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Il crollo dell’impero gialloviola
04 giu 2021
Dopo l’infortunio di Anthony Davis in gara-4, i Lakers non sono più stati all’altezza dei Phoenix Suns.
(articolo)
9 min
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Alla fine tutti i record sono fatti per essere abbattuti, e stanotte è toccato a uno dei più incredibili e longevi della NBA contemporanea. Dopo esser rimasto imbattuto per quattordici serie primo turno dei playoff, LeBron James è stato eliminato per la prima volta in carriera e i Lakers escono da campioni in carica, avendo vinto solo otto mesi fa il titolo ad Orlando. Un testacoda che ha molte spiegazioni, dalla stanchezza di una stagione così lunga ai tanti infortuni che l’hanno funestata, fino al talento e all’organizzazione della squadra che li ha eliminati in sei partite, quei Phoenix Suns che non vincevano una serie playoff dal 2010, quando furono sconfitti in finale di Conference proprio dai Los Angeles Lakers di Kobe Bryant.

E per la prima volta dal 2010 quest’anno avremo una finale per il titolo che non vedrà come protagonisti né LeBron James né Steph Curry, i quali forse simbolicamente si erano affrontati nella prima partita del torneo play-in, a ricordarci come la NBA sia in continua trasformazione e rimanere in cima è difficilissimo.

Essere i più forti infatti non basta: servono anche concentrazione, agonismo, fame di vittoria e una discreta dose di fortuna. Ingredienti che i Lakers hanno avuto lo scorso anno anche prima della bolla e che invece non hanno trovato lungo tutto questa stagione, costando alla fine una bruciante eliminazione condita dai tanti infortuni e tanta incertezza sul futuro.

L’inizio shock del primo quarto

I Lakers decidono di schierare Anthony Davis dalla palla a due nonostante i vistosi problemi fisici, in una mossa che sa più di disperazione che di forza, dopo che il lungo losangelino aveva saltato la Caporetto di gara-5, persa di 30 punti già all’intervallo. Con le spalle al muro coach Vogel non può che provare a fidarsi dei suoi fedelissimi, sostituendo anche Andre Drummond - fuori dalla rotazione - con Marc Gasol e recuperando il fondamentale Kentavious Caldwell-Pope che era uscito malconcio nel terzo quarto dell’ultima sfida.

I Suns però sentendo l’odore del sangue azzannano subito la partita, attaccando la difesa statica di Los Angeles con un Devin Booker chirurgico dalla lunga distanza. Il giovane All-Star alla prima serie di playoff non si fa intimorire dalla pressione di un closing game, anzi nel primo quarto da solo segna più punti dei campioni in carica (22-14), sbagliando solo uno dei nove tiri presi dal campo e trovando il fondo della retina in tutte e sei le sue conclusioni da dietro l’arco.

Wet like I'm Book.

Un inizio stordente nel quale i Suns sembrano non sbagliare neanche un canestro dalla lunga distanza, grazie anche a un ritrovato Jae Crowder che dopo aver segnato 2 triple nelle prime tre sfide ne ha messe tre nei primi 12 minuti di gioco, approfittando delle attenzioni riservate a Devin Booker e Chris Paul.

Le squadre sembrano andare a due diverse velocità, con i Suns che eseguono al centimetro il piano partita mentre i Lakers si trascinano da una parte all’altra del campo, tanto pigri in difesa quanto imprecisi in attacco. Segnano due canestri nei primi cinque minuti di gioco, e appena si girano dopo un autentico “gol” in transizione di LeBron James vedono Anthony Davis zoppicare sotto il proprio canestro. Davis uscirà e non rientrerà più in campo: la sua Gara-6 è durata appena 5 minuti e 25 secondi.

Un azzardo, qualcuno dirà giustamente un’incoscienza, che non paga, anzi: i Lakers con Kuzma al suo posto chiuderanno il quarto con un parziale negativo di 15 lunghezze, segnando la miseria di 14 punti. La peggior frazione di gioco della loro stagione nel momento più importante della stagione.

La supremazia tecnica e tattica di Phoenix

Non che le cose cambino nel secondo quarto. Phoenix costruisce un comodo vantaggio di oltre 20 punti costruendo un muro attorno a James per impedirgli di arrivare al ferro e speculando sui limiti in creazione e realizzazione degli altri quattro in maglia gialloviola. Ogni giocatore di Phoenix ha un piede nel pitturato ed è pronto a schizzare verso i tiratori di Los Angeles, che non hanno la fiducia necessaria per sparare prima dell’arrivo del closeout.

https://twitter.com/HalfCourtHoops/status/1400660742991400960

Tiri passati, tiri forzati, tiri contestati: il primo tempo dei Lakers è un collage di brutte scelte, scarsa concentrazione e bassissima reattività su tutti i palloni vaganti.

Senza Davis e con LeBron a mezzo servizio campioni in carica si sono trovati senza più sicurezze e i Suns sono una squadra troppo ben allenata per non abusare della situazione. CP3, ancora frenato dal problema alla spalla che lo ha limitato nel corso della serie, si dedica soprattutto ad amministrare la squadra, prendendosi solo un tiro nel primo tempo e lasciando il palcoscenico al suo giovane compagno di squadra totalmente in ritmo. I Lakers infatti non trovano un rimedio a Booker, determinato a scrollarsi la narrazione che lo ha etichettato come un giocatore da grandi numeri ma poche vittorie, subendo sia il suo ritrovato tiro dal palleggio che seminando il terrore muovendosi tra i tanti blocchi disegnati da Monty Williams.

