The Red King, The Canadian Psycho, Waterboy, The Mass Murderer: Rory Joseph MacDonald ha molti soprannomi e ognuno di essi evidenzia caratteristiche diverse: l’estro, la sanguinosità, la brutalità e l’unicità. È nato il 22 luglio del 1989 a Quesnel, in Canada, da genitori con origini irlandesi, scozzesi e norvegesi, ed è conosciuto dal grande pubblico soprattutto grazie ai suoi match sanguinosi. Ma è anche uno dei fighter più all'avanguardia dell'MMA, completo sotto tutti i punti di vista sin dall’inizio della sua carriera.
Oggi MacDonald combatte in Bellator, l’organizzazione che negli USA è la seconda più importante dopo l’UFC, dove MacDonald ha avuto una lunga carriera e che ha deciso di lasciare con un obiettivo preciso: conquistare prima il titolo Bellator dei pesi Welter e poi puntare a quello dei Medi, non disdegnando alcun superfight in caso se ne fosse presentata l’opportunità.
Ancora meglio riuscire a prendere due piccioni con una fava, come succederebbe se si concretizzasse l’incontro - di cui si parla molto ultimamente - con la star ex-UFC Gegard Mousasi, dopo che quest’ultimo avrà strappato la cintura dei Medi a Rafael Carvalho (l’incontro tra Mousasi e Carvalho è in programma il 25 maggio).
Rory MacDonald oggi: il match con Douglas Lima (2018)
Per ora MacDonald può dire di aver completato la prima parte del suo piano, conquistando il titolo dei pesi Welter al suo secondo incontro in Bellator, un mese fa, al termine di un match eccitante contro il brasiliano Douglas Lima (per decisione unanime). Un incontro che riassume alla perfezione le ragioni per cui in molti sono diventati tifosi di MacDonald e lo rispettano al di là delle scelte di carriera e degli incidenti di percorso.
A inizio incontro, MacDonald ha provato subito a stabilire le gerarchie lanciandosi in un pressing asfissiante sul campione, che da parte sua, con le spalle a parete, ha bloccato gli atterramenti e colpito con furiosi leg kick la gamba sinistra dello sfidante. Rory è stato ferito quasi subito dai ganci e dai montanti di Lima, come sempre la sua faccia si è dipinta di rosso.
Quando si parla di fighter 2.0 però non si allude solo alla capacità tecniche, ma anche a quelle mentali: una volta in difficoltà, MacDonald ha cercato un modo per portare il match sui binari a lui più congeniali, e cioè, in questo caso, quelli del grappling. Nonostante i danni subiti al naso (che dal secondo match contro Robbie Lawler non pare essere più integro), è riuscito a bloccare Lima contro la gabbia per poi portarlo a terra.
Ma il momento clou dell’incontro è arrivato durante il terzo round, quando si è visto il colpo più sorprendente del match: un feroce leg kick di Lima, l’ennesimo, che ha fatto accasciare MacDonald costringendolo a concedere la full mount.
Lima fa in tempo a dargli altri due calci prima di prendere la posizione dominante.
L’incontro si è deciso nel quinto round, quando MacDonald si è giocato il tutto e per tutto con un takedown prevedibile ma repentino, con cui ha atterrato Lima tenendolo a terra fino al termine della ripresa, e colpendolo ancora con il ground and pound.
Al termine delle cinque riprese, i giudici decidono unanimamente di dare la vittoria a Rory MacDonald, nuovo campione dei pesi Welter Bellator. Ai microfoni di “Big” John McCarthy dice di aver affrontato l’avversario più duro della sua intera carriera, e mostra fiero la tibia malconcia.
Dice di avere serie difficoltà a camminare: «Credo di avere una persona che cresce dentro la mia gamba!». E aggiunge che dopo questo match, si reputa il miglior welter in circolazione. Per fighter come lui, i danni subiti sono motivo d’orgoglio. Sono prove tangibili del detto: «Se non ti fermi davanti a niente, niente può fermarti».
