Fino alla scorsa estate, in gran parte dell’opinione pubblica c’era la convinzione che Rafael Leao fosse un calciatore da highlights, più da giocate che da gioco. Se ne percepiva il talento, ma era difficile definirne i contorni, a partire dal ruolo – centravanti o ala? Ai suoi detrattori, poi, risultava indigesto il passo ciondolante, per non parlare dello stile fuori dal campo, troppo fresco e spensierato per un paese così austero e moralista in tema di immagine dei calciatori. Le critiche erano severe, ma effettivamente tra Leao e la Serie A doveva ancora scoccare la scintilla giusta. L’immagine di Leao erano quelle partite di pura apatia, nobilitate magari da virtuosismi capaci di chiudere la bocca anche degli hater più accaniti – lo straordinario gol in inferiorità numerica a Benevento dello scorso anno, per esempio, unico lampo di una prestazione davvero deludente.
Zlatan Ibrahimovic – contraltare di Leao dal punto di vista della presenza scenica – dall’inizio aveva provato a prendere sotto la sua ala l’ex Lille. Sembra passata una vita da quella partita di Cagliari, appena prima del lockdown, in cui Ibra era tornato dominante come nei giorni migliori mentre Leao, nonostante un gol, non sembrava avere un briciolo della consistenza dello svedese: il vecchio campione, tutto dedizione e sguardi truci, costretto a sanare la decadenza dei costumi rossonera, personificata da questo ventenne portoghese troppo svagato. Chi lo avrebbe detto, a distanza di due anni, che ad assumersi ogni responsabilità delle sorti offensive del Milan sarebbe stato Leao, mentre Ibrahomovic avrebbe potuto limitarsi a poche e decisive giocate?
Il risultato di Milan-Lazio si spiega con l’intelligenza superiore di Ibra – Marusic cincischia e perde il possesso perché lo svedese si mette sulla linea di passaggio tra lui e Strakosha, senza quell’intuizione la Lazio non avrebbe mai perso palla – ma il contesto della partita e il dominio del Milan per due terzi della gara non si comprendono senza due variabili fondamentali: la passività della Lazio in fase difensiva, una costante della prima stagione di Sarri, e il talento di Rafael Leao, autore di una prestazione da one man show, come raramente se ne sono viste in questi anni di minorità del nostro campionato.
I buoni propositi – disattesi – della Lazio
Per quanto tirato, il successo del Milan alla fine ha ratificato il pieno controllo dei rossoneri sulla partita. Eppure, l’inizio della gara sembrava dire tutt’altro. Nessuno ha subito la squadra di Pioli più della Lazio quest’anno: sia in campionato che in coppa, la passività difensiva e le difficoltà in costruzione avevano pregiudicato le partite ai biancocelesti. Nei primi minuti di ieri sera, però, il copione sembrava diverso, soprattutto nel modo di difendere della Lazio. Il gol dell’1-0 nasce da un recupero palla alto, caratterizzato da densità e aggressività sul lato palla.
La Lazio pressa alto il Milan, con Immobile che si alza su Maignan. Il portiere allora va da Kalulu, su cui stringe l’ala Zaccagni. Se l’ex Verona va sul difensore, allora sul terzino Calabria deve allargarsi la mezzala, Luis Alberto. L’altra mezzala, Milinkovic, stringe sul lato palla per controllare Kessié. Persino l’ala del lato opposto, Felipe Anderson, stringe sul lato palla, abbassandosi alla stessa altezza del mediano Lucas Leiva.
Il Milan prova a uscire dalla pressione con un pattern ricorrente del primo tempo: mentre Kessié resta bloccato vicino ai difensori, Tonali si alza alle spalle di Luis Alberto. Calabria vorrebbe raggiungerlo, ma Luis Alberto scherma bene il passaggio verso Tonali e intercetta.
