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La Lazio sapeva come vincere il derby
04 mar 2019
Lazio e Roma arrivavano in due momenti diversi, che il derby ha - come spesso capita - ribaltato.
(articolo)
14 min
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I dati di questa analisi sono stati gentilmente offerti da Opta.

Nell’infinita retorica dei derby romani, una delle narrazioni più ricorrenti è quello di una partita al di là del bene e del male, in cui a contare sono soprattutto, anzi solo, grinta, forza e personalità (in sintesi i famosi attributi). Quest’ultimo principio è stato sintetizzato nella famosa frase “il derby non si gioca, si vince”.

E invece, come tutte le partite, anche i derby si preparano: come tutte le partite davvero importanti, dovrebbe prepararsi persino meglio del solito, cercando accorgimenti e motivando i giocatori più in difficoltà. La retorica serve solo per costruire un’aura di magia e leggenda intorno alla partita più importante della Capitale, uno dei pochi eventi che riesce davvero a scuotere una città avvolta dal torpore.

Solo uscendo dalla retorica si può facilmente capire il risultato dell’ultima sfida tra Lazio e Roma: vi diranno che è stata tutta una questione di "palle", ma l’unica che ha fatto la differenza era quella che rotolava in campo. La differenza tra chi sapeva come usarla, e come andarsela a cercare; e chi invece non aveva molte idee su come farla correre, e come riprendersela.

Determinare il contesto

Una delle poche verità sul derby è che si tratta di una grandissima opportunità per invertire una tendenza negativa, perché permette di cancellare (temporaneamente) quanto di brutto fatto in precedenza e garantisce uno slancio significativo per qualche settimana, come un fungo-scatto di Mario Kart. Per questo spesso si sente di dire che è favorito chi si trova nella situazione peggiore: non c’è quasi nulla, nella vita come nel calcio, che consenta di cancellare il passato e ricostruire il futuro come una vittoria in un derby.

Quest’anno, in effetti, è andata proprio così. In questa occasione la Roma veniva da quattro vittorie consecutive (le ultime due, va detto, casuali), la Lazio da tre sconfitte e un pareggio. All’andata, invece, la Lazio veniva addirittura da cinque vittorie consecutive, mentre la Roma da una sola vittoria (contro il Frosinone) in cinque partite: vinse la Roma, che trovò una soluzione quasi per caso durante la partita, con l’ingresso di Pellegrini, schierato trequartista nel 4-2-3-1, con una squadra dal baricentro basso e dalla linee molto strette.

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Dalle posizioni medie si nota l’altezza degli esterni della Lazio e la densità sulla sinistra; nella Roma è chiara la difficoltà di giocare sulla fascia di Kolarov e la necessità di andare a giocare sull’altra fascia

Stranamente, Di Francesco non ha riproposto la stessa strategia: la Roma ha scelto inizialmente un classico 4-3-3 (per proteggere meglio la zona centrale, dirà dopo la partita), con Cristante e Pellegrini mezzali e Zaniolo esterno d’attacco a destra, ma soprattutto con la sorpresa Juan Jesus al posto di un malconcio Manolas. Inzaghi ha riproposto il 3-5-1-1 tipico della Lazio, ma a causa dei problemi muscolari di Immobile ha iniziato con Caicedo punta, affiancato da Correa in versione seconda punta, abbassando Luis Alberto a mezzala, con Parolo in panchina. Una scelta con cui la Lazio cercava di colpire un problema cronico degli avversari, cioè la difficoltà a coprire lo spazio ai lati di De Rossi, senza rinunciare però all’attacco alla profondità, con Correa deputato anche a creare la superiorità numerica, e Milinkovic-Savic a lanciarsi negli spazi.

La vittoria della Lazio è sostanzialmente il frutto di una serie di scelte del suo allenatore: Inzaghi ha costruito una strategia e un piano gara perfetti per esaltare le caratteristiche dei suoi giocatori e per contrastare quelle degli avversari.

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Nella prima immagine è netto il 4-1-4-1 in fase difensiva della Lazio (in un momento di disordine a causa del ritardo di Caicedo su Cristante), con Leiva scudo centrale. Nella seconda, Juan Jesus può impostare ma De Rossi è schermato, mentre Marusic, molto in alto sul campo, è pronto a pressare Kolarov in caso di passaggio laterale. Nella terza, si nota il rombo di protezione difensiva sulla sinistra, costituito da centrale difensivo sinistro, esterno sinistro, mezzala e centrocampista centrale, in costante superiorità numerica contro la catena di fascia della Roma costituita da terzino, mezzala, ala.

