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La posta de l'Ultimo Uomo, v. 1
10 apr 2015
Arriva LPDUU, in cui rispondiamo alle domande che ci avete fatto. In questa puntata calcio senza fuorigioco, Phoenix Suns, Fair Play Finanziario, calcio ungherese, serie tv e una barzelletta.
(articolo)
19 min
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Con questo pezzo inauguriamo una rubrica innovativa nella quale rispondiamo alle domande dei lettori. Avete domande sul vostro giocatore o sulla vostra squadra del cuore, volete condividere i vostri dubbi esistenziali e le frustrazioni? Siamo qui per rispondere. Scriveteci a ultimouomomailbag@gmail.com.

Una domanda per la redazione calcistica: come cambierebbe il calcio se venisse abolita la regola del fuorigioco?

Grazie,

Giacomo

Risponde Daniele Manusia

Ciao Giacomo, grazie per la domanda, che tocca un argomento di fondo a me caro. Il calcio è uno sport conservatore, e ok, ma come rimborsare tutti quelli che hanno dovuto sorbirsi anni di un calcio in cui si poteva passare la palla indietro al portiere e fargliela prendere con le mani? Penso a come devono essersi sentiti quando hanno visto la prima partita con la regola che vieta il retropassaggio: «Ah, già. Così è molto meglio in effetti». Si sono sentiti stupidi? E se tra vent'anni, in un mondo senza fuorigioco, ci sembrerà di aver accettato per anni una regola stupida senza battere ciglio?

Cominciamo chiedendoci cos'è il fuorigioco. Anche se funziona così per ogni regola, più o meno, il fuorigioco oggi come oggi serve a decidere se un gol è valido oppure no a seconda se un dito o un pezzo di piede di un giocatore si trovano più avanti rispetto alle sopracciglia o al ginocchio di un altro. E poi, con tutto il rispetto per i guardalinee, non credo sia umanamente possibile guardare il momento in cui parte il pallone e contemporaneamente più giocatori su un asse immaginario e contemporaneamente correre veloce quanto i giocatori, accelerare quando accelerano, frenare quando frenano. Se il fuorigioco non esistesse e qualcuno ce lo spiegasse così gli rideremmo in faccia.

L'origine risale probabilmente alle "Cambridge Rules" del 1856 e il fuorigioco simile a quello che si usa adesso è diventato ufficiale nel 1925. Prima ogni scuola calcistica faceva come gli pareva e a Sheffield c'era il problema dei giocatori che restavano fermi vicino alla porta. Quindi stiamo parlando di una misura presa per evitare che attaccanti ciccioni restassero in area aspettando il lancio lungo.

A Roma giochiamo senza fuorigioco a calciotto tutte le settimane e raramente vedo attaccanti fermi davanti. Per più ragioni: 1) nessuno può permettersi di difendere in inferiorità numerica; 2) anche il miglior giocatore della squadra è quasi irraggiungibile se isolato nella metà campo avversaria, e marcato, ovvio, perché gli altri non dormono; 3) anche a livello amatoriale si tiene sempre più conto della tattica e tenere le squadre corte è un'esigenza indipendente dal fuorigioco.

In Scozia, negli anni Settanta, hanno provato a modificare la regola limitandola agli ultimi venti metri di campo. Tra il centrocampo e l'area avversaria campo libero. In questo modo però le squadre si sono allungate limitandosi al lancio lungo e l'esperimento è stato abbandonato. Per me si potrebbe provare al contrario: eliminando il fuorigioco negli ultimi metri. Non capisco che male c'è in un attaccante che parte in anticipo rispetto al suo marcatore, se è negli ultimi metri, escludendo i ciccioni tecnici che entrano in campo con lo sgabellino da museo.

Ecco una partita del 1975 con l’addizionale linea di fuorigioco ben visibile. Forse sarebbe stata la più consistente innovazione introdotta dagli Scozzesi dopo gli uomini in gonna.

Ma io sono per la sperimentazione sempre e comunque, ricordati Giacomo che il sole si spegne prima o poi e la nostra vita non ha senso. Quindi sarei anche curioso di vedere come se la cava una squadra che sparge i giocatori su tutta la lunghezza del campo tipo Calcio Fiorentino, contro una squadra di prima fascia organizzata tatticamente per restare corta e aggredire gli spazi. Secondo me la prima si deve adattare alla seconda.