Se non ti fermi davanti a una tibia gonfia in questo modo… probabilmente poche cose possono fermarti, in effetti.
Rory MacDonald all’inizio: la sconfitta con Carlos Condit (2010)
Ma per avere un esempio della modernità di MacDonald, di come si sia evoluto incontro dopo incontro, bisogna tornare a giugno 2010. Alla sua prima sconfitta da professionista. Otto anni fa MacDonald era appena ventenne e la sua genuina irriverenza ha fatto sì che già dall’inizio del match abbia lasciato rialzare Carlos Condit dopo aver ottenuto l’atterramento, ad appena un minuto dall'inizio dell'incontro. Un errore, o una scelta sbagliata, che oggi non farebbe mai.
Carlos Condit è uno striker straordinario e in quel momento, con un record di 24 vittorie e 5 sconfitte, era anche uno dei dominatori della categoria. Forte alla distanza, pericolosissimo anche schiena a terra. Una volta al tappeto Condit è stato molto attivo e il divario d’esperienza fra i due (Condit è al trentesimo match in carriera, Rory solo all’undicesimo) si fa sentire. Appena i due tornano in piedi, Condit comincia ad andare a segno: prima con un gancio e poi con un middle kick. MacDonald alla fine riesce a portare a casa il primo round grazie ai takedown, ma ogni volta che i due tornano in piedi è Condit ad andare a segno di più, grazie a un accurato taglio delle distanze.
Anche se Rory MacDonald riesce a portare a segno il suo futuro marchio di fabbrica - un jab secco che stordisce per una frazione di secondo anche Condit - è il suo avversario a capire come sorprenderlo, lavorare dalla distanza. Dalla breve distanza, va a segno col suo ottimo pugilato, ma Condit si allontana e trova le misure: appena MacDonald tenta di accorciare, i leg kick e i middle kick di Condit lo fermano.
In questo caso, il fighter più intelligente nell’ottagono è Condit, capace di rompere il ritmo di MacDonald e portare l’incontro dove preferisce lui già alla fine del secondo round. Poi sulla campana, però, MacDonald incrocia un calcio frontale saltato di Condit, affondando con un teep (non esattamente un calcio frontale) sulla clavicola e atterrandolo.
Nel terzo round MacDonald riesce ancora ad accorciare le distanze, con una ginocchiata saltata, e poi va anche a segno con un buon headkick, ma nello scambio dopo aver tentato un takedown finisce sotto Condit, che lo colpisce ferocemente con ottime gomitate, taglianodogli l’arcata sopraccigliare del canadese.
A quel punto il motore diesel di Condit è nella sua massima coppia e anche se MacDonald riesce a rialzarsi viene di nuovo portato a terra. Sembra avere seri problemi all’osso orbitale destro, e anche se non molla, a soli dieci secondi dalla fine, l’arbitro decide di fermare l’incontro perché non risponde ai colpi di Condit dal ground and pound.
La maturità di MacDonald: il match contro Nate Diaz (2011)
La sconfitta contro Condit è una di quelle insegnano più di qualsiasi vittoria. Il bagaglio tecnico di MacDonald, seppur ancora ventunenne, non è inferiore ai welter più forti al mondo. Dopotutto, è arrivato a un paio di secondi dalla gloria: sconfiggere Condit all'apice dopo aver portato a casa i primi due round lo avrebbe elevato (con soli 11 match da professionista, vale la pena ricordarlo) a minaccia per qualsiasi welter del pianeta. Invece Rory deve ancora dimostrare qualcosa, ovvero maturità e consapevolezza. Deve far vedere al mondo che quella con Condit è stata solo una brusca frenata, ma che il piede rimane sull’acceleratore. Deve dimostrare di saper gestire i match, specie quando li sta vincendo nettamente.
