A 5 giornate dalla fine dello scorso campionato la Lazio era la più diretta inseguitrice della Juventus. La squadra di Stefano Pioli era insomma la prima tra pari, in un campionato dominato dai bianconeri praticamente senza rivali. Escludendo quindi la Juve, per un certo periodo della scorsa stagione la Lazio è stata la migliore squadra in Italia. Mantenendo fede allo stato di “primus inter pares”, però, la leadership dei biancocelesti non è durata a lungo, e quello che sarebbe stato il miglior piazzamento dai tempi dello scudetto del 2000 è definitivamente sfumato nel derby perso alla penultima giornata. Il terzo posto conquistato dopo il 4-2 al Napoli ha in ogni caso riportato la Lazio in Champions League 8 anni dopo l’ultima volta.
A conti fatti, è stata un’ottima stagione, al di sopra delle aspettative: oltre al terzo posto i biancocelesti sono arrivati in finale di Coppa Italia, anche se sono stati battuti ai tempi supplementari dalla Juventus. Non si può però negare, quindi, che la Lazio si sia persa sul più bello, che la squadra di Pioli abbia avuto a portata di mano due obiettivi importanti, ma li abbia falliti entrambi.
Probabilmente la partita che più di tutte la Lazio avrebbe meritato di vincere.
Questo però lasciava pensare che ci potesse essere un margine di miglioramento, con ottimismo poteva diventare un motivo per guardare con fiducia alla nuova stagione: con pochi e opportuni aggiustamenti la squadra avrebbe potuto raggiungere quei risultati sfuggiti all’ultimo l’anno scorso. Invece dopo 15 giornate la Lazio ha 7 punti in meno rispetto al campionato passato (che pure era partito male, con 3 sconfitte nelle prime 4 partite) ed è più vicina alla zona retrocessione che alle posizioni che valgono l’Europa. Cosa è successo? La doppia competizione (campionato + Europa League) basta a spiegare l'appannamento della squadra di Pioli? Il preliminare di Champions League, perso ad agosto, può aver mandato fuori fase il metabolismo della Lazio al punto da rovinarle la stagione?
Mancanza di fiducia?
L’11 settembre scorso è scaduto il termine per sottoscrivere l’abbonamento alla nuova stagione e, nonostante arrivasse da un’annata positiva, la Lazio è andata molto vicina a toccare il record negativo di tessere vendute. In assenza di dati ufficiali, è stato calcolato che gli abbonamenti venduti siano stati circa 13mila, 4mila in meno rispetto alla scorsa stagione. Anche la società ha in qualche maniera ammesso il flop, dichiarando attraverso il responsabile della biglietteria, Angelo Cragnotti, di «aspettarsi di più» e riaprendo la campagna abbonamenti a ottobre. Una scelta fallimentare, a quanto pare, visto che le tessere vendute, a dieci giorni dalla chiusura, erano state meno di 100.
Se è vero che sui numeri degli abbonamenti hanno pesato l’aumento dei prezzi, l’ostilità di alcuni verso Claudio Lotito, i cattivi risultati estivi (la sconfitta nella Supercoppa italiana e l’eliminazione dalla Champions League) e la divisione voluta dal prefetto Gabrielli della Curva Nord dell'Olimpico, la colpa principale imputata alla società è stata la mancanza di investimenti e in particolare una campagna acquisti giudicata non all’altezza (basta leggere i commenti su Facebook sotto lo spot promozionale della campagna abbonamenti).
A oggi, l’unico nuovo arrivo che si è ritagliato un certo spazio e può considerarsi un titolare è Sergej Milinkovic-Savic. Il secondo per minutaggio, Wesley Hoedt, ha giocato soprattutto per gli infortuni o le squalifiche dei suoi diretti concorrenti in difesa. Kishna e Matri sono delle riserve, Patric e Morrison non si sono praticamente mai visti (in due hanno collezionato un totale di 98 minuti in Serie A).