Per riuscirci, Inzaghi ha previsto diverse modifiche al suo piano standard, trovando un equilibrio perfetto tra le due fasi. La Lazio ha difeso bene perché attaccava bene, e viceversa. Con il pallone, infatti, i biancocelesti si schieravano con una sorta di 3-1-4-2, con Leiva riferimento centrale, i due esterni altissimi a garantire ampiezza, e le due punte a tenere occupati i centrali muovendosi in direzioni opposte. In questo modo, Inzaghi ha creato agli avversari il classico dilemma della coperta corta calcistica: come riuscire a difendere contemporaneamente ampiezza e profondità?

I biancocelesti costruivano il gioco in due modi: il primo era tramite la ricerca della verticalizzazione per Milinkovic e Caceido, in modo da non esporre mai i propri difensori ed evitare il più possibile di giocare palloni nella propria metà campo. Strakosha ha servito SMS ben 9 volte, la combinazione più riuscita nella Lazio, e di quei palloni il serbo ne ha trasformati molti in oro, regalando 4 sponde, creando 2 occasioni e vincendo 4 duelli aerei (il migliore in campo in tutte queste statistiche). La seconda via di gioco dei biancocelesti, la modalità più ragionata, prevedeva la costruzione di azioni sempre sulla sinistra, addensando uomini sul pallone: spesso oltre a Radu, Lulic e Luis Alberto si aggiungevano Leiva e uno tra Correa e Caicedo. Da una parte, l’obiettivo era quello di colpire la Roma sulla fascia di Florenzi e a far uscire un centrale dalla linea. Dall’altra, l’addensamento sulla sinistra isolava Milinkovic e Marusic sulla destra, che avevano il compito di attaccare il lato debole: in particolare Marusic sembrava svolgere un compito simile a quello di Callejon nel Napoli di Sarri, anche se il cambio di campo non è praticamente mai stato necessario.

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La Lazio addensa uomini sulla fascia sinistra ed è sempre in superiorità numerica: nel primo caso Correa è l’uomo in più, e Leiva libero di ricevere - si nota Marusic alto pronto ad attaccare il lato debole. Nella seconda immagine, i biancocelesti occupano perfettamente tutti i corridoi di gioco con addirittura 6 uomini, di cui ben 4 dietro la linea di centrocampo romanista, pronti a ricevere. Milinkovic si sbraccia perché capisce l’opportunità (mentre un Marusic conservativo ha già perso un tempo per il passaggio)

Proprio su questo accorgimento offensivo era basata la fase difensiva di Inzaghi: Marusic doveva rimanere alto anche senza il pallone, per bloccare Kolarov, con la Lazio che si schierava secondo un 4-1-4-1 molto denso al centro. I biancocelesti lasciavano la prima impostazione ai centrali della Roma, schermando però De Rossi: solo in caso di passaggi laterali verso sinistra (cioè da Juan Jesus a Kolarov) la Lazio sfruttando la linea laterale faceva scattare una pressione maggiore, in modo da rendere quasi impossibile qualunque giocata ragionata di Kolarov (che infatti nella linea difensiva romanista è quello che ha giocato meno palloni, 60). La grande densità centrale, con un blocco compatto laziale sulla metà campo, imponeva alla Roma di passare dalla fasce, in particolare quella destra, che gli uomini di Inzaghi lasciavano in fase iniziale più libera di giocare, puntando sulla vertigine verticale di Florenzi. In effetti, il terzino giallorosso è stato il giocatore più coinvolto nel possesso, con ben 93 palloni giocati, ma anche quello che ha sbagliato di più in tutta la partita, con addirittura 20 passaggi errati. Anche questa mossa di Inzaghi è ampiamente riuscita, anche grazie alla fase offensiva: la costruzione di gioco sulla sinistra permetteva alla Lazio di essere immediatamente aggressiva anche in caso di perdita del pallone, spingendo la Roma a estemporanei lanci lunghi per un isolatissimo Dzeko.

Sul primo fallo laterale la Roma è addirittura in 5 vs 2 ma Fazio difende il lato esterno invece dell’interno, permettendo così a Correa di scappare via; poi Juan Jesus non capirà più cosa fare, se attaccare il portatore o seguire l’inserimento di Caicedo, permettendo a quest’ultimo di ricevere, dribblare il portiere e segnare. Nel secondo, ancora una volta, incredibilmente, Fazio difende l’esterno invece che l’interno e si fa bruciare da un Correa decisivo nelle sorti di questo derby.