La sfera si alza e ne nascono una serie di seconde palle che la Lazio conquista grazie alla densità sul lato forte, rafforzata da Leiva che scivola verso la fascia e Radu che si alza. Proprio il capitano biancoceleste recupera il pallone e prova un lancio; una deviazione di Messias lo spedisce tra i piedi di Milinkovic, ancora una volta favorito dalla densità in zona palla che nella confusione premia la squadra di Sarri.
Il serbo appoggia in avanti a Immobile, che ripulisce così il possesso. L’attaccante torna indietro dal centrale sinistro Patric e intanto Lazzari si sgancia in profondità alle spalle di Leao. Patric gioca corto per Felipe stretto da prima nel mezzo spazio destro; il brasiliano a sua volta fa filtrare il pallone sulla corsa di Lazzari.
Theo difende bene, ma concede una rimessa laterale. Quando la palla rientra in gioco, il Milan sembra assopito: Milinkovic conduce con troppo agio oltre Theo. Il serbo raggiunge il fondo e mette un cross che Tomori con sufficienza – e forse con paura di farsi autogol – lascia sfilare. Immobile anticipa Kalulu e segna di piatto sinistro.
Tomori avrebbe potuto tranquillamente spazzare il cross di sinistro, si trovava fuori dallo specchio di Maignan quando la palla gli passa davanti. In ogni caso, merita un elogio il movimento con cui Immobile elude la marcatura di Kalulu, davvero da attaccante d’élite. Dal limite dell’area, la punta della Lazio finge di correre verso il centro, costringendo Kalulu a spostarsi in quella direzione.
All’improvviso, però, Immobile cambia direzione e corre dritto verso il primo palo: la virata repentina crea separazione da Kalulu, che così non può anticiparlo sul cross.
Sembra che la Lazio finalmente riesca a competere contro una grande squadra senza compromessi, in piena sintonia coi principi del suo allenatore. Lo dimostra anche col pallone, dove c’è un’idea precisa su come ricavarsi lo spazio con la costruzione bassa.
Il piano è far girare palla tra portiere, difensori e regista, fino a invitare l’ala rossonera del lato palla a stringere sul centrale: se l’ala del Milan stringe sul difensore, lascia libero il terzino, che si può raggiungere usando un terzo uomo, di norma una mezzala o il portiere. È un meccanismo che funziona per tutto il primo tempo. Sarri, peraltro, arricchisce la sua costruzione di altri percorsi. Milinkovic e Luis Alberto, dall’alto della loro tecnica, possono permettersi variazioni sul tema: invece di fare da terzo uomo per attivare il terzino libero, le due mezzali, pressate spalle alla porta, possono concedersi passaggi di prima verso le ali di una difficoltà d’esecuzione davvero elevata. Con l’esterno, o anche col tacco, Milinkovic e Luis Alberto scaricano per l’ala e poi si muovono alle spalle del marcatore per triangolare e condurre frontalmente contro la difesa. Sulla sinistra, poi, si può cercare direttamente la verticalizzazione bassa per Zaccagni, abile a tenere lontano Calabria, convergere, rigiocare verso il centro e attaccare frontalmente. La costruzione della Lazio funziona abbastanza bene per tutto il primo tempo, anche nei momenti di difficoltà, ma poi diventa meno efficace nella ripresa.
Mentre dal basso si creano le giuste premesse, i biancocelesti hanno qualche difficoltà di troppo in rifinitura. Se la costruzione ribalta il campo e permette di correre, una volta innescati gli attaccanti c’è poco supporto dal resto della squadra: la Lazio attacca con pochi uomini e per la difesa avversaria diventa più facile rinculare e costringere i biancocelesti a cross prevedibili o a riciclare il possesso. Troppe volte Felipe Anderson riceve in isolamento, dopo una bella costruzione, ma poi non riesce a saltare Theo o crossa dal vertice dell’area senza velleità: già una semplice sovrapposizione di Lazzari potrebbe portargli via l’uomo, o addirittura attivare un cross a rimorchio dal fondo, rendendo più vari gli attacchi. Insomma, possesso basso e sviluppo sembrano di alto livello, puro calcio di Sarri, la rifinitura, però, è ancora insufficiente.
