra con gli Juniores nazionali.
Lasagna e il Suzzara si separano quando il club di fatto smette di esistere. L'estate del 2009 la società fallisce formalmente sotto il peso dei debiti. Kevin sta per compiere diciassette anni ed entrare in età Juniores. La società più vicina a casa che può offrirgli un discreto livello competitivo si chiama S. Pio X S. Egidio, fusione di due storiche squadre di quartiere di Mantova. «Kevin aveva deciso di andare là perché facevano i regionali e perché aveva un paio di amici che ci giocavano già», ricorda Lasagna padre. Poco importa se la prima squadra era solo in Seconda Categoria. La prospettiva di Kevin era concentrata su un orizzonte molto prossimo: pensava alla soluzione migliore sul piano dei suoi pari età.
La sua stagione è più che positiva. Viene utilizzato sempre più spesso da attaccante esterno e, oltre a garantire sensibilità tattica e forza atletica, inizia a segnare con una certa regolarità. La Governolese, una delle più importanti società della provincia, inizia a seguirlo. Disputavano il campionato di Promozione ed erano in cerca di ragazzi da inserire in prima squadra per soddisfare la regola delle quote giovani obbligatorie.
Ma prima di lasciare il S. Pio X S. Egidio, viene arruolato dalla prima squadra. Gli chiedono aiuto per provare a vincere i play-out e a non retrocedere in Terza Categoria. Fare oggi un parallelo in quel momento storico tra lui e un altro '92 italiano, che oggi gioca in Serie A come lui ha poco senso, ma certo fa impressione pensare che mentre Lasagna esordiva in seconda categoria, a diciott’anni Stephan El Shaarawy esordiva in Serie A - oltre ad essere il simbolo della Primavera genoana che aveva vinto Coppa Italia e Supercoppa Italiana.
La seconda e la terza volta in cui tutto stava stava per finire
Li chiamano i Pirati del Mincio. Nella mia breve carriera dilettantistica giovanile ho giocato per tre volte sul campo della Governolese, tutte da avversario. Nonostante fossero partite tra ragazzi, c'erano sempre almeno un centinaio di spettatori. Entravi in campo e sapevi che non ti avrebbero perdonato nulla. A Governolo e alla Governolese l'appellativo corsaro calza a pennello. Tra comunità e squadra esiste una simbiosi viscerale. A quelle latitudini del dilettantismo, è prodigioso che mediamente due abitanti su cinque siano sempre presenti per la prima squadra. Donne e anziani compresi.
Un diciottenne Kevin Lasagna, estremo sinistro della fila centrale, alla prima foto di squadra in maglia Governolese.
Dentro quello scenario di pura passione, Lasagna adatta il suo bagaglio Juniores ai ritmi della Promozione. Ora è a tutti gli effetti un attaccante. Il fisico minuto che gli era costato la titolarità al Chievo ora ha iniziato a sbocciare in centimetri d'altezza e qualche chilo di fascia muscolare. La nuova fisicità gli permette nuove soluzioni di gioco. Alla velocità in progressione può aggiungere la difesa del pallone e il gioco spalle alla porta. L'avere molte più frecce al proprio arco gli frutta diversi gol e qualche assist. Al primo anno la sua Governolese conquista i playoff, al secondo pure. L'Eccellenza sfugge entrambe la volte ma di Lasagna si inizia a parlare. Lumezzane e Castiglione, squadre di Serie D, in un diciottenne così decisivo all'impatto in Promozione vedono buoni margini di miglioramento. Così lo contattano.
Il provino con il Lumezzane va molto bene, eppure una settimana dopo arriva la notizia della seconda bocciatura della sua carriera: ci sei piaciuto, purtroppo però dobbiamo prendere tre Primavera della Lazio, accordi tra le società, ci spiace, in bocca al lupo.
