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La reazione del Qatar
19 set 2017
Il faraonico mercato estivo del PSG è una delle armi messe in campo dal Qatar per rispondere al blocco diplomatico guidato dall'Arabia Saudita, che ha messo a rischio il Mondiale del 2022.
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Il 2 dicembre del 2010, a Zurigo, si vota per l’assegnazione dei mondiali del 2018 e del 2022: per la prima volta nella storia si vota contemporaneamente per due edizioni della Coppa del Mondo. Prima dell’inizio delle votazioni i grandi favoriti sembrano essere Inghilterra e Stati Uniti, che si erano spese in massicce campagne promozionali, ma alla fine ad uscirne vincitori sono sorprendentemente la Russia e il Qatar.

Quel 2 dicembre di oramai sette anni fa il Qatar, che prima d’allora era pressoché sconosciuto, si mette sulla mappa del calcio internazionale. Da quel giorno il piccolo stato del Golfo, con una superficie minore a quella della Campania quasi del tutto ricoperta di sabbia, ha iniziato ad avere un’influenza sul mondo del calcio sempre più grande e profonda fino a scombinarne gli equilibri, con lo spostamento del Mondiale dall’estate all’inverno e la trasformazione di un piccolo club a livello europeo in una forza capace di rivoluzionare il mercato.

Oggi siamo concentrati sulle polemiche e i dubbi legati all’assegnazione e ai modi di svolgimento del Mondiale del 2022, ma in realtà il percorso che ha portato il Qatar a puntare in maniera così decisa sul calcio parte da più lontano, persino prima di quel 2 dicembre del 2010.

Perché il Qatar

Prima del dicembre del 2010 il Qatar aveva un peso molto limitato nel mondo dello sport e quasi nullo in quello del calcio. Se ne parlava per brevi periodi, come per le gare del Motomondiale o per il torneo Open di Tennis (la cui prima edizione in Qatar, disputata nel 1993, è stata vinta da Boris Becker), giusto una settimana, poi quella indefinita regione petrolifera tornava ad essere dimenticata.

Nel mondo del calcio il Qatar ha un primo, minimo impatto ai Mondiali U20 nel 1981 in Australia. La nazionale qatariota fu l’autentica sorpresa di quella manifestazione, a cui giunse dopo aver conquistato il secondo posto all’AFC Youth Championship dell’anno prima alle spalle della Corea del Sud. La squadra guidata dal tecnico brasiliano Evaristo de Macedo (ex giocatore di Barcellona e Real Madrid) arrivò contro ogni pronostico in finale (poi persa per 4-0 con la Germania) battendo Brasile e Inghilterra rispettivamente ai quarti di finale e in semifinale.

Un'immagine di repertorio della nazionale qatariota Under 20, dopo la vittoria col Brasile.

Ma quello non fu un exploit con un grande seguito: molti elementi di quella nazionale parteciparono alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, dove non superarono nemmeno la fase a gironi. Dopotutto lo stato arabo aveva conquistato l’indipendenza dalla Gran Bretagna solo il 3 settembre del 1971 e al tempo il Qatar all’epoca aveva una popolazione di appena 220 mila abitanti.

Il Qatar inizia a fare sul serio solo dopo il 2010. Nel 2011 entra in scena Nasser Al Khelaifi, ex tennista e capitano della nazionale del Qatar alla Coppa Davis, ma soprattutto presidente del Qatar Sports Investment (QSI), il fondo qatariota per gli investimenti sportivi. In quell’anno Al Khelaifi acquista il Paris Saint Germain, per trasformarlo non solo in uno dei club più importanti d’Europa ma anche in una base di penetrazione nel tessuto commerciale, turistico e mediatico europeo.

Poco dopo il Paris Saint Germain acquista, attraverso BeIn Sports (al tempo Al Jaazera Sport), i diritti per trasmettere all'estero la Ligue 1 per 200 milioni di euro, un affare che finirà per fruttargli quasi il doppio.

Nel 2012 Al Jazeera Sport penetra nel mercato francese con un proprio canale sportivo con il quale trasmettere partite della Ligue 1 e dei campionati esteri, creando così un duopolio con Canal Plus del gruppo Vivendi. In questo modo il Qatar non solo è proprietario del più forte club francese, ma è anche detentore delle televisioni, quindi sul controllo delle immagini e dell’informazione, in un processo simile a quello del gruppo Suning con la PPTV.