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La passività della Lazio
I problemi veri, comunque, sono altri. L’impalcatura dei padroni di casa crolla nel momento in cui il Milan ne espone le storture in fase di non possesso: quell’aggressività in occasione del primo gol era stata solo un abbaglio. È difficile trovare una squadra peggiore della Lazio nel pressing alto. Certo, molti giocatori non sembrano portati per quel tipo di difesa – Luis Alberto e Felipe Anderson non hanno l’intensità giusta, Immobile ormai non è più un giovanotto e deve contenere gli scatti, Lucas Leiva fatica a scivolare lateralmente. Tuttavia i problemi della Lazio sembrano legati soprattutto al modo in cui Sarri vuole impostare il pressing.
Quella della Lazio sembra un orientamento sul pallone troppo puro e il suo allenatore non accetta mai di rompere le linee per rendere più forte il riferimento sull’uomo. Qualche settimana fa, in un’intervista, Spalletti spiegava come sia cambiato il modo di difendere oggi: «Nel calcio moderno si va più addosso all’avversario, ci sono più uno contro uno, si gioca in spazi più ampi. […] Gli spazi non sono tra le linee, ma sono tra i calciatori avversari, perché dove ci sono i calciatori avversari non ci sono più linee corrette come si diceva una volta, quindi gli spazi sono dove li creano gli altri e bisogna saperli interpretare».
Il problema di Sarri, oggi, è che la sua idea di fase difensiva non sembra viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda della contemporaneità: c’è ancora l’ossessione per le linee corrette di cui parlava Spalletti e manca del tutto il coraggio di accettare l’uno contro uno. Per gli avversari della Lazio, sempre per rimanere alle parole del tecnico di Certaldo, gli spazi tra le linee esistono ancora: l’ossessione per la perfezione geometrica della struttura difensiva, su cui Sarri ha sempre costruito il suo calcio e che è stata la sua forza, ha finito per trasformare la sua Lazio in una squadra anacronistica, forse la peggiore del campionato senza palla. Le uniche squadre con un PPDA più alto in Serie A sono Udinese, Salernitana, Venezia e Spezia.
Al Milan è bastato un giro palla perimetrale dei difensori, senza spunti particolari, per far rinculare la Lazio di passaggio in passaggio, fino a costringerla a correre all’indietro. Così, dopo i primi minuti, i rossoneri si sono impadroniti del campo, con una Lazio via via più passiva. A volte il Milan si è però fatto prendere dalla fretta, e ha alzato qualche pallone di troppo, altrimenti il controllo sulla partita avrebbe potuto essere più radicale, come ha detto Pioli: «Abbiamo cercato di forzare troppo. Sapevamo di avere giocatori offensivi forti davanti, quindi volevamo metterli subito in possesso palla, quando invece a volte bisognava palleggiare un po’ di più».
Il pressing della Lazio a volte sembra una semplice esercitazione, in cui qualcuno da fuori chiama le uscite ai giocatori ma nessuno aggredisce mai davvero il portatore di palla: gli si avvicina a malapena, e siccome non si pressa mai più di un uomo alla volta c’è sempre un compagno a cui scaricare palla. Appena l’avversario passa il pallone, si ritorna nella propria posizione per mantenere la linea. In particolare, è esasperante il pendolo a cui sono costrette le mezzali: salgono all’altezza di Immobile, che scherma il centro senza pressare, si avvicinano al centrale difensivo in possesso, poi quando quello scarica la palla rientrano in mediana per ricostruire la linea da cinque (i tre centrocampisti e le due ali che si abbassano). Insomma, i giocatori della Lazio hanno come riferimento solo il pallone, devono mantenere la linea di centrocampo compatta, per questo non ne può uscire sull’uomo mai più di uno alla volta. Con Immobile incaricato di schermare il centro, si pressa solo un centrale, mentre l’altro rimane libero.
