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La posta de l'Ultimo Uomo v. 6
02 feb 2016
La sesta puntata de LPDUU, in cui rispondiamo alle domande che ci avete fatto. In questa puntata: giornalismo sportivo e numeri, perché siamo delusi da De Sciglio, Aaron Ramsey è il miglior box-to-box al mondo, la depressione di Hernanes e il perché i giocatori scelgono di indossare la fascia di capitano su un determinato braccio.
(articolo)
20 min
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Ecco la sesta puntata dell’originale e innovativa rubrica nella quale rispondiamo alle domande dei lettori. Avete domande sul vostro giocatore o sulla vostra squadra del cuore, volete condividere i vostri dubbi esistenziali e le frustrazioni? Siamo qui per rispondere. Scriveteci a ultimouomomailbag@gmail.com.

Data Journalism, come andiamo?

Ciao,

sono un vostro fedele lettore. Siete tra le poche testate capaci di abbinare i longform con il data journalism sportivo, creando un ibrido che probabilmente cambierà il giornalismo dei prossimi anni. Volevo chiedervi come i dati potranno cambiare il giornalismo sportivo e se l'uso dei dati negli articoli diventerà una cosa di nicchia o può generalizzarsi all'interno dei quotidiani. Complimenti per il lavoro svolto.

Elio

Risponde il direttore, Daniele Manusia

Ciao Elio, anzitutto non sono sicuro, come dici te, che le statistiche e gli indici cambieranno il giornalismo dei prossimi anni. Primo perché mi sembra che il giornalismo italiano (perché se parliamo di FiveThirtyEight è un discorso diverso) stia cambiando sotto la spinta di altre urgenze (di mercato ma non solo) e l'utilizzo dei dati è solo una parte del contesto più generale. E non è detto che se ne faccia, ora o in futuro, l'uso corretto. Ad esempio per me non è l'ideale l'utilizzo che se ne fa sui quotidiani: come decorazione, con pagine di infografica che risparmiano un po' i polpastrelli dei giornalisti ma che non aiutano il lettore a interpretare i numeri stessi; ma anche le interpretazioni dei giornalisti sono spesso lacunose, come minimo ingenue, se non addirittura in mala fede.

Ormai sono anni che ne parlo e ho sempre detto che si tratta di uno strumento in più, che non si sostituisce all'osservazione diretta del giornalista, ma vedo che per alcuni i numeri sono uno strumento per confermare le proprie idee. Mentre per altri sono inutili, astrazioni in opposizione a... boh... una semplice opinione su chi meritava di vincere? Lo stesso vale per la tattica, sento sempre meno delle critiche che venivano fatte anni fa, ma in molti hanno fatto un salto troppo lungo, in sostanza senza farsi troppe domande. Ma mancano comunque molte cose per far avanzare ulteriormente la cultura dei numeri nella scrittura sportiva italiana, anzitutto la disponibilità dei numeri stessi: tieni conto che per chi vuole studiare modelli o indici (esempio: gli Expected Goals) c'è bisogno di lavorare su una grande quantità di dati “grezzi”, cioè non interpretati già all'interno di categorie di un sito o di un altro articolo. Manca poi la competenza specifica: molti scrittori di calcio competenti non hanno dimestichezza con i numeri, molti statistici non hanno sensibilità sufficiente per andare oltre un'analisi fine a se stessa. Ci sono eccezioni e se non altro è un bene che i numeri si siano fatti largo perché questo tipo di competenze specifiche si formeranno spontaneamente. Quindi sì, spero che un giorno avremo un utilizzo dei numeri non solo deduttivo, che dai numeri possa arrivare anche qualche interpretazione nuova che modifichi la nostra osservazione delle cose.

Però, e qui rispondo all'ultima parte della tua domanda, credo che il discorso della nicchia sia indipendente. Sui quotidiani, come detto, i numeri sono usati come risorsa esterna, sono pochi i giornalisti “con tesserino” ad aggiornarsi e ancora meno quelli disposti a rischiare un nuovo approccio e un nuovo stile. A differenza dei pregiudizi di quei pochi che ancora creano barriere tra approcci diversi e in teoria complementari (un metodo conservatore, per usare un eufemismo) e che pensa che i numeri siano una scappatoia (il fatto che alcuni le usino in quel modo non significa che quello sia il valore delle statistiche) è difficile scrivere di numeri. È difficile non diventare noiosi, o farsi capire senza diventare banali, pedanti. Chi ci prova se ne assume il rischio in prima persona. Perché è sempre più facile scrivere che Dybala, Pogba e Morata sono come Messi, Iniesta e Xavi, per far felici i tifosi juventini e stranire gli altri facendo un po' di casino. Ma la nicchia dipende anche dai lettori: quanti sono disposti ad ammettere che il calcio è anche materia di studio e non solo di svago? In questo senso sì, il giornalismo sportivo potrebbe cambiare grazie anche grazie ai numeri, se si passasse da un modello di pancia a uno più di testa.

