Gara-4 doveva essere la partita che avrebbe indirizzato forse in modo definitivo queste Finals e, dopo 48 intensissimi minuti di gioco, così è stato. I Los Angeles Lakers hanno rimesso le cose a posto dopo il passo falso di gara-3 e ora si trovano a una sola vittoria dal loro diciassettesimo titolo NBA, mentre i Miami Heat sono per l’ennesima volta con le spalle al muro e sembrano aver esaurito le cartucce a loro disposizione in questa continua guerra a colpi di cacciavite e aggiustamenti.
Non è bastato infatti il ritorno in campo di Bam Adebayo per placare la rabbiosa risposta di Anthony Davis dopo la brutta prestazione di due giorni fa. Il lungo tuttofare degli Heat ha giocato oltre 33 minuti dopo essere stato assente nelle ultime due sfide della serie per un infortunio a spalla e collo, garantendo la solita versatilità sulle due metà campo ma trovando dall’altra parte una versione più rifinita di sé. AD ha chiuso con 22 punti, 9 rimbalzi, 4 assist e 4 stoppate con una prestazione difensiva di altissimo livello che ha permesso ai Lakers di ritrovare la loro identità smarrita nella gara precedente. LeBron James, dal canto suo, ha sfiorato l’ennesima tripla doppia della carriera alle Finals (28 punti, 12 rimbalzi e 8 assist) e ha messo i canestri decisivi nell’ultimo periodo quando tutti aspettavano proprio il suo timbro, cancellando un primo tempo da 5 palle perse e 3/8 al tiro.
Anthony Davis Ministro della Difesa
Coach Frank Vogel come sempre ha iniziato la partita con due lunghi in campo, con Dwight Howard che ha ormai stabilmente superato JaVale McGee nelle gerarchie, e - come già visto brevemente in gara-3 - mettendo Davis in marcatura sul pericolo numero uno in maglia Heat, ovvero Jimmy Butler. Nel primo quarto però le cose non sono iniziate benissimo per i Lakers, concedendo cinque canestri su altrettanti tentativi al proprietario del Big Face Coffee e costringendo Davis a fare una delle poche cose che gli riescono male su un campo da basket, ovvero navigare attraverso i tanti blocchi sulla palla che piazzano gli Heat.
Dopo i primi 12 minuti di gioco il coaching staff gialloviola è corso immediatamente ai ripari con due semplici accorgimenti. Il primo è stato togliere dal campo Dwight Howard, che in questa serie si è dimostrato un bersaglio troppo evidente per non essere regolarmente punito sugli switch da Miami, giocando i suoi 7 minuti e 49 secondi di serata tutti nel quarto d’apertura; il secondo è stato semplificare i compiti sulla palla di Davis, evitandogli complessi hedge and recover sui tiratori avversari ma facendolo passare sotto ogni blocco sulla palla per Butler, sfidando quindi un tiratore riluttante a prendersi delle conclusioni da fuori mentre le braccia lunghissime di AD invadevano il suo campo visivo. Butler in questa serie è tornato ad essere molto titubante quando viene abbandonato oltre la linea da tre, tanto che dei 40 punti segnati in gara-3 nessuno è arrivato con una conclusione dall’arco (anche perché non ne ha tentata neanche una).
Ad inizio partita a Butler bastava un blocco per scegliere il difensore da attaccare, dopo le cose sono totalmente cambiate.
Stanotte Butler ha sbagliato tutte e tre le conclusioni prese dalla lunga distanza (non una casualità per un tiratore dal 34% ai playoff e dal 24% in stagione regolare), ma soprattutto non è riuscito ad arrivare al ferro con la facilità esibita nelle precedenti uscite. Dopo il 5/5 nel primo quarto ha segnato solo tre canestri su dodici tentativi nel resto della partita, uno su sette sotto la guardia di Davis.
Ma AD non ha solamente inibito la principale fonte offensiva avversaria, limitando i vantaggi su cui poi Miami solitamente costruisce i suoi possessi in attacco: ha personalmente guidato l’intera linea gialloviola a una partita di folle applicazione e concentrazione difensiva. Dopo l’oscena prestazione difensiva in gara-3, nella quale il timore di commettere ulteriori falli ha limitato la sua intensità nelle rotazioni lasciando spesso e volentieri arrivare al ferro chiunque riuscisse a battere il diretto avversario, Davis ha cambiato decisamente atteggiamento, contestando gli improvvidi avventurieri in maglia Heat che osavano sfidare la lunghezza e la taglia fisica di Los Angeles. I Lakers hanno rubato una pagina dal manuale di Spoelstra e hanno riempito il pitturato, fidandosi delle non scintillanti percentuali di alcuni giocatori di Miami - Crowder e Nunn su tutti, ma anche lo stesso Butler come scritto in precedenza - aiutati anche dal ritorno di Adebayo, che ha infinite qualità ma non riesce ad allargare il campo come invece ha fatto Kelly Olynyk nelle ultime due gare.