Quello contro Nate Diaz è il match della consapevolezza. È il 30 aprile 2011 e al Roger Centre di Toronto combattono Georges St-Pierre e Jake Shields nel main event. Rory, allievo di St-Pierre, affronta Nate Diaz, compagno di squadra proprio di Shields. Sembra un match a squadre, due contro due, i rappresentanti della cosiddetta “Scrap Pack”, crew formata da Nick e Nate Diaz, Jake Shields e Gilbert Melendez, contro quelli della Tristar Gym, i ragazzi di Firas Zahabi, Georges St-Pierre e Rory MacDonald.
Diaz si presenta con un record di 13 vittorie e 6 sconfitte, MacDonald invece al momento ha 10 vittorie e una sola sconfitta, subita nell’ultimo match con Condit. Diaz ha un pugilato fuori dagli schemi per le MMA e un jiu-jitsu stellare, a cui aggiunge un trash talking pesante anche all’interno dell’ottagono. MacDonald è più giovane di cinque anni, ma ha una compattezza fisica invidiabile, superiore a quella di Nate. Già dai primi scambi si capisce che non cederà di un passo.
Stavolta è MacDonald il fighter con le idee più chiare: tiene il tempo con gli high kick e i jab manda a vuoto il pugilato di Nate e con i calci frontali all’addome gli complica ulteriormente la vita. A un certo punto tenta l’atterramento, Diaz lo ribalta ma Rory con un guizzo riesce a prendergli la schiena. Più Diaz fatica a trovare le distanze, andando a vuoto coi ganci, più MacDonald sembra rilassato e va a segno anche indietreggiando. La varietà dei suoi colpi, e la fluidità lo rendono un combattente totale, seppur abbastanza statico.
Alla fine del primo round Diaz tenta di aumentare la pressione e accenna un takedown, MacDonald difende bene senza sprecare energie e portando a casa la ripresa. Diaz tenta di provocarlo: «You’re a bitch«, ma Rory non lo degna di uno sguardo e torna all’angolo. Il secondo round chiarirà i rapporti di forza: MacDonald porta subito a terra Diaz dal clinch, con un inside-trip (la gamba che dall’interno solleva quella dell’avversario) a cui aggiunge l’aiuto del braccio destro che afferra la gamba sinistra di Diaz, catapultandolo al suolo con un’azione meravigliosa.
Le tecniche di MacDonald non sono solo non ortodosse, ma altamente funzionali. Una volta a terra Diaz propone la guardia, poi si rialza. Capisce che per avere qualche possibilità, deve sporcare il match: inizia una serie di clinch e colpi veloci che sortiscono poco effetto. MacDonald tiene il ritmo con una tenuta atletica superiore rispetto a quella del californiano. I colpi di Diaz iniziano a diminuire di frequenza e di velocità, mentre MacDonald si scioglie per bene e porta dei diretti immediati e anche una ginocchiata saltata.
Nel corso del terzo round MacDonald cintura Nate e mette a segno una belly slam, ovvero una cintura al corpo alla quale fa seguire una proiezione. Diaz si rialza, ma solo per subirne un’altra molto simile e il successivo ground and pound. MacDonald è colossale e Diaz sembra scosso anche se si difende da terra: tenta di prendere la caviglia e viene centrato da un diretto di Rory. Quando si rialza, ma come nei migliori film d’azione, c’è un’altra suplex ad attenderlo. Un’azione talmente pazzesca da far pensare alle tecniche coordinate viste spesso nell’entertainment wrestling. Lentamente il match diventa a senso unico, MacDonald è nel suo massimo splendore.
Tutta la qualità di MacDonald: il match con Tyron Woodley (2014)
Il match con Tyron Woodley mette in luce il miglior Rory MacDonald di sempre. Ecco cosa riesce a fare il canadese quando mette a segno il gameplan giusto nella serata perfetta: annichilisce totalmente i propri avversari. Li annulla, li umilia, li domina sotto ogni punto di vista. Le MMA, sostiene Daniel Cormier, sono uno sport che va a livelli: Rory MacDonald si trova al livello più alto dello sport e ci sono davvero pochi avversari capaci di tenergli testa.
