Questo racconto fa parte di una raccolta intitolata "Zona Franca", che rievoca storie di personaggi che hanno vissuto intensamente - e in ambiti diversissimi - gli Anni ’80 e ’90.
Novembre 1979, Roma.
Martedì. Ore 13 e 30. Citofono. Non rispondo.
Prendo il borsone, saluto i miei ed esco di casa.
Scale (tra scale ed ascensore scelgo, come al solito, le scale). Quattro piani più l’ultima rampa, quella che porta al corridoio dei garage. Scendo veloce, due gradini alla volta.
Paolo apre sportelli e bagagliaio della macchina, io lucchetto e serranda del garage. Cominciamo a caricare il materiale in auto.
«Mani in alto! Faccia al muro!»
Alzo le braccia. Ruoto la testa lentamente.
Una Beretta M51 mi fissa da sinistra. Due. Tre. Anche una mitraglietta M12.
Chi cazzo sono? Brigatisti? Vogliono sequestrarci? Ma i miei non sono ricchi. Forse vogliono sequestrare Paolo. Il padre è un giudice, la madre un avvocato.
Mi spingono violentemente contro il muro. Un anfibio mi distanzia i piedi. Mi perquisiscono.
«Giratevi!» ci dicono.
Mai provata tanta gioia nel vedere un poliziotto.
Due. Tre. Saranno almeno una decina, equamente divisi tra me e Paolo.
Anche lui viene perquisito e tenuto contro il muro dall’altro lato del garage. Cominciano l’ispezione. Scaffali, armadietti, scatoloni. Aprono tutto.
«… è illegale quello che state facendo. Un mandato ce l’avete?» protesta Paolo.
Non rispondono neanche.
«Ma insomma, che succede? Che volete?» chiedo io.
«Eccoli. Li abbiamo trovati.» dice uno di loro.
La Beretta e l’M12 continuano a fissarci.
«Caschi e giubbotti antiproiettile! Brutti stronzi, le armi dove le tenete?»
Bussano come matti alle pareti, forse per cercare un doppiofondo.
Fine anni ’70. Periodo di stragi e di attentati. Un condomino aveva chiamato la polizia dicendo di aver visto, più volte nell’ultimo mese, due giovani caricare in una Ritmo nera armi e giubbotti antiproiettile.
«Questi sono paraspalle e caschi da football americano. Noi siamo giocatori. A luglio ci sarà il primo campionato italiano».
Finalmente la Beretta e l’M12 si abbassano.
«… e dove si terrebbe questo grande evento?»
«A Castel Giorgio, in provincia di Terni!»
Un paesino di duemila abitanti che diventa in pochi mesi sede del primo campionato italiano di football americano e capitale europea di un nuovo sport, quasi sconosciuto.
Uno stadio costruito a tempo di record in conformità ai rigorosi standard previsti dalla NFL (National Football League americana), con porte arrivate direttamente dal Wisconsin, dono della squadra dei Green Bay Packers.
Le ragazzine del paese trasformate in perfette cheerleaders da un famoso coreografo.
Le telecamere della RAI dislocate a bordo campo per riprendere l’evento.
Ragazzi di destra e di sinistra insolitamente uniti da mesi di allenamenti e partite che li costringono a mettere da parte le rivalità politiche.
Sembra una storia inventata, ma è successo veramente.
1969, San Vito dei Normanni (BR).
Ho dei ricordi bellissimi delle vacanze in Puglia, a casa dei nonni paterni: ulivi secolari su cui arrampicarsi, bagni al mare, orecchiette col cacioricotta, pasticciotti con la crema… e una specie di astronave, misteriosamente atterrata nella campagna brindisina. Per i miei occhi di bambino un grande meraviglioso ambito luna park a cui, però, non posso avere accesso.
Si tratta di una base USA, creata allo scopo di intercettare comunicazioni (telefoniche, radio e telegrafiche). Costruita alla fine degli anni ’50 è come un gigantesco orecchio puntato verso est, al cui interno vivono e lavorano centinaia di soldati americani (tra cui radiotelegrafisti, crittografi e traduttori) con le loro famiglie.
