Ad arricchire di significati una partita già speciale come Genoa–Napoli c’era la sfida tra due dei migliori allenatori del panorama calcistico italiano nella scorsa stagione, Ivan Juric e Maurizio Sarri. Il croato alla vigilia aveva portato decisamente in alto l’asticella, affiancando Sarri a Pep Guardiola e il Napoli al Manchester City per qualità del gioco. Juric aveva promesso di non snaturare il Genoa e in effetti l’unica concessione alla prudenza è stata la scelta di non pressare in parità numerica l’inizio azione del Napoli. L’aggressività è uno dei tratti caratteristici delle squadre del tecnico croato, che di solito prepara scalate molto precise a seconda del lato in cui la squadra avversaria costruisce l’azione per marcare ogni possibile ricevitore, accettando di prendersi dei rischi: Juric evita sempre l’uno contro uno ai propri difensori e la scelta di mantenerne uno in più rispetto agli attaccanti avversari genera un’inferiorità numerica che si ripercuote nelle zone più avanzate del campo. Spesso questa inferiorità costringe i giocatori che pressano il primo possesso avversario a scalate lunghe e difficili da sostenere: contro il Napoli, invece, Juric ha semplicemente deciso di lasciare impostare Albiol e Koulibaly, che avevano gioco facile nell’aggirare i tentativi di pressione di Pavoletti.
Juric distruttore
Probabilmente avrà influito anche l’assenza di Miguel Veloso, un giocatore chiave nel primo pressing del Genoa, e la scelta di Juric per sostituirlo è stata conservativa: al suo posto non è scalato Rigoni, ma Ntcham, lasciando così l’ex giocatore del Palermo nel ruolo ibrido di finta ala destra in cui Juric l’aveva schierato contro il Sassuolo. A Rigoni è toccato il compito di marcare Jorginho, Ntcham si è invece occupato di Allan, mentre Rincón marcava Hamsík. Izzo doveva marcare Mertens, preferito a Insigne da Sarri, mentre Burdisso e Orbán dovevano occuparsi in coppia di Milik, marcando il polacco e dandosi copertura reciproca.
Koulibaly e Albiol finivano così per avere molto spazio per avanzare: contrariamente alle abitudini, Juric non aveva previsto rotazioni per pressare i difensori avversari, preferendo affrontarli direttamente nella propria metà campo. Albiol e Koulibaly sono stati così i giocatori ad avere toccato più palloni (102 e 110 rispettivamente) e a tentare più passaggi (80 e 89 rispettivamente), un rischio calcolato, perché il primo obiettivo del Genoa era di cancellare dalla partita Jorginho. Missione compiuta: nella gara in cui il Napoli ha toccato il picco stagionale nel possesso palla (64%), il suo regista ha invece toccato il punto più basso nel numero di passaggi riusciti, 56, se si esclude la partita con il Bologna, in cui ha completato un passaggio in meno, ma senza giocare l’ultimo quarto d’ora.
La strategia difensiva del Genoa rendeva estremamente complicato innescare la fase di rifinitura: il Napoli non poteva fare affidamento sul tradizionale palleggio per guadagnare campo, ma doveva trovare il modo di aggirare le marcature a uomo, o attraverso il dribbling (probabilmente è uno dei motivi per cui Sarri ha scelto di schierare Mertens dal 1’) oppure portando i giocatori del Genoa molto fuori posizione, costringendoli a prendere una decisione, se seguire l’avversario diretto in zone lontane o lasciarlo a un compagno. Costringere in pratica i rossoblù a reagire ai propri movimenti, uno dei principali vantaggi di chi affronta squadre che marcano a uomo. La giocata qui sotto è un buon esempio, nonostante non abbia prodotto nulla a causa del cattivo controllo di Milik.
Il Genoa, al contrario, non aveva alcun interesse a risalire il campo costruendo l’azione da dietro ed è significativo che solo Rincón (35) e Ntcham (33) abbiano tentato più passaggi di Perin (31). Il piano era di sfruttare Pavoletti come riferimento per guadagnare campo in maniera veloce, fin dai rinvii dal fondo, e occupare la metà campo del Napoli in un secondo momento, dopo una sponda del proprio centravanti (finché è rimasto in campo è stato il migliore per duelli aerei vinti, 3) o la conquista di una respinta. Lo sviluppo della manovra a quel punto aveva dei chiari riferimenti: ai tre difensori, Izzo, Burdisso e Orbán, e ai due centrocampisti centrali, Ntcham e Rincón, spettava il compito di consolidare un minimo il possesso palla prima di innescare la fase di rifinitura con un cambio di gioco, sfruttando l’addensamento del Napoli nella zona del pallone e le posizioni molto larghe di Lazovic a destra e uno tra Ocampos e Laxalt a sinistra. Il cross è stata l’unica rifinitura cercata dal Genoa, anche perché il gioco tra le linee era ostacolato non solo dall’aggressività della squadra di Sarri, ma anche dallo schieramento della linea offensiva, alta e piuttosto piatta per tenere occupata la difesa del Napoli, permettere di attaccare in ampiezza e successivamente attaccare in massa l’area di rigore, com’è nelle abitudini delle squadre di Juric.