Ma il PSG doveva avere ed effettivamente sta avendo anche una funzione nel miglioramento dell’immagine del Qatar nel mondo e nella promozione del turismo del piccolo stato del Golfo.

Nel 2012 il club parigino ha raggiunto un accordo da 200 milioni di euro con l’istituzione governativa della Qatar Tourism Authority (QTA). Una sponsorizzazione gigantesca dalla duplice funzionalità: da una parte aumentare esponenzialmente il fatturato del club (cosa che comunque non gli ha permesso di evitare una sostanziosa multa nel 2014 da parte della UEFA per via del Financial Fair Play); dall’altra, per promuovere il Qatar come meta turistica in vista del Mondiale del 2022, e concorrere con Dubai e Abu Dhabi in questo settore, le due città degli Emirati Arabi Uniti che hanno egemonizzato il turismo in Medio Oriente.

Gli obiettivi turistici e d’immagine sono stati promossi anche attraverso la sponsorizzazione della Qatar Airways sulle maglie del Barcellona a partire dal 2013 (un accordo storico perché la maglia dei blaugrana fino a quel momento era stata immacolata e priva di sponsor). La compagnia aerea è rimasta sulle maglie dei catalani fino al termine della scorsa stagione, per poi essere rimpiazzata dalla giapponese Rakuten per la cifra record da 60 milioni di euro all’anno.

Poi ci sono gli obiettivi più puramente finanziari. L’assegnazione del mondiale e il branding attraverso il calcio sono infatti il miglior modo per attrarre investimenti e tecnologie estere per completare il disegno della Qatar National Vision, le linee guida ufficiali con cui il Qatar sta cercando di rendersi indipendente economicamente dall’estrazione del petrolio e del gas naturale entro il 2030.

In questo senso, la Qatar Investment Authority (QIA), fondata nel 2005, ha messo radici nel tessuto economico globale attraverso un esteso sistema di acquisizioni. La QIA ha quote nel gruppo Volkswagen, nella Barclays (la banca che ha sponsorizzato la Premier League fino al 2016), nel settore petrolchimico malesiano, ha oltre 200 milioni di dollari di proprietà immobiliari in India, nonché uno stretto accordo con la Citic Group (una delle principali banche di investimento cinesi) per veicolare 10 miliardi di dollari di investimenti nella Repubblica Popolare Cinese.

La cooperazione tra Qatar e Cina è diventata sempre più stretta negli ultimi anni. Nel 2014 la Cina ha siglato un accordo da 8 miliardi di dollari per la costruzione di infrastrutture in Qatar, in particolar modo in vista dei Mondiali del 2022. Uno dei principali stadi che ospiteranno il Mondiale del 2022, quello di Lusail, una piccola cittadina a 12 chilometri a nord di Doha, sarà il primo stadio di costruzione cinese in un paese del Golfo, per mano dalla China Railway Construction Corporation Limited.

Cosa rischia il Qatar oggi

I piani del Qatar di utilizzare il calcio come strumento geopolitico per assumere un ruolo sempre più importante nella politica e nel commercio internazionale, però, sono stati messi fortemente in discussione negli ultimi anni.

Ci sono state prima le diffidenze per i presunti episodi di corruzione per ottenere i Mondiali del 2022. Poi l’indignazione globale per le terribili condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori che si occupano della costruzione degli stadi che dovranno ospitare il Mondiale (le morti sul lavoro ammontano ormai ad oltre un migliaio secondo i rapporti di Amnesty International), nonché lo status di semi-schiavi a cui sono costretti per via della controversa legge della Kafala, che permette al datore di lavoro di requisire gli effetti personali e il passaporto dei suoi sottoposti (recentemente è stata abolita, ma solo formalmente, lasciando la questione praticamente inalterata).

Ma questo è nulla rispetto a ciò che è successo la mattina dello scorso 5 giugno, quando il Qatar è stato isolato in maniera diplomatica dalle altre monarchie del Golfo, cioè Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Yemen, e dall’Egitto, con l’accusa ufficiale di finanziare i gruppi più estremi del terrorismo internazionale. La decisione è stata guidata dall’Arabia Saudita, che ha annunciato anche la chiusura del suo confine terrestre con il Qatar, un atto particolarmente grave se pensiamo che è l'unico confine che connette Doha con la terraferma.