È vero anche che una partita tra due squadre con i giocatori fermi in attesa del lancio è la cosa peggiore che riesca a immaginare dopo quelle partite tutte di retropassaggi al portiere che si sono sorbiti i nostri genitori (e un po' anche noi). In quel caso proporrei però due regole aggiuntive: 1) i giocatori lontani dalla palla possono farsi le prese di Judo; 2) la palla ufficiale deve essere quella del Beach Soccer, così si lancia meglio e si fanno solo acrobazie (forse va anche alzata l'erba del campo per evitare che si facciano troppo male).

Caro Giacomo, spero di aver risposto alla tua domanda in modo completo. Non escludo che un giorno preparerò una conferenza in tema, mi riservo il diretto di privarti della privacy per mandarti un invito via mail, quando sarà.

Tuo,

Daniele

Ciao ragazzi, complimenti per il blog.

Seguo soprattuto la parte sportiva ed in particolare quella sul calcio e siete forti. Volevo chiedere un consiglio per quanto riguarda le serie tv; ho appena finito di vedere la prima stagione di True Detective e ne sono rimasto estasiato, forse complice il fatto che ora come ora sembra oro tutto ciò che tocchi Matthew McConaughey (sono curioso anche di vedere come sarà la seconda stagione senza di lui). Inoltre, ho finito, seppure con ritardo, anche l'amata How I Met Your Mother. Chiedevo quali altri serie tv, sul genere delle due sopracitate, sono in grado di narrare una vicenda poliziesca, oppure una semplice amicizia, senza limitare il senso della storia alla ricerca di un colpevole o alla riuscita o no di una battuta. In poche parole cercavo serie che usassero la vicenda come semplice pretesto per far emergere e valorizzare personalità interessanti, stravaganti o frivole/divertenti (stile Barney Stinson) ma allo tesso tempo ben costruite.

Ciao, grazie per l'attenzione.

Dario

Rispondono Timothy Small e Arnaldo Greco

Tim

Io purtroppo non posso fare altro che dire il tipico e ormai noioso «Guarda tutto The Wire, Sopranos e Breaking Bad». Poi consiglierei anche la miglior serie tv in onda oggi: The Americans. Ovviamente sono tutte serie più lente e "noiose" di True Detective con la sua combo di sesso + omicidi satanici + McConaughey in sei ore.

Arnaldo

Allora, io ho questa teoria, che è meglio guardare le cose che vanno ora in onda piuttosto che recuperare il passato. Quindi mi concentrerei sul mettermi al passo con quello che c'è già. E concentrerei un corso di recupero in un paio di folli weekend. Ecco, per esempio 80 episodi di Sopranos, non so se ne valga la pena. Non che non sia bello. Ma con chi ne parli, oggi, dei Sopranos? A che ti servono? Il piacere di vedere una cosa bella secondo me non basta. Meglio guardare una cosa di cui si parla.

Tim

Continuo a sostenere che The Wire sia la miglior cosa mai messa su pellicola da un gruppo di esseri umani da quando esiste la pellicola, però se l'importante è parlarne con la gente allora non è consigliata per niente perché ti assicuro—e te lo assicuro per esperienza personale—che essere il tipo che interviene nelle conversazioni su 1992 dicendo "Ma non è niente! Non avete visto The Wire?" tende a renderti molto poco simpatico.

Quindi boh, diciamo di guardare 1992 e Game of Thrones? Anche se ripeto: The Americans è la miglior serie in tv oggi come oggi.

Arnaldo

Aggiungerei West Wing e Studio 60 (almeno una comedy, non le mette mai nessuno nelle classifiche all time le comedy). Altrimenti direi di esaurire Episodes, The Jinx, Empire, The Affair, Game of Thrones, The Walking Dead, Better Call Saul, The Americans.

Tim

Siamo d'accordissimo su The Americans, GoT, Empire e Better Call Saul. Personalmente Episodes non mi fa ridere, e non amo The Walking Dead coi suoi attori da straight-to-video. The Affair non so perché ti piaccia, mi sembra l'equivalente televisivo del voler epater la bourgeoisie, però mirando ad una bourgeoisie che si epatizza davvero facilmente, una bourgeoisie americana, del Mid-West degli anni '50. Poi francamente vedere due persone star un po' male perché si fan le corna per dieci ore, boh, non so se lo consiglierei al giovane, considerando poi che dall'altra parte c'è la Guerra Civile di Westeros con i Draghi e la gente che si prende a spadate in faccia.