«Forse però per lui è stata più una delusione la bocciatura del Castiglione. Per come è arrivata», specifica il padre. L'accordo era che Lasagna partisse per il ritiro con la squadra. Loro lo avrebbero valutato in quelle settimane riservandogli, in una prima fase, un programma differenziato dato che stava per concludere una riabilitazione post-operatoria. Nella seconda parte del campionato aveva giocato con una lesione al corno del menisco. Aveva scelto di concludere la stagione con la terapia conservativa e di posticipare l'intervento a giugno. Purtroppo però, appena arrivato a Castiglione, Lasagna viene da subito aggregato al gruppo. L'eccesso d'orgoglio gli impedisce di lamentarsi con insistenza. Prova a dimostrare di essere pronto per la Serie D giocando sul dolore ma dopo la prima settimana deve arrendersi. Oltre alle fitte, il ginocchio sembra bloccato. Non riesce a fletterlo nemmeno di qualche grado, diventa impossibile anche camminare e guidare. Il padre lo ricorda bene quel periodo: «Ero andato a prenderlo io, aveva le stampelle. Quando l'hanno salutato è stata l'ultima volta in cui Kevin ha parlato con qualcuno della società». Viene scartato per la terza volta, questa volta con il silenzio.
Le bocciature estive non lo scoraggiano, non perché sia uno di quelli sicuri di arrivare ad ogni costo piuttosto perché giocare a calcio è la sua dipendenza, perché sente il bisogno di giocare sempre, di correre ogni giorno, di curare il suo fisico. «Negli anni alla Governolese ci aveva chiesto di accompagnarlo da un nutrizionista perché non voleva sbagliare qualcosa nel modo di mangiare». Sempre in quel periodo, per riempire la settimana oltre i tre allenamenti della squadra, accetta l'invito del cognato per prendere parte agli agguerriti calcetti tra Carabinieri e Finanzieri.
Al secondo anno di Promozione, la conferma delle prestazioni e dei numeri già espressi nel corso del primo gli portano nuove attenzioni dalla Serie D. A differenza degli altri, il Cerea fa sul serio e Lasagna compie il primo doppio salto di categoria della sua vita calcistica.
Cerea è un paesone piuttosto grande della provincia di Verona, ad una quarantina di chilometri da Portiolo, dove Lasagna ancora viveva in quel momento. Per la prima volta dai tempi del Chievo tornava ad avere un allenamento al giorno. Non gli importava se i 200 euro dello stipendio mensile non bastavano per rimborsare tutto il carburante. Giocare in Serie D dopo essere ripartito dalla Seconda Categoria, non aveva prezzo.
La soddisfazione per l'inizio dell'avventura lascia presto il posto alle difficoltà. «C'era stato il problema della scuola. Il Cerea gli aveva detto che senza rifinitura del sabato mattina non lo avrebbero fatto giocare la domenica e la scuola gli aveva risposto che saltando tutti i sabati dell'anno non potevano ammetterlo alla maturità di giugno». La scelta tra carriera scolastica e calcistica è un nodo di discussione eterno su cui, da ultimo, in quest'estate 2017 il caso Donnarumma ha riacceso l'attenzione. Lasagna ha già perso due anni e non vuole rimandare ancora la fine degli studi. Frequenta L'Istituto Geometri e per il disegno tecnico sembra portato. La soluzione è l'iscrizione ad un istituto privato che il sabato non ha lezioni. Il problema è la retta di 450 euro al mese, una zavorra sul bilancio famigliare. Inizia una lunga trattativa con i dirigenti del Cerea per ottenere un aumento dello stipendio con cui poter sostenere anche le spese scolastiche. Riesce a spuntarla: arriva a guadagnare 450 euro mensili, esattamente quel che gli serve per poter arrivare alla maturità. Le spese per il carburante sono ora completamente a carico suo? Pazienza, c'è un campionato di Serie D da giocare.