Non c’è stato bisogno di una prestazione leggendaria, bensì di giocare la partita giusta: e così la Lazio è stata superiori in tutti gli aspetti, tecnico, tattico e psicologico. I gol ne rappresentano una sintetica descrizione. In particolare, i primi due gol nascono da due falli laterali: la dimostrazione che a questi livelli ormai bisogna preparare tutto nel massimo dettaglio. Il primo gol è una rimessa veloce su cui Correa è bravo a farsi trovare pronto sul lato interno e poi aspettare il momento giusto per servire il taglio in profondità di Caicedo; il secondo nasce invece da un fallo laterale nella proprio trequarti, con i biancocelesti in grado di creare sempre superiorità posizionale, fino a quando Immobile dalla fascia riesce a servire di nuovo Correa che attacca la profondità e conquista il rigore segnato dal centravanti napoletano.

La sconfitta di Di Francesco

L’altro lato della medaglia è il naufragio della Roma sotto tutti i punti di vista: un evento che nel corso di questa stagione si è ripetuto già diverse volte (la sconfitta a Bologna, il tracollo di Firenze in Coppa Italia), senza che vi fosse altro rimedio che quello delle soluzioni individuali dei calciatori. I giallorossi venivano da due prestazioni deprimenti dal punto di vista del gioco, quelle contro Bologna e Frosinone: in entrambi i casi, i risultati avevano premiato una squadra senza idee e senza concentrazione. In entrambi i casi, la Roma aveva avuto un inizio partita disastroso: esattamente la stessa cosa accaduta contro la Lazio - nel primo tempo i giallorossi hanno vinto solo il 20% dei contrasti, un dato deprimente.

Di Francesco ci ha messo del suo: con l’idea di coprire meglio il centro è tornato al 4-3-3, con il triangolo di centrocampo che si è subito disposto a troppa distanza, a causa del necessario abbassamento di De Rossi ad inizio azione, che però era schermato. Bloccata la fonte di gioco centrale, bloccato Kolarov dal dispositivo di Inzaghi, la Roma non poteva far altro che andare in verticale sperando nelle sponde di Dzeko. Accantonato dopo un quarto d’ora lo schieramento iniziale, le difficoltà della Roma sono solo leggermente diminuite: i giallorossi non sapevano cosa fare con il pallone né senza, in alcuni casi raggiungendo vette di comicità incredibili.

I giallorossi sin dai primi minuti hanno scelto di difendere in modo molto passivo, schiacciandosi intorno alla propria area e concedendo al portatore laziale di giocare sempre senza pressione. Il problema di questa strategia è che le linee non erano compatte: la Roma avrebbe potuto scegliere di appiattire le linee e concedere i cross dalle fasce, ma non è riuscita a difendere neppure la zona centrale. Inoltre, non è riuscita a coprire le ricezioni di Milinkovic: il meccanismo di disturbo di De Rossi questa volta non è riuscito, anche perché mancavano gli anticipi aerei di Manolas. A quel punto, considerata anche la prestazione impalpabile di Cristante - a disagio in una squadra priva di meccanismi di gioco codificati, e nel giocare spesso spalle alla porta - una possibile soluzione avrebbe potuto essere un doble pivote con Nzonzi, deputato ai duelli aerei con il serbo. La scarsa capacità di pressione alta, la libertà sul portatore e il disordine tra le linee determinava a cascata una serie di continui interrogativi per la linea difensiva, i cui movimenti sono stati a dir poco disastrosi. Pressione alta, compattezza, linea difensiva alta a chiamare il fuorigioco: tutto ciò che funzionava (non sempre) nella Roma della passata stagione, quest’anno non c’è più.

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Campionario degli errori: la linea difensiva della Roma sembra composta da giocatori che non si conoscono. Nella prima immagine: a palla scoperta, Juan Jesus vuole scappare all’indietro poi ci ripensa mentre Kolarov sembra un anziano che guarda un cantiere - e Caicedo ovviamente è in gioco. Nella seconda, sempre a palla scoperta (la Roma è iper passiva): Fazio e Pellegrini fanno segno di scappare all’indietro, Juan Jesus ci prova, Kolarov invece decide di andare in avanti.

