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La Nuova Stagione: Empoli 2024/25
20 set 2024
20 set 2024
Un racconto sul tifo, i suoi simboli e le sue storie. La seconda puntata è dedicata all'Empoli.
(copertina)
Foto di Giuseppe Romano
(copertina) Foto di Giuseppe Romano
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Nella scena più bella di uno dei migliori film argentini, Il segreto dei suoi occhi, un personaggio spiega bene cosa significa tifare per una squadra di calcio e dice una frase lapalissiana, ma densa e universale: “Una passione è una passione”. Si può cambiare casa, lavoro, religione, ma la squadra no: una passione è una passione, appunto.

Nel film si parla del Racing Avellaneda e in effetti quando si cita la passione calcistica il nostro cervello va subito all’Argentina, al Sudamerica, a realtà grandi e vibranti come il Boca Juniors. Oppure a contesti europei poco vincenti ma con tifoserie di culto come Borussia Dortmund oppure Olympique Marsiglia. Cosa diventa questa passione quando si va in provincia, in una cittadina piccolo-medio borghese che a malapena arriva a 45mila abitanti, un posto in cui d'estate in giro per il centro si incrocia solo la macchina spazzatrice? Cosa significa sostenere la squadra di una città che nemmeno è capoluogo e che il 95% degli italiani pronuncia pure male? Che vuol dire, insomma, tifare Empoli?

«Significa portare avanti un’anomalia» dice Luca, nato e cresciuto a pochi passi dallo stadio a inizio anni Novanta. Ha l'abbonamento al Castellani da quando l'Empoli – Émpoli, non Èmpoli - era allenato da un giovane Luciano Spalletti. Lo incontriamo nel momento in cui si accendono i riflettori, mentre parla della sua passione si toglie gli occhiali come i gentiluomini si toglievano il cappello di fronte alle signore. Sorride nervosamente, è la tensione pre-partita. «Empoli è quattro strade e due piazze, da fuori la gente non se ne rende conto. In Europa ci sono squadre che vengono da posti piccoli come l'Hoffenheim o il Villarreal, ma hanno alle spalle potenze economiche, qua non è così. Ci sentiamo gli ultimi esponenti di una minoranza, porteremo avanti questa anomalia finché sarà possibile».

Luca ha l'Empoli addosso, colleziona maglie degli azzurri. Mentre ci parla, veste la bianca da trasferta della nuova stagione, sembra fremere prima dell’ingresso in Maratona. La Maratona, divisa in Inferiore e Superiore, è la curva dell'Empoli, ma – ecco un'altra anomalia - è tutto fuorché una curva: si trova sul lato lungo del campo opposto alla tv, ospita gli ultras e il tifo più sentito. A due passi c'è l'Unione Clubs Azzurri, la casa di Athos, uno dei tifosi più amati dell'Empoli, autentico factotum di trasferte e memoria storica. Athos ha ottanta anni, li ha celebrati sul terreno del Castellani con una maglia dell’Empoli consegnata dal presidente Corsi. A vederlo da lontano, sembra un normale pensionato, ma è qualcosa di più: il suo sguardo si fa penetrante, è energico, i suoi occhi sorridono quando si parla dell’Empoli e del club di tifosi che presiede dal 1995. Si muove in uno stanzino tra foto di Martusciello e maglie di Cribari, panoramiche di pullman di tifosi azzurri in trasferta in C e nuovi fan dalla Germania che vogliono vedere la partita. Per lui si tifa Empoli perché «è la più piccola realtà del calcio che conta. Quando facemmo la prima Serie A sembrava qualcosa di irripetibile, ma negli anni siamo riusciti a stare con orgoglio insieme ai grandi nonostante le differenze economiche». Lì vicino passa Giuseppe, uno che ama l'Empoli talmente tanto da essersi tatuato sul polpaccio lo stemma – quello vecchio, con la Collegiata, la chiesa simbolo della città – e da indossare già la maglia nuova, nonostante sia allo store da una manciata di ore: «Seguo l'Empoli da 43 anni, è più forte di me, voglio più bene all'Empoli che a uno di famiglia». Se si chiede a Giuseppe, come a molti altri, se era allo stadio per Empoli-Roma, ultima di Serie A 2023-24 valsa una clamorosa salvezza, lui risponde con un “Certo” che ha il sapore di un «E dove dovevo essere, scusa?».