E poi c’è nonno Giuseppe.
Cattolico fervente, alle sei di ogni pomeriggio, si inginocchia davanti casa a recitare il rosario, affiancato da parenti, amici e spesso anche da passanti. Io con mille scuse cerco di defilarmi, ma mi ritrovo quasi sempre precettato.
Tra i clienti della sartoria in cui zio Angelo, fratello di mio padre, ha trasformato una delle stanze della casa di famiglia ci sono molti americani della base. Quello che più mi colpisce è Castro, un marine alto due metri che - al contrario di me - partecipa con devozione a quei momenti di preghiera.
In seguito alle mie insistenze, un giorno il soldato accetta di portarci in visita alla base. Finalmente posso entrare in quel luogo inaccessibile e agognato.
Ospedale, scuola, biblioteca, supermarket, ristorante, bar, piscina, bowling… e perfino un campo di football americano.
Osservo incantato alcuni ragazzi della base giocare con magliette numerate fino al 99. Una rivoluzione per me che sono abituato agli 11 del calcio.
Aprile 1978, Roma.
Citofono. Il mio amico Marcello Mentini mi urla di scendere subito: Bruno Beneck ci ha convocato nel suo ufficio.
Bruno Beneck, Presidente della Lega Italiana Baseball, membro del Board della International Baseball Federation (nonché della Giunta del CONI), giornalista, regista di vari programmi RAI tra cui "La Domenica Sportiva" che, proprio nella edizione da lui diretta, introduce l’uso della moviola.
Bruno. Beneck.
Già sono preoccupato per gli esami all’università… non ho tempo da perdere con gli scherzi idioti di Mentini.
Lui insiste. Mi giura che non si tratta di uno scherzo. Scendo.
«Lo so, lo so, è impossibile. Non ci credo neanche io, ma è tutto vero. Beneck ci aspetta nel suo ufficio!»
Roma di fine anni ’70 ci osserva - uno scettico, l’altro entusiasta - camminare verso quel decisivo incontro.
Soltanto pochi metri ci dividono ormai dall’edificio in cui il mio amico continua a sostenere che proprio Beneck stia aspettando proprio noi.
Qualche settimana prima gli avevamo spedito una lettera.
Egregio signor Presidente, c’era scritto, siamo un nutrito gruppo di ragazzi romani appassionati di football americano. Ci rivolgiamo a lei in quanto pioniere di questo sport in Italia, per sapere se ci possa in qualche modo supportare dal momento che, purtroppo, disponiamo di scarsa attrezzatura e siamo costretti ad allenarci in un parco pubblico.
Nel 1977 Beneck aveva organizzato a Viareggio uno dei primi tornei di football americano in Italia, coinvolgendo le rappresentative di quattro basi militari USA.
Non avrebbe potuto esserci destinatario migliore per la nostra missiva, anche se non speravamo troppo in una sua risposta… per noi era stato come scrivere una lettera a Babbo Natale.
«Buongiorno, siamo Mentini e Loprencipe. Abbiamo appuntamento con Bruno Beneck.» dice Marcello alla receptionist.
«Benvenuti, il Presidente Beneck vi aspetta al sesto piano.» risponde compunta la ragazza.
Babbo Natale ci sta aspettando veramente!
Quando l’ascensore si apre ci troviamo davanti la segretaria di Beneck, che - sorridente - ci accompagna nel suo ufficio.
Mentre percorriamo il corridoio mi sento come uno studente che si appresta ad affrontare, impreparato, l’esame più difficile del suo corso di studi.
Nella lettera abbiamo mentito: il nutrito gruppo è in realtà costituito solo da me, Marcello e un paio di altri amici che, in compagnia di una palla ovale, nel fine settimana andiamo a giocare a Villa Glori.
Impegnato in una conversazione telefonica, Beneck ci fa un ampio gesto con la mano e ci indica le due sedie davanti alla sua scrivania.
«Benvenuti ragazzi! … Allora, chi è il quarterback della squadra? Perché, naturalmente, è il quarterback quello che deve parlare…»
Il mio amico indica me.
«Prima di tutto… quanti siete? Una quarantina?»