Cioè, insomma, non proprio giocare. Il secondo momento critico della sua esperienza al Cerea va da settembre a gennaio, quando non entra in campo mai prima del 75esimo e molto più spesso non entra proprio. La mediocrità degli uomini spesso si misura nella loro soddisfazione per i fallimenti altrui; vedere altri cadere li fa sentire meno inferiori. La stessa forma mentis che in quella fase di difficoltà porta qualcuno nell'ambiente del calcio provinciale mantovano ad escogitare leggende improbabili. Il padre di Kevin le ricorda tutte: «Tra le altre, girava anche la voce che diceva che io e mia moglie avevamo fatto un mutuo per pagare il Cerea perché lo prendessero». Leonardo mi guarda quasi divertito, come a dire ma ti pare possibile anche solo pensarlo?
Nessuno allora poteva immaginare di vederlo così solo quattro anni dopo, celebrato per un gol con la maglia dell'Udinese.
Nemmeno dalla tribuna casalinga fanno complimenti. Se gioca in D Lasagna allora posso giocarci anch'io è uno dei commenti più carini pronunciati di fronte alle sue poche e brevi apparizioni in campo. I genitori lo vedono sempre più nervoso. Gli chiedono se è sicuro che ne valga la pena, se non sia meglio tornare alla Governolese a due passi da casa. «Gli dicevamo che lo avrebbero riaccolto a braccia aperte». Kevin in quell'opzione rivede gli spettri della vecchia resa ai tempi del Chievo. Stavolta decide di provarci ancora, di essere il solito chiodo perfezionista unicamente concentrato su ogni allenamento.
A gennaio la squadra continua a faticare e arriva un nuovo allenatore. Lasagna comincia a giocare con maggiore frequenza. Mette minuti nelle gambe, prende sempre più le misure con la categoria, sente crescere la fiducia sua e dei compagni settimana dopo settimana. Con 16 presenze da titolare segna 8 gol. Ancora una volta qualcuno mette gli occhi su di lui. Sono l'Este, sempre in Serie D, e la Virtus Verona, ripescata per la Lega Pro. La sua fame di asticelle alzate non gli fa avere dubbi: firmare per la Virtus significherebbe raggiungere il professionismo.
La quarta volta in cui tutto stava stava per finire
L'avventura con la Virtus, terza squadra di Verona, nelle premesse ricorda quella con il Castiglione. Anche questa volta lo lusingano con grandi apprezzamenti; anche questa volta lo invitano ad aggregarsi alla prima squadra per il ritiro. I padovani dell’Este rimangono sullo sfondo: Terry Cavazzana, loro Direttore Sportivo da pochi giorni, dice a Kevin che sarebbe centrale nel loro progetto ma che capisce perfettamente la sua preferenza per l'opportunità di un salto in Lega Pro. «Gli aveva detto che fino a quando non fosse arrivata la firma per la Virtus lui avrebbe tenuto un posto libero in rosa», aggiunge il padre.
Alla Virtus inizia molto bene. È una realtà sui generis per il calcio italiano: due prime squadre - una in Promozione e l'altra in LegaPro -, il nome della squadra ispirato allo sponsor, il presidente che è anche l'allenatore. Il solo problema è la firma che non arriva. Passano gli allenamenti e le prime amichevoli estive. Sembrano soddisfatti di lui e lui di loro, eppure nessuno parla di contratto. Quando prova ad accennare al discorso gli fanno capire che è questione di dettagli, di avere ancora un po' di pazienza. Diversi segnali lo fanno stare comunque tranquillo. «Addirittura» dice il padre «al ritorno dal ritiro in montagna, il pullman della squadra aveva fatto una deviazione per portare Kevin al centro in cui sostenere le visite mediche. Mi diceva che lo trattavano da giocatore importante, insomma».
La settimana che porta al debutto in campionato, l'esasperazione per i continui rinvii non gli lascia scelta. Per lui che non ama molto parlare, esporsi così è una forzatura. Mi prendete o non mi prendete? Il presidente-allenatore per la prima volta ammette che ci sono dei problemi. I soci non avevano avallato il suo acquisto. La richiesta del Cerea era considerata troppo cara per un profilo come il suo. «Chiedevano 16.000 euro, pensa te come suona strano dirlo oggi».
