Con la vittoria per 3-0 di ieri sera, il Real Madrid ha praticamente già in mano il biglietto d’ingresso per la quindicesima finale di Champions League, la terza nelle ultime quattro edizioni. Solo un tracollo nervoso potrebbe regalare una speranza di rimonta all’Atletico Madrid nella partita di ritorno: ma è impensabile, oggi, che possa venir meno il principale punto di forza di una squadra che fin qui ha dominato mentalmente ogni avversario.
La vittoria dei “Blancos” nell’ennesima stracittadina europea è stata piena anche dal punto di vista tecnico-tattico, facendo risaltare le differenze di stile tra due allenatori di razza.
I due approcci
Diego Simeone è stato un centrocampista di quantità, che massimizzava il prodotto della propria azione attraverso la minimizzazione dei rischi e dei fronzoli. Il suo approccio al calcio da allenatore non è molto dissimile e ne ha dato evidenza ieri, ancora una volta, nelle scelte di formazione. La duplice assenza di Juanfran e di Vrsaljko avrebbe potuto costringere l’argentino ad un guizzo di fantasia, per riempire la casella vuota del terzino destro. Invece, Simeone ha minimizzato i rischi connaturati con lo scioglimento della coppia di centrali titolare Godin-Savic, rifiutandosi di dirottare quest’ultimo a destra; mantenuta la certezza in mezzo, ha scelto di completare la linea nella maniera più lineare possibile con l’inserimento del centrale di riserva, Lucas Hernandez.
All’opposto di Simeone, Zinedine Zidane era un calciatore dotato di mezzi tecnici straordinari che al picco della sua carriera è stato l’alfa e l’omega della fantasia in mezzo al campo. Da allenatore è riuscito a piazzare spesso dei colpi ad effetto e, un esperimento via l’altro, con una fluidità che dimostra sia pragmatismo sia un’apertura mentale non banale quando si parla di allenatori e calciatori, ha finito per modellare un Real Madrid duttile e coriaceo al tempo stesso. Il francese ha scelto Isco al posto dell’infortunato Bale, scartando le opzioni offerte da James Rodriguez e Lucas Vazquez; ma invece di utilizzare il malagueño in fascia, mantenendo pressoché inalterato il suo assetto base, Zidane ha dato al suo centrocampo la forma del rombo, con Casemiro vertice basso, Isco vertice alto, Modric e Kroos sui lati.
Ed è stata proprio la posizione di Isco a concedere un immediato vantaggio tattico al Real, con il quale l’Atletico non è riuscito a fare i conti e che ha finito per portare i padroni di casa in vantaggio dopo appena dieci minuti. Un gol che ha stordito l’Atletico per almeno un tempo e che ha spostato l’ago della bilancia della partita.
Partendo dalla posizione di trequartista, Isco si è mosso in ogni direzione, provocando un movimento della struttura avversaria e una conseguente rottura delle linee dei colchoneros. A seconda della posizione della palla al momento dell’uscita della difesa, Isco scivolava lateralmente verso il lato forte: in questo modo, posizionato sempre su linee sfalsate rispetto a Marcelo e Kroos a sinistra, o rispetto a Carvajal e Modric dal lato opposto, agevolava la formazione dei triangoli con cui il pallone saliva verso la trequarti offensiva.
Scegliere la strategia vincente
Lo sfruttamento delle catene di fascia è stata la tattica disegnata da Zidane sulle misure dell’Atletico. Basta guardare i palloni ricevuti da Marcelo ieri sera e confrontarli con quelli passati per i piedi del laterale brasiliano contro il Napoli nella gara d’andata: ieri sera il Real ha cercato Marcelo con un cambio gioco solo quando i difensori si trovavano in difficoltà sotto la pressione avversaria nel corso della prima impostazione; contro il Napoli, invece, Marcelo è stato il passepartout per la trequarti offensiva.
Il grafico delle posizioni medie conferma la centralità di Isco, connesso con le mezzali e i terzini di ambo i lati. È interessante notare come Benzema abbia agito da punta di raccordo e abbia spesso arretrato la propria posizione, imitando i movimenti di Isco, ma al di qua della prima linea di pressione avversaria.
Quando il Real impostava dal basso, l’Atletico ha provato ad esercitare una pressione alta ma sui 10 palloni recuperati nella metà campo avversaria nel primo tempo, nessuno è sfociato in un tiro. L’Atletico è apparso incerto e scollato nella propria azione, sfilacciato perché preoccupato di non concedere la profondità a Ronaldo, Benzema e Marcelo, sempre alti ad inizio azione.
La capacità del Real di progredire palla al piede attraverso le maglie avversarie, aggiunta allo stordimento provocato dallo svantaggio subito quando la partita era iniziata da poco, ha messo l’Atletico nell’angolo. Nei primi 30 minuti di gioco, il Real è arrivato al tiro 9 volte, 6 di queste conclusioni sono finite nello specchio della porta. L’Atletico è arrivato per la prima volta al tiro al 31’ con Godin, sugli sviluppi di un calcio di punizione.
Il Real ha surclassato l’Atletico in termini di xG. Alla fine del primo tempo, il computo degli xG era già di 1,5 a 0,1 a favore dei Blancos.
È difficile parlare dell’Atletico per quanto poco si è visto in campo: in tutta la partita ha tirato 4 volte, 3 nel secondo tempo; una sola conclusione è stata presa dall’interno dell’area di rigore - quella già citata di Godin - e i “Colchoneros” hanno completato solo 3 passaggi negli ultimi sedici metri in tutta la partita.
