Cinquantaduemila spettatori. Stadio tutto esaurito. Cori da prima che l’arbitro fischi il calcio d’inizio. Nuovo look dello stadio dai suggestivi cartelloni pubblicitari bianco-neri. È veramente l’atmosfera delle grandi occasioni a Valencia, come da tanto, troppo tempo non si respirava. Un piccolo assaggio era arrivato contro l’Atletico di Simeone due mesi fa, ma giocare in notturna fa tutto un altro effetto. La sconfitta nel derby contro il Levante non ha minimamente scalfito le sicurezze della squadra di Nuno Espirito Santo. Il Valencia sa che è tornato grande (uno status che si riflette anche dall’ottima posizone in classifica) e ha la possibilità di farlo vedere a tutti affrontando il Barcellona nella gara di cartello della tredicesima giornata.
Nuno ha messo in piedi quella che è una delle difese meglio organizzate della Liga, un orologio svizzero i cui ingranaggi si estendono ben oltre i due centrali. Per contrastare i maestri del possesso palla il portoghese opta per un 4-1-4-1 con difesa alta e linee strette che possa muoversi verso un 4-3-3 una volta recuperata la palla e avendo bene in testa che la palla bisogna guadagnarsela visto che il Barcellona non la regala di certo. Javi Fuego come pivot davanti alla difesa e Negredo come pivot davanti alla difesa avversaria, con l’attaccante che però ha il compito di muoversi in verticale quando le palla viene recuperata. Il Valencia è costruito per attaccare sugli esterni dopo aver recuperato palla al centro, dove l’intelligenza tattica dei centrocampisti si frappone sulle linee dei passaggi.
Dall’altra parte c’è la squadra di Luis Enrique, l’eterna incompiuta di questa Liga. Il tecnico asturiano non smette di modificare, aggiustare, tornare indietro sulle proprie idee. Come la Sagrada Familia, splendido simbolo ancora in costruizione della città catalana, anche il Barcellona è un cantiere a cielo aperto. Come la Sagrada Familia di questo Barcellona si intuisce il progetto, si ammirano alcuni magnifici particolari, ma non si ha idea di quando sarà realmente un’opera compiuta. E allora siamo alle carte che si mischiano ancora quando a centrocampo vengono schierati contemporaneamente Mascherano e Busquets. Un’assoluta novità quest’anno, soprattutto visto che il modulo rimane il 4-3-3 con Xavi che, dopo l’inaspettata presenza da mezzala destra nella vittoria contro il Siviglia, torna nel ruolo non-naturale di mezzala sinistra. Mascherano dietro Xavi e Busquets. La scelta è forse data dalla necessità di bloccare le tante ripartenze di cui è vittima questa squadra, incapace a difendere quando la difesa viene attaccata in velocità.
Davanti Luis Enrique decide di continuare sul tridente Neymar-Suarez-Messi con l’argentino nella recente riscoperta posizione esterna così da mantenere Suarez al centro. Dopo mesi di Messi-sistema con il numero 10 nella posizione di trequartista si spiega la titolarità di Xavi con la voglia di avere un'altra fonte di gioco ora che Messi tocca il pallone partendo da una posizione più esterna.
La scelta di Luis Enrique, oltre a cogliere impreparati i tifosi, si scontra con le caratteristiche dei giocatori rendendo i compiti dei centrocampisti confusi. Nonostante il cronometro di Canal+ dica il contrario la partita è iniziata da qualche minuto e già abbiamo Xavi che finisce con il giocare tra le linee gravitando verso il centro. Nella confusione le caratteristiche e le tendenze dei giocatori si fanno più marcate.
Il Valencia mantiene un ritmo alto, i tifosi si fanno sentire, i tamburi in curva vogliono ricordare ai giocatori in campo di non perdere mai la concentrazione. Il Barcellona è stordito. Confuso. La trappola di Nuno non si apre quando la palla è tra i piedi di Piqué o Mathieu, con il centrale catalano che può giocare tranquillamente la sfera come preferisce, ma se passa la palla ad uno dei centrocampisti scatta il meccanismo del portoghese: Javi Fuego segue in caso di abbassamento di Messi impedendogli di ricevere pulito il pallone e i due interni, capitan Parejo e André Gomes, vanno subito in pressione su chi riceve la palla con gli esterni Rodrigo e Feghouli che compensano il movimento in pressione dei compagni arretrando la posizione. La palla non passa facilmente al centro. Il Barcellona ha il possesso ma deve giocare per vie orizzontali o lanciare lungo dai piedi di Piqué o Mascherano. A Valencia la squadra di Luis Enrique gioca alle condizioni dei padroni da casa e questo galvanizza i tifosi.