Quindi rimaniamo con:

The Americans

Game of Thrones

Empire

Better Call Saul

Io aggiungerei anche Justified, Gomorra, e forse anche 1992 perché a me personalmente diverte molto insultare Stefano Accorsi nella tv come se fossi una bimba di due anni che sbraita ordini a Dora The Explorer, solo con gli insulti al posto dei consigli.

Che ne dici?

Arnaldo

Se ti piace True Detective puoi "sopportare" di tutto. OK, sulla lista finale, anche se forse due italiane sono troppe, meglio solo Gomorra. Sogno che qualcuno ci chieda solo di comedy.

P.S. Non sono un grande fan di The Affair, ma quello che dici potrebbe essere detto anche di The Americans a questo punto.

Tim

In The Americans, non meno di quattro puntate fa, hanno ucciso una tipa in una camera d'albergo e le hanno spaccato tutte le ossa per farla stare in una valigia.

E con questa, saluto il caro Dario!

Arnaldo

Hai fatto bene a dirlo, perché l'ultimo consiglio che posso dargli pure io è: fregatene degli spoiler.

Ciao Dario!

La mia, più che una domanda, è una supplica: siccome frasi come "eh, ma con tutti i soldi che spendono", "eh, ma col budget illimitato", "eh, ma il fer plai vale sl x le itaglianeeeee!!!11!!1!1!" le odio quasi quanto le polemiche su un presunto fuorigioco di 4 cm, potreste scrivere un pezzo che illustri con chiarezza e semplicità il funzionamento del Fair Play Finanziario?

Solo voi potete farcela a salvare il mondo dalla stupidità di certi commenti.

Guido

Risponde Dario Saltari

Caro Guido,

Non pensavo di poter arrivare a salvare il mondo dalla stupidità in questo modo, ma eccoci qui. Innanzitutto, il Financial Fair Play: dove, come, quando e perché.

Dove. Il FFP si applica a tutti i club qualificati in competizioni UEFA, come la Champions League e l’Europa League.

Come. Le sanzioni del FFP scattano in due casi: quando un club non è in regola con i pagamenti (che siano agli altri club, ai propri giocatori o alle autorità fiscali del proprio paese); quando un club presenta un deficit superiore ad una certa soglia. Ogni anno il Club Financial Control Body (l’organo finanziario della UEFA) controlla i conti di tutti i club qualificati alle competizioni europee prendendo in considerazione un periodo di tre anni: l’anno della stagione in corso più i due anni precedenti (quindi per la stagione 2015/16, ad esempio, si prendono in considerazione i conti del 2015, 2014 e 2013). Teoricamente il club viene punito se nell’arco di questi tre anni ha accumulato un deficit complessivo superiore ai 5 milioni di euro. Dico teoricamente perché è lo stesso FFP a prevedere delle eccezioni. La soglia di deficit massimo è stata alzata a 45 milioni per le annate 2013/14 e 2014/15 e a 30 milioni per le annate 2015/16, 2016/17 e 2017/18. Non è ancora stato stabilito quando questo livellamento graduale arriverà ai fatidici 5 milioni.

Parliamo di deficit quando le uscite di un club superano le sue entrate (nota bene: deficit e debito non sono la stessa cosa). Inoltre, nel conteggio del FFP non vengono incluse alcune uscite specifiche come le spese per il settore giovanile e quelle eventuali per attività di promozione sociale. Le sanzioni applicabili sono diverse a seconda della gravità dell’infrazione commessa: la più lieve è il semplice avvertimento, la più grave il ritiro di titoli e premi. In mezzo troviamo tutta una serie di sanzioni intermedie come multe, penalizzazioni, restrizione delle liste giocatori per le competizioni UEFA, squalifica o esclusione dalle coppe europee.

Quando. È stato ideato nel settembre del 2009 dal Club Financial Control Body. È entrato in vigore a partire dalla stagione 2011/12 ma ha iniziato a dispiegare completamente i suoi effetti solo a partire dalla stagione 2013/14.