L’attuale campione dei pesi welter UFC, Tyron Woodley, in questo momento sembra imbattibile e negli ultimi anni si è evoluto sacrificando un po’ di spettacolarità in favore dell’efficacia (e per questo oggi viene additato come noioso dal pubblico) che alla fine ha pagato dividendi altissimi. Contro Rory MacDonald, però, nonostante fosse già presente l’aura del Woodley attuale, non ha potuto nulla. È stato dominato sotto ogni aspetto del combattimento: fisico, psicologico, atletico. Il match con Woodley rappresenta la totale epifania dell’Ares, il dio della guerra, che Rory MacDonald ha dentro di sé.
Woodley capisce sin dal primo istante che combattere dalla distanza sarebbe un suicidio e non accetta gli scambi, legando subito in clinch. Woodley attende, quasi spalle alla gabbia, i colpi dell’avversario, tentando il colpo secco in counterstriking: la sua potenza da KO non si discute, gli basta un colpo solo per vedersi col braccio alzato poco dopo. MacDonald, però, ha un leggero vantaggio in termini di altezza e allungo e, cosa più importante, trova da subito le misure, oltre ad avere un controllo della distanza più unico che raro. Ci mette poco a trovare la chiave di volta e a mettere spalle a parete Woodley, martellandolo col jab ed evitando ogni tentativo d’attacco. Woodley tenta prima con un overhand, e poi con un takedown, di portare dal suo lato il momentum del match. Ma non ci riesce.
Woodley è attendista ma non è arrendevole: anche lui pressa MacDonald e lo costringe a parete. A un minuto e mezzo dal termine del primo round la battaglia è ancora concentrata sull’ottenimento della distanza ottimale. MacDonald termina il round con una splendida combinazione di braccia che passa dal volto alla figura per tornare ancora sopra e terminare con un montante che manca Woodley di qualche centimetro.
Il match inizia a prendere una fisionomia chiara. Woodley rimane spalle quasi a parete per rientrare, ma MacDonald lo anticipa volta per volta, prima col jab e poi con diretti e colpi di gambe, fra cui il suo marchio di fabbrica: l’high kick. Woodley comprende che rimanere spalle a parete lo porterebbe irrimediabilmente a subire troppo e tenta due assalti con l’overhand. I colpi sono parecchio telefonati e MacDonald si sposta, ma capisce anche che Woodley ha bisogno di spazio o inizierà ad annaspare. A fine primo round dall’angolo dicono a MacDonald di “non cambiare assolutamente nulla”.
Il secondo round parte in maniera più concitata. Woodley ha visto a cosa porta lasciare il centro dell’ottagono a MacDonald e cerca di non ripetere lo stesso errore. Non c’è molto footwork laterale da parte dei due contendenti, entrambi vogliono dimostrare la propria supremazia territoriale prendendo il centro e nessuno vuole cedere il passo per girare lateralmente e rientrare.
Una delle principali caratteristiche di Woodley sono i potentissimi low kick e grazie ad uno di essi ha ottenuto un TKO impressionante contro Carlos Condit. Ci prova anche contro MacDonald, che però è bravo a rientrare e a mettere a segno il diretto che allontana Woodley e lo riconduce a più miti consigli.
Il jab di MacDonald continua ad andare a segno, sta praticamente portando a scuola Woodley, anticipandolo sempre di qualche millesimo di secondo, andando a segno e rompendo il suo tempo. Woodley cerca aperture girando sulla sua destra, ma ad attenderlo c’è il middle kick di MacDonald. Nei colpi dalla distanza, a due minuti dal termine del secondo round, MacDonald spadroneggia: 35 colpi a segno contro i soli 11 di Woodley.
Woodley prova a fintare il montante per impensierire Rory, che però gli piazza un gran headkick. Non potente, ma misurato: l’americano non può sbagliare ancora. Il secondo round lo mette in cassaforte MacDonald, che ha iniziato a far seguire il gancio destro - spesso a segno - al suo jab. Dall’angolo, Zahabi continua a lodare Rory, ma lo avverte: Woodley tenterà di uscire sulla sua destra per scaricare l’overhand. Ha perso due round e deve tentare il tutto per tutto. Al canadese basta controllare, ma deve tenere duro sul piano della tensione e dell’attenzione.
