Il PSG sta per chiudere una della peggiori stagioni della sua storia recente, quella iniziata nel 2011 con l’acquisto del club da parte della Qatar Sports Investments.
Il club parigino non solo è uscito dalla Champions League in modo grottesco, subendo la più clamorosa rimonta nella storia della competizione, ma sta anche vedendo sfumare quella che prima dell’inizio della stagione era considerata una certezza incrollabile: la vittoria della Ligue 1. Il campionato è ormai quasi aritmeticamente nelle mani del Monaco, che ha tre punti più con una partita in meno, a una giornata dal termine del campionato. Alla squadra di Jardim basta un punto e domani sera ha la prima possibilità di vincere il campionato in casa, contro il Saint-Etienne.
L’unica buona notizia di questa stagione per la squadra di Emery è arrivata solo domenica scorsa, con la sconfitta del Nizza in casa del Marsiglia, che ha scongiurato la prospettiva apocalittica del terzo posto. Una prospettiva che solo una settimana prima, dopo la dolorosa sconfitta del PSG proprio in casa del Nizza, era più che reale, con la squadra allenata da Lucien Favre che era arrivata ad appena tre punti dal secondo posto.
Questo ovviamente non basta a salvare il bilancio della stagione del PSG, che rimane fallimentare da tutti i punti di vista, soprattutto alla luce delle aspettative iniziali. Il presidente Al-Khelaifi in estate aveva finalmente deciso di chiudere il ciclo Blanc, che aveva assicurato il dominio assoluto in patria senza però ottenere risultati soddisfacenti in Champions League. Dove per “soddisfacenti” si intende un torneo disputato da protagonisti, possibilmente condito con la vittoria del trofeo. E proprio per questo era stato preso Emery, un allenatore con nel curriculum tre Europa League vinte.
Ma fin da subito qualcosa è sembrato andare storto e quella che doveva essere la stagione della definitiva consacrazione di Emery si è presto trasformata in un incubo.
I problemi dello spogliatoio
A spezzarsi quasi subito è stato l’asse su cui si basa ogni squadra di successo: la fiducia tra giocatori e allenatore. A inizio stagione Emery ha provato ad allontanarsi dal gioco di possesso ossessivo ma dominante di Blanc, adottando un gioco di posizione leggermente più diretto, che cercava con più continuità la superiorità dietro le linee di pressione avversaria. Per riuscirci aveva abbandonato il 4-3-3 dell’allenatore francese per un 4-2-3-1 più fluido, che si trasformava in 3-4-2-1 in fase di primo possesso attraverso la salida lavolpiana di uno dei due mediani, la discesa del trequartista sulla mediana e l’entrata dentro al campo delle due ali, sulla trequarti.
Il ribaltamento del triangolo di centrocampo era probabilmente dovuto alla necessità di superare l’assenza di Ibrahimovic, che fino all’anno scorso esercitava un’influenza tirannica sulla trequarti, relegando Cavani ai corridoi laterali. Avvicinando più giocatori creativi tra le linee (inizialmente Di Maria, da ala sinistra, e Pastore, da trequartista, soprattutto) Emery compensava la capacità di creare gioco dello svedese e permetteva a Cavani, finalmente da solo al centro dell’attacco, di concentrarsi solo sui tagli in profondità.
Questi cambi tattici, che pure si inserivano nel solco del lavoro precedente di Blanc e non erano certo interpretabili come una rivoluzione, non sono però stati apprezzati dalla squadra. Ad ottobre un gruppo di “senatori”, guidati dal capitano Thiago Silva, ha chiesto un colloquio con Emery per parlare dell’evoluzione tattica del PSG, chiedendo (e ottenendo) il ritorno al 4-3-3 e ad un gioco più marcatamente di possesso.
Questa retromarcia ha avuto tanti effetti ma il primo è stato quello di incrinare il rapporto di fiducia tra allenatore e giocatori: del primo nei confronti delle potenzialità dei secondi, e dei secondi nei confronti del lavoro del primo.