Aaron Ramsey quanto è forte di preciso?

Ciao,

volevo chiedervi: pensate anche voi che Ramsey sia tra i primi 5 centrocampisti box-to-box della Premier? In realtà per me è il migliore, ma io sono un Gunners e suo fan fino al midollo.

Risponde Daniele V. Morrone

La figura del centrocampista box-to-box fa parte della mitologia del calcio inglese tanto quanto l’enganche in Argentina o il libero in Italia (prima dell’arrivo della zona). In nessun posto come in Inghilterra si esalta il tuttocampista che si carica la squadra sulle spalle e la guida in ogni fase di gioco. È il primo a mettere la gamba in un contrasto, a guidare la transizione, ad arrivare a rimorchio in area per scaricare in porta le seconde palle o i cross dai lati. Il centrocampista box-to-box è il giocatore in grado di elevare con l’esempio ogni compagno in campo essendo scudo e spada della squadra. La generazione d’oro inglese ha avuto in Steven Gerrard l’esempio perfetto. E Yaya Toure può essere visto come l’ultimo campione box-to-box.

Ramsey è il giocatore dell’Arsenal che termina le sue partite con più passaggi, tackle e tiri, e quindi non può che essere classificato come un vero centrocampista box-to-box. Il gol contro l’Aston Villa ne è l’esempio perfetto: Aaron recupera palla al limite della propria area con una scivolata decisa, si alza subito una volta visto che il pallone è finito sui piedi di Giroud e che la transizione sta iniziando e segue i compagni correndo per 70 metri prima di ricevere il pallone in area e segnare il gol.

Ha letteralmente eseguito un’azione tra area a area.

Credo sia pacifico già dalla stagione 2013/14 che il gallese sia tra i primi 5 centrocampisti box-to-box della Premier, va però ricordato che sul finire della scorsa stagione la coppia Cazorla-Coquelin aveva forzato Wenger a schierare il gallese sulla fascia destra limitandone la qualifica alla categoria. Anche questo inizio di stagione Ramsey ha iniziato a destra e solo gli infortuni lo hanno riportato al centro da inizio dicembre. E non sappiamo se con il ritorno di Cazorla, Wenger non opti per riportarlo largo pur di ristabilire la coppia franco-spagnola.

Posto che quando gioca al centro è tra i primi 5 box-to-box, è proprio il migliore? Ecco questa risposta è più complicata perché non esiste un indice box-to-box con cui classificarne i giocatori e se le statistiche potrebbero aiutare anche la loro scelta è spesso soggettiva: ci sono box-to-box più difensivi che tirano poco ma recuperano tantissimi palloni (come Kanté del Leicester) e box-to-box più offensivi che tirano tanto ma difendono solo in alcune azioni (Yaya anno 2016), come dire qual è meglio? E come quantificare la tecnica nella valutazione (Milner vs Ramsey)?

Ho provato a raccogliere tutte le statistiche fondamentali e si può dire che Ramsey è di altissimo livello dal punto di vista offensivo (precisione passaggi, dribbling, passaggi chiave e conclusione a rete) e buono da quello difensivo (tolto il numero di dribbling subiti dove viene superato 2.3 volte a partita e i duelli aerei con meno di uno a partita riuscito). Ma se devo essere sincero (e se tifi Arsenal questo non è piacevole) il giocatore che ne esce fuori come il migliore dal punto di vista statistico è Moussa Dembélé del Tottenham: riesce nel dribbling e nei tackle più del doppio delle volte di Ramsey, ha maggiore successo nei duelli aerei, negli intercetti e nei passaggi completati. Ramsey tira molto di più in porta, ma il numero di gol è lo stesso (Ramsey al centro ne ha segnati 3). Anche utilizzando l’eye test, Dembélé sembra superiore per capacità di conduzione del pallone e letture difensive. Pur con meno fama del gallese per me è lui attualmente il miglior box to box in Premier.

