È il 2006 e l’Italia ospita le Olimpiadi invernali. Lo fa in un territorio molto preciso, la provincia di Torino, talmente circoscritto che per alcune persone l’Olimpiade è quasi una roba di famiglia. Alessandro Colturi, valsusino e all’epoca direttore della pista di San Sicario, dove si svolsero le prove veloci femminili di Torino 2006, vede cimentarsi sulla “sua” pista nientemeno che la moglie, Daniela Ceccarelli (laziale di Rocca Priora, campionessa olimpica in carica in superG). Ceccarelli non riesce a bissare il successo di Salt Lake City 2002, ma nove mesi dopo la coppia festeggerà la nascita della loro primogenita: Lara Colturi.
Oggi, a 18 anni compiuti da poche settimane, Lara Colturi è la giovane stella più brillante del mondo dello sci. Finora la sua storia è quella di un talento prodigioso e precoce: gli sci ai piedi da quando aveva 13 mesi, le vittorie nelle categorie giovanili, una squadra creata da Ceccarelli per avere «una scuola d’eccellenza» in cui far crescere la figlia. «Il mondo della preagonistica», diceva Ceccarelli nel 2020 «è stato per troppo tempo relegato ai corsi di sci gestiti più come un ambito di intrattenimento e baby sitting piuttosto che come scuola d’eccellenza dove imparare ad esprimere tutto il proprio potenziale». Si dice che un genitore può caratterizzare profondamente la carriera di un figlio: mai come nel caso di Colturi questa circostanza si è verificata. Lara è stata costruita per vincere.
«Dicono che noi del Golden [Team Ceccarelli, la squadra che, tra le altre cose, sostiene Lara Colturi] siamo dei malati e degli esagerati», confessa Ceccarelli a Gabriele Pezzaglia in un’intervista del dicembre 2020 sul magazine specializzato Race, ma stare sul pezzo sempre, correggere i suoi ragazzi «anche nei trasferimenti», cioè le piste più facili e piatte, è l’unico modo che Ceccarelli conosce per vivere l’agonismo. Sempre al massimo.
Nel marzo 2021, ai Campionati italiani children organizzati sullo Zoncolan, Colturi vince in slalom, in gigante e in superG: «Mi ero messa in testa di provare a vincerle tutte, ci sono riuscita», disse Lara in una delle sue prime interviste. Sul numero di aprile 2021 di Race si legge che Colturi ha vinto tutte e 20 le ultime gare disputate. Dopo aver dominato nella categoria children, Colturi dovrebbe passare nella categoria giovani. Invece, con una decisione resa nota il 26 maggio 2022, passa alla Nazionale albanese.
Diventando direttrice tecnica delle Nazionali albanesi e prendendo il passaporto albanese per sé e tutta la famiglia, Ceccarelli ha provato a dare alla figlia il futuro migliore possibile da atleta. A giudicare dai risultati che sta avendo già oggi Colturi non le si può dar torto, ma all’epoca, quando Lara non aveva ancora 16 anni, fu una scelta controversa.
«È stata fatta una scelta, magari non facile da capire. Ognuno ha diritto ad esprimere le proprie idee, ma per favore, con educazione», scrive Colturi su Instagram quel giorno. La scelta, divenuta presto impopolare in Italia, ha tuttavia molto senso, assicura Ceccarelli. Le motivazioni sono «tecniche, nel senso che potrà continuare il suo percorso di crescita sciistica con noi, che la seguiamo da quando ha iniziato. Potrà affrontare con massima serenità la prossima stagione, la prima nelle categorie FIS, dove si cambiano tipi di materiali e gare».
Quindi, a 16 anni e quattro giorni, saltando totalmente la “palestra” della Coppa Europa, nel novembre 2022 per i colori dell’Albania, Colturi debutta in Coppa del Mondo. Una settimana dopo è già 17esima nel gigante di Killington. «Lara è una promettente atleta piena di talento, e con lei l’Albania ha tutte le possibilità di avere un campione olimpico», disse il ministro dell’Interno albanese Bledi Cuci. La scalata di Colturi ai vertici dello sci è appena iniziata.
Nella passata stagione, Colturi raggiunge i primi piazzamenti in top-10, a novembre 2024 il primo podio in Coppa del Mondo. A 18 anni e otto giorni, Colturi scrive svariati record di precocità, oltre a portare sul podio dello sci alpino una Nazione che non c’era mai stata. Nel primo gigante del 2025, a Kranjska Gora, in Slovenia, sale sul podio una seconda volta: arriva seconda in gigante. Tutto ciò nonostante un brutto infortunio: poco prima del superG dei Mondiali di Meribel 2023, si lesionò il legamento crociato anteriore.