Anche con il pallone, la Roma aveva molte difficoltà, in particolare per le grandi distanze tra i giocatori. Schermato De Rossi, bloccato Kolarov, il centro creativo della Roma è diventato Florenzi, con tutti gli inevitabili danni che ne conseguono. I tre attaccanti erano completamente isolati, e quando riuscivano a ricevere, o a ripulire un lancio lungo, si ritrovavano circondati da avversari e costretti a soluzioni individuali. In questo contesto, ancora una volta Zaniolo è sembrato il più vivo: costretto spesso a lottare in una gabbia, si è dimostrato comunque il più pericoloso (3 dribbling riusciti e 2 palloni intercettati, il migliore nella Roma, come nell’azione personale palla al piede appena prima di essere costretto a chiedere il cambio per una contusione al fianco. Zaniolo ha perso però anche 10 palloni, record negativo della Serie A, a dimostrazione del suo isolamento.

La Roma in grande difficoltà a causa della pressione asimmetrica laziale: De Rossi è controllato da Correa, Kolarov da Marusic, e le distanze tra i giocatori giallorossi sono siderali. Caicedo va in pressione su Juan Jesus che non ha alternative oltre a un disperato lancio lungo.

Nel secondo tempo Di Francesco ha scelto una proposta più aggressiva (era difficile fare peggio del primo) ma sempre con limitata produzione offensiva: una grande parata di Strakosha su un tiro dalla lunga distanza di Florenzi, e una grande occasione da calcio d’angolo su sponda di Dzeko che Pastore, appena entrato, non è riuscito a segnare. Solo tre minuti dopo quell’occasione, e la Roma ha concesso un rigore alla Lazio in un’altra situazione da fallo laterale, questa volta battuto però nella trequarti biancoceleste. L’errore di Pastore, insieme al terzo gol, con un goffo intervento di Olsen sul tiro dalla distanza di Cataldi, è in qualche modo anche un promemoria sugli errori in sede di mercato estivo.

Questa sconfitta è l’ennesima dimostrazione della scarsa incidenza dell’allenatore sul gruppo: come recentemente ricordato dall’allenatore del Barcellona, Valverde, i giocatori vogliono soluzioni (di gioco) dallo staff tecnico. La Roma da inizio anno non riesce a trovarle, se non per brevi tratti e grazie a stati di forma particolari di alcuni giocatori.

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Nel primo tempo un raro e disastroso tentativo di pressione alta della Roma, con Dzeko in ritardo e Acerbi liberissimo di ricevere. Nel secondo, la maggior aggressività della Roma nel secondo tempo, anche grazie alle linee spostate di diversi metri più in avanti: giallorossi sono in superiorità nella metà campo avversaria.

Il fungo scatto di Mario Kart versione Derby se l’è quindi aggiudicato Inzaghi, che può adesso lanciare concretamente la rincorsa al quarto posto: in caso di vittoria nel recupero contro l’Udinese, la Lazio sarebbe a pari punti con la Roma ma avanti per gli scontri diretti (grazie al terzo gol, quello di Cataldi), a soli tre punti dall’Inter e a quattro dal Milan. L’aspetto veramente positivo per l’allenatore biancoceleste è che sembra aver ritrovato la squadra dello scorso anno, per intensità e per lucidità. La Lazio è di nuovo apparsa una squadra solida, con idee di gioco chiare, il cui obiettivo è esaltare le interazioni tra i giocatori in fase offensiva. A maggior ragione fa sperare la prestazione di Milinkovic, che ha espresso un dominio fisico e tecnico simile a quello della passata stagione (seppur con minor precisione nelle scelte).

Solo due grandi occasioni in questa partita: quella di Caicedo e quella di Pastore - ma ovviamente c’è da considerare il fallo da rigore su Correa, da solo davanti al portiere. Questo derby sarà ricordato come quello dei falli laterali - è da lì che sono nate le due occasioni decisive della Lazio.

Per la Roma questa sconfitta può avere conseguenze pesanti: mercoledì c’è il ritorno degli ottavi di Champions contro il Porto, nell’ultimo appuntamento davvero decisivo della stagione. La rincorsa al quarto posto, a livello di punti, è pienamente alla portata, come per la Lazio: ma se non riesce ad aumentare la qualità di gioco e a ritrovare solidità difensiva, la Roma continuerà ad esprimersi fra alti e bassi che difficilmente la porteranno lontano. L’ennesima rivoluzione è già alle porte, per una squadra e una società che sembrano completamente estranee al concetto di normalità.

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