Solo 364 giorni
di Lorenzo Neri
Marcus Paige lo sapeva, ne era sicuro. Il playmaker dell’edizione di North Carolina battuta all’ultimo secondo dall’indimenticabile tripla di Kris Jenkins sulla sirena, che ha visto chiudersi la sua ottima carriera collegiale nel peggiore dei modi, a un mese di distanza da quel momento ha deciso di scrivere un tweet che a rileggerlo oggi sembra a dir poco profetico.
C’è voluto solo un anno prima che Roy Williams e i suoi Tar Heels riuscissero ad avere una seconda possibilità per mettere le mani sul titolo, e stavolta quel gruppo - che in estate ha perso solo Paige e Brice Johnson - non si è lasciato scappare l’occasione. Hanno giocato tutto l’anno come una delle migliori squadre della nazione, si sono costruiti un percorso che hanno seguito non senza difficoltà ma risolvendo ogni problema come collettivo, e alla fine sono riusciti a prendersi il meritato riscatto. Per di più davanti a Kris Jenkins, che c’era anche in questa occasione ma stavolta in maglia Tar Heels a tifare il fratello Nate Britt: avrà pur voluto dir qualcosa…
Due ottimi piani partita
La prima parte della finale tra North Carolina e Gonzaga è stata una dimostrazione di come i due staff tecnici avessero preparato molto bene la partita, senza dimenticare il minimo dettaglio tattico. Gonzaga era riuscita a entrare perfettamente in partita contenendo la forza a rimbalzo offensivo di UNC e ovviando alla loro difesa forte fin dalla ricezione, trovando i propri tiri anche a ritmi più bassi di quelli a cui erano abituati e chiudendo il primo tempo con un ottimo 56% da tre, trascinati da un Josh Perkins da 13 punti dopo un torneo da 5 di media.
Dall’altra parte “Ol’ Roy” non poteva che rispondere con la fisicità del suo front court in fase difensiva, cercando di limitare per quanto possibile che il fulcro dell’azione degli Zags passasse troppo dalle grandi mani di Przemek Karnowski, sfruttando raddoppi e aiuti forti che inizialmente avevano permesso agli avversari di trovare continuità dall’arco dei 3 punti, ma che con il passare della partita si sono dimostrati una scelta saggia e lungimirante. All’intervallo la squadra che ha mostrato la miglior pallacanestro è stata sicuramente quella di coach Mark Few, ma nonostante tutti i problemi e le limitazioni North Carolina si è ritrovata a soli 3 punti di distanza (35-32) e con quegli 8 rimbalzi offensivi in faretra a dimostrazione che la partita era tutt’altro che morta.
I peggiori 12 minuti di pallacanestro
Nell’ultimo pezzo che abbiamo scritto sul Torneo avevamo fatto riferimento a un arbitraggio mediocre tendente allo scadente, che in un modo o nell’altro era riuscito a rovinare alcune partite che non avrebbero meritato un trattamento del genere.
Ecco, la Finale non ha fatto eccezione, anzi: se serviva dimostrazione di quanto siano pessimi gli arbitri NCAA, dover assistere a una serie di fischi del genere in diretta nazionale per la partita più importante dell’anno è stato deprimente. Speriamo che porti ai cambiamenti che tutti auspichiamo da un po’ di tempo.
Non si può parlare di risultati falsati o di una squadra penalizzata rispetto ad un’altra, ma si deve parlare di come i fischietti siano riusciti a rovinare la partita nei primi 12 minuti del secondo tempo, dove i grigi sono stati capaci di fischiare la bellezza di ventuno falli, rendendo inguardabile una partita che aveva tutte le premesse per essere divertente ed appassionante. Questo ha messo le due squadre in grossa difficoltà con le rotazioni a causa dei problemi di falli, togliendo ritmo agli attacchi, sicurezze alle difese e spettacolo a chi guardava da casa.
Fortunatamente l’Internet aiuta a ingoiare bocconi amari con il migliore spirito
Tra i due litiganti il terzo (e il quarto) gode
La sfida nella sfida tra Nigel Williams-Goss e Justin Jackson ci ha messo qualche minuto di troppo a carburare, almeno offensivamente. Difensivamente invece si è visto il meglio che potessero dare sul parquet, impegnati l’uno contro l’altro su entrambi i lati del campo, senza mai staccarsi gli occhi di dosso e limitandosi reciprocamente in fase offensiva.
Ecco quindi che a prendersi il palco è stato Joel Barry II, l’erede di Marcus Paige, che nell’arco della partita è stato il giocatore a cui i Tar Heels sono riusciti ad affidarsi maggiormente, anche perchè l’unico a riuscire a segnare dall’arco dei 3 punti. Le percentuali non gli hanno dato merito, ma quanto fatto nel momento in cui la gara volgeva al termine è stato fondamentale per presenza mentale. Come la tripla del 62-60 appena dopo quella mandata a segno Willams-Goss che aveva segnato il suo risveglio offensivo, e di conseguenza quello di Justin Jackson.