Io, per esempio, allo stadio per Empoli-Roma non c’ero. Eppure come molti empolesi ricordo le montagne russe di quel giorno. A fine maggio l’Empoli viene da una stagione balorda, in cui ha lasciato da parte il famoso bel gioco che lo aveva contraddistinto gli anni precedenti. È (era) opinione mia e di altri tifosi che l’Empoli non ce la facesse a salvarsi giocando come il Chievo, l'Udinese o il Genoa di Preziosi. Comunque all’ultima giornata è lì con Udinese e Frosinone. Per Empoli-Roma di solito il Castellani è pieno per tre quarti di bandiere e maglie giallorosse: il 26 maggio 2024, per la prima e forse unica volta nella storia, succede l’opposto. Siamo 1-1 fino al recupero. Mai in vita mia avrei pensato di vedere sul prato del Castellani nella stessa partita Destro, Caputo e Niang eppure quella sera lì succede. Mentre da Frosinone si alternano notizie deliranti - in più di una chat di WhatsApp leggo che il Frosinone ha segnato - e l’atmosfera prende una piega da film di Terry Gilliam, mentre finisco le unghie da mangiare e forse anche la speranza, mentre allo stadio il tifo si trasforma in brusio, in attesa, in qualcosa di sospeso, mentre succede tutto questo l’Empoli si salva. Niang al 93esimo spara sotto le mani di Svilar un destro potente e siamo 2-1. Empoli è in festa, lo stadio si getta in campo come negli anni Novanta. Io, sul divano, mi limito a abbracciare mio padre e andare a letto col sollievo di quando si arriva tardi in stazione, ma il treno, in ritardo, è ancora lì che ci aspetta.

Tre mesi dopo siamo di nuovo al Castellani e alla prima di campionato tremola ancora l'eco del gol di Niang. L’ho detto, l’Empoli nella sua storia si è salvato o è stato promosso con uno stile di gioco che è diventato un marchio di fabbrica: è stata una delle prime provinciali (e nemmeno fa provincia) a imporsi sulle altre, a tentare a fare la partita. Quando ha provato altro - tipo la carta Iachini o Marino - è andata male, malissimo. In definitiva, quando l’Empoli arriva in situazioni da dentro o fuori, di solito va fuori. Stavolta non è successo. «L’Empoli ha sfatato il tabù per cui non può salvarsi giocando male» scherza Luca.

Chissà, magari è proprio per questo che le persone che incontriamo per strada hanno ancora in mente il caleidoscopio emotivo di Empoli-Roma. Ma in generale è l’ultima parte di stagione a aver colpito tifosi e tifose: le vittorie al novantesimo con Sassuolo e Torino, il successo col Napoli con l’unico gol di Cerri, il pari con la Juventus e quello con la Fiorentina, ma anche le sanguinose sconfitte con Lecce, Cagliari e Bologna. L’immagine che viene più usata dai tifosi è quella del patimento. Patire, patimento, passione, pathos vengono tutte dallo stesso ceppo etimologico. Elia e Giovanni, padre e figlio, paragonano il gol di Niang a «un parto quando esce fuori il bambino dopo un giorno di travaglio, un dolore fisico». Francesco, che da trent'anni va in Maratona, ha avuto una sorta di crisi mistica: «Ero allo stadio ma ero in trance, mi sembrava di essere di fronte alla tv o sotto allucinogeni, non so spiegarlo. Dopo il gol mi ci sono voluti quindici secondi per realizzare cosa stava succedendo. Però ho capito subito che era uno spartiacque in grado di cambiare il corso del nuovo Empoli».