Quando recupera la palla la squadra di Nuno diventa meno ordinata, sembra quasi farsi prendere dall’atmosfera elettrica dello stadio, pecca di lucidità. Le azioni più pericolose finiscono per essere azioni di singoli, dal bel movimento a liberarsi di Busquets con cui Rodrigo scarica il sinistro esaltando il portiere Bravo, alle imperiose progressioni palla al piede da parte del centrocampista portoghese André Gomes. Il portoghese si sta affermando come un vero e proprio crack, dal fisico possente (188 cm) nasconde una rapidità di esecuzione non comune per la stazza che, abbinata ad una certa classe, ne fanno un centrocampista bello da vedere palla al piede ed efficace senza. Un centrocampista completo che il Barcellona non sembra essere in grado di arginare. André si muove con ampie libertà quando la sua squadra è in possesso apparendo un po’ ovunque a dettar legge. Già al Mondiale U-20 del 2013 era chiaro che le potenzialità del ragazzo fossero enormi, soprattutto per l’accoppiata fisico/tecnica. Nuno lo sta indirizzando su un livello che non può lasciare indifferenti le grandi squadre d’Europa.
La fortuna del Barcellona è che sia Negredo che il regista Parejo sono ancora in fase di pieno recupero fisico e quindi che il potenziale offensivo del Valencia sia ancora parzialmente inepsresso. Il potenziale difensivo però è a pieno regime con il centrale Otamendi su tutti: un carrarmato tatuato che non si ferma neanche davanti ad un incidente alla caviglia che avrebbe bloccato chiunque altro. L’attacco del Barcellona non riesce bene a leggere dove si trova l’anello debole della catena valenciana e, nonostante la volontà, i movimenti del reparto non sono abbastanza rapidi.
Difesa alta e attenzione agli spazi. Piqué non viene infastidito fin quando non arriva a centrocampo, poi scatta la trappola di Nuno: Parejo è già pronto su Mascherano, André va su Busquets e Javi Fuego sta vicino a Xavi dando sempre uno sguardo ai movimenti di Messi. Gli esterni stanno ben attenti ai movimenti dei compagni.
Interessante è il duello tra gli esterni bassi delle due squadre (tanto importanti nel gioco di Luis Enrique quanto in quello di Nuno). Nel Barcellona il prodigio fisico Jordi Alba è una molla pronta a scattare sulla sinistra, appena ne vede l’opportunità. Non sembra curarsi troppo di leggere quando sia il momento migliore per salire, lo fa sempre, a prescindere da dove si sviluppi l’azione. Il duello più entusiasmante però è sulla fascia opposta, dove Dani Alves deve vedersela con una delle rivelazioni della Liga, nel talentino della casa Gayà. Sembra incredibile la produzione del vivaio valenciano in termini di esterni bassi mancini: alla partenza di Jordi Alba proprio per Barcellona è uscito fuori un giocatore forse ancora più completo in Bernat, acquistato dal Bayern in estate, ora ecco spuntare fuori un ragazzo che sembra poter avere prospettive superiori ad entrambi. Rispetto ai due predecessori Gayá nasce esterno basso e già a diciannove anni ha un livello di lettura difensiva e coordinamento con i compagni di reparto da giocatore navigato. Gayá appiattisce il gioco di Dani Alves che nonostante mantenga la solita ampiezza fondamentale nel sistema non riesce a saltare il giovane avversario neanche una volta, finendo per cadere nella trappola del fuorigioco le due volte che sembrava lo avesse battutto muovendosi senza palla. Con Messi che tende a tornare indietro, Busquets che per natura non si avventura più di tanto dalla sua zolla nel centro-destra e Dani Alves che non riesce a trovare il fondo per il cross la fascia destra blaugrana non morde.
Nel secondo tempo la musica non cambia. I cori rimangono costanti, i tifosi si rispecchiano in quanto vedono in campo. Un salvataggio sulla linea di Piqué sul diagonale di Rodrigo inizia a far capitolare Luis Enrique: il piano non ha funzionato, bisogna cambiare qualcosa. Messi preme per avere maggior contatto con il pallone schiacciandosi al centro e con i tagli di Neymar e la presenza di Suarez è veramente troppo facile per la difesa del Valencia tenere a bada gli avversari. Inoltre le tanto temute ripartenze avversarie sono arrivate copiose, nonostante Mascherano-Busquets. Il piano è stato un fallimento.