Il botta e risposta finale tra i due migliori giocatori delle due squadre era tanto atteso quanto è stato spettacolare, con la guardia degli Zags a sfruttare la sua grande versatilità offensiva, mentre dall’altra parte Jackson - appurata la brutta serata al tiro - ha iniziato a far leva sulla sua stazza ben maggiore rispetto a quella degli esterni avversari.
Nel finale punto a punto - dopo l’ennesima chiamata dubbia del trio dei grigi - a fare il terzo incomodo stavolta è stato Isaiah Hicks, che a 27 secondi dalla fine ha segnato il layup per il 68-65 rimanendo in aria un eternità, fermando il respiro di chiunque stesse vedendo la partita. L’ultimo possesso di Gonzaga, affidato a Williams-Goss, si è stampato sulla manona di Kennedy Meeks - e Justin Jackson, schiacciando in contropiede, ha dato il via ai festeggiamenti dei Tar Heels.
United we Zag
La stagione di Gonzaga si chiude con la delusione più grande. I problemi di falli occorsi ai lunghi negli ultimi minuti di partita hanno in qualche modo rovinato quanto costruito, soprattutto in una gara in cui Przemek Karnowski non è mai riuscito a trovare la sua comfort zone, come dimostra il suo 1/8 finale al tiro. Zach Collins, inserito nel quintetto All-Tournament, si è visto fischiare il 5° fallo a 5 minuti dal termine, e nonostante l’altro freshman Killian Tillie abbia dato una grande mano quando chiamato in causa, la sua mancanza - soprattutto nella protezione del ferro - ha fatto la differenza.
Questa sconfitta però non deve far passare in secondo piano quanto fatto dai Bulldogs in questa stagione, che si può tranquillamente definire come storica (e in cui c’è anche un po’ di Italia con Riccardo Fois, che da tre anni fa parte dello staff di coach Few, e i ragazzi di ChartSide, che collaborano con Gonzaga occupandosi di consulenze statistiche e scouting interno). Oltre ad avere conquistato per la prima volta l’accesso al Torneo come seed #1, arrivando poi all’esordio alle Final Four e alla Finale Nazionale, la loro annata si conclude con un 37-2 che passerà alla storia come una delle più vincenti del College Basketball, spazzando via tutti i dubbi che si possono avere su una squadra proveniente da una Conference piccola come la WCC.
Ma soprattutto gli Zags hanno vissuto l’esempio di North Carolina, che mantenendo il gruppo è riuscita a conquistare una seconda occasione dopo aver perso la Finale. Il prossimo anno perderanno solo Karnowski e Jordan Mathews, con l’unico dubbio legato a Zach Collins, che sicuramente porgerà l’orecchio ai canti delle sirene NBA. Ma qualora dovesse tornare gli Zags avrebbero un core solido con alle spalle un’esperienza che li avrà fatti maturare sotto molti aspetti. E perché no, quella voglia di riscatto che ha portato North Carolina a tagliare la retina.
Top-10 dei giocatori che ci mancheranno
di Lorenzo Bottini
Ora che la stagione si è conclusa, rimane solo il dispiacere di non poter più vedere sul palcoscenico collegiale dei giocatori che ci hanno accompagnato negli ultimi anni. Questa la nostra top-10.
- Frank Mason Jr. Dalla Massanutten Military Academy fino al Naismith Trophy: Bitch I’m Frank Mason (per gli amici #BIFM) è stato il giocatore più divertente e folle dell’anno e quello che ci mancherà di più. I’ve been ballin all my life and now I’m the Number One.
- Sindarius Thornwell Della folle cavalcata di South Carolina verso le sue prime Final Four ricorderemo le lacrime e il sangue di Frank Martin, i tifosi di UNC con le bandiere dei Gamecocks e tutte le sportellate che Sindarius ha assestato ai malcapitati avversari.
- Przemek Karnowski Nonostante l’1/8 con cui ha chiuso la sua carriera con la maglia di Gonzaga, il gigante polacco ha vinto più partite di chiunque altro a livello collegiale riuscendo ad essere anche il giocatore più simpa della nazione, nonostante le mediocri battute sulla sua stazza/barba.
- Lonzo Ball Non importa che se ne parli bene o male, basta che se ne parli. E di Lonzo Ball si è parlato in lungo e in largo, grazie anche alle sparate del padre, che hanno già creato una piccola mitologia. Aiuta anche il fatto che Lonzo abbia un talento di quelli che passano raramente.
- Nigel Hayes Il buon Nigel doveva essere il miglior talento di sempre visto a Madison ma ha preferito spendere i suoi quattro anni di eleggibiltà tra un collettivo sul post-patriarcato e i VHS di Jordan. Abbastanza almeno per eliminare i campioni in carica di Villanova.
