La partita dell’Olimpico, con un primo tempo controllato dalla Lazio in cui la Juventus non ha calciato neanche una volta in porta, ha confermato due aspetti cruciali in questa stagione della squadra di Allegri. La prima riguarda Pjanic, e il fatto che il bosniaco sia l’unico giocatore capace di agire come riferimento centrale davanti alla difesa senza impaccio. La seconda, pur essendo collegata alla prima, è di carattere collettivo: la squadra di Allegri soffre gli avversari che hanno coraggio, intensità e organizzazione tali da poter orchestrare un pressing alto di livello, sporcando gli appoggi in uscita dalla difesa e provando poi ad andare in porta con ripartenze corte.
Per Simone Inzaghi si è trattata della prestazione più convincente della stagione contro una grande squadra, anche se ancora una volta alla Lazio è mancata la lucidità necessaria, e la continuità sul piano del gioco, per far quadrare il cerchio e guadagnare almeno un punto.
Una Lazio in completo controllo
Tutta la prima parte di gara è stata incentrata sullo stesso tema: la Juventus ha provato ad uscire dal basso, mentre la Lazio pressava con grande organizzazione, grazie anche alle uscite alte dei difensori laterali. La squadra di Allegri, complice forse l’infortunio di Bonucci arrivato dopo poco, ha provato a risalire il campo sfruttando soprattutto le catene laterali, ma è stata condizionata in negativo dalla poca agilità e di visione di gioco di Emre Can in posizione di mediano centrale, e dalla scarsa mobilità dei suoi compagni di reparto.
La Lazio aveva un terzetto di difesa rimaneggiato (Bastos, Wallace e Radu) e Parolo era stato spostato sulla fascia destra per dar spazio all’interno a Milinkovic-Savic e Luis Alberto alle spalle di Correa e Immobile. La Juventus è scesa in campo con il tridente Dybala-Douglas Costa-Ronaldo.
I bianconeri si sono spesso trovati in un vicolo cieco: le mezzali - Matuidi e Bentancur - non riuscivano a ricevere in modo pulito, per via di passaggi calibrati male o di movimenti errati, e i corrispettivi della Lazio gli arrivavano addosso con una rapidità e una densità asfissiante.
Sono emersi tutti i limiti di protezione del pallone e fraseggio di Matuidi, ma anche Bentancur è stato piuttosto impreciso. L’aiuto di Dybala, Costa e Ronaldo è stato effimero e poco produttivo: ad ogni ricezione venivano raddoppiati (o addirittura triplicati) con regolarità.
Per un pressing efficace è stata decisiva la partecipazione di tutti i giocatori offensivi della Lazio: SMS è stato il giocatore in campo con più palloni recuperati (12) oltre a 6 tackle riusciti. Anche Parolo (4), Luis Alberto (6) e Leiva (7) si sono fatti sentire in contrasto.
Va sottolineata in questo proposito la prestazione di Parolo, sempre puntuale in tutti i raddoppi e nelle coperture preventive sui compagni che uscivano in pressione. Ma forse a dare la vera misura della differenza di rendimento dei due reparti di centrocampo, è il parallelo tra le prestazioni di Emre Can e Lucas Leiva:
Anche se i due non si sono incrociati più di tanto, è significativa la differenza sia di coinvolgimento (notare quanti palloni abbia giocato Lucas Leiva rispetto al tedesco) che di efficacia nelle giocate individuali difensive ed offensive. Leiva è stato autore di una partita monumentale, è stato l’equilibratore decisivo per una squadra che alzava contemporaneamente fino a 4 o 5 uomini in zona palla, sempre pronto a scalare con rapidità.
I problemi del centrocampo di Allegri
L’applicazione totale della Lazio ha messo in evidenza la difficoltà dei giocatori di Allegri, soprattutto dei centrocampisti, nella gestione delle situazioni di parità numerica nella propria metà campo. Si tratta di un problema quasi atavico della gestione di Allegri, ieri accentuato dalla simultanea assenza di un passatore rapido come Pjanic e del vero leader creativo di questa stagione: Joao Cancelo.
