«Per la prima mezz’ora c’è stata una sola squadra in campo», dice Andrea Stramaccioni un po’ sorpreso, dopo che l’Inter ha appena segnato il gol del 2-0 con Federico Dimarco, il gol che alla fine del primo tempo sembra inclinare in modo definitivo la contesa dalla parte dell’Inter, che poi segnerà il terzo, il quarto, il quinto e il sesto gol della partita, infliggendo alla Lazio una delle peggiori tre sconfitte della propria storia. Curiosamente, tutte arrivate per mano dell’Inter.
Quante volte vi è capitato di sentire una frase del genere per una squadra uscita sconfitta per 6-0, che era stata l’unica squadra in campo per circa 2/5 di partita? Non è una forzatura, però: per mezz’ora la Lazio ha schiacciato l’Inter a ridosso della propria area, soffocandone ogni ripartenza, vincendo ogni duello, mettendo una pressione che comincia a essere un tratto caratteristico della squadra di Baroni. E poi, cosa è successo?
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Il paradosso dovrebbe inquadrare la singolarità di Lazio-Inter di un lunedì sera dicembrino, a cui le squadre arrivavano con gli stessi punti in classifica ma con percezioni diverse. Da una parte le incertezze dell’Inter, che arrivava dalla triste sconfitta contro il Leverkusen e da una generale difficoltà vissuta negli scontri diretti; dall’altra la Lazio che aveva appena distrutto l’Ajax all’Amsterdam Arena, ed era reduce dall’inizio di campionato più entusiasmante degli ultimi anni. Una squadra che sembra giocare a due metri da terra.
Per questo stato di forma, e per la natura e l’identità stessa delle due squadre, quella mezz’ora forse potevamo aspettarcela. Potevamo aspettarci l’intensità e l’entusiasmo della Lazio, il fuoco portato su ogni pallone, e potevamo aspettarci invece il tentativo dell’Inter di spegnere questo fuoco e restituire il calcio all’ordine e alla razionalità. Da una parte una squadra che gioca costantemente sopra ritmo, dove i calciatori si muovono tutti sopra la linea del pallone, ottimisti sui rischi e le possibilità; dall’altra l’Inter, una squadra da foglio Excel, che di ogni azione deve calcolare sempre pro e contro - pur mantenendo una flessuosa leggerezza. Una squadra dell’istinto contro una squadra della cerebralità.
Dopo due minuti la Lazio era già in area con Isaksen; dopo sei minuti ha tirato per la prima volta in porta; al decimo Isaksen ha tirato di nuovo in porta. Intorno al quindicesimo il suo dominio è diventato soffocante. Lo stadio ruggiva a ogni anticipo dei due centrali sulle punte dell’Inter, a ogni contrasto di Guendouzi, a ogni conduzione di Nuno Tavares. I movimenti di Noslin a sovraccaricare il lato sinistro creavano un lato forte difficile da gestire per l’Inter. Pedro dietro Calhanoglu era un problema. Al 21’ Noslin calcia all’altezza del dischetto del rigore, masticando la palla ma provocando uno spavento.
E poi, cosa si è rotto?
L’Inter è rimasta tranquilla. Lo aveva detto Mkhitaryan prima del match: «Dobbiamo giocare piano piano, non forzare le cose. Dobbiamo fare il vostro gioco. Vedremo alla fine se vinceremo o no». Nessuna squadra riesce a mantenere così la calma sotto pressione. Una qualità che l’Inter di Inzaghi ha già mostrato ai massimi livelli europei. È una questione di qualità tecniche ma anche di mentalità.
L’Inter sapeva che il dominio della Lazio era più fragile di quanto apparisse. Un filo retto dalla capacità di Patric e Gila di vincere i duelli con Thuram e Lautaro, su cui l’Inter si appoggia sempre molto, specialmente sotto pressione.
Al 28’ Mario Gila esce per infortunio e la Lazio, con Gigot in campo, perde la capacità di comprimere il campo in avanti, vincere i duelli, recuperare all’indietro. Pochi secondi dopo un’uscita sbagliata di Gigot spalanca il campo all’Inter.
In realtà anche nei minuti precedenti la Lazio aveva corso dei rischi, come fa sempre del resto. Quando Thuram e Lautaro riuscivano a giocare di sponda, ad anticipare i propri marcatori, gli spazi che si aprivano erano tanti. Nella foto sotto Mkhitaryan ha addirittura tre verticalizzazioni possibili, tutte estremamente pericolose. Perde però un tempo di gioco e si fa contrastare da Guendouzi. C’è un boato dello stadio, ma il centrocampista francese allarga le braccia verso i compagni allarmato.
Forse quindi era solo questione di tempo prima che l’Inter trovasse una delle sue transizioni perfette, una di quelle azioni in cui i suoi giocatori si mangiano gli spazi con ineluttabilità e armonia. Ci sono però voluti due episodi: l’infortunio di Gila appunto, e il calcio di rigore severo fischiato dall’arbitro. La Lazio ha perso lucidità e forse aspettava di riacquistarla negli spogliatoi. Mancavano una manciata di minuti alla fine del primo tempo. L’Inter però è una squadra matura e spietata quando c’è da girare il dito nella piaga. C’è stata forse un’azione che ha rotto definitivamente la partita.