Vince chi è più aggressivo
Vista la difficoltà a costruire azioni manovrate, la partita si è giocata soprattutto sulla capacità di recuperare il pallone e organizzare immediatamente i propri attacchi e, in misura minore, sullo sfruttamento dei calci piazzati, uno dei modi più semplici e diretti per rompere l’equilibrio in situazioni così bloccate. È proprio da questo punto di vista che sono forse arrivati i segnali più incoraggianti per Juric: il Genoa ha giocato alla pari con il Napoli, accorciando e aggredendo immediatamente gli azzurri a ogni palla persa, accettando il rischio di lasciare molto spazio alle proprie spalle, ma riuscendo a fine partita a recuperare più palloni nella metà campo avversaria rispetto al Napoli. Si è comunque sentita l’assenza di Miguel Veloso: Ntcham ha garantito aggressività e dinamismo, ma non la stessa qualità difensiva del portoghese, il migliore nella rosa per tackle riusciti (3,4 per 90 minuti) e il primo centrocampista per anticipi (1,7 per 90 minuti), chiudendo la partita con un solo tackle e un solo anticipo.
Incapace di fare la differenza sul piano dell’aggressività, nel quale ha pochi rivali in Italia, il Napoli non è riuscito a far valere la propria superiorità tecnica, perdendosi in controlli sbagliati, ultimi passaggi imprecisi e ripartenze sprecate. L’ingresso di Insigne ha migliorato da subito la fluidità della manovra, complice anche l’ovvia stanchezza dei giocatori del Genoa: nei 23 minuti in cui è stato in campo, Insigne ha tentato quasi lo stesso numero di passaggi di Mertens (19 a 22), rendendosi oltretutto protagonista dell’occasione più pericolosa per il Napoli (0,313 xG), dopo un’ottima combinazione con Milik e Hamsík, in una delle rare giocate “da Napoli” nella metà campo del Genoa. Se è vero che Sarri non poteva ignorare il buon momento di forma di Mertens in questo inizio di stagione, Insigne resta un giocatore fondamentale nei meccanismi offensivi del Napoli. Alla fine, nonostante il dominio nel possesso palla, il pareggio è stato il risultato più giusto: il Napoli avrebbe perso la partita se Reina non avesse riscattato le recenti incertezze con due parate decisive su Gio Simeone negli ultimi minuti. L’occasione di Insigne ha rappresentato una sorta di spartiacque della sfida: il Genoa ha infatti concentrato le occasioni più pericolose nell’ultimo quarto d’ora, con un valore complessivo di xG pari a 0,537, oltre la metà di quanto totalizzato al fischio finale.
Genova indigesta
Come lo scorso anno, la sfida contro il Genoa si è rivelata estremamente complicata per il Napoli: l’aggressività delle marcature a uomo previste da Juric hanno impedito agli azzurri di mostrare il solito palleggio veloce e avvolgente con il quale controlla le partite ed è un’anomalia che oltre il 60% del possesso palla napoletano si sia svolto nella propria metà campo. Gli azzurri non sono riusciti a creare le solite connessioni nella metà campo offensiva e Milik, così, è rimasto isolato.
Qui sopra c’è una fotografia piuttosto chiara dei problemi che il Napoli ha dovuto affrontare a Genova: le connessioni sono molto forti tra difensori e centrocampisti soprattutto sul lato sinistro, molto più deboli tra centrocampisti e attaccanti. Il più coinvolto è stato Callejón, al tempo stesso miglior rifinitore (4 occasioni create) e principale finalizzatore (4 conclusioni tentate), ma decisamente meno a suo agio nel collegare i reparti e rendere più fluido il possesso palla.
L’anno scorso, dopo lo 0-0 dell’andata e il pareggio per 1-1 fino all’80’ nella gara di ritorno, a sbloccare la situazione contro il Genoa ci aveva pensato una giocata straordinaria di Gonzalo Higuaín. Nonostante quest’anno la rosa sia più profonda e Sarri abbia maggiori soluzioni, è proprio in partite come questa che si fa sentire maggiormente l’assenza di un giocatore in grado di cambiare il contesto da solo. Milik, nonostante lo splendido inizio di stagione, non è ancora quel tipo di giocatore, e chissà se lo diventerà mai. A Genova ha sofferto molto la mancanza di supporto da parte dei compagni, mostrandosi incapace di fare da riferimento, fisico o di gioco, per dare la svolta alla partita e mascherare i problemi di squadra.
Il Genoa, invece, esce con ancora più fiducia da questa sfida. L’inizio di Juric è stato molto incoraggiante, la squadra ha già assorbito le sue idee e ha una struttura tattica molto chiara che le permette di giocarsela alla pari anche contro squadre più forti. Adesso però bisognerà affrontare l’assenza del proprio cannoniere e principale riferimento offensivo, Pavoletti, uscito dopo mezz’ora per un problema muscolare. Juric l’ha sostituito con Simeone, e se davvero il “Cholito” entrerà nell’undici titolare la fase offensiva dovrà essere ricalibrata per sfruttare le caratteristiche dell’argentino, meno prestante fisicamente rispetto a Pavoletti e più in difficoltà a fare da riferimento. L’impressione, comunque, è che i rossoblù abbiano le carte in regola per giocare un campionato al di sopra delle aspettative.