Nel post partita, Allegri si è preso la responsabilità delle difficoltà avute, identificando (almeno a caldo) la causa nella scelta di Emre Can davanti alla difesa, e ammettendo che con ogni probabilità la prossima assenza di Pjanic sarà compensata da un centrocampo a due. In questo senso, l’ultima parte di gara, dopo le sostituzioni di Matuidi e Costa con Bernardeschi e Cancelo e il passaggio al 4-2-3-1, è stato abbastanza incoraggiante, e chi ne ha beneficiato di più è sembrato essere proprio Emre Can.
Tuttavia, sebbene il gol dell’1-0 per la Lazio (autogol, proprio di Can, su calcio d’angolo) sia arrivato in maniera abbastanza rocambolesca, la Juventus è stata graziata ripetutamente dalle imprecisioni sotto porta della Lazio, figlie probabilmente di una lucidità ridotta dei suoi attaccanti del tutto comprensibile, a fronte della mole e dell’intensità del loro lavoro senza palla.
Tenere la stessa concentrazione per tutta la durata del match è stato un compito arduo per tutta la squadra di Inzaghi, con conseguenze anche per i difensori. Si spiega così quanto successo a Bastos, fino a quel momento in assoluto dominio della propria zona di competenza, quando si è fatto saltare con leggerezza da Bernardeschi, mentre il taglio di Cancelo sul lato debole è stato seguito in maniera approssimativa.
Da una situazione simile è nata anche l’azione del rigore del gol del 1-2, e ancora una volta è stata premiata la caparbietà e la capacità di non demoralizzarsi la Juventus, nonostante una prestazione manifestamente inferiore a quella degli avversari.
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Al di là del risultato, però, Allegri esce dalla partita di ieri con dei seri grattacapi, soprattutto in vista degli ottavi di Champions. Ancora una volta la Juventus ha mostrato il fianco contro un avversario abile nel marcare gli appoggi in maniera aggressiva e il problema non sembra risiedere solo nella prestazione da dimenticare di Emre Can.
Aver schierato un centrocampo a tre non è servito a mitigare le difficoltà nel palleggio: i giocatori della Juventus in quei frangenti sembrano avere la tendenza a cercare la verticalizzazione il più velocemente possibile, provando solo in maniera sporadica a consolidare il possesso tra i giocatori dell’ultima linea. Il ragionamento di base non sarebbe neanche sbagliato, dato che ad una maggiore densità nel pressing avversario in zona palla può corrispondere una minore copertura degli spazi in profondità, o sul lato debole. Con riferimenti avanzati come Ronaldo o Douglas Costa è naturale che la Juve sia orientata a sfruttare quel tipo di opportunità.
Ma per poter colpire in verticale con efficacia è necessario avere tempismo, e contro un avversario tanto ostinato - come è stato la Lazio e come, prevedibilmente, sarà l’Atletico di Simeone - potrebbe essere più produttivo accettare il rischio del palleggio arretrato prolungato, sfruttando sempre l’uomo libero più vicino per poter risalire con maggiore sicurezza.
Da parte sua, la Lazio di Inzaghi ha dimostrato nuovamente perché è la squadra con più palloni recuperati nella metà campo avversaria, riuscendo ad annichilire uno dei migliori attacchi d’Europa con una fase difensiva cucita ad hoc sulle caratteristiche dei tanti giocatori offensivi schierati in contemporanea. Difendere accorciando in avanti consente ai vari SMS, Luis Alberto e Correa di non dover ripiegare in maniera eccessiva per poi attaccare in campo lungo, riducendone i limiti senza palla.
Inzaghi si è preso il campo grazie al sacrificio delle sue stelle, ma sono soprattutto i suoi uomini ombra a meritare un plauso: Lucas Leiva e Parolo, attraverso il loro silenzioso lavoro di posizionamento e di lettura delle scalate, hanno consentito il funzionamento del meccanismo.
Parolo, intervistato a bordocampo nell’intervallo, sulla domanda relativa al cambio di posizione, ha risposto: “Se si ha voglia di giocare a calcio, si gioca anche in porta”. Una frase che potrebbe benissimo essere l’estrema sintesi della sua carriera, ma che mostra la convinzione con cui i giocatori di Inzaghi seguono il suo progetto.