L'Empoli è rimasto in A per la quarta stagione di fila, non era mai successo. Lo sanno anche i bambini e le bambine che attendono il fischio d'inizio di Empoli-Monza. Ne vediamo passare molti, tutti e tutte sorridono e hanno le maglie di Caputo, Viti, Maleh, addirittura Shpendi. In effetti sono tanti i bambini e tante le bambine che tifano Empoli, in alcuni casi accompagnando l'amore per l'azzurro a quello per le grandi squadre, come succede pure a ha qualche anno in più. Per Luca però il 'doppiotifismo', evidentemente, non è un problema: «Siamo passati dalla C alla A e poi in Europa con gente che tifava Empoli e Napoli o Empoli e Juve. Non è necessario essere tanti. Chi ci tiene, resta».

Per crescere nuovi supporter azzurri Athos ha creato anni fa la 'Scuola del Tifo': va nelle elementari a insegnare a ragazzi e ragazze cosa significa tifare. Porta anche calciatori, staff e giornalisti a spiegare alle classi «non solo quanto è bello tifare solo Empoli ma anche che bisogna saper perdere, bisogna imparare a perdere. Se si perde e si butta all'aria tutto, non va bene. Qua si costruisce il futuro, bisogna accettare la sconfitta per iniziare a costruire dopo. Per fare un esempio, nell'ultima stagione c'è stato qualcosa, dall'arrivo di Nicola, che ha contagiato tutta la tifoseria con passione. Mai si è sentito un coro contro un giocatore o qualcuno allo stadio sbraitare coi calciatori, li abbiamo sostenuti fino alla fine, era un modo per crederci tutti». Una mentalità propositiva che lo accompagna da decenni, addirittura da una prima storica trasferta all'Olimpico con la Roma negli anni Ottanta: «Dopo pranzo al Foro Italico il poliziotto che doveva scortarci vide la nostra tavolata e ci fece 'Gli altri quando arrivano?', e io 'Gli altri chi?!?'. Eravamo trentasei».

Col tempo sono venuti fuori tifosi dell'Empoli in Irlanda, in Sicilia, a Praga, a Roma e in tanti altri posti, piccole anomalie da portare avanti meticolosamente. A Empoli e nell'Empolese la densità di sostenitori è ovviamente più alta. Anche se nel Giro (il centro storico empolese) non si vedono molte bandiere, la passione c'è appena si arriva al Castellani, recentemente rinominato anche Computer Gross Arena. La proiezione identitaria con la città è forte, lo testimoniano i rimandi sulle maglie: il vecchio stemma con la Collegiata, la nuova away di Kappa che richiama sempre i marmi della Collegiata, la third coi graffi del leone che campeggia nella fontana in centro. L'inno azzurro cantato da Andrea Maestrelli, la canzone più indie possibile per rappresentare una squadra di calcio, a un certo punto dice «non esiste vittoria senza identità».

C’è un forte attaccamento al territorio, anche dagli empolesi di seconda generazione, figli e figlie di tanti operai arrivati quarant'anni fa dal sud o dall'estero a lavorare in un florido settore industriale: ceramica, vetro, abbigliamento e poi la Sammontana, la Sesa e altro ancora. A Empoli «si vive bene». Qualcuno l'ha definita «l’unica città della Brianza in Toscana» proprio perché molto votata al lavoro. Empoli però è anche la città medaglia d'oro al Merito Civile per la Resistenza e trasuda politica da ogni angolo, pure in Maratona, dove oltre alla bandiera della Palestina, campeggia durante Empoli-Monza la gigantografia di Carlo Castellani: l'anniversario degli ottanta anni della sua uccisione a Mauthausen cadeva pochi giorni prima del match. Lo stadio Castellani è l'unico in Italia tra i professionisti dedicato a un calciatore deceduto nei campi di concentramento.