Al di là della veridicità delle accuse dell’Arabia Saudita, su cui per esempio il Financial Times ha sollevato diversi dubbi, l’isolamento diplomatico del Qatar ha iniziato a mettere a rischio i successi ottenuti in questi anni.

In primo luogo, sta affrontando seri problemi il settore dell’entertainment e delle televisioni, con le attività della BeIn Sports che sono state gravemente danneggiate nell’area mediorientale e africana (in quei paesi che si sono schierati dalla parte dell’Arabia Saudita): negli Emirati Arabi Uniti il segnale è stato interrotto per sei settimane, mentre in Arabia Saudita sono state interrotte tutte le attività di promozione della società.

La BeIn vanta un personale di 5.000 persone e opera in 43 paesi, USA compresi, ma alcuni dipendenti, hanno dichiarato che, nei paesi nei quali vige il blocco diplomatico gli è stato impedito di svolgere il loro lavoro e di trasmettere gli eventi sportivi di cui detengono i diritti. Addirittura, per le recenti partite di qualificazione alla Coppa del Mondo e per i quarti di finale della AFC Champions League si è dovuto intervenire in fretta e furia con un altro broadcaster, la Legarderè Sports, che in tali occasioni ha rimpiazzato BeIN.

La scorsa settimana, al Kings Abdullah Sports City per la partita fra l’Al Hilal e l’Al Ain, valida per i quarti di finale della Champions, ad un reporter della BeIn di nazionalità omanita è stato impedito di entrare allo stadio fino al fischio d’inizio, e parte della sua attrezzatura è stata requisita impedendogli di intervistare allenatori e calciatori al termine del match. Problemi simili ci sono stati anche in Nord Africa. L’episodio più eclatante è quello che ha riguardato il match fra i marocchini del Wydad Athletic Club e gli egiziani dell’Al Ahly, il cui allenatore si sarebbe categoricamente rifiutato di far posizionare i microfoni della BeIn durante la conferenza pre match.

L’emittente qatariota è stata pesantemente penalizzata in questi ultimi mesi e se la crisi diplomatica non dovesse trovare una soluzione, BeIn sarebbe costretta a ridimensionare pesantemente il proprio operato per quanto concerne la trasmissione delle competizioni asiatiche, uno dei core business dell'azienda.

Ma le preoccupazioni più gravi riguardano ovviamente i Mondiali del 2022. Nonostante la FIFA abbia cercato di gettare acqua sul fuoco (Infantino, per esempio, ha dichiarato a Le Matin Dimanche: «Stiamo affrontando una crisi diplomatica, la Fifa è costantemente in contatto con le massime autorità del Qatar e siamo fiduciosi del fatto che la situazione tornerà alla normalità»), il blocco diplomatico ha dato il pretesto ad altre federazioni concorrenti, come quella inglese e quella tedesca, di risollevare la questione dell’assegnazione dei Mondiali del 2022. Reinhard Grindel, presidente della Federazione tedesca ha dichiarato: «Una cosa è assolutamente certa: la comunità calcistica deve convenire che non si può giocare grandi tornei in paesi che sostengono attivamente il terrorismo».

È difficile prevedere oggi, a più di 5 anni dal suo svolgimento, capire se il Qatar rischia davvero di perdere il Mondiale. Certo, la situazione oggi sembra essere particolarmente complessa. L’isolamento non è solamente politico, infatti, dato che i paesi in questione hanno imposto a Doha anche un blocco aereo e navale, nonché diverse sanzioni finanziarie. In queste condizioni sarebbe difficile, anche solo logisticamente, organizzare un evento grande e complesso come un Mondiale, ma è anche vero che è allo stesso modo improbabile che l’Arabia Saudita possa avere la forza diplomatica per prolungare una situazione simile per così tanto tempo.

Richard Thompson, editor del Middle East Economic Digest, a questo proposito ha dichiarato: «È molto improbabile che la Cina o qualsiasi altra nazione riuscirà ad aggiudicarsi la Coppa del Mondo del 2022, in quanto il Qatar ha stipulato un contratto con la FIFA e sospetto che le conseguenze legali per la rimozione del torneo possano essere molto gravi. Per far sì che questo accada vi devono essere delle chiari evidenze nel mancato rispetto delle consegne da parte del Qatar o la violazione di clausole e per ora nulla di questo è stato riscontrato».

