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La vera Inter?
12 ott 2015
I nerazzurri hanno raccolto molti punti con il minimo sforzo, ma qual è la loro reale dimensione?
(articolo)
13 min
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Il 14 novembre 2014 Mancini ha fatto il suo ritorno sulla panchina dell’Inter, prendendo il posto dell’esonerato Walter Mazzarri. La rosa era costruita per giocare con il 3-5-2, modulo base dell’ex tecnico del Napoli e Mancini, con una squadra non sua, ha incontrato diverse difficoltà sia a livello di risultati che di gioco. Nemmeno il mercato di riparazione aveva giovato al progetto del tecnico dell’Inter, come certificato dalla cessione di Xherdan Shaqiri allo Stoke City dopo appena sei mesi di permanenza a Milano.

Tra risultati altalenanti e prestazioni al di sotto delle aspettative, la stagione dell’Inter si è chiusa con l’ottavo posto. Non solo quindi non è arrivata la tanto agognata qualificazione europea, ma il tecnico di Jesi non è nemmeno riuscito a far meglio del suo predecessore: la squadra ha subito 34 reti in 27 gare e Mancini ha fatto registrare una media punti di 1.44, beffardamente inferiore anche a quella del suo predecessore Mazzarri (1.45).

I primi negativi mesi del Mancini-bis non hanno minimamente intaccato la fiducia riposta da Thohir e dalla società nei suoi confronti e durante l’estate la dirigenza si è prodigata nel rifondare la squadra secondo le direttive del suo allenatore. Già al 31 maggio, nel post-partita di Inter-Empoli, lo stesso Mancini aveva ventilato l’ipotesi di una vera e propria rivoluzione, affermando come servissero addirittura «8 o 9 acquisti».

Parole a cui sono seguiti i fatti: durante l’estate la società ha rivoluzionato la rosa, portando alla Pinetina ben dieci nuovi calciatori, tra cui spicca l’acquisto più oneroso, quello di Geoffrey Kondogbia, strappato al Monaco (e al Milan) a suon di milioni, addirittura 30 più 7 di bonus.

Il mercato ha plasmato un’altra Inter, che ha poco da spartire con quella della passata stagione: tra i calciatori che erano a disposizione di Mazzarri, solo il portiere Handanovic, Guarín e Icardi possono essere considerati titolari anche nell’Inter 2015/2016.

Dopo sette giornate di campionato, gli investimenti della società su tecnico (la spesa lorda per i tre anni di contratto di Mancini si aggira sui 21 milioni di euro) e mercato sembrano aver dato i propri frutti: l’Inter siede al secondo posto in classifica con 16 punti conquistati, dopo essere stata capolista dalla prima alla quinta giornata di campionato. Eppure, gli ottimi risultati in campionato non sono stati accompagnati da una proposta di gioco altrettanto convincente.

I nerazzurri hanno faticato non poco a trovare la porta, con appena 8 gol segnati finora, gli stessi del Carpi quartultimo. Se poi si vanno ad analizzare i singoli gol, appena la metà sono stati segnati su azione. Gli altri quattro sono scaturiti da palla ferma: un cross da calcio di punizione (Icardi nel tracollo contro la Fiorentina), uno schema su calcio d’angolo (Felipe Melo di testa nell’1-0 al Verona), una rimessa laterale (Jovetic nell’1-0 contro l’Atalanta) e un rigore (ancora Jovetic nel 2-1 sul campo del Carpi).

Il paragone che quest’Inter ha ispirato è quello con il “boring City” che Mancini portò alla vittoria della Premier League, pur senza impressionare dal punto di vista del gioco. Il tecnico jesino ha dichiarato che finché la sua squadra continua a vincere a lui va bene così, ma dopo il brusco stop di San Siro contro la Fiorentina di Sousa, di fatto il primo vero crocevia della stagione, e il successivo pareggio con la Sampdoria, l’Inter pare, almeno in parte, ridimensionata.

Fase offensiva

Nelle prime sette partite di campionato l’Inter ha palesato innegabili difficoltà nel costruire e rifinire il gioco, principalmente a causa della mancanza di una chiara struttura posizionale in fase di possesso palla, che causa spesso mancanza di connessioni tra le varie linee di gioco.