Mantenere il centrocampo in linea, peraltro, significa che c’è tanto campo da coprire in avanti per pressare, un lavoraccio per la mezzala del lato opposto, che dovrebbe salire in un secondo momento sul centrale lasciato libero. I centrali del Milan, difatti, hanno sempre la possibilità di giocare a palla scoperta. C’è una traccia ricorrente con
cui Tomori e, soprattutto, Kalulu, aggirano la Lazio e la costringono a correre all’indietro. Kalulu è in grado di trovare l’imbucata tra le linee, ma se gli avversari negano spazio al centro stringendo molto le ali, può giocare in avanti verso l’esterno per Messias. La ricezione di Messias è favorita da un movimento profondo di Tonali che basta a rendere meno aggressivo il terzino Radu e quindi dare più spazio e tempo a Messias di controllare e girarsi verso il centro. Se la Lazio difendesse in maniera contemporanea, Radu non avrebbe paura di alzarsi aggressivo su Messias, mentre i due centrali scivolerebbero verso il lato palla dividendosi le marcature di Tonali profondo e Giroud, accettando quindi l’uno contro uno. Rifiutare la marcatura individuale contro Leao è comprensibile, soprattutto per le caratteristiche dei difensori della Lazio, ma perché non accettarla contro Tonali e Messias, due
giocatori non proprio eccellenti nel dribbling, soprattutto se costretti a giocare di spalle? Messias, dopo aver ricevuto ed essersi girato, non si inventa niente di particolare, si limita spesso a tornare dai difensori; ma ogni volta che il brasiliano torna da Kalulu o da Tomori, liberi di avanzare perché chi li aveva aggrediti è rientrato sulla linea di centrocampo, la Lazio è costretta ad abbassarsi di dieci metri.
Succede poi che dopo il lungo possesso perimetrale dei rossoneri, la Lazio lasci qualche buco; il Milan, così, pesca l’uomo dietro il centrocampo di Sarri. Magari l’ala aperta appoggia dall’esterno verso l’interno al compagno tra le linee, coi difensori che rimangono passivi e non accorciano in avanti. Oppure, durante lo scivolamento da un lato all’altro, Tomori o Kalulu trovano l’imbucata per il compagno nel mezzo spazio tra le linee. Attivare un uomo nei corridoi interni dietro il centrocampo, significa costringere la Lazio a correre all’indietro. Concentrati sul lato palla, poi, i biancocelesti lasciano tanto spazio sul lato debole – Pioli nel post partita si lamenterà di aver sfruttato poco i cambi gioco.
Il surfista Leao
I guai veri per la Lazio cominciano quando Kalulu, Tomori o Theo, senza pressione, pescano con continuità Leao. Non c’è una situazione in cui gli avversari riescano a contenere il portoghese: la Lazio non aveva le armi per fermarlo, avrebbe dovuto negare alla radice il passaggio su di lui, o comunque farlo ricevere in situazioni statiche con scivolamenti puntuali, senza correre affannosamente all’indietro. Invece, la passività biancoceleste ha potenziato la qualità di Leao, soprattutto in occasione del pari.
È la solita esercitazione di pressing: Immobile scherma Tomori, Milinkovic si alza su Kalulu in possesso, gli si avvicina ma non lo attacca. La palla sostanzialmente è scoperta e il francese apre per Theo alto e largo. Lazzari fa finta di pressarlo, perché appena Theo controlla all’indietro il terzino laziale ritorna basso. Così Theo ha tutto il tempo di girarsi verso la metà campo avversaria – forse avrebbe potuto prenderlo Felipe Anderson, che però si era abbassato per ricomporre la linea di centrocampo e quindi deve perdere tempo per allargarsi, in maniera blanda, sull’ex Real Madrid. Mentre Theo alza la testa, Leao scatta in profondità tra Patric e Acerbi. Il difensore della Nazionale non ne regge il passo, Leao raggiunge il fondo e va in mezzo da Giroud; Radu non fa niente per ostacolare l’attaccante francese. Se tutte le squadre difendessero come la Lazio, sarebbe davvero facile per il Milan.