Perché. È lo stesso FFP ad elencare le sue finalità (all’articolo 2, se interessa approfondire si può trovare l’intero testo qui). Cito quelle che mi sembrano più significative: «Per adattare le infrastrutture sportive dei club in modo da fornire a giocatori, spettatori e giornalisti strutture adeguate, ben attrezzate e sicure», «per proteggere l’integrità e il regolare svolgimento delle competizioni europee», «per migliorare le capacità finanziarie ed economiche del club, aumentandone la trasparenza e la credibilità», «per introdurre maggiore disciplina e razionalità nelle finanze dei club», «per proteggere la fattibilità e la sostenibilità del calcio europeo nel lungo periodo».

I commenti stupidi. Fino ad oggi nessuna squadra italiana è stata penalizzata o multata dall’UEFA per motivi legati al FFP. Gli unici esempi nostrani sono l’Inter e la Roma, che da un anno a questa parte sono state messe sotto osservazione. L’anno scorso si alzò un gran polverone perché il Parma fu escluso dall’Europa League a causa di un’evasione fiscale da circa 300mila euro mentre squadre come il Manchester City e il PSG entravano in Champions League con deficit a sei zeri. Ma la decisione di escludere il Parma (lungimirante, con il senno di poi) fu presa dalla FIGC, che emette le licenze per conto della UEFA, e non ha nulla a che vedere con il FFP. Manchester City e PSG, dal canto loro, hanno ricevuto una multa dal Club Financial Control Body della UEFA che comprende 60 milioni di euro, rose ridotte a 21 giocatori nelle coppe europee e due anni di restrizioni su calciomercato e monte ingaggi. Non è vero quindi che il FFP vale solo per le squadre italiane.

È vero, invece, che gran parte dei club europei può spendere di più delle squadre italiane (ad esclusione della Juventus) e che questo si rifletta inevitabilmente sui risultati. Il calcio italiano è in grande sofferenza economica, ma questo non ha nulla a che vedere con il FFP. I Problemi Sono Ben Altri™ ed hanno a che fare con gli stadi di proprietà, l’incapacità di attrarre capitali dall’estero e una classe imprenditoriale non all’altezza (per approfondire il tema c’è questo bell’articolo di Fulvio Paglialunga).

Un saluto,

Dario

Buongiorno a tutti voi. Vorrei sapere qualcosa sul calcio ungherese e sulla crisi da incubo che lo attraversa da ormai trent'anni sia in ambito di Squadra nazionale che di club. C'entra qualcosa l'interesse della nazione per la pallanuoto? Come spiegate l'assenza di talenti veri dai tempi di Detari? Grazie mille!

Stefano

Risponde Fabrizio Gabrielli

Carissimo Stefano,

sai cosa scriveva il grande (e peraltro ungherese) Sándor Márai nel suo Le braci? «Noi siamo ciò su cui manteniamo il silenzio». Come spesso accade con la letteratura enorme è una frase che può tornarci utile per descrivere molte cose, tra cui lo stato dell'arte del calcio ungherese. Dobbiamo solo ribaltare il paradigma: non siamo ciò di cui parliamo spesso, anzi sempre, addirittura fin troppo.

Non so se con la crisi calcistica in Ungheria c'entri qualcosa la passione per la pallanuoto, o anche per il kayak, discipline nelle quali lo sport magiaro eccelle: può darsi. Ma se c'è un nemico del calcio, piuttosto, in Ungheria indovina chi è. È il calcio stesso. L'Ungheria non si qualifica a un Mondiale dal 1986, e a un Europeo dal 1972. Cioè da quando c'era ancora il Muro di Berlino, la contrapposizione tra blocchi, la Guerra Fredda. L'highest-peak recente è stato il playoff per qualificarsi a Francia 98: contro la Jugoslavia ha rimediato un aggregato di 12-1, che è stato un po' il canto del cigno del calcio magiaro.

Tu sei là, tutto convinto di potertela giocare ad armi pari, e poi ne pigli sette in casa. (Al ritorno altri cinque, ma in trasferta ci può stare).

Il primo ministro in carica Viktor Orbán è stato eletto nel maggio del 2010: Fidesz, il suo partito, ha accatastato il 70% dei voti. Orbán è un grande appassionato di calcio, con una carriera abbastanza anonima nella squadra della sua cittadina, Felcsút, con la quale ancora oggi, se gli capita, scende in campo. A neppure un anno dalla sua elezione si è recato in visita ufficiale a Zurigo, alla FIFA, dove ha incontrato Sepp Blatter come si incontrano i capi di stato. Quel giorno ha detto: «Il calcio è uno strumento formidabile per la formazione dei giovani, per la loro educazione. È uno sport che veicola valori importanti per la società, permette a una nazione di sentirsi unita». Il rendez-vous con Blatter ci dice molte cose di Orbán, ma ne urla soprattutto una: il calcio a volte può essere uno strumento attraverso il quale fare politica.