Particolarmente indicativa, in questo senso, è la situazione legata al capitano, Thiago Silva. Nonostante abbia rinnovato il proprio contratto col PSG fino al 2020 nel dicembre dell’anno scorso, il centrale brasiliano si ritrova in discussione come mai prima d’ora da quando è arrivato a Parigi. Thiago Silva quest’anno non ha dovuto fare i conti solo con un inevitabile calo fisico (compirà 33 anni a settembre) e con la parallela ascesa di Kimpembe, ma anche con un’inusuale ostilità da parte della stampa francese, che lo ha additato come responsabile della clamorosa sconfitta al Camp Nou per 6-1. Thiago Silva, a quanto pare, è stato criticato anche da Emery dopo quella partita per aver deciso di aspettare la MSN in linea, invece di staccarsi in pressione come richiesto dall’allenatore spagnolo.
Anche con Verratti, comunque, le cose non sono andate per il meglio.
Kimpembe, invece, aveva giocato molto bene l’andata, finita 4-0 per i francesi, e durante l’anno il dualismo è diventato pian piano sempre più reale. Durante una partita di febbraio contro il Tolosa, in cui Thiago Silva era assente per un problema al polpaccio, per dire, Canal + ha mostrato in sovraimpressione la statistica delle vittorie del PSG con e senza Kimpembe.
Le responsabilità di Emery
La gestione dello spogliatoio è stata la piccola crepa che con il passare del tempo si è trasformata in una faglia insanabile: Emery non si è dimostrato capace di gestire il passaggio da una squadra di giovani malleabili, tecnicamente e psicologicamente, ad una composta da stelle affermate.
Ben prima della situazione legata a Thiago Silva, l’allenatore spagnolo ha da subito rinunciato a gestire un’anima calda come quella di Ben Arfa (probabilmente il miglior giocatore della Ligue 1 dell’anno scorso), ostracizzandolo per una presunta mancanza di impegno in allenamento e per un eccessivo individualismo in partita. Dopo un inizio di stagione in cui sembrava puntarci, Emery ha iniziato a non convocarlo già a settembre: «Se non l'ho convocato è perché non è in forma. Deve perdere peso, io devo convocare solo i migliori. In più posso aggiungere che non mi piace il suo comportamento in allenamento. Pensa troppo al dribbling, deve capire che il calcio è un gioco di squadra».
Certo, anche Ben Arfa ha le sue responsabilità, nei confronti di un allenatore che stava cercando di farlo crescere.
La rigidità di Emery nella gestione dei rapporti con i propri giocatori ha finito per influire sulla ricchezza delle sue scelte, inaridendola. L’esclusione di Ben Arfa, provato ad inizio stagione anche da falso nove in sostituzione di Cavani, sommato al ritorno forzato al 4-3-3 e ai problemi fisici di Pastore hanno riportato il PSG di fatto all’era Blanc, senza avere però più Ibrahimovic al centro dell’attacco.
Emery, complice anche il mancato inserimento di Jesé (provato anche lui da falso nove ad inizio anno) e la stagione grigia di Di Maria, si è ritrovato senza una valida alternativa per Cavani, sulle cui spalle sono ricadute tutte le responsabilità realizzative della squadra, e una trequarti ancora dipendente dalle progressioni palla al piede di un giocatore a volte troppo meccanico come Lucas. Le cose sono parzialmente migliorate solo a gennaio, con la sostituzione di Jesé con Draxler, più associativo e soprattutto più bravo a giocare dentro al campo rispetto allo spagnolo.