«Più o meno…» rispondo.
Se di fronte a me avessi trovato qualcuno meno entusiasta di lui, lo avrei ringraziato dell’appuntamento spiegandogli che non eravamo ancora pronti e che sarebbe stato meglio rivedersi quando (e se mai) fossimo riusciti a raggiungere quel numero. Beneck, però, è così travolgente da precludermi qualsiasi scappatoia. Alza il telefono e digita un interno. Sentiamo gli squilli in una delle stanze a fianco.
«Maaax! Vieni subito nel mio ufficio!» urla.
Con quel tono di voce, del telefono avrebbe potuto anche fare a meno.
Dopo meno di tre secondi Max Ceccotti, italoamericano del New Jersey, fidatissimo collaboratore di Beneck, compare sulla porta.
Il capo gli chiede l’elenco delle scuole americane a Roma con i numeri di telefono.
In pochi minuti il sollecito Max glielo consegna e Beneck inizia una incalzante serie di chiamate. La sua impareggiabile dialettica gli permette ogni volta di fugare rapidamente eventuali dubbi o perplessità degli interlocutori.
Un quarto d’ora dopo riappoggia la cornetta e ci guarda soddisfatto.
Abbiamo un campo a disposizione (quello dell’American Overseas School of Rome) e personale competente che ci assisterà negli allenamenti (il capo dei servizi di sicurezza dell’Ambasciata Americana e un paio di marines). Quanto alle attrezzature… nel giro di qualche mese arriveranno pure quelle.
«Adesso potete andare. Alla scuola americana vi aspettano dopodomani, alle 14 e 30, per il primo allentamento. Mi raccomando, siate puntuali!»
Dopodomani, alle 14 e 30.
Dopodomani, alle 14 e 30.
Ora sono le 16.
Abbiamo 46 ore e 30 minuti per trovare trentotto persone disposte a venire ad allenarsi sulla Cassia.
Usciamo.
Trincerandosi dietro un’improbabile serie di impegni familiari, Marcello mi fa capire che gli altri giocatori dovrò trovarli io.
Non me la sento di tradire le aspettative di un uomo speciale come Bruno che, in pochi minuti, ci (mi?) ha messo nelle condizioni di realizzare un sogno.
Tornato a casa, agendina alla mano, mi installo in corridoio cominciando una interminabile serie di telefonate.
Convincere amici e conoscenti non sarà un’impresa facile. Senza parlare di football americano - quasi nessuno lo ha mai visto, figuriamoci giocato - dico a tutti di presentarsi all’appuntamento con scarpini e divisa da calcetto… sto organizzando un evento eccezionale.
Il giorno dell’allenamento, arrivo all’Overseas School almeno un’ora prima. Alle quattordici e dieci vedo entrare gli americani. Dei miei futuri compagni di squadra ancora nessuna traccia.
Per un paio di minuti considero l’idea di un’ignominiosa fuga… poi, per fortuna, qualcuno comincia ad arrivare.
Due. Tre. Cinque. I primi li abbraccio calorosamente.
Dieci. Quindici. Venti. Li saluto con entusiasmo.
Superata quota trenta, mi limito a dare indicazioni tecniche su possibilità di parcheggio e ubicazione spogliatoi.
Alle 14 e 35 - contro ogni previsione - siamo in quaranta.
SIAMO. IN. QUARANTA.
Sulla scia dei palestratissimi marines, cominciamo una corsetta di riscaldamento. Sono talmente emozionato che quasi non riesco a stare in piedi.
Gli allenamenti vanno avanti per qualche settimana. Purtroppo, però, il fatto che le istituzioni americane in Italia siano considerate possibili bersagli di attentati terroristici ci lascia presto orfani della nostra prima sede.
Un’alternativa. Dobbiamo trovare un’alternativa.
Dopo una settimana di disperate quanto inutili ricerche, un campo di terra del Circolo INAIL di Tor di Quinto (respingente e irregolare come i capelli di un rasta) sostituisce il prato dell’American Overseas School of Rome (rasato a perfezione come i capelli di un marine).
Riprendiamo ad allenarci. Senza uno scopo preciso, solo per il gusto di giocare.