- Derrick Walton Jr. Tra qualche anno sorrideremo ripensando a quelle due settimane in cui Derrick Walton era il miglior giocatore al mondo, trascinando una squadra appena scampata ad un disastro aereo al titolo della Big10 e alle Sweet Sixteen. Probabilmente sorriderà anche lui con noi.
- Dylan Ennis Dylan non ce l’ha fatta a diventare il più vecchio giocatore di sempre a vincere un titolo, ma la caparbietà che ha esibito durante tutti i suoi settantadue anni di basket collegiale sarà di motivazione per tutti i fuoricorso a non mollare mai.
- Monte Morris Aprire le statistiche e non trovare più Monte in cima a quella del rapporto assist/turnover mi farà sentire vecchio come quando spolvero i miei vecchi cd musicali e non resisto a metterne uno nello stereo nonostante una forte fitta allo sterno.
- Caleb Swanigan La trasformazione da Grassone Che Muore Per Primo Nei Film Horror a Demone Inarrestabile Sotto Canestro rimane una delle storie più poetiche che può aprirsi sul vostro computer se non mettete l’adblocker e il giusto percorso di successione verso il trono di Zach Randolph.
- Grayson Allen Ok no.
30 anni di One Shining Moment
Tutti sanno che la stagione del college basketball non termina quando la squadra vincitrice taglia la retina, ma quando la CBS manda finalmente in onda i tre minuti che riassumono l’intero torneo appena giocato. È un rito di passaggio consacrato dalla voce suadente di Luther Vandross che accompagna da generazioni gli studenti oltre la sbornia di Marzo verso i loro traguardi da adulti. Le parole di David Barrett, con il loro gusto di caramella gommosa, raccontano benissimo l’assurdo, magico brivido dell’adolescenza che nessuno può davvero spiegare, ma che tutti in qualche modo conoscono e lo racchiudono dentro una palla da basket.
Secondo i cliches più triti, per riempire quella sfera di cuoio non basta solo la pressione delle atmosfere ma tutto il duro lavoro, i sacrifici e il tempo che ogni atleta ha dovuto dedicare alla sua passione. È un’esaltazione euforica dello sport amatoriale e del sogno americano, qualcosa che in un’epoca cinica e spietata come la nostra, ai più dovrebbe far venire solo una carie. Invece a trent’anni di distanza dalla prima messa in onda, One Shining Moment mantiene intatta la sua potenza iconica - ed anche in questa edizione non sono mancate le emozioni.
Il funzionamento è semplice quanto efficace: attraverso un montaggio ai limiti della letterarietà vengono associate le suggestioni della canzone con immagini registrate nel corso del torneo. Si ottiene così quel raddoppiamento che esalta il contenuto emozionale nel quale si alternano giocate decisive, insta-cult e filmati privati o meno visti. One Shining Moment è prevedibile, rassicurante e ci permette di abbandonarci a una nostalgia istantanea, come nei season finale della vostra serie tv preferita. Dopo aver bingewatchato violentemente la March Madness come un barattolo di gelato col cucchiaio da portata, si rimane con solo i titoli di coda negli occhi, in uno slow-mo che vorresti continuasse per sempre. Tutti i personaggi che abbiamo amato, odiato, fischiato o applaudito si accomiatano con un ultimo giro di valzer prima che si spengano le luci e inizino sette mesi di buio.
Prima però che si spengano definitivamente, ci ritagliamo l’ultima scintilla di Madness per il Pagellone al One Shining Moment 2017.
Letterarietà 7: In linea con le precedenti edizioni - inficiata però dall’eccessivo voice over - Frank Martin su “All those years” la scelta più azzeccata
Lacrime/Sorrisi 7,5: Si ride e si piange molto come al solito, risata migliore la mop girl che corre via dal campo; pianto migliore Jordan Bell dopo essersi fatto mangiare a rimbalzo da Meeks, menzione per la cit. di Adam Morrison da parte di NWG.
Vips 7,5: Bene Julia Louis-Dreyfus, Aaron Rodgers d’ordinanza, brucia l’assenza di Bill Murray e l’abbronzatura di Michael Phelps con le swimming moves.
Coaches 8: Ottimo sia Beilein con il superliquidator, sia Scott Drew con l’omaggio a Craig Sager, ma la statuetta va alla connection Tyler - Bill Self che vincono anche il premio WTF
Premio “È successo in questo torneo?”: Vanderbilt - Northwestern, sembra che sia passato un anno.
Premio “Non ci sarebbe dovuto stare”: Il bambino di Northwestern, troppo visto e previsto.
Premio “Ci sarebbe dovuto stare”: Un omaggio alle varie terne arbitrali.
Plus: Iniziare con un dab invece che con la solita cheerleader per svecchiare il protocollo, lo split screen dentro gli spogliatoi che crea dinamicità.
Minus: troppi accavallamenti delle voci dei telecronisti con la canzone sfiorando troppe volte l’Effetto Riassuntone invece di lasciare alle note il ruolo di sottolineare i temi ancestrali del torneo.