Contro squadre che preferivano aspettare e cercare di colpire in contropiede, l’Inter non ha avuto particolari problemi a costruire corto partendo dalla difesa. Gary Medel ha giocato le primissime partite della stagione davanti alla difesa e un po’ come faceva già la scorsa stagione si è assunto le responsabilità di costruzione dal basso, coadiuvando i difensori centrali nel far circolare il pallone. Quando poi è arrivato Felipe Melo, il perno del centrocampo nerazzurro voluto a tutti costi da Mancini, e con la contemporanea assenza di uno tra Miranda e Murillo, il cileno è stato adattato al centro della difesa, ruolo che ha ricoperto abitualmente in Nazionale, sia con Bielsa che con Sampaoli.

Il nuovo ruolo del cileno ha sancito la definitiva bocciatura di Ranocchia se, a quanto pare, Mancini preferisce schierare come centrale di difesa Medel, più rapido, ma pur sempre alto 171 centimetri, piuttosto che l’ex capitano dell’Inter, più macchinoso, ma con un fisico più adatto al ruolo.

La costruzione dalla difesa dell’Inter. Handanovic distribuisce corto su uno dei centrali, che solitamente cerca subito Felipe Melo, più basso rispetto agli altri centrocampisti. A questo punto il brasiliano tende a giocare sui terzini, sempre molto larghi e avanzati rispetto ai centrali. A volte sono i centrali stessi a cercare gli esterni, ma solitamente il pallone passa prima dai piedi di Melo. (Le frecce continue rappresentano le opzioni principali a disposizione di ogni giocatore, quelle tratteggiate le opzioni secondarie).

Quando invece gli avversari hanno aggredito i nerazzurri nella loro metà campo, la situazione si è fatta ben più complicata. Il pressing dei Viola ha messo in croce l’inedita (e asimmetrica) difesa a tre schierata da Mancini: Santon, Miranda (fino all’espulsione) e Medel erano costantemente messi sotto pressione da Ilicic, Kalinic e Borja Valero, che prima li intrappolavano lungo le corsie, poi li costringevano a buttare il pallone.

Il pressing della Fiorentina ha intrappolato l’Inter sul lato destro dell’area di rigore. Santon può solo calciare il pallone il più lontano possibile.

Emblematica l’azione che ha causato il rigore poi trasformato da Kalinic, con il pressing del croato e di Ilicic, che prima ha costretto Medel a giocare un retropassaggio su Handanovic e poi il portiere sloveno ad atterrare il centravanti viola.

Fiorentina esclusa, i nerazzurri non hanno per ora affrontato avversari che li hanno pressati così alti e con una tale intensità. Se quindi la fase di uscita ha potuto fluire senza particolari intoppi, ciò che non ha funzionato a dovere è la trasmissione della palla dal centrocampo all’attacco.

Spesso sia Kondogbia che Guarín si alzano ben oltre la linea di centrocampo, lasciando Melo senza supporto e costringendolo a smistare il gioco orizzontalmente verso i terzini: il brasiliano non può permettersi un passaggio verticale sbagliato, che in caso di contropiede lo lascerebbe a coprire l’intero campo in larghezza. I due interni di centrocampo dell’Inter non si sono dimostrati abili nel liberarsi e nel proporre con continuità un’opzione di passaggio al portatore, che è costretto a fare più tocchi del dovuto, rallentando notevolmente la manovra e dando tempo agli avversari di compattarsi.

Bastano due linee compatte di due e tre uomini per mettere in crisi il giro palla dell’Inter. Non solo Kondogbia, Melo e Guarín si trovano sulla stessa linea orizzontale, ma sono posizionati tra le linee in modo da essere posti facilmente in zona ombra dai due attaccanti del Verona. Medel può solo giocare verso Telles, ma problemi simili si ripropongono anche con il terzino in possesso.

Il pallone deve quindi passare dalle fasce: anche quando si abbassano, Kondogbia e Guarín si fanno trovare spesso più vicini ai terzini che a Melo. Perisic, acquistato per fare l’esterno nel 4-3-3 è stato schierato spesso da trequartista, ma anche partendo centralmente, l’ex giocatore del Wolfsburg tende ad allargarsi molto, specie verso sinistra.