La dominante prestazione di Anthony Davis sui due lati del campo.
Gli Heat sono passati dal segnare 52 punti nel pitturato in gara-3 (26 del solo Jimmy Butler) a 34 in gara-4, e dopo due prestazioni offensive ad alta efficienza stanotte sono precipitati a soli 103.3 punti per 100 possessi. In gran parte per merito, o per colpa, di Anthony Davis, che nei 41 minuti e 31 secondi passati sul parquet ha avuto un rating difensivo di 92.5, contro il 183.3 concesso dai suoi compagni nei pochi minuti in cui si è seduto.
The Notorious KCP
Negli ultimi tre anni la vita di Kentavious Caldwell-Pope non è stata proprio semplice. Non fraintendetemi, ha pur sempre guadagnato 10 milioni di dollari abitando a Los Angeles e giocando per una contender, ma l’odio dei tifosi con il quale ha dovuto imparare a convivere avrebbe potuto spezzare anche un bonzo. È stato definito una tassa per avere LeBron, da parte degli angeli di Rich Paul, un raccomandato, una pippa e un mangia-stipendio. Invece a Orlando, nella asetticità della bolla, KCP è diventato il terzo miglior giocatore di questi Lakers, interpretando un ruolo fondamentale quanto inatteso.
Occupando il posto che era stato assegnato a Danny Green, KCP è il miglior 3&D che i Lakers possono schierare al fianco di LeBron James e Anthony Davis. Con quaranta triple è il giocatore con più conclusioni oltre l’arco mandate a bersaglio nei playoff per i gialloviola e il suo 38.5% è nettamente migliore delle percentuali dei vari Green, Caruso o Kuzma. Inoltre anche stanotte ha dimostrato di farsi trovare pronto quando interpellato nei momenti chiave della partita, e forse senza i suoi cinque punti nell’ultimo quarto di gioco i Lakers non sarebbero riusciti a portarsi a casa la partita.
I due possessi di KCP che hanno spaccato la partita.
Con la sfida in bilico e tre minuti sul cronometro dell’ultimo quarto di gioco, Butler si è preso e ha sbagliato una tripla dall’angolo; LeBron ha quindi conquistato il rimbalzo lanciandosi immediatamente in contropiede per una delle poche occasioni in campo aperto dei Lakers. E mentre tutti gli occhi erano rivolti verso LeBron e i corpi predisposti per togliere il pitturato al numero 23, Caldwell-Pope si è sistemato nell’angolo forte infilando la tripla con fiducia non appena gli è arrivato il pallone. Nel possesso successivo in attacco, dopo un’infrazione di 24 secondi di Adebayo, i Lakers hanno tentato di togliere Butler da LeBron ma senza successo. A quel punto però KCP è rimasto in punta marcato da Duncan Robinson e siccome Crowder doveva rimanere con Morris sul lato forte e Adebayo non voleva lasciare troppo spazio a Davis nell’angolo opposto, il pitturato è rimasto libero per essere attaccato dal palleggio con pochi secondi sul cronometro, aprendo la strada per il canestro in uno contro uno. In meno di un minuto la partita è passata da un possibile vantaggio di Miami al +7 Lakers con 120 secondi da giocare.
Caldwell-Pope non è stato solo il terzo violino grazie ai suoi 15 punti ai quali ha aggiunto 5 assist con letture precise nel punire l’eccessivo aiuto di Miami sulle due stelle gialloviola, ma ha corso dietro ai tiratori degli Heat per tutta la partita, infastidendoli non poco. Gli Heat hanno chiuso con un mediocre 34.4% di squadra oltre l’arco (6/24 per cominciare la partita) e, se togliamo il 3/6 di Duncan Robinson, non hanno mai trovato il giusto ritmo. La pressione che KCP ha portato sui passaggi consegnati per i tiratori, pane e burro dell’attacco a metà campo degli Heat, ha permesso a Vogel di passare sotto i blocchi per Butler senza pagar eccessivo pegno, vivendo con delle triple contestate piuttosto che accettando dei cambi sgraditi o aprendo il pitturato per le penetrazioni a canestro.