Esiste dunque una sorta di empolesità, se così possiamo chiamarla. Andrea ha poco più di trent’anni, è un altro tifoso agguerrito degli azzurri. Per lui i giorni feriali sono solamente il tempo che separa una partita dall’altra. Andrea questa empolesità la incarna piuttosto bene: «Sono nato a Empoli, sono cresciuto a Empoli, mio figlio è nato a Empoli. Cos'altro dovrei tifare? Avevo 5-6 anni e giocavo in una squadra di quartiere, ci portavano a vedere l'Empoli e l'amore è sbocciato subito. Tifare Empoli è qualcosa di unico. Significa essere piccoli pesci in un oceano, ma il piccolo pesce riesce a stare insieme agli squali». Siamo empolesi, siamo per l’Empoli. Un discorso che fila e che, per quanto banale, i tifosi non riescono neppure a spiegare: è così e basta. Hanno tutti le idee chiarissime, anche chi non ha neppure vent’anni, come Chiara e Vittoria, ma va in Maratona da tutta la vita: «Tifiamo Empoli perché è casa, è un onore essere tifose della città in cui siamo cresciute».

Essere per le grandi è scontato, essere piccoli è motivante. Sembra la famosa scena di Nanni Moretti che si trova meglio in una minoranza. Non c’è posa, posso garantirlo: a Empoli e nell’Empolese Valdelsa in molti sono così, sembrano stare sulla difensiva ma in realtà sono solo attaccatissimi alla loro zona. Un'identità che si tramanda di generazione in generazione, come per Giuditta, abbonata ventennale: «Il mio babbo tifa Empoli, ha trasmesso la passione a me e mio fratello. Certo, tifare una piccola è complicato e frustrante, spesso doloroso, ma il forte senso di appartenenza fa sì che le poche gioie siano più grandi dei dolori. Non vedo che altra squadra potrei tifare, ecco». Sentirsi soli in una grande città fa più male che dalle mie parti, dice il cantautore toscano Lucio Corsi, e quindi può esser vero anche il contrario: sentirsi uniti, un gruppo, in un luogo piccolo è in grado di intensificare ogni buona sensazione. Credo che essere tifosi dell’Empoli - così come forse di una provinciale in generale - sia appunto questo: sentirsi parte assieme agli altri di uno spazio minore, se si vuole liminale e indefinibile, in cui ogni emozione positiva è amplificata, ogni traguardo è festeggiato di più anche se da meno persone.

Perché a Empoli i tifosi, spiega di nuovo Francesco, sono pure in grado di cambiare le stagioni: «Per me il merito della salvezza dell'anno scorso, al di là di mister Nicola, è proprio dei tifosi. La stagione è stata depressiva, a gennaio con 13 punti avevo fatto la bocca a retrocedere. Dopo lo 0-3 col Milan uno dei capi ultrà disse 'quest'anno va così e noi dobbiamo essere gli ultimi a arrenderci'. Ho capito che qualcosa stava cambiando quando Baldanzi ha segnato il gol del pareggio con la Juventus allo Stadium, lì è nato un nuovo gruppo, una nuova sensazione. Nicola poi ha riconosciuto questo entusiasmo, basti pensare ai mille in trasferta a Udine, numeri incredibili per Empoli. I tifosi hanno dato quel qualcosa in più, ne sono certo. Penso che si debba ripartire da qua, da questa sliding door, come dopo il playout di B Empoli-Vicenza in cui ci salvammo all'ultimo secondo, poi arrivò Sarri e si percepì un'aria nuova per le vie del centro».

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La Nuova Stagione è un progetto realizzato in collaborazione con Kappa. Il video è di Edoardo Bandiera, tutte le foto sono di Giuseppe Romano.