A questo punto, per garantire un riferimento centrale, uno tra Guarín e Kondogbia ne dovrebbe prendere il posto sulla trequarti, come faceva l’anno scorso Hernanes, visto che, contro squadre con il baricentro basso, e con un giocatore come Medel in grado di supportare il centrocampo, tre centrocampisti più uno attorno al cerchio di centrocampo risultano ridondanti. Invece, sia il colombiano che il francese preferiscono dirigersi in progressione verso la trequarti, portando molto la palla, piuttosto che posizionarsi tra le linee in attesa di ricevere palla: altra situazione che non aiuta a fluidificare il gioco dell’Inter.

L’incomprensibile struttura posizionale dell’Inter. Stavolta Kondogbia si è portato in posizione più avanzata, ma Melo e Guarín e i due terzini si trovano tutti sulla stessa linea. Gli esterni sono troppo larghi per essere serviti: creerebbero ben più problemi posizionandosi più stretti tra le maglie delle due catene avversarie (ovvero nelle zone evidenziate).

In questo contesto, Kondogbia non ha ancora trovato continuità di rendimento. In Ligue 1, giocando nel centrocampo a due del Monaco, provava spesso il dribbling, sfruttando allungo e forza fisica, ma negli spazi stretti di un campionato più tattico come la Serie A ha finora faticato a proporre le sue tipiche progressioni palla al piede.

Con una struttura posizionale così poco organizzata e non in grado di costruire triangoli, i nerazzurri non riescono a fornire opzioni di gioco verticali o diagonali al portatore di palla e cercano di rimediare sfruttando il campo orizzontalmente in ampiezza con due esterni per fascia: il terzino e l’ala nel 4-3-3, il terzino, il trequartista Perisic e la seconda punta nel 4-3-1-2.

Due giocatori larghi e avanzati sulla stessa linea non portano più benefici di un singolo giocatore largo, anzi finiscono per disturbarsi a vicenda, congestionando uno spazio già ristretto di 180° dalla linea laterale. Inoltre, impiegando in fascia un uomo che sarebbe ben più utile al centro, si riducono notevolmente le possibilità di gioco in verticale nelle zone centrali del campo.

In questa situazione entrambi gli esterni d’attacco, Perisic e Ljajic, oltre al terzini sinistro Alex Telles, si trovano sulla stessa fascia: l’Inter ha creato una situazione di superiorità numerica, ma non può sfruttarla. Pur avendo attirato sulla corsia 6 giocatori avversari, il movimento di Icardi e il mancato supporto dei centrocampisti hanno privato il croato di un appoggio centrale: Perisic proverà un’improbabile cambio di gioco, perdendo palla.

Lo stesso Icardi, pur letale in zona gol, non fornisce l’adeguato supporto ai compagni e non prova quasi mai ad aprire gli spazi e ad attirare fuori posizione i difensori avversari venendo incontro al portatore di palla.

Senza nessun giocatore a occupare il centro o gli interni del campo all’altezza della trequarti e con il movimento che spesso latita (secondo i dati della Lega Calcio la squadra è appena 18.esima per chilometri percorsi) l’Inter non riesce a rifinire l’azione e a scardinare le difese avversarie. Il possesso palla, pur in zona offensiva, è sterile e fine a sé stesso, con l’azione che viene riavviata più e più volte.

Anche muovendo la palla con uno, due tocchi massimo, l’Inter non ha nessuno appoggio centrale e i giocatori non si muovono senza palla, preferendo aspettare il pallone tra i piedi. Il possesso viene riciclato finché non si creano i presupposti per crossare in mezzo all’area di rigore.

L’Inter cerca quindi di creare occasioni da gol aggrappandosi all’invenzione del singolo o crossando un pallone dopo l’altro in mezzo all’area. La squadra di Mancini ha già giocato ben 185 cross, di cui solo 38 giunti a destinazione e di cui solo uno ha prodotto un assist, tra l’altro da calcio di punizione. Oltre al fatto di non aver ancora convertito in gol nemmeno un cross su azione in questo avvio di campionato, anche le statistiche della scorsa stagione di Serie A hanno evidenziato quanto poco efficiente sia questa soluzione: in media sono infatti necessari circa 100 cross per produrre un gol da palla in movimento.