Da un calcio d’angolo a favore i nerazzurri tornano indietro e indietro, fino ai piedi di Sommer. Non si fanno prendere dalla frenesia, come invece fa la Lazio, che sale in pressing con un’intensità un po’ esagerata, forse dimostrativa. La squadra si allunga e basta una seconda palla vinta, un’apertura di Lautaro sul lato debole, e la squadra di Baroni è tutta scoperta. Dumfries riceve un passaggio pigro ma ha una bella lettura, rallentando, alzando la testa, vedendo Dimarco sul secondo palo - lasciato solo invece da una brutta lettura di Marusic. Nell'Inter anche i giocatori dalle letture un po' brutali, come appunto Dumfries, mostrano sempre un alto QI calcistico.
A quel punto la Lazio barcolla, si rompe e subisce una transizione pericolosa nell’azione subito dopo. Ormai le distanze sono perse. La squadra non lavora più da squadra. I giocatori offensivi si precipitano in avanti a pressare, quelli dietro non li accompagnano più con lo stesso coraggio. Si sottovaluta anche il peso mentale che giocatori come Lautaro e Thuram mettono sui marcatori avversari. In quest’azione vediamo Patric rinunciare al duello col francese, scappando all’indietro ma ormai in grave inferiorità numerica.
Se la Lazio non mantiene il proprio coraggio nelle letture, se non è convinta di poter vincere ogni duello difensivo e far male con ogni azione offensiva, crolla tutta l'impalcatura tattica. Un minuto dopo un’altra transizione con Lautaro lanciato in uno contro con Patric costretto a scappare all’indietro. Tutto nasce da un’azione un po’ troppo ambiziosa di Nuno Tavares, autore di una pessima prestazione per letture con e senza il pallone. I confini tra lucida ambizione e incoscienza è sempre sottile nella Lazio. Al 50’ manca davvero poco perché Lautaro riesca a calciare in area di rigore senza disturbo.
Al 50’ arriva quel gol di Barella pazzesco che racconta un centrocampista fenomenale, ma anche una serata in cui all’Inter va tutto liscio e alla Lazio tutto storto. Al 53’ un altro gol dell’Inter che continua a massacrare la Lazio facendole scontare la sua aggressività. Bastoni ha poche soluzioni vicine perché gli avversari hanno compresso tutti gli spazi in avanti; gli basta però lanciare in modo approssimativo verso Thuram. Una connessione sempre fruttuosa per i nerazzurri. Patric è in vantaggio ma è così in difficoltà che si fa spostare fisicamente e a regalare un possesso avanzato all’Inter, che poi segna con Dumfries che sovrasta Nuno Tavares in area.
Tra il primo gol di Calhanoglu e il quarto di Dumfries è trascorso più o meno un quarto d’ora, in cui l’Inter ha calciato 6 volte ma ha costruito almeno 8 azioni pericolose, quasi una al minuto. Un quarto d’ora in cui tutti i pregi della Lazio hanno mostrato il proprio rovescio: l’aggressività è diventata fretta, il coraggio è diventato incoscienza, Nuno Tavares è sembrato un lusso tatticamente insostenibile. La differenza qualitativa tra le due rose è apparsa in modo chiaro e drammatico. Qualcosa che si sapeva, ma che vale la pena dire per due squadre che arrivavano con gli stessi punti.
La Lazio di questi mesi ha dimostrato quanto in Serie A prendersi rischi paghi. È sembrata l’unica squadra in grado di recepire la lezione dell’Atalanta in modo originale e non scolastico. Stavolta, però, di fronte ha trovato la squadra più brava a sfruttare questi rischi, a trasformare i pregi in difetti. Nessuno però ha la qualità e la maturità dell’Inter, che quest’anno ha già segnato 4 gol all’Atalanta e 4 alla Juventus. E questo la squadra di Baroni dovrebbe averlo ben chiaro.
C'è stata un'azione più inquietante delle altre, per la Lazio, e non ha a che fare con tutto quello di cui abbiamo parlato finora, ma col linguaggio del corpo, la mentalità e la convinzione dei giocatori. Dopo aver subito l'1-0 su quel rigore contestato, la Lazio batte il calcio d'inizio e Guendouzi passa la palla nervoso e scocciato. Rovella potrebbe restituirgliela ma lui si è scollegato dalla partita.
È la conseguenza negativa di un risultato negativo che Baroni deve riuscire a scongiurare. L’unico modo che ha la Lazio per tornare a esprimere il proprio calcio è riconoscere l’unicità di questa partita, e recuperare quel coraggio e quella ambizione che hanno fatto sempre sembrare la squadra di Baroni molto più della semplice somma delle sue parti.