Dove eravamo rimasti
Per quanto fatto vedere l’anno scorso, comunque, la Lazio avrebbe meritato un po’ di fiducia in più da parte dei suoi tifosi. Nell’ultimo campionato è stata tra le squadre messe meglio in campo e più piacevoli da seguire. Alla base dei buoni risultati c’erano 4 giocatori: Stefan de Vrij, Lucas Biglia, Felipe Anderson e Antonio Candreva. In più c’erano 2 eccellenti incursori come Marco Parolo e Stefano Mauri (10 gol il primo, 9 il secondo), bravissimi a sfruttare gli spazi aperti dai compagni.
La fase difensiva si basava su un’aggressività rara per il campionato italiano. La Lazio primeggiava in tutte le statistiche difensive: tackle fatti (21,1 in media a partita), anticipi (19,8) e falli fatti (17,8) ed era la squadra che concedeva meno tiri agli avversari (9,7). In fase di possesso erano fondamentali Felipe Anderson e Candreva, due portatori di palla veloci, tecnici, forti nell’uno contro uno, in grado di far salire la squadra di parecchi metri con le loro corse e di creare pericoli dal nulla. C’erano insomma tutte le caratteristiche che di solito piacciono ai tifosi: in campo si correva e si potevano vedere giocate d’alta classe da parte della coppia di esterni d’attacco più forte della Serie A.
La Lazio non era ovviamente priva di difetti, evidenziati all’inizio della nuova stagione, quando il livello della competizione si è immediatamente alzato e sono arrivate le sconfitte in Supercoppa contro la Juventus e nel playoff di Champions League con il Bayer Leverkusen. Lo stesso Pioli ha ammesso: «Avevamo due obiettivi, la Supercoppa e i preliminari di Champions League, e purtroppo li abbiamo mancati. Questo sicuramente ci ha tolto qualcosa, ci ha destabilizzato un po’ perché volevamo fortemente quei due obiettivi e il fatto di non essere riusciti a centrarli ci ha spiazzato».
Credere nel sistema
Da quando si è seduto sulla panchina della Lazio, Pioli ha puntato su un modello di gioco preciso, pur cambiando modulo e interpreti. Ha dimostrato cioè di essere uno di quegli allenatori che preferiscono insegnare ai giocatori a stare in campo in una certa maniera. Una scelta che denota una certa personalità: non si è fatto influenzare dai fallimenti di agosto e anche adesso che la situazione è molto delicata non ha rinunciato alle proprie idee.
Certo, il modulo e il gioco si adatta anche alle caratteristiche dei suoi giocatori migliori (gli esterni d'attacco), ma è anche un approccio che dà molte responsabilità ai calciatori e non è un caso che Pioli sostenga che la caratteristica più importante di un giocatore sia l’intelligenza. Chi gioca deve saper interpretare un certo modo di stare in campo, anche a costo di forzare le proprie caratteristiche. In questo modo, però, certi giocatori diventano più importanti di altri e quando non ci sono la differenza nel rendimento della squadra può essere grande.
La Lazio non ha la forza economica per garantire al proprio allenatore una rosa in cui sono tutti, o quasi, allo stesso livello e Pioli quest’anno ha dovuto fare a meno di uno dei suoi “indispensabili”, Stefan de Vrij. L’olandese ha giocato solo due partite in campionato, poi è stato operato al ginocchio sinistro e, con ogni probabilità, ha già finito la stagione. Il solo infortunio di de Vrij non spiega ovviamente perché quella biancoceleste sia una delle peggiori difese della Serie A, ma aiuta a chiarire l’approccio di Pioli da quando è l’allenatore della Lazio. Nonostante abbia perso il difensore più bravo a coprire la profondità, il tecnico non ha rinunciato a difendere in avanti, aggredendo gli avversari e tenendo alta la linea difensiva. Né Mauricio né Gentiletti né Hoedt garantiscono però la stessa efficacia se devono difendere con molto campo alle spalle.
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Higuaín fa fare una brutta figura a Hoedt.
La linea difensiva ha perso sicurezza e la Lazio è diventata attaccabile al centro e sui lati. I giocatori faticano a darsi copertura reciproca, aspetto fondamentale in una fase di non possesso aggressiva e dinamica come quella voluta da Pioli.