Tutti questi problemi nella costruzione e nella rifinitura del gioco sono evidenziati dalla frequenza con cui l’Inter riesce a liberare al tiro la principale arma offensiva a disposizione, ovvero Mauro Icardi, il capocannoniere dello scorso campionato (ex aequo con Toni). La scorsa stagione, l’attaccante argentino tirava in porta 3,8 volte ogni 90 minuti. Quest’anno, in sei presenze, ha effettuato appena 1,5 tiri ogni 90 minuti, addirittura il 60,5% in meno rispetto all’anno scorso.

Fase difensiva

Con la fase offensiva tutt’altro che convincente, ciò che ha realmente permesso ai nerazzurri di non lasciare neppure un punto per strada nelle prime cinque partite è stata la solidità della difesa: quattro delle cinque vittorie dell’Inter sono sopraggiunte per 1-0, con Handanovic che ha mantenuto la propria porta inviolata. Difesa che è stata totalmente rifondata in meno di un anno: Santon, Alex Telles, Murillo e Miranda, i difensori (puri) più presenti finora sono tutti giocatori acquistati da Mancini. Anche le qualità difensive dei tre centrocampisti dell’Inter hanno dato un contributo fondamentale al reparto arretrato, permettendo di compattare le linee davanti all’area di rigore. In ogni caso le ultime uscite dei nerazzurri hanno evidenziato qualche lacuna.

La squadra comincia a difendere nella metà campo avversaria, proponendo un pressing a uomo: uno, massimo due giocatori pressano direttamente il portatore di palla, mentre gli altri marcano i possibili ricevitori del pallone. In teoria questo schema ben si adatta ai pregi dei giocatori dell’Inter, dotati di forza fisica e notevoli capacità di interdizione: il pressing iniziale di solito forza un’azione, mentre le marcature a uomo garantiscono la possibilità di mantenere la pressione anche in seguito a un passaggio.

Il pressing alto dell’Inter. Palacio pressa direttamente il portatore di palla, mentre i compagni marcano a uomo tutte le opzioni di passaggio corto del portatore di palla.

L’organizzazione del pressing è però tuttora migliorabile. L’approccio scelto crea vari uno contro uno: se l’uomo che porta il primo pressing viene dribblato, solitamente cede l’intera struttura. Inoltre la difesa dei nerazzurri non riesce a essere sempre alta come dovrebbe, abbassando di conseguenza anche il baricentro della squadra, con i reparti che risultano spesso distanti fra loro e non compatti verticalmente.

Si creano spesso distanze tra i giocatori offensivi e i centrocampisti, che così aggrediscono gli avversari con un tempo di ritardo e lasciano spazio agli avversari quando superano la prima linea di pressing. Ancor più pericoloso quando gli spazi si aprono tra la linea di centrocampo e quella difensiva. I terzini avanzano fin sulla linea dei centrocampisti e se i centrali difensivi non si alzano, la squadra non è corta e l’Inter porge inevitabilmente il fianco ai contropiedi, come ha evidenziato la partita contro la Sampdoria.

Felipe Melo perde palla e alle sue spalle si apre una vera e propria prateria: si crea un 4 contro 2 che la Sampdoria non sfrutta adeguatamente.

Finora l’Inter di Mancini è riuscita a inanellare buoni risultati pur senza convincere mai fino in fondo sul piano del gioco. Nonostante appena un punto raccolto nelle ultime due giornate, i nerazzurri rimangono secondi in classifica, appena a due punti dalla Fiorentina.

In ogni caso, la difficoltà nel creare occasioni è sotto gli occhi di tutti e la sensazione è che, se le cose non cambieranno nelle prossime partite, difficilmente i nerazzurri riusciranno a tenere il ritmo di questo avvio di stagione, soprattutto con la difesa che si è dimostrata non così impenetrabile. Alla ripresa del campionato dopo la pausa internazionale, gli uomini di Mancini ospiteranno a San Siro una Juventus risollevata dagli ultimi risultati e forse capiremo qual è la reale dimensione di questa Inter.

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