Dopo la brutta sconfitta nella gara d’andata, e una serie di risultati non positivi, la vittoria di ieri sul Barcellona rappresenta un vero punto di flessione per tutto il progetto di Guardiola al Manchester City. Un’altra brutta sconfitta avrebbe significato non solo un cammino complicato per gli ottavi, ma anche una possibile minaccia per la percezione di sé della squadra inglese, una conferma per quel senso di inferiorità nei confronti delle pretendenti al titolo che, se il Manchester City non provava ancora a pieno, prima o poi avrebbe finito per insidiarsi anche nelle menti più solide a disposizione di Pep.
Ma per provare a cambiare rotta Guardiola decide di toccare il minimo indispensabile, ammettendo l’errore dell’andata nello schierare De Bruyne punta centrale, rimettendo al suo posto Agüero e schierando il belga sulla fascia sinistra al posto di Nolito, lasciando intatto il sistema di gioco che aveva portato alla sconfitta del Camp Nou.
Un lusso che Luis Enrique non ha potuto permettersi, per via degli infortuni eccellenti di Piqué, Iniesta e Jordi Alba. Al loro posto Umtiti, André Gomes e Digne, e Luis Enrique si concede anche il vezzo di utilizzare il mancino Umtiti nel ruolo di Piqué, sul centro-destra cioè, con Mascherano sul centro-sinistra, forse per sfruttare la sua precisione nei passaggi in diagonale con cui sfuggire al pressing avversario - e Luis Enrique sapeva già che il City avrebbe pressato alto.
Tecnica ad alta intensità
City e Barcellona sono due squadre che partendo da sistemi diversi vogliono arrivare allo stesso risultato: impedire all’avversario di trarre vantaggio dall’uscita ordinata del pallone dalla difesa. Per farlo, entrambe le squadre applicano meccanismi di pressione alta: e vuoi per questa pressione alta, vuoi per semplice mancanza di precisione, la prima parte di gara non è stata davvero soddisfacente, non in linea con le aspettative ma, tutto sommato, al livello della partita d’andata. La situazione era tale che appena dopo 10 minuti Luis Enrique ha abbandonato l’idea di Umtiti centrale destro per invertirlo con Mascherano, e provare passaggi più scolastici, ma almeno sicuri.
La squadra di Luis Enrique, ormai si sa, basa i propri successi sulla superiorità individuale dei propri giocatori nei confronti degli avversari, e sulla loro capacità di adattarsi al contesto. Dopo una breve fase di adattamento, quindi, la partita è scivolata in scene quasi da far west che hanno visto anche situazioni di pressione 1 contro 1 del City sul giocatore in possesso, con il pallone fermo in attesa proprio della pressione, in modo che si crei quello spazio in cui poter passare il pallone e battere la linea di pressione. Quella di Luis Enrique è una scelta consapevole: sostanzialmente vuole eludere l’organizzazione avversaria con la precisione tecnica dei propri uomini.
Sia Busquets che Umtiti aspettano fino all’ultimo per liberarsi del pallone e Mascherano ha tutto lo spazio per avanzare e impostare.
Il Barcellona cuce pazientemente la propria tela, passando il pallone alla base, chiamando in causa anche il portiere, aspettando il momento giusto per trovare la linea di passaggio che conduca a uno del trio MSN, a quel punto si parte per una transizione disordinata accompagnando il giocatore in possesso.
Il City, però, prova a sporcare questo meccanismo grazie alla sua pressione alta, ma in questo modo, al tempo stesso, lo facilita, con un baricentro alto che significa spazio in cui far correre la MSN. La transizione del Barça è caotica, e quindi imprevedibile, e la caratura tecnica dei giocatori in possesso è tale da riuscire in tre passaggi ad arrivare dritti davanti a Caballero, e il gol di Messi che sblocca la gara arriva proprio in una transizione del genere.
Si conferma l’idea di gioco di Luis Enrique, il paradosso di voler controllare la gara attraverso il disordine creato da un’uscita del pallone dalla difesa ordinata. Un salto logico complicato, visto che non prevede la verticalizzazione improvvisa di Ter Stegen per la MSN, come da manuale del gioco puramente verticale, ma invece vuole che il pallone arrivi agli attaccanti palla a terra, con il filtrante giusto. È un meccanismo particolare, che ha accompagnato sottotraccia questi tre anni di Luis Enrique in Catalogna e che ora più che mai si è impadronito della strategia del Barcellona. Ora più che mai, perché l’infortunio di Iniesta ha tolto di mezzo l’unico ingranaggio del sistema che era in grado, da solo, di avere un passaggio intermedio e razionale tra la difesa e la MSN. Dando senso quindi all’idea di essere ordinati, ma verticali.