Raramente si è sentito tanto arrabbiato come in quel momento, quando ha capito di aver buttato nel cestino l'intera estate del 2013. Lascia immediatamente il centro sportivo della Virtus. Deve assolutamente correre a casa, prendere tutto il materiale dei rossoblu e tornare immediatamente a riconsegnarlo. Più che un voltare pagina, uno strapparla di netto. È ancora in autostrada quando telefona a Cavazzana, ds dell'Este. Sono Lasagna, me l'avete davvero tenuto un posto? Erano stati di parola. Per lui avevano lasciato in stand by giocatori con un passato in Serie A: «Mi ricordo che sul giornale locale era uscito un titolo che faceva dell'ironia sull'aver scartato Bonazzoli per una Lasagna, o una cosa del genere».
La prima volta in cui tutto è cominciato
Lasagna nella stagione 2013-2014 non ha ancora uno sponsor tecnico e le sue scarpe continua a curarle e a sceglierle come ha sempre fatto; da cultore, nel suo negozio di fiducia a Mantova. Nel corso di una rifinitura, la scarpa sinistra si scuce. Il giorno dopo deve giocare, è ormai il punto di riferimento realizzativo della squadra. Non gli va di ammettere che senza quel preciso modello non può giocare e nemmeno che compra le sue scarpe solo nel negozio in cui andava da bambino. Così si mette a cercarle da solo nel raggio di trenta chilometri. Nel momento della disperazione, la soluzione è sempre una: il monolite famiglia. «Era andata mia moglie in spedizione. Le aveva trovate dove le avevamo sempre comprate fin da quando Kevin aveva sette anni e poi era partita per Este senza dirgli niente». La madre lo sorprende che sta uscendo da un supermercato. Il giorno dopo, con quel paio di scarpe segnerà una doppietta.
In giallorosso Este.
A quei due gol, a fine stagione ne avrà aggiunti altri ventuno. L'anno della consacrazione è anche l'anno in cui conosce il suo attuale procuratore, Briaschi. Nelle prime chiacchierate con Lasagna e famiglia, nella primavera del 2014, Briaschi ammette che alcune squadre di Serie B e Serie A stanno seguendo la sua consacrazione in D. Lo dice senza facili entusiasmi, calcando sul concetto che salire può voler dire farsi più male nel cadere. Gli assicura che non faranno mai il passo più lungo della gamba e andranno solo dove il ragazzo può migliorare senza rischiare di bruciarsi.
Briaschi porta in dote due snodi cruciali. Il primo è la reciproca stima con Giuntoli, oggi ds del Napoli e allora del Carpi. I due parlano di Lasagna e comprendono che la squadra di Castori è l'ambiente ideale per proseguire la crescita. Aspettative e pressioni ridotte da un lato, competitività nettamente superiore della Serie B dall'altro. Il secondo snodo è la firma di Lasagna con Nike. Come se ad un bambino aprissero una linea diretta con Babbo Natale per tutto il tempo dell'anno.
Lasagna arriva a Carpi andando a Urbino. Come gli era accaduto con il Castiglione tre anni prima e con la Virtus la stagione precedente, anche il Carpi lo aggrega alla prima squadra per la preparazione estiva. Le valutazioni di Briaschi e Giuntoli sono potenzialmente corrette, la verifica dei fatti deve tuttavia necessariamente uscire dal parere dello staff tecnico dopo aver testato il giocatore sul campo.
In quel precampionato il Carpi sta programmando il suo storico debutto in B. Oltre a Lasagna ci sono altri undici ragazzi in prova, tutti provenienti dai dilettanti. Kevin ha sempre compiuto salti doppi in carriera ma nessuno è mai stato tanto ripido quanto quello dalla D alla B. I primi giorni i ritmi sono durissimi da metabolizzare. Spesso lui e gli altri ex dilettanti hanno conati di vomito tra una ripetuta e l'altra. Lui stringe i denti, finge di non soffrire l'impatto con gli allenamenti. Non racconta nemmeno che nella prima settimana un unghia incarnita gli tormenta l'alluce sinistro.
