Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.
«Tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze». La definizione di coazione a ripetere del dizionario di medicina Treccani suona familiare a chiunque conosca, anche solo superficialmente, la storia della Roma e tanto più ai suoi tifosi. I giallorossi si sciolgono spesso nei momenti che contano, come attratti da una strana forza malinconica, e questa volta a dare un duro colpo alle speranze di scudetto è stata la Sampdoria.
Nella sconfitta di Marassi c’è tanto dei blucerchiati ma forse ancor di più della Roma: capace di andare in vantaggio per due volte, e di perdere tutto in pochi minuti, nel momento di controllo della partita. Un evento che non sorprende per le modalità, perché anche quest’anno i giallorossi ne hanno già combinate di simili. Ma bisogna andare indietro di qualche mese per ricordare il 2-2 a Cagliari e il 3-3 con l’Austria Vienna e stavolta, più che il modo, è il momento che lascia sbigottiti.
Dal passaggio alla difesa a tre, la squadra di Spalletti aveva subito solamente 2 gol in 9 partite, coppe comprese: e sembrava che fosse una Roma diversa, più pratica, più attenta e meno frenetica, la Roma delle vittorie per 1-0.
Forse non è stato un evento di giornata, forse sono stati sottovalutati degli scricchiolii. Lo sbriciolamento delle certezze, dopo la partita di Genova, potrebbe essere più dannoso della sconfitta in sé e sicuramente la Roma dovrà reagire mentalmente, ma dovrà anche risolvere dei problemi strutturali.
Alla ricerca di un incipit di gioco
A Spalletti non piace cambiare molto le sue squadre: una volta trovati gli equilibri giusti, i titolari tendono a ripetersi quasi ossessivamente. Per questo è ancora più sorprendente la presenza in campo di Vermaelen, alla sua quarta apparizione dall’inizio in campionato. In panchina ci è andato addirittura Manolas: secondo le parole dell’allenatore toscano, la scelta ha origine nelle maggiori capacità tecniche del difensore belga, abile nell’impostazione, e per il suo piede di calcio, il sinistro. In sostanza Vermaelen doveva aiutare l’inizio azione giallorosso, sempre un po’ farraginoso, cercando di evitare l’imbuto centrale. Ma quante squadre in Serie A rinuncerebbero al loro miglior difensore per una questione puramente tattica?
Ma non sono stati gli errori di Vermaelen a determinare la sconfitta: ci sono meccanismi di gioco che la Roma non riesce a elaborare correttamente da tempo. Giampaolo aveva già scoperto questi punti deboli nelle due precedenti partite stagionali, e ha insistito su quelli: primo fra tutti, appunto, l’inizio azione, che evidentemente non è una questione che si limita ai piedi sinistri e destri.
Per rendere inoffensiva la circolazione bassa della Roma, Giampaolo ha orientato Bruno Fernandes su De Rossi: il vertice alto che si occupa del vertice basso avversario. Per ovviare a questa normale marcatura, la Roma nelle precedenti partite aveva spesso concesso a Fazio la libertà di condurre palla al piede, con ottimi risultati. La Sampdoria, però, si è occupata anche di questo dettaglio: Bruno Fernandes si alzava sul difensore argentino, chiudendogli sia la linea di passaggio per De Rossi che lo spazio per la conduzione.
Ha contribuito anche la scarsa mobilità del capitano della Roma, che gli ha reso quasi impossibile dettare passaggi alle spalle del suo avversario: rimaneva imprigionato nella cosiddetta “cover shadow”, una copertura ombra dovuta semplicemente alla posizione nel campo.
I problemi della Roma nel primo tempo: la Samp blocca le linee di passaggio e di conduzione, non rimane che tornare indietro o lanciare lungo.
La compattezza della Samp in zona palla rendeva molto difficile anche il supporto di altri giocatori: Strootman era sempre coperto dalla mezzala di riferimento (Praet), e l’abbassamento eccessivo di Nainggolan privava la Roma dell’unica possibilità di inserimento offensivo. La circolazione della palla passava per forza di cose dalle fasce, o ancor più semplicemente dai lanci in verticale: ben 43 nel primo tempo, praticamente uno al minuto (addirittura 11 quelli di Szczesny, che sapevamo essere il portiere più coinvolto tra quelli delle squadre di vertice).
Mal d’Africa
I lanci lunghi sono uno strumento indispensabile contro una squadra molto aggressiva, e un sollievo quando si è in difficoltà: ma la Roma, soprattutto quando non c’è Salah, ricorre spesso in modo automatico alla verticalizzazione per Dzeko.
Come sempre, aver un target striker comporta anche dei rischi, in particolare che la squadra si impigrisca nella scelta più facile.
In un’occasione la spizzata di Dzeko finisce nel nulla, nell’altra aiuta la squadra a muoversi in avanti: ma la ricerca spasmodica delle palle alte per il centravanti era stato uno dei grandi errori di Garcia.
Il filo diretto Szczesny-Dzeko in questo caso aiuta la squadra a risalire: ma in molti casi, invece, significa perdere il pallone senza spostare il baricentro in avanti. Anche quando Dzeko riesce ad addomesticare il pallone, c’è quasi solo Nainggolan ad aiutarlo nel ricircolo del pallone o ad attaccare la seconda palla. Una combinazione prevedibile a cui la Roma si sta abituando, in assenza di soluzioni migliori; resa ancora più prevedibile dall’assenza di Salah.
In questo caso, il lancio lungo a memoria per Dzeko viene letto bene da Silvestre: l’azione si conclude con una lettura disastrosa della coppia De Rossi-Vermaelen e con il pareggio della Samp.