A Manchester, al suo posto, c’era un giocatore che pensa solo in modo verticale come André Gomes, e la circolazione di palla aveva il solo scopo di arrivare alla MSN, anche senza disordinare i rivali. Una squadra spaccata e senza centrocampo, che trova il proprio vantaggio però nella disposizione in campo del City: incapace di bloccare il passaggio alla MSN e al contempo impreparato nella transizione negativa dopo la perdita del pallone, con marcature preventive difficilissime con Silva e Gündogan così alti.
Luis Enrique, però, deve aver studiato a fondo la partita d’andata: anche la posizione di Neymar, largo a ricevere palla, sembra mirata a sfruttare a proprio vantaggio l’utilizzo di Zabaleta come falso terzino dentro al campo, accentrato in fase di possesso per poter essere coperta subito. In questo modo Neymar si è trovato a poter ricevere palloni puliti in transizione offensiva. Un dettaglio decisivo per il gol del vantaggio del Barça, una transizione offensiva guidata da un passaggio di Messi per Neymar: praticamente il meccanismo che qualsiasi squadra che affronta il Barcellona sa che deve impedire.
La perfetta transizione nata da Messi e guidata da Neymar.
Morire per delle idee
Il vantaggio del Barcellona ha inaugurato un periodo di dominio aggravato dalla situazione psicologica del City, che forse sentendo puzza di un’altra goleada abbandona l’idea della pressione alta. Senza alcun ostacolo da parte degli avversari, il Barcellona arriva a toccare vette di 72% di possesso palla, pur rimanendo una squadra senza centrocampo, facendo praticamente le stesse cose di inizio partita, ma senza alcun opposizione concreta del rivale.
Ma quello che più di ogni altra cosa ha fatto Guardiola in questi mesi è stato convincere il City ad avere fiducia nel proprio sistema, una fiducia che se pur scalfita dal momento del dominio avversario riemerge piano piano, fino a tornare ai livelli iniziali. Nel libro di Perarnau che racconta l’esperienza di Guardiola in Germania c’è una parte intera che prende ispirazione da una frase dell’allenatore catalano: “Io voglio vincere sempre, però so che non è possibile, quindi almeno voglio scegliere come perdere” .
Una frase che nella sintassi sembra rubata ad un discorso di Johann Cruyff e che forse più di ogni altra rappresenta la filosofia che sta alla base del gioco di Guardiola. Il City è surclassato tecnicamente da una squadra superiore, ed è già in svantaggio nel punteggio, ma dopo minuti di sbandamento torna a voler decidere di che morte morire. Torna quindi a pressare e a dare fastidio all’uscita del pallone del Barcellona, come se il punteggio fosse ancora di 0-0. Questa forza mentale è il regalo più grande che Guardiola ha fatto per ora al calcio inglese.
La partita cambia grazie ad un errore forzato di Sergi Roberto sulla pressione del City: l’errore tecnico c’è, nell’indirizzare il passaggio orizzontalmente troppo distante e con troppo poco effetto per raggiungere Busquets, ma il resto è una situazione tutta nata dall’atteggiamento proattivo del City senza palla. Quest’azione non soltanto permette al City di pareggiare, ma rende giustizia a tutta la strategia iniziale di Guardiola.
Nell'azione che propizia il gol da segnalare anche la posizione di Agüero pronto a schermare Ter Stegen e che costringe Sergi Roberto ad andare su Busquets.
Dal gol in poi lo stato psicologico del City cambia totalmente: sembra andare più veloce, arriva più deciso nei contrasti, per primo nei palloni contesi. Su questa reazione psicologica, poi, Guardiola costruisce la vittoria lavorando sulla lavagna tattica durante l’intervallo: il City torna in campo con un sistema ora votato solamente al recupero alto del pallone e allo sfruttare la transizione positiva.
Il 4-4-1-1 con cui il City è tornato in campo è un'evoluzione del 4-2-3-1 che Pep aveva già sperimentato a partita in corso all'andata abbassando Gündogan.
Nel secondo tempo De Bruyne viene posizionato accanto al Kun Agüero, con Gündogan arretrato in linea con Fernandinho in un 4-4-1-1 che elimina la velleità di attaccare posizionalmente dopo un’uscita del pallone dalla difesa ordinata. Il cambio di sistema porta il City a dominare il centro del campo, dove era evidente il problema del Barcellona nel primo tempo e dove ora non passa più un pallone. Neanche per la transizione offensiva, neanche per Messi: nel secondo tempo i passaggi tra Messi e Neymar sono 2. I passaggi totali di Messi solo 14.
