Alla fine del Derby della Capitale, né la Lazio né la Roma sono riuscite a emergere dal pantano che sembra averle immobilizzate, lontane dal quarto posto. Ci sono infiniti modi in cui una partita può concludersi 0-0, ma quello di ieri è stato uno degli 0-0 più 0-0 degli ultimi anni. La certificazione plastica dell'assenza di occasioni da gol, per due squadre impaurite di perdere una partita che psicologicamente avrebbe potuto affossarle.
Di Lazio-Roma abbiamo parlato anche nel podcast riservato agli abbonati "Che Partita Hai Visto", in cui commentiamo subito dopo il fischio finale le partite più importanti della settimana calcistica.
E dire che i primi minuti sembravano promettere altro. La Roma ha cominciato in maniera piuttosto aggressiva, ed è stata anche efficace nel suo pressing medio-alto sulla costruzione della Lazio. La strategia scelta da Mourinho prevedeva, oltre all’accoppiamento strutturale delle due punte sui due difensori centrali di Sarri, l’uscita alta degli esterni Spinazzola e Karsdorp sui terzini avversari, a cui veniva accompagnata la scalata aggressiva dei difensori laterali, Ndicka e Mancini, sui movimenti incontro di Felipe Anderson e Pedro. A questo punto, al centro del campo, la Roma ha optato per una classica marcatura stretta "di stampo mourinhano", portando Bove su Cataldi, Cristante su Luis Alberto e Paredes su Guendouzi.
Per il primo quarto d’ora della partita questa strategia ha creato diversi problemi alla Lazio, soprattutto grazie a una certa prontezza dei giocatori nella Roma nel leggere tempi e angoli di uscita dalla pressione. La squadra di Mourinho ha tolto ai biancocelesti la pulizia necessaria per risalire rapidamente con combinazioni e triangoli. Le migliori occasioni della Roma sono nate proprio in seguito a palloni recuperati a cavallo tra la trequarti della Lazio e il centrocampo.
Al quinto minuto, Lazzari pressato da Karsdorp si appoggia a Pedro e parte in sovrapposizione, seguito puntualmente dall’olandese. Pedro riceve con Mancini alle sue spalle, perdendo palla dopo un breve duello spalle alla porta. La palla giunge immediatamente a Dybala e sugli sviluppi la Roma trova la conclusione con Lukaku, che ha colpito il pallone di testa. Pochi minuti dopo, tra il dodicesimo e il tredicesimo, è stato invece Karsdorp ad arrivare due volte al tiro in occasione di altre due azioni della Roma nate da palla riconquistata e proseguite con un cross di Spinazzola da sinistra. La prima è arrivata su un’azione manovrata della Lazio a destra, con Lazzari pressato da Spinazzola. Il terzino di Sarri ha verticalizzato lungolinea su Felipe Anderson, marcato da Ndicka. La pressione del centrale giallorosso ha costretto il suo avversario a scaricare su Guendouzi e poi a perdere il possesso, dopo che la traiettoria era stato sporcata da Paredes. La seconda, invece, è arrivata grazie a un recupero centrale di Bove su Immobile, che con uno stop impreciso aveva sciupato un grande passaggio taglialinee di Provedel. Recuperata palla, la Roma è arrivata al tiro con una combinazione tra Paredes, Dybala e Spinazzola.
Le azioni create da Spinazzola sono state un buon inizio per la Roma, ma anche la spia di una certa dipendenza rispetto all'intraprendenza dell'esterno sinistro. Chiaramente aprire verso i quinti di centrocampo è invitante contro una squadra che si stringe molto in orizzontale come la Lazio, una squadra che privilegia la compattezza centrale e sul lato del pallone, limitando i raddoppi e i ripiegamenti degli esterni alti. Alla lunga, però, la Roma è sembrata troppo frettolosa nel cercare l'apertura verso Spinazzola, oppure la verticalizzazione su Lukaku, finendo per perdere il filo dopo alcune buone trame in fase di costruzione arretrata.
Prendo ad esempio questa giocata di Bove, che riceve un bel filtrante di Cristante tra le linee, ma con una postura che non gli consente di girarsi immediatamente nello spazio e puntare la linea difensiva della Lazio in parità numerica. Il centrocampista giallorosso ha quindi optato per allargare subito la palla a sinistra, servendo peraltro Spinazzola con una traiettoria troppo arretrata e non sulla corsa, che ha fatto perdere alla Roma l’inerzia di un’azione potenzialmente molto promettente.