Per quale assurda ragione un calciatore decide di indossare la fascia di capitano a destra invece che a sinistra, e viceversa?!

Ciao ragazzi,

ho una curiosità da vero football nerd: alcuni capitani mettono la fascia al braccio destro, penso a Del Piero, Di Natale, Palombo o Kompany. C'è un motivo particolare dietro a questa scelta, una storia da raccontare, oppure è solo un vezzo personale?

Grazie mille

Davide

Risponde Fabrizio Gabrielli

Ciao Davide,

quella che tu poni è una domanda tutt’altro che da nerd (che è poi la maniera più edulcorata di indicare chi non ha molt’altro cui pensare o da fare, situazione peraltro giustificabile fin quando non tornerà la primavera): al contrario, le più grandi inchieste giornalistiche dei nostri tempi hanno preso spunto da quesiti solo in apparenza lascivi, tipo questo tuo.

Ora, facciamo insieme un po’ di fact-checking. Niente da recriminare sulla tua mini lista, a parte qualche sporadica uscita di Del Piero con la fascia a sinistra, ma immagino più per svista che altro. D’altronde le prime caratteristiche che devono per forza contraddistinguere chi si mette quella fascia elastica attorno a un braccio non possono che essere rettitudine, coerenza, esemplarità. Mi sentirei di aggiungere a questo già ben nutrito gruppo di destrofili Neymar-quando-guida-la-Seleçao.

«Mi raccomando Yaya, a destra eh. Come piace a noi.

Perché noi siamo diversi dagli altri, Yaya, non è vero?».

A questo punto, il bravo reporter si va a spulciare le fonti ufficiali: cosa ci dicono sul braccio sul quale apporre la fascia? Sappiamo che la statistica supporta il sinistro, ma per il destro c’è un comma del regolamento che lo vieta? Apparentemente no, a nessun livello. La FIFA precisa soltanto che nelle gare valide per le fasi finali delle sue competizioni le fasce le fornisce lei, il che significa che il mondo parallelo in cui Protti guida l’Italia alla vittoria di Francia ’98 con la sua meravigliosa benda penzolante non sarebbe mai potuto esistere, né Baggio si sarebbe potuto presentare ai mondiali di Korea e Giappone con la fascia Soka-Gakkai (ma quante ne avrebbero vendute?). Cionondimeno, nessuna indicazione sull’obbligo di indossare la fascia su un braccio piuttosto che sull’altro. A dettare la linea, quindi, sembrerebbe essere un criterio di consuetudine, tanto che ci sono casi in cui l’aver optato per il destro anziché il sinistro è stato tacciato di errore figlio del «non esserci abituato».

Tutte le fasce da capitano di John Terry postate, a un certo punto e senza un particolare motivo, su Instagram. Indossate tutte insieme coprirebbero le braccia, sia il destro che il sinistro, di un’intera squadra di calcio, panchina compresa.

Ciò che un bravo reporter fa, a questo punto, è scendere di un gradino d’autorevolezza nella gerarchia delle fonti: il momento in cui ci si avventura nell’affascinante mondo di Yahoo Answers.

Una bella fascia commemorativa, indossata da Sorrentino in Napoli-Palermo dello scorso Ottobre, ci ricorda che il Sorre s’è fatto trentotto presenze di Liga (con il Recreativo Huelva). Non ci dice però che ha subito una media di un gol e mezzo a partita. Falla, se c’hai coraggio, una fascia che dica TUTTA la verità, Sorre!!!!!!!!!!!

Le tre scuole di pensiero più interessanti che circolano sul tema, secondo me, sono le seguenti:

c’è la corrente dei Casualisti, quelli che cioè tendono a pensare che non esista un vero criterio in base al quale scegliere dove vada messa la fascia, che si tratti di un vezzo o semplicemente di una circostanza mossa da nessun presupposto, ben riassunti - in risposta a una domanda sul perché Del Piero indossasse la fascia a destra - nella perentoria frase «così, i bracci due so; a volte la metteva a sinistra, poi» di Pierpaolo F.

poi c’è l’ala degli Identitari (o Anti-Mercenari), quelli cioè per i quali portare la fascia a sinistra, lato della maglia sul quale di norma compare lo stemma della squadra, starebbe a significare amore incondizionato per i colori della stessa, mentre portarla a destra - cioè in corrispondenza dello sponsor tecnico - sarebbe una qualche avvisaglia della corruttibilità dei sentimenti di fronte al cash, una gradazione (in qualche misura) della mercenarietà;

infine c’è la filosofia dei Politicizzati, per la quale in soldoni la porti a destra se sei un fascio, a sinistra se sei un compagno.