Il Barça in Premier League
Il cambio tattico quindi è una vittoria totale da parte di Guardiola nei confronti di Luis Enrique, che da parte sua prova a mettere una pezza togliendo Rakitic e inserendo Arda Turan, così da avere almeno un uomo in grado di tenere palla sulla pressione avversaria a centrocampo. Ma il City aveva già trovato il gol del vantaggio con la punizione di de Bruyne e a quel punto sembrava poter arrivare in porta a piacimento. Il cambio, oltretutto, non fa che acuire il problema del Barcellona in una zona di campo dove ora ci sono in André Gomes e Arda Turan: due mezzali che non parlano la stessa lingua calcistica di Busquets e che finiscono per voler ricevere palla in zone troppo avanzate rispetto al necessario. Busquets si è ritrovato via via sempre più isolato in fase di possesso, finendo per schiacciarsi tra i centrali di difesa pur di avere qualcuno con cui dialogare, cosa che in transizione negativa lascia un buco enorme tra le linee che il City può sfruttare con De Bruyne.
Grazie anche ai movimenti smarcanti di Agüero, De Bruyne ha sguazzato in un contesto finalmente favorevole alla sua capacità in transizione, ma anche associativo. Per la prima volta in stagione, il City non ha la palla ma ha il totale controllo degli spazi e del ritmo della gara, che si avvicina adesso più ad una partita di Premier che ad una di Champions League.
Il centro è bloccato e così il Barça prova ad essere verticale sulle fasce con risultati non esaltanti.
Mai una volta, nelle 426 partite allenate tra Barcellona, Bayern e City, la squadra di Guardiola ha chiuso una partita con il 35% di possesso palla. Anche nella sconfitta per 4-0 dell’andata il City aveva comunque conteso il pallone al Barcellona, chiudendo al 47% di possesso palla. Con la vittoria contro il Barça si può dire che Guardiola ha mostrato (se ce ne fosse bisogno) quanto gli stia a cuore il controllo della gara e quanto questo controllo utilizza il possesso come mezzo e non come fine.
Una volta stabilito che il punto debole del Barcellona a Manchester risiedeva nell’assenza totale del centrocampo e nell’incapacità di contrastare la pressione portata sull’uscita del pallone, Guardiola ha spinto tutto nello sfruttare quel punto debole per poter dettare il contesto di gioco.
Sono solo 7 i passaggi di Busquets ad André Gomes e addirittura solo 4 quelli a Rakitic. Il centrocampo del Barça è un vero problema per Luis Enrique.
La vittoria del City, per come è arrivata e per l’avversario battuto, entra di diritto nei migliori risultati della storia europea della squadra. Se il motivo dell’arrivo di Guardiola era proprio quello di far entrare il City tra le candidate alla coppa, questa vittoria, contro l’attacco più forte del mondo, conferma che l’intuizione dei dirigenti inglesi è stata giusta. Questa vittoria non farà bene soltanto alla classifica europea, ma anche al progetto di breve e medio periodo, perché ha dimostrato che la fiducia nel sistema anche nei momenti di difficoltà paga.
Per il Barcellona, invece, la sconfitta arriva in un momento della stagione in cui tra assenze e momenti negativi (Busquets e Suárez su tutti) la gestione di Luis Enrique non riesce ad incidere in senso positivo. La cattiva circolazione di palla a centrocampo non sembra risolvibile da parte dell’allenatore, ma senza il centrocampo il Barcellona abdica il controllo della partita al sistema avversario ed espone a figuracce i proprio difensori. Il semplice rientro di Piqué in difesa e di Iniesta a centrocampo dovrebbero risolvere la questione, ma restano i dubbi su Luis Enrique come allenatore architetto, e non solo gestore, sulle sue idee che si stanno mostrando non abbastanza solide da meritare fiducia cieca. Le carestie di gioco che si ripetono ciclicamente al terzo anno di gestione vanno forse considerate come endemiche nella filosofia stessa del tecnico asturiano.
Il Barcellona ha un gioco che punta ad esaltare le sue stelle, ma in questo modo dipende in modo totale dal loro stato di forma. Ai tifosi blaugrana non resta che sperare, quindi, che arrivata la primavera i pianeti si allineino ancora una volta nel modo giusto, come nel 2015.