Orbán, nel lustro che è passato dal suo insediamento—ma soprattutto nel periodo in cui non ha governato, ovvero in quella parentesi tra il 2002 e il 2010—ha dato pieno fondo al più becero dei nazionalismi (uno degli ingredienti che, insieme alla penicillina e alle canzoni di Natale di Bing Crosby, ha contribuito a rendere l'uomo del XX secolo un uomo peggiore) anche e soprattutto calcistico.

Tutta la sua politica, essenzialmente, ruota attorno al recupero di simboli pre-sovietici: bandiere storiche, l'idea di una Grande Ungheria dentro e fuori dal campo, il culto dell'Aranycsapat, la Squadra d'Oro. D'altronde «il calcio non ha senso al di fuori dei concetti di onore e orgoglio nazionale». Una malattia per la quale, chiari i sintomi, non è difficile elaborare una diagnosi: Puskásite.

Si è prodigato per riportare a Budapest, da Madrid, tutta una serie di reliquie di Ferenc Puskás; ha proposto e ottenuto che al termine dei lavori di ristrutturazione il Népstadion, lo storico stadio della capitale, venisse intitolato a Ferenc Puskás; l'accademia giovanile fondata nel 2007 nella sua città natale, che funge da satellite al Videoton, non c'è bisogno di dire come si chiami: Ferenc Puskás Academy.

Ma non si guarda solo al passato, nei palazzi del potere ungheresi: nel 2010 è stato lanciato un piano di ammodernamento—accompagnato da una serie di misure che puntano a tener fuori dagli stadi tifoserie notoriamente calde, come quelle del Ferencváros, con restrizioni e innalzamento dei prezzi d'ingresso—che prevede la costruzione o la miglioria di 33 stadi, di cui uno nel paese natio del Primo Ministro, la Pancho Arena di Felcsút, con una capienza il doppio della cittadinanza, la cui costruzione ha dato impiego praticamente a tutto il paese, come doveva succedere nel Medio Evo per le cattedrali.

Il piano dovrebbe compiersi entro il 2018, con il sogno neppure troppo velato di poter ospitare un Europeo o ancora meglio una finale di Champions League. Difficile che possa arrivarci una squadra ungherese, comunque: negli ultimi vent'anni sono state solo due le squadre che vi hanno partecipato, con risultati peraltro modestissimi.

Anche il sistema di accademie giovanili sembra fare acqua da tutte le parti: nel 2013 la MLSZ, la Federazione nazionale, ha commissionato alla società belga Double Pass un lavoro di rating delle accademie. Il verdetto è stato devastante: metodi d'allenamento difformi, dilettantismo diffuso, mancanza di software moderni, tecniche obsolete. La Puskás Academy, a detta di Orbán una delle migliori dieci accademie giovanili d'Europa, si è classificata in patria nona su dodici. Il futuro appare tutt'altro che entusiasmante.

Ma allora che senso ha costruire stadi mastodontici se il livello tecnico medio dei giocatori è pessimo? Chi dovrebbe riempirli, di preciso, quegli stadi? Nel 2009, alla Coppa del Mondo U-20 disputata in Egitto, l'Ungheria si è classificata terza: in quella squadra c'erano Kiss, l'autore del Goal of the Tournament; il portiere Gulacsi e il centrocampista András Simon, acquistati dal Liverpool ma scaricati in seguito a squadre sempre meno blasonate; c'era Németh, che oggi gioca nella MLS con lo Sporting Kansas City (allenato da Peter Vermes, che in Ungheria ha giocato negli anni '90); c'era l'ex doriano Koman. Dorifori di una (l'unica, almeno in tempi recenti) possibilità di redenzione del calcio magiaro, sono tutti sprofondati in una aurea mediocritas dignitosa ma lontanissima dalle oniriche visioni di Orbán.

Neppure Balázs Dzsudzsák (qua a segno contro i cugini della Romania) sembra essere in grado di poter competere, per portata mitopoietica, con Lajos Détári: quanta nostalgia, vero? Per questo ti saluto con le sue reti nell'ultima stagione italiana, all'Ancona: quelle contro Napoli e Inter sono le mie preferite, spero anche le tue.