Un problema che parte dal centrocampo: Mauri non copre Jorginho, Parolo decide di uscire in pressione, Hamsík può ricevere tranquillamente alle sue spalle. Onazi è molto distante dal compagno di reparto.
Hamsík può girarsi e puntare la difesa, Mauricio esce per affrontarlo, Hoedt resta in posizione e nel mezzo si apre una voragine. Insigne può puntare facilmente Basta, ma il suo tiro non inquadrerà la porta.
A ciò si aggiungono errori di lettura piuttosto grossolani. A volte entrambi i centrali vengono attirati fuori posizione dai movimenti degli attaccanti avversari, costringendo i terzini a diagonali profondissime e spesso inefficaci nel chiudere l’enorme spazio che si apre nel mezzo. È capitato ad esempio a Leverkusen (Mauricio che esce su Mehmedi) o a Napoli sul gol di Allan (Hoedt che esce su Higuaín).
Pressare male
Se i difensori stanno avendo grosse difficoltà, comunque, è soprattutto perché la Lazio è una squadra che pressa male. Rispetto all’anno scorso, quando ha chiuso con la terza miglior difesa del campionato (38 gol subiti, peggio solo di Roma e Juventus) non è cambiato l’atteggiamento: i biancocelesti cercano di recuperare rapidamente la palla e sono abituati a pressare in zone alte del campo. Ma hanno perso un po’ di aggressività: entrano meno in tackle (19,5 in media a partita) e commettono meno falli (16,3 a partita, in media), compensando in qualche modo con più anticipi (20,5 in media a partita).
Non si può dire che la Lazio non corra: alla 14.esima giornata, secondo le statistiche della Lega Serie A, era al terzo posto per chilometri medi percorsi a partita (107,397, dietro solo a Napoli e Bologna). Se però l’esecuzione del pressing è imprecisa, si finisce per correre a vuoto, sprecando energie senza riuscire a recuperare il pallone. Guardando le partite della Lazio si ha l’impressione che non sempre i giocatori abbiano un chiaro riferimento da seguire: vengono spesso attirati dal pallone oppure portati fuori posizione dai movimenti degli avversari, facendo perdere compattezza alla struttura difensiva.
Radu, Lulic e Parolo circondano Ferrari, ma non in maniera così aggressiva da impedirgli il passaggio in avanti. Biglia segue Brienza sulla fascia, in mezzo c’è una voragine in cui si infila Brighi, che deve viene rincorso addirittura da Kishna, comunque in ritardo.
Sullo sviluppo dell’azione Gentiletti esce dalla linea difensiva per attaccare Brighi e al Bologna viene concesso un 2 contro 2. Basta è comunque attento in marcatura su Acquafresca e l’azione non creerà pericoli.
Probabilmente Pioli concede un certo margine di libertà ai suoi giocatori, lasciando scegliere a loro se e fin dove uscire in pressione oppure se restare in posizione. Spesso però la squadra finisce per muoversi in maniera scoordinata e la spinta a recuperare il pallone in alto, ad aggredire costantemente il portatore di palla la porta a scoprirsi soprattutto in mezzo al campo.
Situazione molto simile a quella contro il Bologna. Milinkovic-Savic e Parolo hanno provato a interrompere il palleggio sulla fascia del Genoa, Cataldi va ad attaccare Ntcham, ma è in ritardo e oltretutto scivola. I tre centrocampisti della Lazio sono tutti fuori posizione.
Il Genoa continua l’azione sulla fascia destra: Kishna fatica a rientrare e Lulic è preso in mezzo da Cissokho e Rincón. Sarà proprio il venezuelano a ricevere da Perotti e a puntare la difesa: arriverà fino al limite dell’area e il suo tiro verrà deviato da Marchetti.
I difensori, insomma, devono affrontare situazioni complesse, venendo spesso puntati in campo aperto. Le possibilità di sbagliare aumentano e gli errori sono più frequenti. È curioso notare, comunque, che la Lazio subisca meno tiri dell’Inter prima in classifica e con la miglior difesa del campionato. Non tutti però possono contare su un portiere come Samir Handanovic: né Marchetti né Berisha sono stati impeccabili questa stagione.