Senza l’egiziano la Roma ha grandi difficoltà ad attaccare la profondità e ad allungare le difese avversarie, ma più in generale ha un vuoto che nessuno riesce a riempire.
Sulle fasce, ad esempio, Spalletti chiede dei movimenti alternati interno-esterno: così a volte Perotti calpesta la linea laterale per permettere l’attacco dello spazio di mezzo a Emerson. A volte però la Roma crea densità sulla fascia sinistra per determinare isolamento sulla destra: dove appunto non c’è Salah, ma Bruno Peres, che tende a chiedere il pallone sui piedi, ad accentrarsi e ad attaccare poco la profondità.
Momento nonsense: qui tre giocatori della Roma sono sulla stessa linea, rendendo facilissima la vita per gli avversari: l’unica possibilità è il cross in area verso Dzeko, mentre Bruno Peres sonnecchia e attacca in ritardo il secondo palo (fuori inquadratura)
La squadra sembra ripetere a memoria alcuni strumenti di gioco basati sulla presenza in campo di Salah, che però non c’è: le transizioni risultano praticamente inoffensive, perché Dzeko non viene più a giocare a muro ma è costretto lui stesso ad attaccare in campo grande, con difficoltà immaginabili.
Il problema è che la Roma tende a schiacciarsi verso il basso, lasciando così troppo spazio da percorre fino alla porta avversaria. Senza Salah, i giallorossi dovrebbero forse spostarsi di molti metri in avanti.
Lapsus freudiano di Strootman che lancia in profondità per la zona di Salah: ma c’è Dzeko (fuori inquadratura), e la transizione neppure inizia. La Roma però è troppo schiacciata in basso, e così diventa impossibile creare pericoli all’avversario.
Problemi di pressione
Dopo pochi minuti di grande difficoltà (nonostante il gol di vantaggio di Bruno Peres iniziale), Spalletti ha chiesto alla squadra di accorciare il campo e in particolare alla difesa di salire: la Roma ha provato a spostarsi in avanti, ecco, ma con pessimi risultati.
Quello dei meccanismi di pressing un po’ sballati è un problema quasi storico dei giallorossi, che di solito tendono a chiudere le linee di passaggio, giustamente. Pressioni portate a livello dei singoli, ma senza coordinazione, tendono a creare voragini di spazi, oltre a spezzare la squadra in due: la squadra di Giampaolo è riuscita spesso a sfruttare la superiorità posizionale (una bella eccezione è di appena qualche settimana fa in questo stesso stadio, quando la Roma ha giocato contro il Genoa di Juric recuperando molti palloni in alto con una compattezza inedita).
Pressione casuale di Dzeko e Perotti (che quasi arriva sul pallone): conduzione palla al piede della Samp e la Roma scappa all’indietro come se avesse visto un fantasma. Barreto poi ha tutto il tempo di servire Muriel, mentre Emerson lo guarda: Vermaelen esce molle, si fa saltare e poi Strootman chiude in ritardo a centro area.
Quando i giallorossi provano a difendere in avanti, si può creare un pericoloso vuoto in zona centrale. La partita contro la Samp è un esempio perfetto delle situazioni in cui De Rossi non riesce a garantire né solidità difensiva, né superiorità in impostazione. Preoccupato dalla posizione di Praet (su cui Spalletti sposta anche Strootman), ingolosito dalla pressione su Torreira, il capitano della Roma lascia spesso sguarnita la zona centrale, dove Bruno Fernandes sembra guizzare. La difesa a tre non aveva ben chiare le letture: bisognava uscire sul giocatore in possesso, o arretrare?
La Roma prova a difendere in avanti ed è un disastro: De Rossi sale su Torreira ma per la Samp è facilissimo trovare il terzo uomo Bruno Fernandes, che ha campo ma preferisce servire Muriel, che poi lo ritrova di nuovo in profondità senza che i giocatori della Roma riescano a seguirlo.
Due minuti terribili
La beffa profonda della sconfitta di Genova è che la Roma si era pienamente risistemata nel secondo tempo, almeno per quanto riguarda la stabilità difensiva, subendo solo 5 tiri verso lo specchio rispetto ai 13 della prima parte.
In due minuti, dal 71’ al 73’, gli uomini di Spalletti hanno probabilmente perso la possibilità di rimanere agganciati al treno della Juventus: un classico “momento Roma”, in cui sembra esserci una tormenta emotiva che sconvolge la partita e annichilisce la squadra.
Quasi impossibile da vedersi in Serie A: la Samp serve sempre un uomo dietro le linee della Roma. Barreto dietro la linea di pressione delle punte; Muriel dietro quella dei centrocampisti; Bruno Fernandes dietro quella dei difensori. Ancora una volta un problema di lettura, con Vermaelen incerto nella scelta e così si fa bucare,
La Roma ha solo perso una partita, nel corso della quale ha messo in mostra anche molti dei suoi pregi: ma l’ha persa nel modo più classico, dimostrando di non essere maturata affatto da quella di inizio stagione che si fece rimontare a Cagliari. Un po’ come nella favola della rana e dello scorpione, i giallorossi non riescono a cambiare la loro natura, quella autolesionista, disattenta, superficiale.
A Genova, più di tutto, è finita anche la grande illusione di essere diventati “come la Juve”: determinati, feroci, pragmatici. La Roma in modalità “energy saving” non è sufficiente: è durata un po’, andando forse anche oltre i suoi limiti, ma adesso c’è bisogno di cambiare, soprattutto a livello tattico. Il mese di febbraio sarà pieno di appuntamenti importanti, a cominciare dalla Coppa Italia e a proseguire con la doppia sfida contro il Villarreal: tocca a Spalletti dare gli strumenti ai suoi giocatori per essere competitivi al massimo livello, e magari anche per non ripetere sempre i soliti errori.
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