L’allenatore dei Suns domina il confronto tra le due panchine riuscendo a trovare sempre delle soluzioni alla difesa dei Lakers, applicando numerose variazioni al suo amato Spain Pick & Roll e usando Deandre Ayton per piazzare blocchi granitici in giro per il campo. Il centro bahamense è stato meno coinvolto e determinante rispetto alle altre partite della serie, anche perché mancando Davis non aveva un avversario diretto con il quale duellare, ma è rimasto il giocatore in maglia Suns più continuo durante le sei gare. La sua presenza nel pitturato nelle due metà campo e l’intelligenza tattica nel leggere la partita ha dato un’ulteriore dimensione alla squadra costruita sul tandem Paul-Booker.

Tanto che Vogel nel secondo tempo, dopo i primi tre minuti di Marc Gasol, decide di andare con il quintetto piccolo con Markieff Morris da 5 nominale bocciando sia Montrezl Harrell (che nonostante Snoop Dogg farà segnare un -16 di plus/minus in 8 minuti) che Andre Drummond (che non deve neanche fare lo sforzo di sfilarsi la tuta in Gara-6 dopo essere partito in quintetto nelle prime cinque sfide della serie). E i Lakers - grazie a migliori spaziature e ritmi meno compassati, oltre alla forza della disperazione - riescono a rosicchiare qualche punto dal largo vantaggio di Phoenix, fino a portarsi al -10 con 8 minuti ancora da giocare nella partita.

A quel punto sale in cattedra Chris Paul, che tranquillizza i giovani Suns con la sua esperienza e gestisce personalmente i successivi tre possessi: prima batte Dennis Schroeder per arrivare ad un jumper svitandosi nel pitturato; poi approfitta di un aiuto eccessivo di Talen Horton-Tucker sul lato forte per regalare una tripla aperta a Cameron Johnson; e infine addormenta con il palleggio KCP prima di tirargli in faccia dalla lunetta.

https://twitter.com/HalfCourtHoops/status/1400679125287948288

Tutta la leadership e la freddezza che i Suns speravano di ottenere quando hanno scambiato per Chris Paul in estate.

Il bilancio del crollo gialloviola

Una volta che Paul ha riportato i suoi sopra di 17 lunghezze la partita è praticamente finita. I Lakers non avevano più benzina nel serbatoio per provare a schiacciare nuovamente l’acceleratore e il loro linguaggio del corpo lasciava promettere più la voglia di andare vacanza che cercare una rimonta. Addirittura in un paio di occasioni LeBron si è messo a colloquiare con gli arbitri, mentre i Suns giocavano in superiorità numerica dall’altra parte.

LeBron James ba giocato una brutta serie, con medie statistiche tra le peggiori in carriera, durante la quale si è fatto condizionare e innervosire da ciò che gli succedeva intorno senza riuscire a modificarlo. Alla sua diciottesima stagione è sembrato per la prima volta mortale, come è naturale per un 36enne che non si è mai fermato da quando è entrato nella bolla di Orlando lo scorso luglio. E l’infortunio alla caviglia non ha certo giovato alla sua forma fisica, che ha mostrato limiti aerobici e elastici, visto che LeBron arrivava alla fine delle partite in chiaro debito d’ossigeno e senza la solita dominante potenza muscolare.

I Lakers in generale sono apparsi logori, stanchi per la lunghissima stagione e scarichi di motivazioni dopo il titolo dello scorso anno. Una condizione comprensibile e anzi comune a tutte le altre squadre che sono rimaste a lungo a Disney World: delle quattro finaliste di Conference dello scorso anno solo i Denver Nuggets sono ancora in corsa dopo aver sconfitto ieri notte i Portland Trail Blazers.

Los Angeles però ora è davanti a scelte difficili che ne decideranno il futuro nel breve e lungo periodo. Per quanto ora LeBron avrà tutto il tempo per riposarsi e preparare la prossima stagione bisogna fare i conti con la carta d’identità e allo stesso tempo Anthony Davis, che dovrà essere la faccia della franchigia negli anni a venire, sta confermando quanto il suo talento sia tanto cristallino quanto di cristallo. Anzi i Lakers sono stati fortunati che non si sia ripetuta la sciagurata fine di Kevin Durant nelle Finals 2019 durante la manciata di minuti di AD in campo.

Inutile sottolineare come il suo infortunio in Gara-4 abbia definitivamente girato la serie a vantaggio dei Suns, e i Lakers non avevano nessun altro in grado di salire di livello per colmare quel vuoto. Los Angeles aveva modellato il proprio roster attorno alle proprie due superstar ma gran parte dei colpi della scorsa off-season hanno mancato il bersaglio. Montrezl Harrell ha confermato di non essere schierabile quando le partite contano qualcosa, Wes Matthews è in netta parabola discendente, Marc Gasol per quanto prezioso non può stare in campo per i minuti dei quali i gialloviola avrebbero bisogno e Dennis Schroeder - che durante l’anno a rifiutato un contratto da 84 milioni per quattro stagioni - non ha le spalle abbastanza larghe per il ruolo di terzo violino, o almeno non quando i primi due sono in queste condizioni.

https://twitter.com/BleacherReport/status/1400688503248220160

I Suns continuano a danzare.

Dall’altra parte i Suns hanno confermato la solidità mostrata durante la stagione regolare, che li ha visti chiudere in Top-10 per rendimento sia in attacco che in difesa, superando anche l’infortunio di Chris Paul e lucidando i due campioncini scelti al Draft Booker e Ayton. I tre sono stati contornati da un gruppo affiatato e organizzato, che ha recuperato due sventolatori di asciugamani come Cameron Payne e Frank Kaminsky e ha trovato in Jae Crowder la dose giusta di testosterone per affrontare i playoff della Western Conference. La prossima serie sarà contro i Denver Nuggets dell’MVP in pectore Nikola Jokic, in una Conference che improvvisamente si trova senza più un padrone.

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