Nei primi due minuti del terzo ed ultimo round la musica è la stessa. MacDonald si concede uno spinning back kick, mostra il suo estro, e Woodley capisce che deve agire: tenta un gancio sinistro largo, MacDonald schiva e mette a segno l’atterramento: timing perfetto, azione sublime.
MacDonald conclude un match a senso unico nel quale ha fatto apparire un campione levigato come un principiante. È senza dubbio la sua miglior prestazione in assoluto, la più dominante.
L’icona di MacDonald: il secondo match contro Robbie Lawler (2015)
Quella arrivata alla fine del match del 2015 con Robbie Lawler è un’altra sconfitta di quelle che sembrano quasi delle vittorie. Quella sera il pubblico attendeva freneticamente il main event, che vedrà Conor McGregor tentare la conquista del titolo ad interim dei pesi piuma opposto a Chad Mendes. Il co-main event però, per molti aficionados, è la vera portata principale: Robbie Lawler e Rory MacDonald sono garanzia di spettacolo e quando si sono incontrati la prima volta aveva vinto Lawler per decisione non unanime. Avevano un conto in sospeso, cioè, e inoltre c’era in ballo il titolo dei pesi welter UFC.
Il match ha un ritmo altissimo già dalle prime battute: è Lawler a prendere iniziativa e centro del ring, MacDonald gira e cerca di ottenere la distanza ottimale dalla quale lavorare. Lawler pressa e cerca di lavorare dalla corta distanza con aggressioni rapide e secche. I consueti jab e front kick di MacDonald accolgono Lawler ogni volta che prova ad avvicinarsi. MacDonald non ha l’atteggiamento dello sfidante, ha la chiara consapevolezza di essere ad un passo dal trono. Dopotutto viene tre vittorie consecutive e le sue vittime sono tutte top contender: Demian Maia, Tyron Woodley, Tarec Saffiedine.
Gestisce a distanza Lawler, che fatica a trovare le misure per entrare nella guardia del canadese. Alla fine della prima ripresa Lawler blocca un tentativo di takedown e risponde con una ginocchiata, millimetro dopo millimetro trova la posizione ottimale e centra più volte MacDonald col jab. MacDonald riesce comunque ad avere l’ultima parola chiudendo lo scambio con un gancio finale.
All’inizio del secondo round è MacDonald a comandare e il naso di Lawler inizia a tingersi di rosso per via del jab fulmineo di MacDonald. Lawler sa che il jab arriverà, ma quando sposta la testa è già tardi. Il volume di colpi di MacDonald è superiore, ma anche il suo volto inizia ad arrossarsi, perché dei colpi di Lawler è l’impatto che conta. Man mano che si entra nel vivo del secondo round Lawler comincia a sciogliersi, si muove bene sulle gambe, è morbido, e i colpi di MacDonald che lo raggiungono, sebbene gli facciano perdere il tempo, non lo destabilizzano.
Il lavoro di gambe di Lawler, che gira sul lato del braccio avanzato di MacDonald, costringe quest’ultimo a lavorare in counterstriking girando sul lato del braccio forte di Lawler, ma è troppo statico con la testa e per questo il diretto di Lawler arriva spesso a segno. E infatti con una serie di jab e diretti si apre una vistosa ferita sull’arcata nasale di MacDonald. Il naso è rotto e MacDonald rivelerà solo successivamente di aver percepito la rottura nel secondo round, ma di aver proseguito con noncuranza ingoiando sangue fino alla fine dell’incontro.
Robbie Lawler è un campione formatosi anche e soprattutto grazie alle sue sconfitte, colmando le sue vecchie lacune: arrivare a conquistare la cintura superati i trent’anni e con un bagaglio ormai totale. MacDonald però è tecnicamente, e forse in termini generali, più dotato, e il match diventa lentamente un incontro “stand and bang”.