Anche il comitato esecutivo per l’organizzazione del Mondiale del 2022 non si è scomposto, almeno a parole, per la difficile situazione politica che sta attraversando il Qatar: «Andiamo avanti con la nostra linea di business, non vi è stato alcun impatto negativo sull’avanzamento dei lavori nonostante i confini terrestri siano chiusi, dato che la maggior parte di questi è sempre stata consegnata al nostro porto. Se sorgeranno problemi, noi abbiamo un piano B, poi un piano C e così via».

Il progetto per lo stadio di Lusail.

Ma se davvero questa situazione dovesse cristallizzarsi, o addirittura peggiorare, allora sarebbe plausibile aspettarsi la ricollocazione del Mondiale del 2022. In questo senso, la Cina potrebbe essere una delle candidate più probabili, ospitando la Coppa del Mondo otto anni prima rispetto ai piani di sviluppo dell’industria sportiva stilati dal governo di Pechino.

Lo scorso 14 giugno, neanche dieci giorni dopo la notizia dell’isolamento diplomatico del Qatar, il presidente della Repubblica Popolare Xi Jinping ha incontrato Gianni Infantino a Pechino. Secondo quanto espresso dalle due autorità, si è parlato dell’opportunità di ospitare l’edizione della Coppa del Mondo in Cina nel 2030, oppure, nel sempre più improbabile caso in cui la FIFA dovesse rimanere rigida sulle sue regole attuali, nel 2034, dato che, secondo le normative vigenti, una confederazione non può ospitare più di un’edizione dei Mondiali nell’arco di dodici anni (Qatar e Cina fanno entrambe parte della confederazione asiatica, la AFC).

La Cina potrebbe quindi bruciare le tappe, sfruttando a proprio favore la Crisi nell’area del Golfo. Il Dragone dispone già di 20 stadi con una capienza che supera i 50mila posti, e ha approvato diversi progetti per nuovi stadi del tutto dedicati al calcio, come quello di Guangzhou nel distretto di Panyu e il nuovo Chengdu Sports Center, che dovrebbero essere completati entro il 2020.

Nonostante la Cina abbia rafforzato molto i suoi rapporti con la FIFA, soprattutto grazie alle corpose sponsorizzazioni di aziende cinesi (Dalian Wanda, Alibaba, Hisense e Vivo) che hanno aiutato l’organizzazione guidata da Infantino a superare lo scandalo del 2015, uno scenario in cui la Cina subentra al Qatar nell’organizzazione dei Mondiali del 2022 sembra ad oggi comunque improbabile.

Più probabile, invece, che il Qatar non riesca ad organizzare la Coppa del Golfo 2017, competizione che tra l’altro che coinvolge proprio le nazioni che stanno boicottando Doha: Arabia Saudita, Yemen, UAE e Bahrain. La manifestazione si dovrebbe tenere dal 22 all’8 gennaio e nel caso la crisi diplomatica dovesse essere ancora attiva, si dovrà necessariamente cercare un’altra sede per ospitare la Coppa. Secondo fonti non confermate, l’Iraq si sarebbe proposto di ospitare la Coppa del Golfo.

Il Qatar, però, non è rimasto con le mani in mano e, ancora una volta, ha cercato di utilizzare il calcio come piede di porco per scardinare gli equilibri politici della regione. Ed è qui che entra in gioco il mastodontico mercato estivo del PSG e i clamorosi acquisti di Neymar e Mbappé.

Perché l’acquisto di Neymar è importante

A inizio mercato nessuno poteva prevedere che il record di soldi spesi per un giocatore, stabilito l’anno scorso dal passaggio di Pogba dalla Juve al Manchester United, sarebbe stato polverizzato. Eppure, con il pagamento della clausola da 222 milioni di euro di Neymar da parte del PSG, gli equilibri del calciomercato e forse anche del calcio europeo sembrano definitivamente cambiati.

È in questo senso che va letta la reazione di rigetto del Comitato Esecutivo dell'European Clubs Association (ECA), con Karl Heinze Rumenigge, presidente da ben cinque mandati, che ha deciso di non ripresentarsi alle elezioni di settembre a Ginevra, esprimendosi in maniera molto dura rispetto alla stessa operazione Neymar.

Ma al di là della sfida calcistica che il PSG lancia agli altri top club europei e quelle legate alla sostenibilità dell’operazione rispetto al Fair Play Finanziario, quello che è più interessante adesso è il riverbero calcistico che la dirigenza qatariota si aspetta da un acquisto simile.