A ogni suo risultato notevole, in Italia escono titoli di giornale allarmistici. Tipo: “perso un Sinner dello sci”, “che speranze ci sono che torni italiana”.
Certamente se e quando Colturi deciderà di tornare a gareggiare per l’Italia sarà una notizia, viste anche le imminenti Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, ma per adesso la questione più interessante è una: perché ha deciso di gareggiare per la Nazionale albanese?
Alcune domande che solleva il caso Colturi sono le stesse che esperti e osservatori si pongono da anni. Ovvero: se la madre voleva continuare ad allenarla, perché Colturi ha dovuto cambiare addirittura nazionalità? Perché Colturi è dovuta “emigrare” in Albania per migliorare? Fosse rimasta a gareggiare per l’Italia, sarebbe arrivata comunque così in alto così velocemente? Se no, perché? E c’è qualcosa da rivedere, dunque, nel modo in cui i talenti italiani dello sci passano da giovani promesse a campioni affermati? Per rispondere a tutte queste domande, dobbiamo fare un passo indietro.
Innanzitutto, va specificato che nello sci non ci sono club o squadre come tradizionalmente le intendiamo nel calcio o nel ciclismo. Lo sci funziona per Nazionali: Sofia Goggia gareggia per l’Italia e non per il Rolex Team o i Cortina Snowers, Lara Gut-Behrami può avere sponsor personali ma alcuni glieli impone la Nazionale svizzera, Marco Odermatt non è trattato poi così diversamente da un suo compagno di squadra che ha vinto un decimo delle sue gare. Così almeno funziona per le Nazionali più importanti, come Svizzera, Austria, Italia e Francia. Per quelle più piccole ed extra-europee vale un discorso un po’ diverso, ci arriviamo.
Nel caso di giovani particolarmente promettenti come Colturi, a un certo punto per andare avanti bisogna venire selezionati dalla Federazione: si entra in una lista osservati, poi la squadra “C”, poi devi fare risultati nelle gare FIS sennò torni nel tuo sci club, poi devi entrare in un gruppo sportivo militare (come quelli dell’Esercito o dei Carabinieri, ad esempio), poi chi avanza va in squadra “B” e va a fare il circuito cadetto della Coppa Europa, poi a circa vent’anni possono arrivare le prime convocazioni in Coppa del Mondo, infine potresti essere aggregato in pianta stabile con la squadra “A”, e fare quindi parte della squadra di Coppa del Mondo attorno ai 22/23 anni.
Marco Odermatt, il miglior sciatore dell’era post-Hirscher, ha dovuto vincere sei ori ai Mondiali juniores per convincere la Federazione svizzera che fosse pronto.
Ci sono delle eccezioni, ovviamente, e alcuni passaggi di quelli citati sopra meriterebbero interi articoli a parte, ma questo processo sta dimostrando di essere sempre più obsoleto nel 2025. Ancora oggi per lo sci alpino si parla di semi-professionismo. Chi scia, infatti, può guadagnare in vari modi: contratti personali con aziende (uno dei più famosi è quello che fa campeggiare la patacca rossa “Barilla” sul casco di Mikaela Shiffrin da tanti anni), montepremi della FIS (al contrario del tennis, per esempio, il prize money non è stratosferico nello sci: l’anno scorso solo Odermatt, Gut-Behrami e Shiffrin hanno superato il mezzo milione di franchi svizzeri di guadagni) e stipendio da corpo statale. Ad esempio Sofia Goggia è nelle Fiamme Gialle, il gruppo sportivo della Guardia di Finanza, come del resto lo sono Antonella Palmisano (marcia), Alice Bellandi (judo) o Ruggero Tita (vela). Anche i migliori atleti, i Dominik Paris o i Mattia Casse, stelle di uno sport ben più ricco di judo o vela, sono legati alle logiche federali.
Il fatto che le federazioni abbiano in mano in tutto e per tutto i propri atleti (dalla gestione delle trasferte ai diritti d’immagine) è, secondo Davide Marta, «un limite enorme, che rende il “prodotto sci” non concorrenziale nel mercato globale dello sport business», come scrive nel dicembre 2016 su Race. Un’osservazione quanto mai attuale: negli ultimi giorni, la manager svizzera Janine Geigele ha parlato delle difficoltà di rendere gli sciatori appetibili per le aziende in un’intervista con Blick.