Guerra di panchine e di aggiustamenti
Come successo anche nella prima gara di questa serie dominata dai Lakers, quando i comprimari dei Lakers riescono ad esprimersi a un livello dignitoso per Miami vincere è davvero complicato. E in gara-4 le riserve dei Lakers hanno doppiato quelle degli Heat sia per punti (27 a 13) che per rimbalzi (14 a 7) e assist (addirittura 7 a 0). Confortato dalle prestazioni dei suoi panchinari, Vogel nel quarto quarto ha scelto di far sedere accanto ad Howard anche Danny Green, che ha giocato solo 6 minuti e spiccioli nel secondo tempo, dando fiducia a Playoff Rondo e Markieff Morris. Il primo l’ha ripagato con un paio di rimbalzi offensivi fondamentali dopo delle triple stanche di LeBron in possessi a metà campo che sembravano esser stati giocati in una vasca di fango. Il secondo con scelte competenti su entrambi i lati del parquet, senza strafare in attacco e presente in difesa, in una serata dove ha tirato male da fuori a differenza del 5/10 di gara-3. Lo stesso bistrattato Kyle Kuzma ha dimostrato di essere forse il miglior difensore individuale su Jimmy Butler tra i Lakers non chiamati LeBron o Davis e di saper cosa fare del pallone quando lo ha tra le mani. Inoltre aver tirato il 39% da tre nelle ultime quattro partite aiuta non poco. Addizionare queste prestazioni individuale e solitamente avrete una vittoria comoda di Los Angeles.
Ormai ci siamo abituati a queste prestazioni di LeBron ma non dovrebbe essere così.
Ai Lakers sembra infatti che basti sempre un pizzico di concentrazione e cattiveria per battere questi Heat e che la disconnessione di gara-3, di cui comunque qualche avvisaglia si è vista in un primo tempo interlocutorio, sia già alle spalle. Per quanto i ragazzi di Spoelstra possono inventarsi soluzioni lodevoli per tattica e movimenti, il divario di talento è sempre troppo ampio per non farsi sentire in una serie al meglio delle sette partite, specie con le tante assenze alle quali sopperire. Dopo la prestazione strabiliante di gara-3 Butler, com’era prevedibile, non è riuscito a ripetersi a quei livelli e ha segnato solamente 22 punti con 17 tiri nonostante i 10 rimbalzi e i 9 assist.
Butler non è un realizzatore puro, non è un giocatore al quale mettere la palla tra le mani e chiedere di replicare l’effetto di gara-3, anche perché aspettarsi a ogni partita un tale volume e una tale efficienza da un singolo giocatore contro una difesa di alto livello come quella dei Lakers sarebbe stato un grave errore. A Orlando abbiamo imparato a capire come Jimmy sia al suo meglio quando può sfruttare nel modo più efficiente possibile le crepe, anche le più sottili, lasciate dalle squadre avversarie. A volte può essere segnare 40 punti, altre mettere in ritmo i propri compagni e selezionare i propri tiri con cautela, altre ancora difendere sul miglior attaccante avversario e sfiancarlo nelle due metà campo. La forza di Butler è proprio nella sua adattabilità a ogni situazione, un darwinismo tecnico che si sposa perfettamente con il camaleontismo di Miami.
I Lakers però questa volta non si sono lasciati sorprendere e hanno improntato l’intero piano gara per evitare che Butler potesse esprimersi liberamente, implorando gli altri Heat di batterli. In un contesto del genere l’assenza di Goran Dragic, l’unico vero altro creatore in squadra, pesa più di ogni altra defezione. Lo sloveno si è riscaldato in campo prima della palla a due, ma la sua presenza venerdì notte per la decisiva gara-5 è fortemente in dubbio per via di un infortunio alla pianta del piede che, anche fosse in grado di giocare, non gli permetterebbe le solite doti di accelerazione che contraddistinguono il suo gioco.
LeBron e compagni avranno un match point da non sprecare così da tornare a Los Angeles in tempo per un fine settimana di festeggiamenti a dieci anni dall’ultimo titolo NBA. Un titolo fortemente inseguito e voluto, al quale non c’è da aggiungere alcun asterisco, e che ora dista solo una vittoria.