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Favorito dall’atteggiamento della Lazio, la serata di Rafael Leao si trasforma in una manifestazione di onnipotenza pura. Lazzari o Patric non riescono mai a limitarlo. C’è, per esempio, un dribbling dorsale sul limite dell’area nel primo tempo, in cui, di spalle, esegue una sorta di veronica al contrario per lanciarsi nel corridoio tra Lazzari e Felipe Anderson. Oppure un primo controllo d’esterno con cui elude l’uscita aggressiva di Patric nel secondo tempo: nel mezzo spazio di sinistra riceve una verticalizzazione forte e scomoda, perché lo costringe a controllare completamente di spalle, favorendo la marcatura del difensore. I passaggi verticali sono i più difficili su cui eseguire un controllo orientato, figurarsi poi d’esterno, una superficie del piede così ristretta e scomoda per la maggior parte dei giocatori. Leao invece scappa verso la sua destra, tiene lontano Patric col braccio e con un allungo lo brucia.
Sono solo un paio di esempi della supremazia del portoghese, per giunta spalle alla porta, dove risulta eccezionale sia nel preparare il controllo in maniera canonica col piede lontano, sia nel far saltare gli schemi con i controlli d’esterno – e ieri non si è vista una sua giocata tipica di spalle, quel controllo orientato in cui fa passare la palla dalla suola all’interno destro senza soluzione di continuità. Leao è un’ala di un metro e novanta con un busto da corazziere, ma nel trattare la palla, nel dribbling stretto, nei controlli così poco convenzionali, è il degno erede della lunga tradizione portoghese di ali brevilinee, da Simao e Nani fino a Rafa Silva. Rispetto a loro, poi, oltre alla qualità dei controlli lo aiuta la rapidità insostenibile con cui ruota il bacino e si gira in allungo.
Se poteva puntare l’area, era troppo facile mandare a terra gli avversari, con quella sua finta di rientrare verso il centro per poi puntare il fondo. È difficile pensare a un giocatore più dominante in Serie A oggi. Il problema di Leao, però, è che la qualità delle sue conclusioni e delle sue rifiniture non è quasi mai all'altezza del proprio talento. Troppe volte salta uomini in serie, semina il panico, converge, ma calcia sulla schiena del difensore. Altre volte, quando punta il fondo, calcia in maniera leggibile sul primo palo di sinistro, anche perché esce troppo dallo specchio mentre prepara il tiro. In rifinitura, invece, non ha una buona gestione degli spazi e dei tempi, non si sforza di rallentare per trovare il modo più vantaggioso di servire i compagni e sceglie soluzioni un po’ elementari – in questo, allora, non è ancora all’altezza delle ali portoghesi citate. Ci dovrà lavorare per diventare uno dei migliori al mondo, ma ieri sembrava poter cambiare le sorti dell’incontro in qualsiasi momento.
Pioli, però, lo ha visto stanco e lo ha sostituito proprio sul finale. Una decisione che di certo gli avrebbe attirato forti critiche senza il gol di Tonali. Invece il Milan ha perseverato, Ibrahimovic si è dimostrato il più sveglio di tutti e il difensore più affidabile della stagione della Lazio, Marusic, ha concluso con un errore individuale una gara segnata dalle debolezze collettive dei biancocelesti. Una vittoria così sofferta ma comunque meritata, dopo la sconfitta in Coppa Italia, forse regala più morale di un successo perentorio.