È il sessantottesimo minuto quando i fischi del Mestalla (non da parte di tutto lo stadio va detto, ma certamente buona parte) accompagnano l’uscita da campo dell’ex Mathieu. Ad entrare è il centrocampista Rakitic e con lui Luis Enrique cambia faccia alla squadra. Mascherano viene arretrato in difesa con Busquets che ne prende il posto a centrocampo. Xavi rimane a sinistra. Si torna al sistema provato ad inizio campionato con Messi al centro. Torna il Messi-sistema. Neanche il tempo di adattarsi al nuovo sistema da parte del Valencia che il Barcellona va subito in gol: un movimento palla al piede di Messi seguito da un delizioso rasoterra che passa tra quattro avversari, di quelli che solo a lui sembrano così semplici, viene raccolto dal taglio di Neymar. Dal rimpallo la palla finisce a Dani Alves che tira, servendo però Suarez, che insacca.
Il gol viene annullato per un fuorigioco che non sembra però esserci. La partita “sufficiente” di Suarez finisce per avere un asterisco sul voto finale. Il Valencia non si lascia impressionare e mantiene la sua proposta con una bella ripartenza nata da un pallone recuperato su Busquets che lancia Rodrigo, Negredo e Feghouli contro la difesa del Barcellona. Feghouli non spaventa Bravo che rimane freddo sul tiro aggiungendo l’ennesimo punto esclamativo sulla sua gara perfetta. Nuno ci mette poco a reagire, cambiando l’esterno Rodrigo per un altro esterno, l’argentino De Paul. Il Valencia perde in velocità di esecuzione ma vorrebbe guadagnarne in controllo. Nuno non sa però che le cose andranno sempre peggio.
Luis Enrique ha provato l’ennesimo nuovo centrocampo, alla fine però si è dovuto arrendere al fatto che il Messi-sistema non è semplice da eradicare. Tornata ai meccanismi che la squadra conosce a memoria la partita è cambiata.
Il Mestalla urla, il cross di Gayá viene raccolto da Negredo che scarica su Bravo, ancora impeccabile. La pressione da parte del tifo non si è mai spenta ma il Valencia arretra sempre di più il baricentro. La cosa non sembra dettata da un aspetto altetico, il Valencia corre più del Barcellona e va in pressione, è come se, inconsciamente accontentatosi del pareggio, il Valencia accetti la salita in cattedra di Messi limitandosi a contrattaccare con lanci lunghi. I tifosi non scendono di un decibel ma il Valencia non è più lo stesso. L’entrata di Paco Alcacer per Negredo non cambia l’inerzia della partita. Le ripartenze si fanno sempre più rare, la linea sempre più arretrata. Gli ultimi minuti sono un vero e proprio assedio da parte del Barcellona che, incurante dell’ambiente ostile continua a macinare gioco. Si gioca ad una porta sola. A pochi istanti dalla fine del recupero, dopo il terzo corner consecutivo tra i fischi impauriti del Mestalla, un perfetto cross morbido di Messi da il via al gol con cui Busquets sentenzia la partita.
Dopo le classiche riprese all’esultanza dell’autore del gol, le telecamere volano ad inquadrare i giocatori del Valencia inginocchiati a terra. Distrutti. Ma lo sconcerto fa presto posto all’orgoglio di aver dimostrato di essere tornati veramente nell’elite della Liga, con una squadra giovane, dagli ampi margini di crescita ed un pubblico totalmente identificato con la rosa. Il Valencia può rimproverarsi l’incapacità di definire le occasioni create, ma si può anche dire che, alla lunga, le tante occasioni verranno premiate. La squadra arriverà lontano, anche perché ha tutta la settimana per preparare bene ogni scontro e Nuno sembra un allenatore in grado di approfittare di questa cosa. La maglia della squadra presenta al posto dello sponsor la scritta “Junts tornem” uniti torniamo. Raramente queste scelte di marketing colpiscono. Questo è uno dei casi, il Valencia è tornato.
Il Barcellona esce da un campo difficile con una vittoria, ma con in dote più domande che risposte. Il piano iniziale si è rivelato un fallimento: l’opzione Busquets da mezzala è una forzatura innecessaria. La squadra è ancora un cantiere aperto e Luis Enrique continua a non riuscire a definire il proprio sistema. E il tempo scorre. La Sagrada Familia dovrebbe terminare nel 2028, Luis Enrique, forse, non avrà così tanto tempo a disposizione.