Neymar è una delle icone del calcio mondiale, assoluto protagonista con la nazionale brasiliana: è lecito aspettarsi che, una volta tramontato il dualismo Messi-Ronaldo, il nuovo attaccante del PSG salga sul gradino più alto nella classifica del Pallone d’Oro. Con Neymar già assunto nel ruolo di uomo immagine per il Mondiale del 2022 sarà sicuramente più semplice rilanciare le ambizioni della competizione e anche l’immagine del paese. Con una stella così luminosa dalla propria parte, associare il Qatar al terrorismo internazionale, o alle disumane condizioni di lavoro, sarà molto meno immediato.

Neymar con il presidente del PSG, Al Khelaifi.

Ma l’operazione Neymar ha anche un intento diplomatico molto più concreto, come confermato anche da alcuni negoziatori qatarioti contattati dall’Estadão. Il giocatore brasiliano ha dato nuovo lustro all’intero campionato francese, il meno seguito tra i principali europei, aumentandone la riconoscibilità. Neymar è, insomma, una grande notizia per il sistema sportivo francese in generale, e per Parigi in particolare, soprattutto adesso che ha ottenuto le Olimpiadi del 2024.

Non è un caso, quindi, che Macron abbia accolto con grande calore l’arrivo di Neymar: «È la prova che la Francia rimane attraente». Quello che si aspetta il Qatar è che la Francia non si dimentichi questo regalo nel caso in cui la sua situazione diplomatica diventasse davvero drammatica. In questo senso, è significativo che uno dei diplomatici interpellati dall’Estadão consideri l’operazione Neymar come una «assicurazione sulla vita».

L’acquisto, comunque, sembra aver sortito fin da subito i primi effetti positivi, dato che il Bayern Monaco ha firmato un contratto di sponsorizzazione con l’Aeroporto Internazionale Hamad di Doha. I bavaresi sono da tempo alleati sportivi del Qatar e negli anni passati hanno svolto il lavoro di ritiro invernale nelle infrastrutture sportive di Doha.

L’accordo dunque tende a rilanciare il settore dei trasporti e della logistica, gravemente danneggiato dalla chiusura dei confini terrestri e aerei con l’Arabia Saudita, il che ha causato un aumento sostanziale del tempo di volo da e verso il Qatar. Un modo anche per rilanciare la Qatar Airways che, dopo il Barcellona, ha perso anche l’Al Alhi, uno dei principali club sauditi, che ha interrotto il proprio contratto di sponsorizzazione con la compagnia aerea, proprio per la difficile situazione diplomatica.

Cambio di rotta

Ma il progetto del Qatar non riguarda solo il calciomercato intrapreso dal Paris Saint Germain, ma anche la promozione del talento locale combinata alla naturalizzazione di giovani talenti per costruire la nazionale del futuro.

Questo è uno degli aspetti più controversi quando si parla dell’ascesa sportiva del Qatar, che attira allo stato del Golfo il maggior numero di critiche. Uno degli episodi che più ha fatto discutere è stato il mondiale di pallamano che si è disputato a Doha nel 2015, dove la squadra di casa, che annoverava solo giocatori stranieri naturalizzati qatarioti, riuscì addirittura ad arrivare in finale, per poi arrendersi solo alla Francia sul punteggio di 28-25.

Il processo di naturalizzazione di giocatori stranieri ha interessato ovviamente anche la nazionale di calcio. Sebastian Soria, Rodrigo Tabata e Luiz Junior, ad esempio, sono tre giocatori della nazionale maggiore, ma sono nati rispettivamente in Uruguay e Brasile. Per quanto le questioni di doppia nazionalità stanno diventando sempre più frequenti, mettendo in crisi il tradizionale sistema delle nazionali, la strategia del Qatar era particolarmente aggressiva, suscitando polemiche non solo al di fuori dei confini nazionale dello stato del Golfo.

Il processo di naturalizzazione dei calciatori è stato avviato in maniera massiccia con la nascita dell’Aspire Academy, fondata nel 2004, e il progetto Football Dreams. Attraverso questi due soggetti, il Qatar si pone l’obiettivo di identificare i migliori talenti del futuro soprattutto in Africa, Asia e America Latina con la possibilità di nazionalizzarli in un secondo momento. Un sistema molto articolato e complesso che, oltre alla struttura principale presente a Doha, abbina un’accademia in Senegal e una stretta collaborazione con il club belga Kas Eupen, il Real Madrid, la Real Sociedad, il Lask Linz e il RB Salisburgo.