Mi sono sentito in obbligo di comprovare l’esattezza di tale presunzione:

Cristiano Lucarelli: sinistra. ✔

Cristian Abbiati: destra

Paolo Di Canio: destrissima ✘

Su Di Canio mi sembrava il caso di approfondire, anche se Google mi ha fatto istantaneamente desistere:

Ma che succede al Profeta?

Riguardo Hernanes? Cosa può essergli successo? Da giocatore che si è guadagnato il titolo di "Profeta" nella Lazio, ha cominciato a fornire prestazioni mediocri nell'Inter, e ora alla Juve sembra che non ne azzecchi una. Che sia stato effettivamente sopravvalutato oppure è semplicemente un giocatore mediocre? O sono io che non capisco niente?

Nicola

Risponde Alfredo Giacobbe

Caro Nicola,

per valutare un calciatore, a mio parere, bisogna prima chiedersi qual è il ruolo che gli è più congeniale: viene da sé che, se le sue qualità tecniche e atletiche sono idonee ai compiti che gli sono assegnati in campo, riusciremo ad ottenere da lui prestazioni ottimali. Questa domanda, rivolta ad Hernanes, non è di semplice soluzione (a proposito, perdonerai la mia pedanteria, ma l’appellativo di "O Profeta" non lo ha guadagnato alla Lazio, ma già ai tempi del San Paolo, quando prese a citare passi della Bibbia nelle interviste post-partita).

Ricorderai certamente che, al suo arrivo in bianconero, Hernanes chiarì di aver richiesto ad Allegri di essere impiegato da trequartista dietro le due punte. Peccato che Hernanes stesso, nella conferenza stampa di presentazione in nerazzurro, appena un anno e mezzo prima, disse di sentirsi un interno di centrocampo. E ancora prima, al suo arrivo alla Lazio (subito dopo una festa a tema Studio 54), disse di poter giocare in ogni ruolo di centrocampo, dalla trequarti in giù. Insomma, lui stesso non sembra avere le idee chiarissime sul suo gioco.

Hernanes in campo = Juve non-vincente.

Come se non bastasse, i manager che lo hanno allenato hanno avuto idee molto differenti circa il suo impiego. Al San Paolo, Ramalho lo fece esordire tra i pro come interno destro in una linea di centrocampo a cinque; il suo successore Gomes lo propose come centrale in una media formata da quattro uomini. Alla Lazio, come all’Inter, Hernanes ha avuto due allenatori: Reja intuì le sue potenzialità da trequartista dietro l’unica punta, nell’assetto standard del 4-2-3-1; con Petkovic invece, Hernanes tornò a giocare da interno, stavolta sinistro, in un triangolo completato dal regista Ledesma e dall’incontrista Alvaro Gonzales. Mazzarri lo pretese all’Inter per impiegarlo da regista basso, cosa che non accadde mai: Hernanes giocò per lo più da mezzala sinistra quando l’altro interno era Guarin; a destra quando WM sceglieva di schierare Kovacic. È stato poi il trequartista dell’Inter di Mancini, almeno finché il tecnico non ha scelto di abbandonare il modulo col rombo di centrocampo. Dunque, a meno di saltuarie esperienze pauliste (parliamo di 3-4 partite in tre stagioni), Hernanes ha giocato ovunque tranne che davanti alla difesa.

I numeri ci dicono che: Hernanes ha segnato più gol con Petkovic (0.4 reti ogni 90 minuti); ha messo a segno più passaggi chiave (2.6) e più assist (0.3) con Mazzarri; ha saltato l’uomo di più (2.4 dribbling ogni 90 minuti) con Petkovic; ha subito più falli (2.8) sotto Mazzarri. Abbiamo tentato di risolvere il problema analiticamente e abbiamo scoperto che Hernanes rende meglio quand’è schierato come interno di centrocampo. Ora ci manca solo la conferma empirica, un assessment delle sue qualità.

Se a un certo punto vi sembra di vedere Adriano, l’imperatore, non è una visione.