L'entusiasmo è un ingrediente nuovo in una città che fa della quiete il suo marchio di fabbrica anche calcistico. “Nel bene e nel male”, aggiunge Luca, “perché questo ambiente innaturalmente tranquillo fa bene ai giovani ma alle volte fa mancare la spinta in più. Però questo non ci toglie grandi soddisfazioni, tipo il 4-1 alla Juventus, che meriterebbe più fama”. I calciatori scelgono di tornarci, vedi Maccarone o Caputo o Tavano o, recentemente, Viti e Tonelli. Empoli è come i film di Paul Thomas Anderson: in uno c'è Phillip Seymour Hoffman che fa il giovane sbarbatello e in un altro interpreta il capo di una setta. A Empoli è uguale: arrivano da calciatori, tornano da allenatori; crescono nelle giovanili, tornano da calciatori esperti; fanno il record di gol (come Tavano) e poi li ritrovi a fare i vice dell'Under 16 (come Tavano). E non è raro vederli in centro a far compere o a bordo campo al torneo giovanile dell'Oratorio, sentitissimo in città. C'è chi andava a fare colazione nel bar dove sapeva di trovare Buscè, chi sceglieva il parrucchiere in centro perché ci aveva visto passare Marchisio. Per non parlare di calciatori storici tipo Daniele Croce, che durante il Covid fece una donazione per sostenere un centro sociale locale, il biglietto per l'immortalità nella testa dei tifosi. Gli stessi tifosi che amano e idolatrano Davide Nicola e il gruppo della salvezza 2024.

Ora però è cambiato tutto. Accardi e Nicola sono andati via come molti giocatori, c'è Gemmi come ds e D'Aversa in panchina. La stagione 2024-25 inizia con cauto ottimismo. L'entusiasmo fuori dallo stadio, per la prima giornata, è alto nonostante la sfida con il Monza arrivi poco dopo Ferragosto, quando tutti in città hanno abbandonato le villette in centro e in periferia e sono andati in vacanza a Follonica, Donoratico o chissà dove. Le due squadre danno vita a un balneare e italianissimo zero a zero, come se fosse ancora troppo presto per stressarsi. La stagione è lunga, la lotta salvezza ancora di più.

L'unica certezza “è il patimento”, come affermano Moriana, Raffaele e Jacopo, famiglia di abbonati storici: «Noi s'ha da patire più dell'anno scorso, anche se lì alla fine n'è valsa la pena. C'è un nuovo sentimento adesso». Si avverte, inoltre, la sensazione furba di poter essere sottovalutati per l'ennesima volta, proprio perché la realtà di Empoli, quantomeno fuori da Empoli, viene snobbata. Se non è calciomercato, Empoli viene relegata alle stesse tre-quattro frasi che vanno bene per ogni stagione: i giovani, la piazza tranquilla, le plusvalenze e stop. Invece la città piccola ha l’orgoglio enorme, specie se nelle famose ‘griglie’ pre-stagione gli azzurri vengono messi agli ultimissimi posti. «Sono fiducioso, è una di quelle stagioni che amo, ovvero in cui c'è molta sfiducia nei confronti della squadra e sembra che non siano stati fatti gli acquisti in grado di rendere le cose semplici. Sono le situazioni in cui l'Empoli dà il meglio» è il credo di Andrea.

Quando arrivi a un passo dal baratro e sopravvivi, hai una spinta in più. Perciò in molti guardano al futuro con un briciolo di spensieratezza. La scia del friccicore di Empoli-Roma non si è placata, neppure dopo lo zero a zero col Monza. Ci sono nuovi amori per nuovi giocatori, e l’affetto per i vecchi. Colombo, Esposito, Solbakken sembrano scaldare gli animi dei supporter empolesi, che comunque stravedono ancora per il totem Ciccio Caputo. Sette mesi fa queste persone le avremmo viste fuori dallo stadio col volto pesto e una fiammella di speranza negli occhi. Oggi sorridono, scherzano, cercano le macchine fotografiche, indossano le nuove maglie di Kappa e baciano lo stemma. Athos si aggrappa alla razionalità: «Può esserci l'onda lunga dell'entusiasmo avuto con Nicola. Spero in bene con D'Aversa, così come spero che possa essere l'anno di Fazzini, uno dei gioielli di casa. Per la salvezza sarà difficile, ci mettono sempre tra i retrocessi. Il nostro sogno non è vincere ma salvarsi». Francesco, infine, tira fuori un adagio dello storico presidente Silvano Bini: «Bisogna trovare tre più bischeri di noi, poi siamo a posto».