La sede centrale dell'Aspire Academy, a Doha.

In questi anni le squadre dell’Aspire Academy hanno ottenuto ottimi risultati a livello internazionale, con l’exploit conseguito nella Coppa d’Asia Under 19 disputata in Myanmar nel 2014, conseguita con una nazionale di soli qatarioti a cui è stato aggregato solo un giovane proveniente dal Senegal.

È un risultato che potrebbe aver portato il Qatar a stravolgere la sua strategia in merito alle naturalizzazioni, anche se non bisogna sottovalutare il peso anche dell’assenza di risultati tangibili della nazionale maggiore (qualificazione al Mondiale 2018 sfumata e Coppa d’Asia del 2015 conclusa con zero punti), e ovviamente la recente crisi diplomatica.

Il 13 giugno, una settimana dopo l’isolamento diplomatico, a Doha si è disputato il match di qualificazione alla Coppa del Mondo di Russia 2018 fra Qatar e Sud Corea con i padroni di casa che hanno trionfato 3-2. Al termine del match, nonostante la nazione araba conservasse ancora alcune speranze di qualificazione al Mondiale russo, l’allenatore uruguagio Jorge Fossati ha dato le dimissioni. Poche ore dopo è stato annunciato Felix Sanchez, precedentemente allenatore dell’Under 23, come nuovo ct.

Molto probabilmente era già tutto scritto, con Jorge Fossati e la Qatar Football Association che avevano già da tempo preso di comune accordo questa decisione date le divergenze tecniche per quanto concerne lo sviluppo della nazionale. La Qatar Football Association infatti sembra intenzionata ad abbandonare la pratica della naturalizzazione puntando sullo sviluppo di giovani talenti qatarioti. La stessa decisione di promuovere Felix Sanchez sembra essere un’ulteriore testimonianza di come la Federazione ha deciso di cambiare radicalmente i piani. In un’intervista rilasciata a Doha Stadium Plus prima di rassegnare le dimissioni, Jorge Fossati ha dichiarato: «Sono a conoscenza di questo piano che tenderebbe ad escludere i giocatori naturalizzati e a puntare maggiormente sui giovani talenti. Personalmente non sono d’accordo, le regole nel mondo del calcio sono fatte dalla FIFA e se un giocatore viene naturalizzato nel rispetto delle norme governative, deve essere trattato come un qatariota».

Il malcontento per una nazionale di naturalizzati non proveniva solamente dalla Federazione, ma anche dal pubblico, tanto che lo scorso marzo, dopo il match di qualificazione perso in casa contro l’Iran, un ragazzo è stato ripreso dalle telecamere della BeIn Sport mentre esprimeva il proprio dissenso contro i giocatori naturalizzati fuori dallo stadio. Il video è diventato virale in rete riscontrando l’assenso del pubblico qatariota nei confronti della protesta.

In questo senso, non bisogna sottovalutare anche l’immagine di unità nazionale che potrebbe dare questo cambio di rotta in un momento di difficoltà come questo. Al momento sono ancora 14 i giocatori naturalizzati chiamati da Felix Sanchez ad affrontare gli impegni contro Siria e Cina, ma non è detto che, alla luce di quanto detto, le cose non possano cambiare in futuro (anche perché i risultati continuano a non arrivare: lo scorso 31 agosto il Qatar ha perso contro la Siria 3-1).

Il calcio è sempre più uno scacchiere in cui si affrontano non solo giocatori e allenatori, ma anche capi di Stato e ambasciatori. Il Qatar è, sorprendentemente per la sua tradizione sportiva, lo stato che lo ha capito più a fondo, portando lo stesso concetto di soft power sportivo ad un livello che qualche anno fa non ci saremmo nemmeno potuti immaginare. Oggi i suoi avversari stanno cercando di ostacolarlo con delle armi diplomatiche tradizionali, forse ignorando ancora le nuove regole del gioco. Il Qatar si ritrova adesso isolato, in una situazione politicamente ed economicamente delicata. Dal modo in cui hai reagito, però, non è escluso che la sua egemonia in questo campo non ne esca addirittura rafforzata e che nel 2022 non ci ritroveremmo a commentare il successo del Qatar nel primo Mondiale invernale della storia del calcio.

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