Narra la leggenda che, dopo Manzoni, anche le lavandaie gigliate andarono a sciacquare i panni in Arno, scolorendo le maglie dei calciatori della neonata Fiorentina, precedentemente bianche e rosse, in un inedito violetto. Non potendo rimediare a questo disastro, che andrà radicandosi nell’immaginario fiorentino fino a spingere Pieraccioni decenni dopo a pubblicizzare un famoso acchiappacolori, la squadra scese in campo per la prima volta con la maglia che la renderà celebre e rappresenterà uno dei simboli identitari più forti del calcio italiano. Il viola, tanto osteggiato da attori e presentatori, si è imposto grazie all’aristocratica eccentricità che ha contraddistinto i primi novanta anni di vita della Fiorentina, tra l’eleganza salesiana di Picchio De Sisti e il biondo nerboruto di Gabriel Omar Batistuta. Un colore così particolare da elevarsi a simbolo di un’intera città, storia d’amore cucita su una maglia da gioco.
Swinging Fiorentina, 1968-1969.
Basterebbe questa foto di De Sisti sul prato dell’Artemio Franchi per spiegare come la Fiorentina YeYe rappresentò l’invasione Swinging London del calcio italiano. Picchio, nella sua posa tipica con le braccia arcuate che terminano la loro corsa appoggiate sulle anche, un pò chirichetto di Santa Croce un pò Steve McQueen, si prepara alla stagione che regalerà il titolo alla squadra di Nello Baglini. La tenuta che indossa sottolinea come la cultura beat si sia ormai inserita anche nel rigore dell’attrezzatura sportiva. In particolare il profondo scollo a V senza bottoni, accentuato dal colletto svolazzante che rifiuta ogni tentativo di inamidazione, riflette il gioco frizzante che per una stagione mise in ginocchio anche la sempre odiata Juventus, battuta in casa prima della festa scudetto. Il tricolore andrà ad arricchire il viola intenso della maglia rigorosamente tessuta dai mastri fiorentini su cui spicca già un giglio modulare inserito in un rombo perfettamente equilatero, come se fosse stato disegnato da Munari.
Giglio alabarda spaziale, 1981-1982
La stagione 1981-82 fu fondamentale per due motivi. La prima incidentalmente perché la squadra con De Sisti ora in panchina sfiorò il titolo. La seconda, ben più importante fu la scelta di affidare il design della divisa alla misconosciuta J.D. Farrow, forse l’unico sponsor tecnico a non avere neanche una pagina wikipedia, seguendo l’esempio del omonimo Salinger. Quando fu presentata lo sgomento tra i tifosi fu tale che si lanciarono petizioni per far cambiare la maglia, ritenuta un tradimento verso la storia della viola. Invece i Pontello tennero duro ribadendo che “Piaccia o no, la maglia è questa”. In effetti la scelta di stilizzare ulteriormente il giglio fino a trasformarlo in un’alabarda spaziale circoscritta in un cerchio bianco era piuttosto ardita e sembrava più adatta ai paninari piuttosto che ad atleti professionisti. Sulla slanciata figura di Giancarlo Antognoni però sembra perfetta sia per andare a sciare a Cortina, sia per tentare di riportare il tricolore a Firenze. Unica pecca il font dei numeri di gioco, troppo simili a pallini della tombola natalizia per essere presi sul serio.
Socrates in costume, 1984-1985
La stagione di Socrates a Firenze è stata l’unica del giocatore brasiliano nel calcio europeo e fu circondata da molte leggende, come quando disse che era venuto in Italia per leggere Gramsci in originale e studiare la storia del movimento operaio. Che fosse in Erasmus lo si poteva intuire anche dalla maglia di gioco, ora disegnata dalla Ennerre e sponsorizzata dalla Opel con un discutibile inserto orizzontale e da polsini elastici oversize in magenta, colore che non dovrebbe essere presente in una paletta validata dalla Corte di Strasburgo. A infastidire maggiormente l’occhio è però la diversa gradazione di viola tra la maglietta e i pantaloncini. Quelli indossati da Socrates non sembrano neanche far parte della divisa ufficiale, sono dei Tribord di Decathlon che il giocatore brasiliano si è dimenticato di cambiarsi tornando di corsa da Viareggio. Se guardate bene si nota che i laccetti sono ancora bagnati.
Ordine! 1987-1988
Chiusa l’esperienza Opel la maglia della Fiorentina tornò alle origini, un restyling mirato a valorizzare il potere iconico del viola e a marginalizzare il giglio alabardato, costretto in alto a sinistra. La parola chiave della Ennerre è semplicità, il messaggero ha i modi gentili e il talento illuminato di Roberto Baggio. In coppia con Stefano Borgonovo segna gol a raffica e rende indimenticabile anche una tenuta altrimenti un po’ anonima. Scompaiono i colletti a contrasto e gli inserti orizzontali, rimane un mare viola nel quale spunta lo sponsor dell’analcolico biondo che fa impazzire il mondo. Un modo per ingentilire l’istituzionalità ingessata della maglia. Per il resto bastano le giocate della B2 per renderla un doloroso culto per i tifosi viola che a breve resteranno sia senza il Codino, sia senza Il Crodino.