I responsi che arriveranno alla fine del periodo di prova sono eccellenti. Andrea Nuti, ex atleta della 4x100 italiana, già nello staff dell'Inter mourinhiana, in quel periodo al servizio del Carpi, certifica i risultati dell'escalation fisica post Chievo affermando di aver visto pochi calciatori con fasce muscolari di quella forza. Sul piano tecnico invece, Castori conferma a Giuntoli la bontà dell'intuizione. Di quei dodici ragazzi in prova a Urbino, Lasagna è l'unico ad essere inserito nella rosa biancorossa che affronterà la Serie B. A ventidue anni.
«La faccia che aveva quando è tornato a casa ce l'abbiamo stampata in mente. Più di felice, più di tutto». Tra le maglie appese nel salotto dei suoi, ce n'è anche una del Carpi con il numero 92 invece del 15. È quella che la società gli aveva preparato per il momento della firma. Non c'era una conferenza stampa, né fotografi per cui posare con la nuova divisa. Giuntoli però l'aveva fatta preparare perché Kevin potesse ricordarsi di quel giorno e i magazzinieri, per non metterci troppo, avevano stampato l'anno di nascita. «Tanto a lui del numero non fregava niente, sapeva solo che non riusciva a smettere di sorridere».
Arrivare è difficile, confermarsi lo è molto di più
La stanza in cui Kevin Lasagna dormiva da piccolo, è la stessa in cui ha dormito fino a due anni fa.
Portiolo è a mezzora d'auto da Carpi e la prima stagione aveva scelto di fare il pendolare. Non appena si è trasferito in Emilia assieme alla fidanzata, l'armadio della sua vecchia stanza è diventato l'archivio dei ricordi della sua storia.
Delle sue tre stagioni in biancorosso, dentro a quell'armadio ci sono eventi che spiccano più di altri. Lo scontro diretto a Vicenza della prima stagione, per esempio, una delle poche occasioni in cui parte titolare quell'anno e quella che a sentire il padre «è la partita più “Kevin” di tutte». Di fronte ai 22.000 spettatori del Menti, in casa della seconda in classifica, Castori si gioca una bella fetta di promozione scegliendo Lasagna al posto dell'acciaccato Mbakogu (non dimenticate che un anno prima giocava in Serie D). Nel riscaldamento guarda il pubblico e pensa che non ha mai giocato di fronte a tanta gente. «Kevin mi aveva raccontato che Letizia lo aveva avvicinato per caricarlo». Quanti giocatori vedi qui a fare il riscaldamento? Ricordati che tu sei il più forte di tutti. Le parole del veterano e la fame di Lasagna, incidono sugli eventi. Dopo sedici minuti il Carpi vince 0 a 2 e i due gol li ha segnati entrambi Kevin Lasagna.
Il primo gol è una giocata tipica di Lasagna. Palla lunga e fiducia cieca nella prepotenza della propria progressione, come quella volta su De Sciglio per l'assist a Mancosu.
Il soprannome KL15 nasce già nella prima stagione in Emilia, un'opera dei tifosi carpigiani liberamente ispirata a CR7. Lasagna, a parte il match di Vicenza, è una riserva e quando segna lo fa sempre da subentrato. Ma nei pochi minuti a disposizione mette sul campo una tale quantità di scatti, lotte e tentativi verso la porta che, uniti alla sua storia dickensiana e alla sorprendente promozione in A del Carpi, fanno innamorare il pubblico e numerosi osservatori. Una prima volta per lui, una prima volta per la città. La provincia che si riscatta. Dopo le molte avventure, Lasagna è capitato nel posto giusto al momento sbagliato, questa volta è salito sul cavallo vincente.
Arrivare in Serie A è uno di quei momenti in cui il navigatore di Lasagna ha saputo ricalcolare il percorso, ritirare aspettative e ambizioni. Gli era già successo in tutti i salti precedenti, ma questo era diverso.