Non possiamo negare che Hernanes sia un giocatore tecnicamente dotato, è uno dei pochissimi realmente ambidestri: nelle giovanili del San Paolo ha segnato su punizione calciando con entrambi i piedi (OK, non contemporaneamente come nel calcio balilla) ed ha ripetuto questo exploit con la maglia dell’Inter. È una dote molto rara persino tra i professionisti, personalmente riesco a citare, tra quelli in attività, il solo Santi Cazorla (solo il timore di rappresaglie fisiche potrebbe spingermi a dare lo stesso credito anche a Zlatan); mentre tra i campioni del passato ricordo chiaramente solo Andreas Brehme, per via dei due rigori segnati con due piedi differenti ai Mondiali del 1986 e del 1990.

Hernanes è dotato di buon primo controllo, ciononostante fatica ad orientarsi velocemente per la giocata successiva. Probabilmente la sua non è una lentezza tecnica, è piuttosto una lentezza mentale. Questo lo mette in cattiva luce quando agisce in una zona delicata come lo è quella davanti alla propria area di rigore, dove occorrono giocatori capaci di pensare una-due giocate più in là, proprio come fa uno scacchista. È partito male con la Juve quando ha dovuto sostituire Marchisio, ma la sua ultima prestazione contro la Sampdoria è stata confortante: credo ci siano ancora dei margini di miglioramento.

Il fatto che abbia creato più chance quando ha giocato da interno piuttosto che da trequartista può essere legato allo stesso motivo, Hernanes ha bisogno di spazio e tempo per poter leggere il gioco. Sembra anche un giocatore pigro negli smarcamenti senza palla e quando Allegri lo ha scelto per supportare le punte, ha finito per pestare i piedi a Pogba, arretrando troppo dalla propria posizione e concedendo pochi movimenti in ampiezza. Per amore di verità, va anche detto che se gioca a ridosso dell’area avversaria, può far male liberandosi al tiro con entrambi i piedi.

In definitiva, Hernanes si esprime al meglio quando può giocare da regista avanzato in un centrocampo a cinque. In generale e per dirla con le parole dell’AD Marotta, Hernanes è un buon giocatore, ma non è un fenomeno.

Harsh, but true.

De Sciglio è svogliato, sì o no?

Carissimi,

sono qui su un treno per Bologna, con un dubbio che mi assilla. Dopo un avvio promettente, i primi elogi e le prime sgaloppate sulla fascia, ho subito pensato di aver trovato nella mia squadra del cuore il Mio futuro capitano, la colonna portante della Mia difesa. Mattia De Sciglio. E Tutto sembrava bello. Qualcosa a mio avviso è andato storto, le sue giocate sembrano frutto di una svogliatezza e di una semplicità artificiale, lo vedo spesso sbagliare e mai, ripeto mai, cambiare espressione facciale. Questo a mio avviso vuol dire che manca di qualcosa, forse carattere, determinazione, ambizione. Che cosa ne pensate voi? È un flop o bisogna dargli tempo ed è destinato a diventare un campione vero? Magari lo vedo anche arrabbiarsi certe volte e non sarebbe male...

Grazie in anticipo e complimenti per tutto quello che fate!

Risponde Federico Aquè, l’amante di De Sciglio più irredimibile della redazione (e forse non solo).

Ciao Giuseppe,

ti ringrazio per la domanda perché mi permette di trattare un tema che mi sta a cuore, cioè l’ingiusto trattamento riservato da una parte del tifo milanista a Mattia De Sciglio. Ricordo che l’anno scorso ho visto una partita del Milan dal primo anello arancio, molto vicino quindi alla linea laterale. Per tutta la partita, ogni volta che De Sciglio ci passava davanti, un signore seduto poche file sopra di me gli urlava: «Svegliati!».

Una parte dei tifosi milanisti (che, a sensazione, mi pare cospicua) ritiene come te che De Sciglio sia un giocatore svogliato, senza carattere e la cosa francamente non mi trova d’accordo. Prima di risponderti sono andato a rileggermi l’intervista che il nostro direttore editoriale, Timothy Small, ha fatto a Mattia. C’è un passaggio che mi pare particolarmente significativo: «(…) Fino a prima di entrare in campo, pensi, ripensi a quello che devi fare, agli avversari, alle tattiche, ai movimenti. Ma quando scendi in campo, basta. Deve venirti tutto automatico. Non devi farti distrarre da niente, devi solo fare quello che sai già fare. Io, almeno, faccio così. Da quando ho iniziato ho avuto la capacità di estraniarmi del resto e concentrarmi solo sul campo».

Una delle prime partite di Mattia De Sciglio, una di quelle in cui si pensava a lui come il futuro capitano della Nazionale.