Ecco, portando sua figlia a correre per l’Albania, Ceccarelli è voluta uscire proprio da questa pipeline. Senza un rigido schema imposto da alcuna federazione, Colturi può quindi allenarsi con un team sostanzialmente privato: si tratta di squadre create "per soddisfare le esigenze dei campioni a cui non basta quello che la Nazionale può offrirgli" scrive Davide Simoncelli (ex gigantista, due vittorie in Coppa del Mondo) sul numero 156 di Race. Secondo Simoncelli, esempi virtuosi di atleti che stravincono allenandosi da soli si ritrovano fin dagli anni Novanta: il lussemburghese Marc Girardelli (cinque Coppe del Mondo generali), ma anche gli italiani Alberto Tomba e Deborah Compagnoni.
Mikaela Shiffrin, una delle pochissime atlete ad aver vinto in ogni specialità in Coppa del Mondo (parallelo e combinata compresi), "ha bisogno di un team dedicato che la segua e le pianifichi gli allenamenti, nelle varie specialità e nel poco tempo libero a disposizione tra una gara e l’altra, siano questi in totale autonomia o aggregati ad altre nazionali, americane e non", continua Simoncelli. Un discorso diverso vale per Petra Vlhova, tuttora la rivale numero uno di Shiffrin in slalom. Vlhova viene da una nazione, la Slovacchia, che non ha minimamente numeri e risorse per creare Nazionali competitive (è il discorso sulle piccole nazioni cui si accennava prima): quindi ha dovuto trovarsi sponsor da sola e auto-finanziarsi la scalata ai vertici.
Un esempio simile ai casi di Colturi, Shiffrin e Vlhova è quello di Zrinka Ljutic. Classe 2004, Ljutic nelle ultime settimane ha vinto le sue prime due gare di Coppa del Mondo, gli slalom di Semmering e Kranjska Gora e anch’essa centrò il primo podio giovanissima, a 19 anni e tre giorni. Il suo sviluppo è stato seguito dalla famiglia Kostelic, che sta allo sci croato più o meno come la famiglia Maldini sta al calcio italiano. Attorno a Ljutic si è presto formato un team privato "reso possibile per le ovvie differenze che esistono tra una piccola e una grande federazione a livello di numeri", scrive Marco Di Marco su Sciare.
Colturi e Ljutic: le discipline tecniche femminili sono in buone mani per molti anni a venire.
Le federazioni maggiori, tra cui quella italiana, il cui presidente Flavio Roda ha 76 anni e nel 2022 è stato eletto ad un quarto mandato tra le polemiche, danno l’opportunità agli atleti di allenarsi, competere e vincere ai livelli più alti, ma alle loro condizioni e coi loro metodi. Chi non vuole stare al gioco, può farsi un team privato, più o meno sostenuto dalla federazione stessa: in questa dinamica, più un atleta è vincente più ha potere contrattuale. Non è un segreto che, mantenendo buoni rapporti con la federazione, le quattro stelle dello sci italiano femminile – Goggia, Brignone, Bassino e Curtoni – abbiano allenatori, skimen e livelli di autonomia propri all’interno della Nazionale.
In questo contesto, la scelta di Ceccarelli di voler far rimanere Colturi in un team privato affinché potessero sprigionarsi fin da subito le sue potenzialità risulta lungimirante, almeno da un punto di vista strettamente sportivo. Al contempo, per quanto oggi se ne dicano di tutti i colori contro la federazione, è difficile spiegare cosa avrebbe potuto fare di diverso nel caso di Colturi. Non ancora 16enne, Colturi è stata inserita – assieme a Giorgia Collomb e Ludovica Righi – nella lista osservate: ovvero l’inizio della trafila classica. La federazione, insomma, ha seguito il suo solito iter. Ci voleva un trattamento “più uguale degli altri” per la giovanissima Colturi, vincitrice di qualsiasi gara a livello giovanile? È difficile, per qualsiasi federazione, fare strappi alle regole per una quindicenne, per quanto può essere promettente.
Per questo l’esperto commentatore di svariate discipline invernali per Eurosport, Massimiliano Ambesi, proprio il 26 maggio 2022 scriveva, sulla questione Colturi: "Situazione estremamente complessa. In questo caso, non mi sento di sparare a zero sulla Federazione italiana, che non ha particolari colpe". Più di recente, Ambesi ha parlato sia di una maniera "innovativa" di intendere lo sci da parte di Ceccarelli e Colturi sia di una federazione italiana che «non aveva un piano B».