Saluti,

Fabrizio

Ma perché Phoenix ha praticamente smontato la squadra nell'ultima sessione di mercato? Abbiamo perso Dragic e ok, non si poteva evitare. Ma perché farlo senza ottenere praticamente niente in cambio, visto che, mi par di capire, se vorremo tenere Knight a fine stagione dovremmo accollarci il suo contratto molto pesante? E poi perché cedere anche Thomas e le scelte, per quanto protette, dei Lakers nei futuri Draft? Non avremmo fatto i PO neanche quest'anno, ok, ma così mi sembra davvero una situazione senza prospettive, visto che ormai non c'è neanche tempo per tankare.

Dario

Risponde Dario Vismara

Gente molto più intelligente di me ha risposto ad alcune delle tue domande, tra cui il GM di Phoenix, per cui ti rimando a questo pezzo. Per rispondere più precisamente alle tue domande: per Dragic non è arrivato nulla nell’immediato ma moltissimo in futuro, vale a dire la prima scelta 2017 (protetta top-7) e quella del 2021 senza alcuna protezione, un avvenimento più unico che raro negli ultimi anni di NBA. Sono due asset decisamente importanti, sia nel caso si tramutino in un giocatore sia che vengano messi sul mercato per raggiungere altro. Per la situazione in cui si sono trovati—ovverosia con Dragic che gli ha puntato una pistola alla tempia con le sue esternazioni—se la sono cavata egregiamente. La trade di Isaiah Thomas—che evidentemente non si era fatto molti amici nello spogliatoio—ha portato ad una scelta 2016 dei Cavs (protetta-10), che comunque fa comodo.

Le varie angolature sotto cui guardare quanto gli Heat ci hanno guadagnato prendendo Dragic. Per infierire.

La scelta di sacrificare un asset enorme come la scelta dei Lakers (che magari non arriverà quest’anno, ma sarebbe diventata protetta top-3 l’anno prossimo e quello dopo) è quella più controversa, soprattutto per arrivare a un giocatore buono ma non eccezionale come Brandon Knight, che in estate comanderà un contratto dai 10 milioni in su (ma se lo possono permettere). Chiaro, Knight ha solo 23 anni, ha tutte le caratteristiche giuste per affiancare Bledsoe e si integra bene al nucleo di giocatori giovani che Phoenix ha già a roster, mentre un eventuale rookie di primo grido avrebbe fatto più fatica ad affermarsi in questa squadra piena di gente piuttosto suscettibile (Bledsoe, P.J. Tucker e i gemelli Morris hanno accumulato 42 falli tecnici quest’anno e giocano con un nervosismo inspiegabile).

Evidentemente i Suns hanno pensato di capitalizzare ora quella scelta dei Lakers su un giocatore che adorano come Knight (che purtroppo ha avuto problemi fisici e ha giocato solo 11 partite a Phoenix) piuttosto che ritrovarsi l’anno prossimo con dei Lakers quasi decenti e una scelta a metà primo giro. Come ogni mossa in NBA, c’è bisogno di tempo per capire se ne è valsa la pena o no. Al momento, visto che sono ufficialmente fuori dai playoff, quest’ultima non pare un granché.

Andrea chiede una barzelletta a Tim Small, ed eccolo accontentato.

Caro Andrea,

Con grande piacere.

Un cleptomane, un ninfomane, un piromane, un sadico, un assassino, un necrofilo e un masochista sono assieme mentre fumano una sigaretta nel cortile di un ospedale psichiatrico. Sono in silenzio. Dopo pochi istanti passa un gatto. Il cleptomane dice, «Rubiamo quel gatto». Il ninfomane dice, «Rubiamo quel gatto e scopiamocelo». Il piromane dice, «Rubiamo quel gatto, scopiamocelo, e bruciamolo». Il sadico dice, «Rubiamo quel gatto, scopiamocelo, bruciamolo, e massacriamolo di botte». L'assassino dice, «Rubiamo quel gatto, scopiamocelo, bruciamolo, massacriamolo di botte e uccidiamolo». Il necrofilo dice, «Rubiamo quel gatto, scopiamocelo, bruciamolo, massacriamolo di botte, uccidiamolo e poi scopiamoci di nuovo». Il masochista dice, «Miao».

Saluti,

Tim

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