Uno scopo ce lo trova Bruno Beneck.
Il Presidente, non pago di aver fatto gareggiare tra di loro le squadre delle basi USA in Italia, ora vuole organizzare il primo campionato italiano di football americano.
Il primo. campionato. italiano. di. football. americano.
Rhinos a Milano, Frogs a Legnano, Gladiatori a Roma… in effetti alcune squadre già esistevano… ma si erano - fino ad allora - limitate a disputare partite amichevoli o piccoli tornei, senza avere un grande seguito di pubblico.
L’idea di Beneck è di dar vita a un evento senza precedenti che contribuisca, in maniera stavolta decisiva, alla diffusione di questo sport in Italia.
Marzo 1980.
L’inizio del campionato si avvicina. Ormai mancano solo pochi mesi.
Per aumentare il numero di giocatori, decidiamo di accogliere tra di noi anche dei rugbisti. Beneck fa venire appositamente - dalla base americana di Napoli - degli arbitri professionisti che ci seguiranno per un giorno nei nostri allentamenti. Mentre proviamo gli schemi, uno dei rugbisti comincia a bestemmiare e si avventa contro due avversari che - durante il gioco - hanno cercato di fermarlo. Scoppia una rissa che coinvolge la metà dei giocatori.
Gli arbitri fischiano. Beneck urla. I giocatori continuano a picchiarsi.
Tra rugby e football americano ci sono poche ma sostanziali differenze, la più importante delle quali è che, nel rugby, un giocatore può essere contrastato solo nel momento in cui è in possesso di palla. Nel football, invece, le azioni di placcaggio sono possibili sempre.
Con l’arrivo dei rugbisti il rischio di incomprensioni e risse diventa una costante.
Fatto salvo qualche piccolo incidente di percorso, dovuto alla nostra inesperienza, la stagione di allenamento ci ha reso tecnicamente preparati. Quello che ancora manca è un luogo fisico in cui disputare il campionato. Purtroppo i campi di calcio non vanno bene, per il football americano c’è bisogno di uno stadio costruito ad hoc.
Giuseppe Calistri, zio del mio amico Gianfranco, è il sindaco di Castel Giorgio, paesino in provincia di Terni a pochi chilometri dal Lago di Bolsena… e se facessimo di Castel Giorgio la capitale del football americano? Gianfranco ne parla con lo zio, che sembra interessato. Organizziamo un incontro con Bruno Beneck.
Il visionario Presidente riesce a trasferire al sindaco Calistri l’immagine dello straordinario evento che, unendo le forze, potremmo realizzare.
Calistri senior si fa convincere e convince a sua volta il consiglio comunale.
Ora bisogna solo trovare i soldi e le maestranze per costruire uno stadio di football americano, con campo regolamentare.
Inizio campionato: luglio 1980. Mese corrente: aprile 1980. L’impresa è folle ma la determinazione non ci manca.
Tutti quelli di noi che non hanno impegni lavorativi o familiari si trasferiscono per cinque settimane a Castel Giorgio. Muratori, geometri, idraulici ed elettricisti: ci impegniamo, giorno e notte, ai loro ordini. Sembra impossibile ma, in due mesi, tribune e campo di gioco prendono forma… fino ad esistere davvero.
Intitoliamo lo stadio a Vince Lombardi, coach di origini italiane che - allenando i Green Bay Packers - ha fatto la storia del football americano.
Il nucleo iniziale di giocatori romani - che, nel frattempo, ha continuano a crescere - viene ripartito tra le quattro squadre partecipanti al campionato (Tori, Diavoli, Gladiatori, Lupi), per rinforzare i rispettivi organici aumentando la spettacolarità del gioco e il conseguente possibile appeal sul pubblico italiano.
È strano incontrare - da avversari - compagni con cui abbiamo condiviso mesi di entusiasmo e di fatica. La consapevolezza di essere i protagonisti di un evento di portata storica ci fa però superare ogni possibile remora.
Luglio 1980.
Il campionato sta per iniziare. L’atmosfera a Castel Giorgio è davvero elettrizzante.