C’è un ultimo fattore che va considerato. Anzi, è diventato talmente ingombrante che è impossibile non notarlo, anche solo guardando una qualsiasi gara di Coppa del Mondo di sci alpino. Si tratta della RedBull, il cui logo è ovunque: sui caschi degli atleti, sui cartelloni pubblicitari, in varie iniziative commerciali neanche poi così laterali rispetto agli eventi sportivi stessi. Lattine di RedBull stanno in grossi frigoriferi in zona mista all’arrivo delle gare, in mano agli atleti durante le interviste, in certe occasioni vengono regalate ai tifosi. RedBull, insomma, vuole prendersi anche lo sci.
Marcel Hirscher e la marca di sci che ha co-fondato con RedBull, VanDeer.
Lara Colturi, Sofia Goggia, Marcel Hirscher, Henrik Kristoffersen, Lindsey Vonn, Marco Odermatt, Dominik Paris, Lucas Pinheiro Braathen (un altro che sul rapporto fenomeno-federazione avrebbe qualcosa da dire), Alice Robinson, Zrinka Ljutic ed Emma Aicher sono tutti atleti sponsorizzati da RedBull. Non sono solo i più forti e le giovani stelle, buona parte di questi proviene da (o ha deciso di gareggiare per) federazioni minori, in team di fatto privati nei quali RedBull dà una grossa mano. Dai viaggi allo skiman, dagli alberghi a tracciati esclusivi RedBull quando si va in pista ad allenarsi, l’approccio RedBull è molto diretto e forse permette di intravedere la strada: un futuro, difficile dire quanto prossimo, in cui gli atleti migliori gareggiano direttamente per le aziende, non per le federazioni.
Le federazioni continuerebbero a esistere – Mondiali e Olimpiadi si svolgono con la maglia della Nazionale anche in altri sport – ma un loro ridimensionamento avrebbe effetti tellurici. Aprirsi al mercato, come dimostra più o meno tutta la storia dello sport (e non solo), potrebbe portare non necessariamente a effetti sempre e solo positivi, anzi, ma che ci sia bisogno di una scossa è piuttosto chiaro a tante persone che operano nel settore.
Una squadra privata che raccoglie svariati atleti spesso da nazioni meno strutturate esiste già, sebbene solo in campo maschile, e si chiama Global Racing. Di recente ha fatto parlare di sé perché ne fa parte Simon Maurberger, il miglior italiano al traguardo nello slalom sulla “Gran Risa”, in Alta Badia. Maurberger si allena con una squadra che adora, composta da estoni, belgi, lituani e tedeschi, e non con la Nazionale italiana di slalom. E in Alta Badia Maurberger ha battuto tutti quelli che, al contrario suo, sono stati selezionati per una squadra nazionale. Per altri sciatori indipendenti, dal talento magari non evidente fin da subito come Vlhova o Ljutic, come l’americana Lila Lapanja, la vita però è più dura.
Come dimostrano altri casi più o meno recenti di nazionalità cambiate (Pinheiro Braathen dalla Norvegia al Brasile, Hirscher dall’Austria ai Paesi Bassi, A.J. Ginnis dagli Stati Uniti alla Grecia, e la lista potrebbe continuare), la centralità della bandiera, della nazione per cui si gareggia, è sempre minore. Nella mente degli atleti (e di chi ne fa le veci, vista la giovanissima età a cui avvengono a volte i salti di Nazionale), è più importante l’avanzamento di carriera: e poco importa se la Nazionale italiana di slalom femminile non sale sul podio da Manuela Moelgg a Zagabria nel 2011 e non vince da Chiara Costazza a Lienz nel 2007, mentre Colturi fa le fortune sportive di un Paese che l’Italia ha sempre considerato suo satellite.
Di recente Colturi è stata ospite del podcast Flasim, tenuto da Edi Rama, nel quale il primo ministro l’ha invitata ad allenarsi sulle montagne albanesi. Colturi non c’è mai stata, «ma ho visto qualcosina e mi hanno raccontato che ci sono montagne con tanta neve». Nel formato video dell’intervista, è percepibile un po’ di imbarazzo, anche perché Rama, dovendo parlare in italiano, non è molto spigliato. A un certo punto le dice: «Tu farai quello che vorrai, ma a una cosa non potrai scappare. Da campionessa diventerai generale o colonnello dell’esercito albanese».
Fa strano pensare che queste parole siano state dirette a una sciatrice che ha da poco compiuto 18 anni, ma insomma è anche di questo che parliamo quando parliamo di Nazionali. D'altra parte, è da sentimenti simili che anche in Italia nasce tutta l'attenzione intorno a Colturi, le continue speculazioni sul suo possibile ritorno. La risposta, se nulla cambia, potrebbe anche essere mai. Nel frattempo lo sci, non solo in Italia, potrebbe prendere casi come il suo per ripensarsi dalle fondamenta.