«Un giorno sei il signor nessuno, il giorno dopo hai tutti i riflettori puntati addosso». La premessa per conoscere Bas Dost la fa lui stesso. Sempre sul filo, sempre costretto a rincorrere un posto. Apparentemente superato, come tipo di attaccante. «Molte persone non hanno creduto in lui» riconosce Tom Saintfiet, il tecnico giramondo che scommise per primo sul ragazzo.
Bas Dost adesso dice che le aspettative gli dànno buone sensazioni, tutt'altro che pressione, e sembra fisiologico che possa godersele. Gli piace, spiega, che «tutti vadano allo stadio pensando: oggi Bas Dost segnerà».
Ha segnato con costanza (100 reti in 190 gare, negli ultimi sei anni, prima di questo) anche quando ha avuto poco spazio. Da un anno e mezzo è solidamente nel giro della nazionale olandese, e dallo scorso settembre ha sempre giocato.
In questa stagione, poi, i suoi numeri parlano di un'esplosione: 26 gol in 33 presenze con la maglia dello Sporting Lisbona. Nell'anno solare 2017, finora, è il più prolifico giocatore d'Europa. Nella classifica per la Scarpa d'Oro 2016-17 ha davanti soltanto Messi.
A ridosso dei ventotto anni Bas Dost sembra aver toccato la maturità. Eppure continua a essere uno di quegli attaccanti poco considerati, nonostante i numeri. Uno di quelli che, per quanto si possa sbracciare, non viene notato.
Un po' di quello che sta facendo a Lisbona.
Si direbbe aver trovato la sua dimensione in una terra, il Portogallo, dove tradizionalmente nascono pochi centravanti e quelli con la sua stazza trovano spesso fortuna, da Jackson Martínez a Hulk, a Óscar Cardozo.
Uccello
La sua fisicità da uccello è bizzarra. Dost sfiora i due metri ed è magrissimo, porta il 49 ⅓ di piede e non arriva agli ottanta chili. La crescita fisica è stata brusca, in adolescenza, e dolorosa: «Mi facevano talmente male le ginocchia che avevo problemi a camminare».
Le spalle spioventi, le ossa sottili, non corrispondono certo all'immagine del centravanti d'area. Il suo modello è Ibrahimović ma con lui ha poco a che fare. Così come Terminator, il suo personaggio cinematografico preferito. Se potesse avere un superpotere, Bas Dost dice che vorrebbe alzare il pugno e volare.
Attaccante statico, pre-moderno, tocca pochissimi palloni e spesso li converte in gol. L'allenatore dello Sporting a inizio stagione gli ha chiesto espressamente di non muoversi dagli ultimi sedici metri. A marzo 2015 un pezzo dell'Independentosservava come tutti i tredici gol che aveva realizzato a quel punto della Bundesliga provenissero da un solo tocco. I numeri contano, con lui, che ama rilassarsi col Sudoku e si valuta sempre in termini di reti segnate.
Ha i piedi piatti, e per questo in Germania lo chiamanoPlattfuß-Bomber, appunto “bomber dai piedi piatti”. Eppure ai tempi di Emmen era convinto di non essere un attaccante, preferiva fare assist. E anche se tutti glielo dicevano, che era un attaccante, lui rispondeva che si sbagliavano. Poi aveva iniziato a segnare, e gli era piaciuto, e aveva preso ad allenarsi esclusivamente sulla fase realizzativa.
Con il Wolfsburg ha vinto una Coppa di Germania e una Supercoppa, finora i suoi unici trofei.
A volerlo è Felix Magath, che lo protegge da subito invitando l'ambiente ad avere pazienza. Il tecnico è nato in una base militare e sembra portare questo trascorso nei metodi d'allenamento: dopo alcune sessioni, racconta Dost, «non avevamo neanche la forza di guardarci negli occhi».