A centrocampo le cose non sono andate meglio. Epurato Krychowiak, forse proprio perché non a suo agio in un gioco puramente di possesso, la metà campo è tornata ad essere il regno di Thiago Motta, Matuidi, Verratti e Rabiot. Se da una parte questi quattro, che si sono alternati da titolari nel triangolo di centrocampo del PSG, hanno assicurato alla squadra parigina il dominio assoluto nel possesso palla e una grande creatività soprattutto nel gioco lungo, dall’altra hanno anche riportato a galla alcuni problemi dell’anno scorso. Il PSG è tornato ad impiegare troppi uomini per far salire il pallone, accartocciando spesso l’intero centrocampo sulla difesa e impedendo così alla squadra di trovare la superiorità alle spalle del centrocampo avversario.
La fluidità del triangolo di centrocampo in possesso è stata inoltre bloccata dalla ricerca ossessiva del pallone sui piedi di alcuni suoi elementi. Thiago Motta, che doveva occuparsi della salida lavolpiana, ha talmente sclerotizzato questa situazione che in fase di primo possesso si è gradualmente trasformato in un terzo centrale di fatto, costringendo Emery a chiedere addirittura a Marquinhos di alzarsi alle spalle del centrocampo avversario.
Anche senza il pallone, il ritorno di Thiago Motta, spesso in convivenza con Rabiot e Verratti, ha reso il PSG meno dinamico nell’aggressione alta dell’avversario e nel recupero delle seconde palle. Un difetto che ha finito per influire anche sulla fragilità del PSG in transizione difensiva e che forse spiega anche l’affermazione come terzino destro di Meunier (l’unico acquisto estivo veramente integrato), migliore nelle marcature preventive di Aurier e più diligente quando deve rimanere bloccato accanto ai due centrali.
Più in generale, la squadra parigina è sembrata per tutta la stagione piuttosto statica nei movimenti senza palla in fase di possesso e molle nell’indirizzare il possesso avversario secondo la propria volontà. E questo è un altro segno di quanto Emery, un allenatore maniacale nella fase di recupero del pallone, abbia fatto fatica a dare una sua impronta alla squadra quest’anno.
Le responsabilità della società
Anche se è sempre difficile quantificare quanto le questioni societarie influiscano sui risultati in campo, c’è da dire che nemmeno la dirigenza si è dimostrata all’altezza della situazione, soprattutto quando la stagione ha iniziato seriamente a deragliare dai binari previsti. I vertici dirigenziali del PSG hanno continuamente dato l’immagine di voler scaricare le responsabilità dei fallimenti su figure esterne, a cominciare dagli arbitri, finendo per avvelenare anche i successi che comunque la squadra ha raccolto anche quest’anno (una Supercoppa di Francia e una Coupe de la Ligue, finora).
Dopo la rimonta del Barcellona al Camp Nou, il PSG ha mandato una lettera ufficiale di ben cinque pagine alla UEFA in cui si elencavano gli errori che secondo il club parigino aveva commesso l’arbitro Deniz Aytekin. Secondo alcune versioni, in quella lettera il PSG ipotizzava un trattamento di favore nei confronti del Barcellona, il che è ironico se pensiamo alla capacità di spesa del club parigino e all’influenza che i vertici qatarioti hanno nei confronti delle istituzioni calcistiche europee e internazionali.
La mossa è stata ripetuta quasi identica anche in patria, dopo che il PSG ha perso in casa del Nizza, cedendo probabilmente il titolo nazionale al Monaco. In quel caso è stato direttamente il presidente Al-Khelaifi ad intervenire, dichiarando: «Gli arbitraggi in Francia sono un incubo, se vogliamo far crescere la Ligue 1 dobbiamo migliorare sotto questo punto di vista».
Ma è stata soprattutto la gestione sportiva della società, affidata alla bizzarra coppia Létang-Kluivert, che negli ultimi anni è risultata fallimentare. La squadra si basa ancora per la quasi totalità sui giocatori arrivati tra il 2011 e il 2013 con Leonardo e non riesce ancora ad avviare quel processo di ricambio generazionale di cui probabilmente avrebbe bisogno (basti pensare a tutti quei giocatori che, per ragioni d’età o di mercato, sembrano essere oggi un po’ più lontani dal club: Thiago Silva, Thiago Motta, Pastore, Verratti, Matuidi, Cavani, Maxwell).