Col passare dei minuti, poi, la partita è cambiata. La Lazio, pur registrando un possesso palla via via minore, è riuscita a trovare delle combinazioni più pulite in uscita, mentre la Roma, perdendo di mordente nel pressing alto, ha tenuto il pallone in maniera sempre più sterile, senza riuscire a creare pericoli nitidi. Forse Mourinho si è reso conto che, con la strategia di marcature e pressing adottata, anche il minimo errore nel tempismo avrebbe potuto aprire spazi pericolosi per la Lazio.
D'altra parte questo è avvenuto in diverse occasioni, in particolare sulla fascia destra della squadra di Sarri. La stessa azione che ha portato al palo sul tiro incredibile di Luis Alberto al ventiquattresimo è nata in questo modo, anche se a sinistra: in quel caso, Marusic ha ricevuto il pallone avendo Karsdorp a grande distanza (anche perché la palla arrivava sugli sviluppi di un rinvio dal fondo della Roma), e contemporaneamente anche Mancini aveva qualche metro di svantaggio rispetto a Pedro, che ha potuto godere di qualche attimo provvidenziale per allargare la palla verso destra.
La palla più promettente per Immobile, invece, è arrivata nella prima di queste due azioni che trovate qui sopra. In questo caso è stata decisiva la giocata di Guendouzi, bravo a portare Paredes da un lato per poi corrergli alle spalle dopo aver scaricato su Felipe Anderson. Il centrocampista francese ha ricevuto il pallone di ritorno e ha verticalizzato per il capitano della Lazio, che non è riuscito ad arrivare in tempo sul pallone in area di rigore, dove è stato controllato bene da Llorente e da Rui Patricio, che è uscito in serenità. Nella seconda azione, invece, Guendouzi, ricevendo da Lazzari, è riuscito a verticalizzare su Isaksen, che poi ha potuto sfruttare la sovrapposizione esterna di Lazzari, sfuggito a Spinazzola e pronto ad approfittare dello spazio alle spalle di Ndicka.
Il prosieguo della partita, tra qualche protesta e i consueti ritmi spezzati, ha visto un continuo accumularsi di calci piazzati, qualcuno generato da errori nemmeno forzati, se non dalla paura stessa. Il caso più clamoroso è stato il calcio d’angolo concesso dalla Roma per un passaggio errato in costruzione, un episodio dopo il quale Mourinho è morto dentro: «Ho pensato di piangere, se avessimo preso gol avrei pianto in campo».
In generale è stato certamente un derby avaro di occasioni, per certi versi simbolico del momento di scarsa produttività attraversato da entrambe le squadre. Qualcuno potrebbe dire che produrre meno significa anche concedere meno ma questo conferirebbe una certa intenzionalità nelle difficoltà offensive di entrambe le squadre. In realtà mi è sembrato che nessuna delle due squadre ci riuscisse nemmeno, a scombinare la struttura difensiva altrui.
La squadra di Mourinho, pur cercando di controllare la partita attraverso il possesso, non è riuscita a trovare delle trame di gioco convincenti che potessero innescare Dybala tra le linee, o a trovare Lukaku in profondità nel momento giusto. Il bassissimo numero di dribbling tentati e riusciti complessivamente (5 su 7) contribuisce a dare ulteriormente una misura della piattezza offensiva che ha caratterizzato la partita della Roma. Dal punto di vista della Lazio, invece, è stata una prestazione abbastanza intermittente, che poteva costare caro nell’inferiorità dimostrata per il primo quarto d’ora, ma che ha visto poi una crescita nella gestione dei palloni in costruzione, che ha minato le certezze del pressing della Roma. Anche se Luis Alberto avrebbe potuto trovare un gol straordinario a metà del primo tempo, cambiando radicalmente la partita, di fatto anche per la Lazio la pericolosità offensiva è stata scarsa.
È stato un derby triste, insomma. Lazio e Roma, in sostanza, sembrano aver abbandonato la speranza che qualcosa, lì davanti, sarebbe successo. Entrambe hanno difeso meglio di quanto non abbiano attaccato, ma, alla luce di quanto poco avessero voglia di attaccare le due squadre, non ci voleva poi molto. Insomma, eravamo lontani anni luce dalla celebre “partita perfetta” evocata da Gianni Brera parlando dello 0-0. Certo, possiamo considerare i rischi ridotti all’osso e il gioco di adattamenti reciproci come una buona notizia ma certo è difficile che una delle due squadre possa ritenersi davvero soddisfatta di questo punto guadagnato. Chi si accontenta gode, così così.