La sua prima rete internazionale va insieme alla seconda, in una doppietta proprio allo Sporting Lisbona, nell'Europa League 2014/15. È un periodo molto felice, gli riesce tutto, fa quattro gol al Leverkusen un giorno che la famiglia è allo stadio per vederlo (“Devo pizzicarmi per essere sicuro che sia vero”). In Germania sono sorpresi da queste prestazioni ma lui ha una spiegazione lineare: “Semplicemente, mi hanno fatto giocare”. Che a rileggere le statistiche è vero solo in parte. Gli hanno dato davvero fiducia, questo sì.
Incredibile, comunque, a ricostruire gli ultimi mesi. La storia fra Dost e il Wolfsburg non decollava, lui era incostante e sfortunato, dichiaratamente scontento. Non aveva avuto l'impatto dei suoi predecessori recenti, Mandžukić e Džeko. In due stagioni e mezzo aveva alternato mesi di infortuni a panchine e scarse prestazioni.
Ha passato momenti convinto che la situazione non potesse migliorare, sembrava sul punto di andare altrove. Ricordando questa fase, dirà di essersi aspettato di più da sé stesso.
Senza fretta
Il passaggio fondamentale è il 2014-15. Nei primi tre mesi di campionato gioca 14 minuti. A dicembre finalmente ha spazio, segna un gol importante nel derby del Niedersachsen con l'Hannover. Ma la fiducia è ancora troppo instabile.
L'Amburgo prova a prenderlo in quella finestra invernale, ma il tecnico dei Lupi si oppone e preferisce lasciar partire Olić. Nello stesso periodo un compagno invita Bas Dost a non avere fretta e ragiona con lui sull'opportunità o meno di un trasferimento. Quel compagno si chiama Junior Malanda, e muore in un incidente stradale due giorni dopo.
Nella prima partita che segue, in uno stato di turbamento generale, il Wolfsburg affronta il Bayern Monaco. Dost gioca e segna una doppietta nel 4-1 finale. Da lì non si ferma, segna e convince per un anno e mezzo.
30 gennaio 2015, la partita della svolta. Il Wolfsburg di Dost, Perišić e De Bruyne fa a pezzi il Bayern. Il suo secondo gol (1:17) sorprende Neuer al punto da lasciarlo quasi immobile.
Dost è nato il 31 maggio 1989, ultimo di tre fratelli, nel cuore dell'Olanda. Deventer ha centomila abitanti e la sua carriera in effetti è passata per sole città di provincia, prima di raggiungere Lisbona la scorsa estate.
La morte di Malanda deve buttare un carico emotivo importante su di lui, che pochi anni prima aveva perso un caro amico, Berry Schepers, suo compagno a Emmen e morto di cancro a ventiquattro anni.
A Emmen lui ci era arrivato da ragazzino. “Un ragazzino timido”, nella sua memoria. Dopo aver mosso i primi passi nel CVV Germanicus di Coevorden, a nove anni era stato notato dagli scout della società, che lo avevano portato appunto a Emmen, venti chilometri a nord. Lì farà il settore giovanile ed esordirà in prima squadra nel 2007/08.
Ancora a diciassette anni, però, Bas Dost non spicca. Lui stesso fino a quel momento non si era sentito più forte degli altri. A dargli fiducia e spostarlo dalla trequarti all'attacco è Tom Saintfiet, suo tecnico nell'academy dell'Emmen.
Lo stesso Saintfiet che tempo dopo si trasferirà nei RoPS di Rovaniemi, nel campionato finlandese, e inviterà il ragazzo a trasferirsi anche lui e giocare nel paese di Babbo Natale. Dost è ormai in prima squadra a Emmen, rifiuta la proposta del suo mentore e qualche mese dopo viene acquistato dall'Heracles di Almelo.
Ragazzino all'Heracles, con accenni di rosso sui capelli.
«Quando non gioca, si comporta come un bambino a cui hanno preso il giocattolo. È una persona divertente, positiva, ma molto emotiva». Un paio d'anni fa lo raccontava così Ron Jans, l'allenatore odiato e amato di Heerenveen.