Il fatto di non cambiare mai espressione facciale, che sottolinei tu, non è quindi che il suo modo di trovare la concentrazione durante la partita. Non credo che gliene si possa fare una colpa: ogni giocatore scarica la tensione in modo diverso, lui ci riesce ostentando quella tranquillità un po’ artata di chi sembra avere sotto controllo la situazione e non si fa influenzare da quello che accade intorno a sé.

Quello di De Sciglio penso sia un caso particolare in cui l’hype creato agli esordi non abbia fatto male al giocatore, ma a noi che lo guardiamo. A furia di dirci che sarebbe diventato il nuovo Maldini ci siamo convinti che lo sarebbe diventato per davvero. Con delle aspettative così alte (nella storia del calcio quanti difensori più forti di Maldini ci sono stati?) capisco che è facile rimanere delusi. Ma d’altra parte mi pare che non sia stato lui a volere questa etichetta, né abbia mai dato segno di montarsi la testa credendosi il nuovo Maldini. L’errore è stato fatto da noi tempo fa e rinfacciarglielo adesso lo trovo ingiusto.

Poi sul fatto che potrebbe essere un terzino migliore di quello che è ora siamo tutti d’accordo. Ma non dipende solo da lui. Forse bisognerebbe ribaltare la prospettiva. Che ne sarebbe stato di Darmian e Saponara se fossero rimasti al Milan? Che giocatore sarebbe ora Niang se non avesse passato 4 mesi con Gasperini? Quanti giovani si sono affermati nel Milan negli ultimi anni?

Tra il flop e il campione vero ci sono diversi livelli e probabilmente De Sciglio non finirà mai né nell’una né nell’altra categoria. Però anche ora scommetterei che ha più probabilità di avvicinarsi alla zona dei campioni piuttosto che a quella dei flop. È vero che va verso i 24 anni, ma non è ancora un giocatore completamente formato, anche semplicemente per il fatto che in carriera ha giocato con continuità per due stagioni (all’inizio di quella attuale e nel 2012/13). Si può ancora sperare, cioè, che diventerà un terzino migliore di Antonelli e Abate (per me già lo è), magari in un Milan un po’ più organizzato ed equilibrato di quello attuale, con un allenatore che lo faccia finalmente giocare in pianta stabile sulla fascia destra.

Viviamo in un’epoca in cui i terzini forti sono una rarità e quelli bravi o non si muovono, oppure costano troppo per poter essere comprati dal Milan. Per rendere l’idea: l’estate scorsa Danilo e Alex Sandro sono stati venduti dal Porto per una cifra vicina ai 60 milioni di euro. Limitandoci al campionato italiano: quanti sono i terzini che fanno la differenza? Insomma, in questo contesto De Sciglio mi pare possa dire la sua, oppure davvero vogliamo scaricare il terzino titolare della Nazionale solo perché non diventerà mai il nuovo Maldini?

Un'idea che circola spesso tra i tifosi del Milan è quella di un cambio di ruolo, da terzino a difensore centrale, ma, vista la carriera di De Sciglio finora, è una soluzione che non mi trova d’accordo. L’unico precedente è un Milan-Siena del 2013: Mattia non giocò male, ma il suo comportamento sul gol di Paolucci, che affronta girandosi di schiena, ci fa capire quanto bisognerebbe lavorare sulla trasformazione in centrale difensivo e non so quanto ne valga la pena.

Penso che uscirebbe sconfitto nei duelli corpo a corpo con la maggior parte degli attaccanti, senza arrivare a quelli grandi e grossi tipo Toni. Dal punto di vista fisico e tecnico siamo su un altro livello rispetto a Sergio Ramos, che ha compiuto con successo il passaggio dalla fascia al centro della difesa, quindi non credo che il gioco valga la candela: è vero, aggiungerebbe velocità a un reparto piuttosto lento e migliorerebbe la fase di impostazione, ma non in maniera così sensibile da meritare un investimento deciso nel cambio di ruolo, almeno secondo me.

Tra l’altro, significherebbe accelerare il processo di crescita del centrale più forte della rosa del Milan, Romagnoli, che si troverebbe a essere il difensore “esperto” della coppia, quello chiamato a guidare il reparto e ad aiutare il compagno. Vuol dire chiedergli un salto di qualità nella personalità e nella leadership che non so quanto sia pronto a compiere. Insomma, per me gli svantaggi sarebbero di più dei vantaggi: non sarebbe meglio tenere De Sciglio sulla fascia e comprare un centrale già pronto di fianco a Romagnoli?

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