Paolo Gozlino, famoso ballerino e coreografo della RAI, arruola come cheerleaders le ragazze del paese. È commovente vederle esercitarsi nelle coreografie con la stessa passione con cui noi ci impegniamo negli allenamenti.
Beneck mette in campo la sua grande esperienza di regista televisivo per realizzare un evento indimenticabile, un grande show all’americana, con dirette quotidiane e telecronaca delle partite affidata al giovanissimo Mario Mattioli.
Lo staff organizzativo crea anche un sistema di vouchers che - distribuiti a giocatori, arbitri e cronisti - consente loro di fruire gratuitamente di alloggi, pasti e consumazioni presso famiglie, bar e negozi del paese.
Noi atleti contribuiamo al successo dell’evento andando ogni notte ad attaccare, sui muri delle città vicine, manifesti che pubblicizzano il torneo.
Nonostante il periodo storico caratterizzato da schieramenti radicali, le diverse idee politiche non intaccano lo spirito di gruppo. Attivisti di destra e di sinistra convivono pacificamente per tutta la durata del campionato. Tra i giocatori più forti c’è Nanni De Angelis, militante di Terza Posizione, che - accusato di essere uno degli esecutori materiali della strage di Bologna - verrà scagionato proprio grazie ai filmati che lo ritraggono in campo a Castel Giorgio.
Il campionato ha un successo strepitoso. Sulle tribune costruite con le nostre mani non ci sono mai meno di duemila spettatori.
Tifosi di tutta Italia riempiono in quei giorni sia lo stadio che il paese.
Lo scudetto lo vincono i Lupi ma il risultato non è la cosa più importante. Il vero successo è che quel primo campionato abbia avuto luogo.
Giugno 2003, Roma.
Per il trentennale della nascita dei Gladiatori, la squadra in cui per anni ho militato, stiamo organizzando una grande festa allo Stadio dei Marmi. Non può mancare Bruno Beneck.
Se il football americano qui in Italia ha preso piede lo si deve certo al nostro impegno ma, principalmente, al suo… all’entusiasmo che è stato in grado di trasmetterci, al fondamentale aiuto che ci ha sempre garantito.
Non lo sento da due anni. Le nostre telefonate, nel corso del tempo, si sono diradate.
«Ciao Presidente!»
«Ciao Campione!»
In realtà è quella di Beneck una stirpe di campioni (le figlie Daniela e Anna sono state nuotatrici leggendarie, sposate a loro volta con due olimpionici di atletica leggera).
Quel saluto mi mette in imbarazzo ma, al tempo stesso, mi rende orgoglioso… evidentemente Bruno un campione mi ci considera davvero. Forse anche solo per il fatto di aver condiviso con lui l’incredibile avventura di quel primo campionato.
«Mi raccomando, ci saremo tutti… non puoi mancare proprio tu!»
Lui esita. La sua voce stentata non si decide a darmi una risposta affermativa. Insisto. Ancora esitante, mi congeda con una scusa.
L’indomani mi chiama la figlia Daniela.
«Mi dispiace Marcello, papà non sta bene, non può proprio venire.»
Festeggiamo il trentennale.
L’assenza del grande Presidente si fa sentire ma dopotutto, penso, ci saranno altre occasioni. Pochi giorni dopo l’ottantottenne Bruno Beneck muore.
Avrei dovuto capire che le sue condizioni erano gravi ma, nella mia testa, Bruno era sempre l’uomo energico ed entusiasta che avevo conosciuto nel suo ufficio. Il trascinatore che, in quindici minuti di telefonate, ci aveva permesso di realizzare un sogno.
Nel 2017 il nome di Marcello Loprencipe è stato inserito nella Hall of Fame della FIDAF (Federazione Italiana di American Football), che celebra gli uomini che hanno fatto la storia di questo sport in Italia.
Il 22 e 23 luglio 2023 i protagonisti del campionato del 1980 si incontreranno di nuovo a Castel Giorgio per rivivere l’emozione e il ricordo di quei giorni (in realtà il cinquantennale sarebbe stato a luglio del 2020 ma, causa COVID, la grande festa si farà quest’anno).