Quella biancoceleste resta comunque una squadra incline alle distrazioni e poco attenta nelle marcature. Lo dimostrano i 5 gol subiti, sui 24 totali, sugli sviluppi di un calcio d’angolo o di un calcio di punizione laterale. Un rapporto decisamente troppo alto per una rosa in cui solo 4 giocatori sono sotto il metro e 80 d'altezza.
Attaccare male
Le cose non vanno meglio in attacco: la Lazio ha segnato 9 gol in meno rispetto alla passata stagione (17 reti contro le 26, alla 15.esima giornata, del campionato scorso) e, in generale, è meno pericolosa. Le occasioni create sono scese da una media di 10,4 a partita a 9,3, i tiri sono passati da 14,5 a partita, in media, a 13,3, quelli in porta da 5,6 a partita, in media, a 4,2.
La costruzione della manovra è problematica dal principio: Pioli coinvolge i propri difensori centrali nell’impostazione, anche se comunque né Mauricio né Gentiletti né Hoedt vanno oltre all’appoggio semplice in orizzontale o al lancio lungo se la costruzione palla a terra viene ostacolata dalla squadra avversaria. Gentiletti e Hoedt, entrambi mancini, hanno una buona precisione nel tagliare il campo da sinistra a destra e qualche volta questa soluzione si è rivelata efficace per far arrivare velocemente il pallone all’esterno d’attacco e consentirgli di giocarsi l’uno contro uno.
Pioli, nelle formazioni iniziali, non ha mai rinunciato al triangolo di centrocampo, scegliendo a volte la disposizione con il vertice basso, altre volte quella con il vertice alto. Nella sostanza, comunque, le cose non cambiano molto, perché a turno uno dei centrocampisti si abbassa per ricevere dai difensori, mentre gli altri due vanno a formare le catene di fascia con l’esterno e il terzino, muovendosi tra le linee avversarie. I centrocampisti, però, non hanno grosse responsabilità nella costruzione della manovra, se non quella di allargare velocemente il gioco per attivare le catene laterali: è sulle fasce che la Lazio sviluppa preferibilmente la propria manovra, puntando a creare la superiorità numerica con i movimenti del terzino, dell’esterno d’attacco e del centrocampista/trequartista che si muove da quel lato.
Sulla destra Basta, Milinkovic-Savic e Candreva formano un triangolo, ma il serbo ha una buona intuizione e pesca Keita, che si è mosso in appoggio alle spalle del centrocampo del Sassuolo.
Keita allarga a Candreva, mentre Basta continua la sua corsa.
La sovrapposizione del terzino è fondamentale, perché attira Cannavaro e crea lo spazio per Felipe Anderson, che viene servito da Keita e segna l’1-2.
Nella situazione classica Biglia (che infatti è il migliore dei centrocampisti nella precisione dei passaggi, 87,2%) si abbassa tra i centrali di difesa, mentre gli altri centrocampisti fanno avanzare la manovra e si inseriscono da dietro per concludere l’azione.
Lulic è già in area, Parolo quasi. Candreva crosserà sul secondo palo e Kishna segnerà il 2-0 contro il Bologna.
Anche in questa fase Pioli sembra concedere diverse libertà ai suoi giocatori, pur nel rispetto del principio che un centrocampista deve abbassarsi per iniziare l’azione, mentre i compagni devono muoversi tra le linee avversarie. Non sempre però gli smarcamenti sono efficaci e la Lazio fatica a “rompere” la struttura difensiva avversaria giocando palla a terra.
Lulic, Felipe Anderson e Milinkovic-Savic hanno fatto lo stesso movimento alle spalle del centrocampo del Verona. La difesa dei gialloblù può controllare la situazione senza grandi problemi.
In questo caso Biglia si abbassa in mezzo a Gentiletti e Hoedt, ma non ce ne sarebbe bisogno. Parolo viene schermato facilmente e l’argentino decide di lanciare lungo.