A sentire suo padre «uno dei primi impatti con la Serie A è stato il giorno che ha conosciuto Borriello». L'attaccante, acquisto di spicco del mercato estivo del Carpi, alla fine del primo allenamento gli aveva chiesto dove doveva lasciare le scarpe per ritrovarle pulite. Kevin con un filo d'imbarazzo gli aveva risposto che lì le scarpe erano abituati a pulirsele da soli.
Il giorno in cui Lasagna diventa ufficialmente un personaggio del calcio italiano arriva alla fine di gennaio del 2016, nel recupero di Inter-Carpi. Lasagna entra al 69esimo minuto senza aver ancora segnato in Serie A ed esce dal campo da eroe di giornata. Nel suo gol c'è la sua storia. Nessun timore reverenziale per le situazioni apparentemente più grandi di lui; nessuna alternativa se non provare a crederci fino a quando c'è tempo per farlo; correre e calciare di forza anche quando correre e calciare potrebbero non sembrare le scelte più logiche.
Manca poco, la squadra ha giocato una partita più che dignitosa, perdere a Milano non sarebbe un dramma. Lui però non è bravo a fare calcoli. È capace solo di continuare a spingere, buttarsi dentro e calciare in porta. Anche quando sembra troppo defilato. Anche quando sembra troppo tardi.
Al suo primo anno di B, Lasagna è stato un'importante alternativa ai titolari. Al suo primo anno di A, pure. Al suo secondo anno di B, dopo la retrocessione, ha dimostrato di poter reggere per la prima volta il ruolo di titolare ad alti livelli. Sempre al suo secondo anno di B, è tornato in A.
Le probabilità che il suo fosse stato un exploit estemporaneo erano alte. Nessuno avrebbe potuto parlare di delusione se la sua carriera si fosse poi assestata in serie B. Invece è riuscito a tornare nel punto più alto. La firma con l'Udinese nel mercato di gennaio - per alcuni l'”affare del secolo per il Carpi” - e la conquista della finale playoff di B, sfiorando un'altra impresa con i carpigiani sono le ultime battaglie vinte di una storia che Lasagna ha iniziato a sudarsi fin da quel giorno di dieci anni fa nella sede del Suzzara. Migliorando sempre, un pezzetto alla volta.
Il racconto di suo padre e che mi hanno confermato le due parole che abbiamo scambiato dopo la partita dei playoff mi hanno lasciato l'impressione che Kevin Lasagna non si senta arrivato, perché sa bene che la punta dell'iceberg a cui è aggrappato nasconde sotto al pelo dell'acqua una superficie enorme di giocatori che sgomitano, come sgomitava lui per tentare di salire. Sa bene quanto sia facile non emergere, che l'unico modo per non scivolare giù sia avanzare ancora, un centimetro alla volta.
Il padre verso la fine della nostra intervista mi racconta di tutte le volte che l'ha visto riguardarsi le proprie partite. «Le registra e quando le riguarda si dice che avrebbe dovuto controllare meglio quella palla o fare un altro movimento». Il perfezionismo è la strada più rassicurante. Come quando rincasa mezz'ora prima del coprifuoco imposto dalla società per evitare che un qualunque contrattempo lo faccia ritardare. Come quando in pizzeria con genitori e fidanzata - gruppo indissolubile del dopo gara - alle 23, al termine di un posticipo della domenica sera, telefona al nutrizionista. Il padre imita la telefonata di Kevin: «Andrà bene mangiare la pizza a quest'ora? Anche se martedì giochiamo a Firenze in Coppa Italia?».
Sarri, con la sua lunga esperienza da allenatore in serie minori, ha detto di aver conosciuto nella sua carriera dilettanti che si comportavano da professionisti e professionisti che si comportavano da dilettanti. Lasagna ha appartenuto per diverso tempo al primo gruppo. Ora che è un professionista va avanti voltandosi spesso indietro per ricordarsi di quanto è stata dura scalare tutti i gradini. Per non dimenticare mai che avrebbe anche potuto non superarli.