Jans è testimone e protagonista della prima svolta nella carriera di Bas Dost, stagione 2011-12, la sua seconda e ultima con i biancoblù, dov'era arrivato sulla scia di un paio di anni positivi all'Heracles.
In Frisia, dopo la prima stagione in cui il tecnico non lo considerava, scatta qualcosa. Il rapporto cambia dopo un ultimatum estivo della società: sarete il nostro allenatore e il nostro centravanti, l'anno prossimo, quindi regolatevi.
Bas Dost guiderà l'Heerenveen al quinto posto finale e sé stesso al titolo di capocannoniere dell'Eredivisie (32 gol e 8 assist). Una marcia che inizia quando segna cinque volte nella stessa partita contro l'Excelsior: “Lì ho pensato che fosse possibile diventare il numero uno”.
La grande stagione all'Heerenveen.
La tranquillità di Lisbona
La scorsa estate va allo Sporting Lisbona, per dieci milioni. Una scelta meditata, che si adatta alla sua percezione di sé, considerato che poche settimane prima del trasferimento diceva di non sentirsi pronto per un top club. L'affermazione con il Wolfsburg gli ha portato un relativo interesse mediatico, dopo tanto silenzio, che per lui è gratificante ma anche “esagerato, quasi eccessivo”.
Jorge Jesus gli ha dato una fiducia continuativa, incondizionata se messa a confronto con le difficoltà di Wolfsburg. E lui ha risposto. I quattro gol segnati al Tondela a metà marzo dialogano col poker rifilato al Leverkusen e con le cinque reti all'Excelsior nel 2011-12: le migliori stagioni della sua carriera.
Non è la migliore fra le stagioni recenti per lo Sporting, che verosimilmente dovrà accontentarsi del terzo posto. È altrettanto verosimile però che lui vincerà la classifica dei cannonieri, che ora guida con otto lunghezze di vantaggio.
L'unica nota scontata è il piano internazionale. Una dimensione in cui ha esordito due anni e mezzo fa, e alla quale probabilmente deve ancora prendere le misure.
Il blackout si è visto nell'ultima Champions League, l'unica incrinatura in questi mesi felicissimi allo Sporting: un gol in sei gare, contro il ritmo forsennato nella Liga NOS portoghese (23 in 24).
Ma anche ai tempi di Wolfsburg, i suoi risultati in Europa erano sempre stati di molto inferiori alla sua media.
Lo stesso, in nazionale. Con la maglia Oranje la sua capacità realizzativa si spegne: un solo gol, in amichevole, in quindici presenze.
Canta il coro che gli dedicano i tifosi dello Sporting sulle note di Thunderstruck degli AC/DC. In seguito rimpiangerà di averlo fatto senza troppa carica: “Mi ero appena svegliato”.
«Quando si vive bene, si gioca bene» ha detto una volta. Oggi spende parole magnifiche per l'ambiente in cui si trova. Ha comprato casa a Lisbona, vive davanti al mare, il bel tempo è qualcosa che vive come una scoperta: «In Olanda ci sono trenta giorni di bel tempo in un anno». E considera tutto questo importante quanto allenarsi bene. «Mi sto innamorando» ammette.
Ai tempi di Wolfsburg firmò un quinquennale, ora si è legato allo Sporting per quattro anni. Quando gli chiedono se è una sua esigenza di stabilità, risponde che lo considera un normale gesto di lealtà verso un club che ha investito molti soldi su di lui.
A metà del suo percorso da professionista, Bas Dost è già in grado di vedere quello che succederà dopo il ritiro. Ha le idee chiare: uscire da questo ambiente, che «da un lato è grandioso, dall'altro è troppo duro». Insieme alla fidanzata Annefleur, ciclista professionista con cui sta dai tempi di Heerenveen, è molto impegnato in attività di beneficenza. Il fatto è che Dost ha una misura molto precisa e severa del proprio ruolo e della scala più ampia: «Giochi a pallone, guadagni molto ma non fai niente per il mondo».