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Domani se vedemo
02 set 2024
Rigivan Ganeshamoorthy oltre la viralità.
(articolo)
4 min
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«Domani se vedemo»: la battuta in dialetto romanesco potrebbe richiamare l’atmosfera ridanciana di una pellicola di Carlo Verdone ma la frase è stata pronunciata in diretta Rai da Rigivan Ganeshamoorthy. Ieri sera, alle Paralimpiadi di Parigi 2024, allo Stade De France, ha conquistato l’oro nel lancio del disco, battendo per tre volte il record mondiale. Il contrasto tra la grandezza del suo traguardo e la normalità stralunata della sua intervista lo ha reso virale.

Non voleva parlare ai microfoni. A intervistarlo a bordo pista c’era la giornalista Rai Elisabetta Caporale, e lui rispondeva quasi a monosillabi, educato ma con nulla in particolare da dire. Come se non ci fosse poi niente da commentare, col disincanto di una certa romanità (quella frase “hai fatto hai fatto, ma che hai fatto?”). Caporale però non ha desistito ed è uscito fuori un teatrino assurdo e irresistibile.

«Grazie, grazie a tutti», come per dire qualcosa, tagliare corto. Incalzato ha aggiunto: «Ringrazio tutte le persone che stanno a casa. Che devo dì? Non ho parole neanche per me stesso… che ne so… che posso dirvi, sono un po’ timido». È timido ma al contempo sembra stranamente rilassato. Quando gli viene chiesto se gli inizi a piacere la sfera Paralimpica risponde «Sì dai, un po’ troppi disabili, forse (e ride, ndr)». Un tipo di leggerezza che fatichiamo ad associare al mondo della disabilità. L’intervista un po’ imbarazzante e un po’ comica diventa - tra le risate - pregna di significato: «Dedico la vittoria a mia madre, a mia sorella, al personal trainer, a tutti, alla Roma, ar decimo municipio, al mio vicino che mi è venuto a trovare e mi ha dato la bandiera: quello penso sia la cosa più bella..l’amicizia, le persone che ti vengono a trovare, questo vale più di una medaglia d’oro. Questa medaglia è per tutta Italia e per tutte le persone disabili che stanno a casa».

In 3 minuti e 41 secondi Rigivan è diventato, come si è soliti dire, "il personaggio di cui non sapevamo di avere bisogno”. È riuscito a creare così una sorta di esaltazione di massa, che accade spesso a livello sportivo e nell’ambito delle gare olimpiche, ma che è difficile generare con gli atleti delle Paralimpiadi.

Ganeshamoorthy è diventato virale anche perché ha scardinato quella narrazione solita attorno al mondo della disabilità basata sul pietismo. Una narrazione rifiutata ovviamente all’interno di quel mondo, ma che all’esterno sembra per qualcuno inevitabile. Ci è riuscito usando l’autoironia, che appartiene solo a chi ha accettato perfettamente le proprie difficoltà, unita a e spontaneità.

Qualcuno ha azzardato il paragone tra il suo dominio e quello di Armand Duplantis nel salto con l’asta. Rigivan Ganeshamoorthy, compete nella categoria F52, riservata agli atleti in sedia a rotelle che hanno una capacità di movimento ridotta di tronco, gambe e braccia. Ha vinto migliorando per tre volte la sua prestazione e staccando il secondo di sei metri, alla terza gara di sempre. È il primo oro per l’Italia della Para atletica ai Giochi Paralimpici di Parigi 2024. Il lanciatore azzurro si è imposto con la misura di 27,06 migliorando il precedente riferimento di più di tre metri.


Con quattro lanci su sei al di sopra del primato iridato di Andre Rocha, Ganeshamoorthy, insomma, fa gara a sé, piazzandosi davanti al lettone Aigars Apinis a 20,62 e davanti allo stesso Rocha (Brasile) bronzo a 19,48.


«Non mi aspettavo questo risultato, pensavo di fare qualcosa di buono ma non a questo livello» ha detto ai canali della Federazione. «Credevo che Rocha fosse imprendibile perché è detentore del record dal 2017 e mi dicevo che puntare così in alto fosse troppo. Non riesco a descrivere l’emozione perché è stata immensa, devo ancora metabolizzare cosa ho fatto. Al primo lancio ero un po’ congelato da tutta la folla, poi invece mi sono sciolto e ho fatto tutti quei lanci sopra il record del mondo. Quando ho visto 27 metri mi sono stupito da solo, è una misura che mai avrei immaginato».

Ganeshamoorthy è nato nel 1999 a Roma; ha origini cingalesi e dal 2017 convive con la sindrome Guillain-Barré, una forma dipolineuropatia acquisita dovuta a demielinizzazione. Leggiamo: «degenerazione delle guaine mieliniche che rivestono le fibre nervose o a danno assonale». Nel 2019 un incidente spinale lo ha costretto in carrozzina. Si è avvicinato subito allo sport e al basket, provato durante la riabilitazione. Non scatta nessuna scintilla, è troppo faticoso, non gli piace: «Avevo provato a giocare a basket in carrozzina. L’ho conosciuto all'Ospedale Santa Lucia, quando nel 2019 ero in riabilitazione dopo la caduta che mi è costata una lesione cervicale. Ma era molto faticoso, non faceva per me. Poi un giorno nell'officina meccanica dove lavoro scambio due parole con un esponente della FISPES che mi invita a provare con l’atletica».

Nel frattempo prova - e continua ancora oggi - a praticare scherma, anche se a un livello amatoriale. Fin quando raccoglie i primi risultati seri nei lanci. Ha talento, tanto che solo nel 2024 ha conquistato il record del mondo nel giavellotto (20,99) ed è un centimetro soltanto da quello nel getto del peso (11,74).

La sua anti-epica è servita ad alleggerire la narrazione dominante sul mondo paralimpico, spesso promossa dalle istituzioni: quella dei superuomini, degli esseri umani che attraverso il dolore e la sofferenza spostano i limiti più in là. Niente di falso o sbagliato ma Rigivan Ganeshammorthy ci ha permesso di girare la testa, ridere, e guardare le cose da un’altra prospettiva.

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