Steccare la serata sbagliata
Quando ha avuto il possesso del pallone, l’Atletico ha faticato a trovare i propri attaccanti. Gameiro e Griezmann sono stati inghiottiti dalla coppia centrale formata da Varane e Sergio Ramos, che hanno accettato di buon grado di sfidare i due anche in un uno contro uno potenzialmente pericoloso. Piazzati quasi sempre sulla stessa linea, anziché alternarsi nel lavoro di cucitura col centrocampo e di ricerca della profondità, i due hanno fornito poche scelte al portatore di palla. Tant’è vero che Filipe Luis ha rimbrottato duramente Griezmann sul finire del primo tempo.
Con scarsi riferimenti, i portatori di palla ha commesso molti errori, specie nella prima frazione che l’Atletico ha chiuso con il 78% di passaggi riusciti; percentuale che poi è salita a fine partita fino all’83,6%.
L’Atletico ha trovato di rado delle combinazioni palla a terra efficaci nel corso della partita: la punta viene incontro per ricevere palla dal terzino e fa da sponda con l’ala, venuta a giocare dentro al campo. Manca l’attacco della profondità da parte dell’altra punta; così come manca il supporto largo del terzino, con Hernandez assente in fase di spinta per tutta la partita, ma non poteva essere altrimenti date le sue caratteristiche.
È sugli esterni che l’Atletico ha trovato maggiori difficoltà, con Carrasco scollegato dal resto della squadra e Koke incapace di fare gioco tra le linee: su quelle posizioni Simeone ha provato a intervenire, dapprima invertendo le due ali, sostituendo poi Carrasco con Correa, riportando Koke al centro con l’inserimento di Gaitan. A quest’ultimo va il merito del buon periodo vissuto dall’Atletico a inizio secondo tempo, grazie ai suoi tagli esterno-interno e alle sue ricezioni alle spalle della mezzala avversaria.
Ma il Real Madrid ha dimostrato ancora una volta di conoscere alla perfezione il modo con cui l’Atletico preferisce attaccare. I “Blancos” si sono posizionati su due linee da quattro uomini la cui composizione dipendeva dal posizionamento degli uomini alla fine del possesso offensivo. Nella maggior parte delle occasioni, Isco è scivolato sulla fascia destra a difendere sulle avanzate di Filipe Luis, ma non di rado è stato Modric ad allargarsi sul terzino brasiliano, con il malagueño ad occupare la posizione di interno.
E in qualche altra occasione, una volta concluso il possesso Isco restava davanti, sulla linea di Benzema, ed è stato addirittura Ronaldo a fare il quarto a sinistra. Ciò detto, le consegne erano chiare e sono state rispettate: le due linee da quattro ristabilivano la parità numerica in fascia, con Marcelo e Carvajal disposti a concedere alle ali avversarie solo la ricezione spalle alla porta; una delle due punte si abbassava nella zona di Saul, mentre Kroos curava la marcatura di Gabi e Casemiro offriva copertura in zona centrale alla mezzala sul lato forte.
Gli undici in campo per il Real hanno dimostrato un’applicazione notevole in ogni fase di gioco. È indubbio che Zinedine Zidane abbia contribuito a migliorare tutti i suoi giocatori: il bagaglio di conoscenze di ogni singolo elemento che compone la rosa, a partire dalla posizione da tenere in campo nelle varie situazioni, per finire alla gestione dei 90 o dei 180 minuti, è visibilmente cresciuto durante la reggenza del francese al Bernabeu.
Il nuovo Cristiano
Tra tutte le individualità, si è elevata ancora una volta la figura di Cristiano Ronaldo, autore della seconda tripletta consecutiva in una partita eliminatoria di Champions League, che gli ha permesso di fare man bassa di ulteriori record: oggi Cristiano può dire di aver segnato in Champions più gol di tutto l’Atletico Madrid (103 a 100); è il primo ad aver raggiunto quota 50 reti nelle fasi ad eliminazione diretta del massimo torneo continentale; in aggiunta ha anche eguagliato il record di 7 triplette segnate in Champions League e detenuto da… Messi.
CR7 ha ormai compiuto la sua trasformazione in prima punta ed è stato il mattatore della serata: in questa che, presumibilmente, è la fase finale della sua carriera risaltano quelle doti di CR7 che prima erano messe in ombra da una superiorità tecnica o atletica semplicemente strabordante. Ronaldo ha controllo del proprio corpo e una coordinazione perfetta in quasi tutti i frangenti, ha capacità di dosare le forze nell’arco dei 90 minuti e una notevole comprensione del gioco, che lo porta a prendere le scelte migliori nelle situazioni più difficili e decisive.
Il movimento con cui fulmina Savic in anticipo, sugli sviluppi di una palla inattiva, per andare a segnare il primo gol è da centravanti di razza. Così come il suo posizionamento alle spalle di Benzema in occasione della seconda rete, e persino il successivo contrasto vinto ai danni di Filipe Luis, sono tutt’altro che casuali.
A questo punto starebbe forse a Florentino Perez, la persona che più ha beneficiato del suo talento, una volta conclusa la carriera di Cristiano al servizio delle Merengues, avere il buon gusto di cancellare l’onta di quel busto dedicatogli a Madeira, e magari anche di quell’altra statua ridicola, regalando al portoghese un’opera d’arte finalmente degna della sua grandezza.