Forse è per questo che la possibilità di un ritorno di Leonardo al PSG è emersa proprio in questi giorni, anche se il nome più plausibile al momento come futuro direttore sportivo sembra essere quello di Antero Henrique, ex DS del Porto. Questa stagione probabilmente sarà considerata di transizione anche da un punto di vista dirigenziale.
Il valore degli avversari
Come per le singole sconfitte, anche nell’analisi dei fallimenti stagionali, però, non bisogna dimenticare il valore degli avversari. Il PSG è stato eliminato dalla Champions League dal Barcellona, in una delle partite più incredibili del calcio contemporaneo, dopo aver vinto l’andata 4-0. Si può discutere della fragilità mentale della squadra di Emery, di quanto abbiano influito le sue scelte, ma è fuori di dubbio il carattere eccezionale della partita. Anche il tempismo di quella disfatta non è stato fortunato: prima del 6-1 contro il Barcellona, il PSG aveva raccolto 16 risultati utili consecutivi in tutte le competizioni (14 vittorie e 2 pareggi).
In patria il PSG ha avuto a che fare con il Monaco più competitivo degli ultimi 20 anni, che è arrivato a vincere il campionato con una stagione altrettanto incredibile. Anche l’assunto, generalmente accettato, che vincere il campionato francese sia semplice (e che quindi non vincerlo sia un fallimento assoluto) sta perdendo di credibilità anno dopo anno. Il livello della Ligue 1 negli ultimi anni si sta indubbiamente alzando, anche per semplice reazione agli investimenti qatarioti nel PSG, e le squadre competitive sono sempre di più.
Oltre al Monaco già citato, il Nizza (che è una delle poche squadre europee a detenere ancora oggi l’imbattibilità casalinga), il Lione (che in una stagione grigia è comunque riuscito ad arrivare in semifinale di Europa League) e il Marsiglia (che ha appena accolto una nuova dirigenza americana pronta ad investire) sono tutte squadre che si sono ormai consolidate come realtà di alto livello, anche solo per la capacità di creare e attrarre talento. Il PSG quest’anno in campionato contro Monaco, Nizza, Lione e Marsiglia ha raccolto appena 12 punti, sui 24 totali a disposizione.
Il punto più basso della stagione del PSG, dopo il 6-1 al Camp Nou. Sul primo gol di Balotelli si possono già vedere tutti i problemi della squadra di Emery quest’anno: fragilità in transizione difensiva, passività sulle seconde palle, centrocampo statico e schiacciato sulla difesa.
Forse al PSG manca ancora l’umiltà di considerare la forza dell’avversario come una sfida e non come un affronto. Non l’ha fatto dopo le sconfitte, prendendosela con l’arbitro, ma anche dopo le vittorie a volte ha dimostrato insicurezza, prendendosela con gli avversari.
Verratti, ad esempio, ha reagito in maniera abbastanza nervosa alla decisione del Monaco di schierare una squadra di tutte riserve per le semifinali della Coppa di Francia, vinte dal PSG per 5-0, per concentrarsi su campionato e Champions League: «Se fossi un giocatore del Monaco sarei incazzato nero con club e dirigenti. In passato anche noi abbiamo avuto tante partite importanti da affrontare, magari abbiamo giocato con qualche riserva, ma non siamo mai arrivati al punto di schierare i ragazzi della Primavera per una semifinale di coppa. Magari ci poteva stare per i primi turni, non a questo livello della competizione. Una grande squadra deve puntare a vincere tutto, avrebbero dovuto gestirla meglio».
Ma il PSG, in realtà, non può che beneficiare di una Ligue 1 più competitiva, soprattutto se ha l’ambizione di vincere un giorno la Champions League. In fondo riconoscere, e quindi capire, la forza dell’avversario è il primo passo per superare una sconfitta.