Il terzo round è dominato dal campione, che trova immediatamente il range da cui colpire. Nei trenta secondi finali, però, MacDonald lo centra con un perfetto headkick che gli fa tremare le gambe. A quel punto MacDonald si scatena: pressa il campione a parete e lo aggredisce con una buona serie di colpi di braccia e una ginocchiata, fino alla campana. A questo punto l’ottagono sembra il set di un film horror.
All’inizio del quarto round Lawler non si è ancora ripreso e MacDonald lo attacca subito, furioso: adesso è lui a tenere le redini dell’incontro e il pubblico si infiamma, sa che in quell’ottagono si sta consumando (letteralmente) uno dei migliori match di MMA di sempre. Lawler sembra rallentato nei movimenti: tiene le mani unite sotto il mento, con le braccia stanche, ma riesce comunque a difendere i tentativi di takedown di MacDonald. Al termine della quarta ripresa un inquietante staredown fra i due sottolinea l’efferatezza della battaglia e l’abnegazione da parte di entrambi: i due devono essere invitati all’angolo da arbitro e cutmen.
La quinta ripresa vede un minuto di scambi selvaggi, il naso di MacDonald ormai è distrutto e basterebbero un paio di diretti ben assestati per costringerlo a terra. Ma lui giù non ci vuole andare, anche se si tocca il naso e capisce la gravità della situazione, è arrivato vicino al limite umano, o forse lo ha raggiunto. Alla fine, dopo l’ennesimo diretto al naso, si accascerà al suolo perdendo l’incontro per TKO, ma match di questo tipo hanno due vincitori. Il sacrificio quasi estremo di MacDonald lo ha elevato a status symbol delle MMA, fissandolo come pietra protagonista di uno dei match più belli, sanguinari e rappresentativi che le arti marziali miste abbiano mai visto.
MacDonald ha un grande pregio, ed è quello di riuscire spesso a creare il proprio contesto. Riesce ad imporre il suo grappling - il più asfissiante dell’intera categoria - agli striker puri e riesce a gestire il match ed affondare contro i grappler e contro gli striker dal minore allungo. Sceglie sempre la via più logica ed è caratterizzato da un Fight IQ difficilmente riscontrabile in altri fighter.
Nel match successivo MacDonald sembra sottotono, è largamente dominato da Stephen Thompson (che deve la sua fortuna ad un atletismo esagerato e a un gameplan perfetto) e la cosa che più impressiona è l’assenza di determinazione. A seguito delle due sconfitte consecutive, e del mancato accordo sul rinnovo contrattuale, MacDonald a 28 anni decide di cedere alle lusinghe di Scott Coker e di firmare per Bellator MMA. Ora ha conquistato la cintura dei welter e sta puntando quella dei medi. Ma potrebbe anche riconsiderare l’idea di salire di categoria, visto che a parte Andrey Koreshkov non esistono avversari al suo livello in Bellator, almeno non tra quelli che non abbia già battuto. Potrebbe essere un’eventualità quella di proporgli un match contro Michael “Venom” Page, ma si rischierebbe di distruggere un gioiellino che Bellator sta curando al meglio per vederlo brillare al massimo nel prossimo futuro. Un’opzione plausibile sarebbe quella di ingolosire con una borsa faraonica Ben Askren, appena ritirato dalle MMA a seguito di una vittoria schiacciante su Shinya Aoki in One FC. Anche un rematch con Lima, però, non sarebbe da escludere, visto che l’incontro è stato equilibrato. Le ultime voci invece, darebbero vicino un match al limite delle 185 libbre contro il vincente del match fra Rafael Carvalho e Gegard Mousasi.
Ma l’interrogativo più grande sul futuro di MacDonald riguarda un possibile ritorno in UFC. Al termine del contratto con Bellator potrebbero semplicemente non essergli rimasti più avversari da sconfiggere e in questo caso il figliol prodigo potrebbe tornare alla casa del padre, più maturo, più saggio e con la possibilità di andare a togliere la cintura a quel Tyron Woodley che ha battuto così bene qualche anno fa.