La squadra di Pioli fa una certa difficoltà a uscire dal pressing avversario manovrando palla a terra. Capita spesso che chi ha il pallone non trovi compagni smarcati e decida di lanciare lungo. È un piano B certamente studiato e che ha favorito l’ingresso nell’undici titolare di Milinkovic-Savic. Chi lancia ha così due riferimenti: il centravanti (Klose, Djordjevic o Matri) che si muove incontro oppure il serbo classe ’95, che è il giocatore che nella Lazio vince più duelli aerei (3,5 in media a partita).
Il pressing perfetto del Chievo induce Basta all’errore: il terzino cerca Candreva, che viene anticipato facendo scattare la ripartenza dei gialloblù. Da qui nascerà il primo dei 4 gol con cui la squadra di Maran batterà la Lazio nella seconda giornata di campionato.
Gli esterni d’attacco continuano a essere fondamentali nello sviluppo dell’azione: è a loro che tocca dare l’accelerata decisiva, con un dribbling o un’intuizione. Probabilmente, però, questa responsabilità non li porta a essere sempre lucidi al momento di scegliere la giocata. La Lazio è la squadra che crossa di più in Serie A, ma arriva poco al tiro in zone pericolose attraverso un passaggio.
D’altronde nessuno degli esterni a disposizione di Pioli è propriamente un giocatore associativo. Tutti sono degli accentratori che amano ricevere sui piedi per tentare la soluzione personale. Keita, Candreva e Felipe Anderson sono tre dei primi quattro laziali per frequenza di conclusioni verso la porta.
Si può dire così che le difficoltà di Felipe Anderson e Candreva, finora incapaci di ripetersi ai livelli della scorsa stagione, siano una parte importante dei problemi offensivi della Lazio. Nessuno dei due è, al momento, un titolare inamovibile. Candreva è il giocatore più sostituito della rosa (8 volte), Felipe è partito da titolare in 9 delle 15 partite. Pioli ha alternative valide come Keita e Kishna, ma sembra non gestire al meglio questa abbondanza. Nessuno è stato per ora in grado di essere decisivo nella misura richiesta dal sistema dell’allenatore biancoceleste.
Non è ovviamente solo colpa loro: le difficoltà nella circolazione della palla li porta ad abbassarsi molto per ricevere e spesso si trovano ad affrontare difese schierate. Una situazione complicata per chiunque, specialmente per Candreva e Felipe, che restano quelli con maggiori responsabilità, anche se spesso significa forzare la giocata e perdere il pallone. Va detto che l'assenza di Mauri (solo 4 presenze) e la scelta di Pioli di giocare spesso con un doppio mediano e Milinkovic-Savic come trequartista toglie alla fase offensiva della Lazio una soluzione in più, fornita dalla rarissima capacità di lettura degli spazi dell'ex capitano, che permetteva maggiore verticalità e profondità alla manovra laziale, e aggiungeva imprevedibilità laddove il giovane gigante serbo fa da punto di riferimento anche per le difese avversarie (invertendo peraltro il movimento del gioco laziale: se Mauri era una continua spinta in avanti, Milinkovic-Savic viene incontro e prova a far salire il resto della squadra).
Cambiare o restare fedeli a sé stessi?
«Pioli non è mai stato in discussione. È l’allenatore della Lazio e non ho mai avuto dubbi». Così Lotito ha provato a mettere a tacere le voci di un possibile esonero del tecnico. È chiaro, però, che serva una reazione. Il modello di gioco che aveva riportato la Lazio in Champions League non funziona bene come l’anno scorso e la squadra, invece di crescere, è tornata indietro.
Pioli probabilmente ha davanti a sé una scelta delicata: modificare il sistema o continuare sulla stessa strada? «Sono un testone. A dir la verità, io trovo che sia un pregio, ma per chi mi vede da fuori è un difetto. Quando sono convinto di una cosa nessuno riesce a farmi cambiare idea». Con queste parole si descriveva tempo fa lo stesso allenatore biancoceleste.
Se le cose stanno così la risposta alla domanda è abbastanza scontata. Toccherà allora ai giocatori, e magari a qualche nuovo innesto di gennaio, dimostrare che Pioli fa bene a fidarsi di loro tanto da concedere ampie libertà in campo, alzare il livello delle prestazioni e provare a risollevare un’annata che sembra già compromessa.