La svastica sul giglio, 1992-1993
La seconda maglia proposta dalla Lotto ha preferito bruciare invece che spegnersi lentamente, riuscendo a divenire in poco tempo un autentico culto underground. Colpa del computer dell’azienda trevigiana che randomizzando il proprio logo ha creato dei curiosi reticolati simboleggianti la croce uncinata nella parte superiore della divisa di gioco. Le volte in cui la Fiorentina è scesa in campo con la maglia da trasferta si sono aperte le porte di un futuro distopico in cui la 7Up è l’unica bevanda concessa dal Quarto Reich, salito al potere quando alcuni dei suoi affiliati hanno scoperto di poter fare la mitraglia col le mani. Il regno del terrore all’aspartame fu interrotto da una lettera di un tifoso indignato all’Unità, scatenando l’effetto domino che portò alla sostituzione con delle anonime maglie bianche.
Dopo che le svastiche scomparirono dalla maglia, la Fiorentina venne inghiottita da un vortice spazio-temporale che la costrinse alla retrocessione per la prima volta negli ultimi cinquant’anni. Coincidenze?
Modernismo fiorentino, 1996-1997
Ci sono molte cose più operazione nostalgia di Anselmo Robbiati con la maglia sponsorizzata dalla Sammontana ma per ora non mi vengono in mente. Disegnata dalla Reebok risente della moda inglese dell’epoca, influenzata dall’esplosione del Brit Pop e dal ritorno del Modernismo. È evidente nel colletto spezzato, stile Fred Perry, che Anselmo indossa con la consueta spavalderia. A cozzare con il tono british la faccetta sorridente del cono di cui viene specificata la provenienza italiana. Subito sopra il nuovo logo del club, il giglio rosso, poi replicato in filigrana al centro della maglia, scelta elegante che sottolinea anche le possibilità grafiche dei nuovi materiali utilizzati. Il barattolino Sammontana è una bomba ancora oggi.
Nintendo, 1999-2000
Se le magliette della Fiorentina sono tra le più collezionabili lo devono soprattutto alla perfetta scelta dello sponsor da stampare sul petto. Perché puoi disegnare la maglia più bella del mondo, ma se il font dello sponsor non funziona l’effetto finale sarà disastroso. La Fiorentina degli anni ‘90 invece infilò uno dopo l’altro una serie di brand perfetti sul viola societario, capaci di ravvivare anche le maglie meno ispirate. Questa della Fila presa singolarmente è forse una delle più brutte in assoluto. Pessima vestibilità, insensata scelta nei dettagli sulla spalla e sulla manica, resi ancora più vistosi dalla versione a maniche lunghe. Anche il viola è spento e poco reattivo. Poi basta inserire il giusto sponsor, il colosso giapponese dei videogiochi, per trasformare un brutto esempio di moda anni ‘90 in un oggetto di culto, come se Rui Costa e Edmundo fossero divenuti cosplay di un Arcade del mare. Anche i giocatori contano, certo, ma non sottovalutate le conseguenze della sponsorizzazione.
Maglia da Serie C, 2002-2003
Nel 2001 la Fiorentina viene dichiarata fallita ed è costretta alla risalita dalla C2 come Florentia Viola, la nuova squadra voluta dai Della Valle. Le maglie dell’Eccellenza non hanno però nulla della carineria dei loro proprietari. Nonostante il felino testimoni la sponsorizzazione Puma sono delle maglie fiche per la Serie C, ma non fiche in assoluto. Sono senza fronzoli, bianche con un bordino viola a ricordare la scomparsa e una grossa banda orizzontale a contenere lo Sponsor, come ai tempi di Antognoni. Il messaggio è chiaro: bisogna evitare di pensare di essere meglio degli altri solo perché l’anno prima si giocava in Serie A e mettersi al livello della concorrenza. I simboli scontornati, la texture poraccia, il colletto sciancrato che lascia intravedere la maglia della salute, tutto studiato per non dare nell’occhio. Immagino la faccia dei Della Valle quando la Puma gli illustrava il basso profilo da adottare e che non sarebbero potuti scendere in campo con le Hogan sbrilluccicanti. Quando gli addetti Puma hanno illustrato il piano ai Della Valle, quest’ultimi trattenevano a stento le lacrime e si allisciavano il ciuffo. Ma ce lo vedevate Riganò con le Hogan?
Classico ma moderno, 2015-2016
Negli anni tutte le scelte estetiche della Fiorentina si sono contraddistinte per un atteggiamento di pigro edonismo, come a riaffermare ad ogni svolta una superiorità più mentale che tangibile. Gli sponsor tecnici sono stati scelti per dimostrare al resto della Serie A fino a che livello di snobberia potessero arrivare, compiendo scelte sempre più ardite. La firma con una marca incidentalmente legata all’attrezzatura calcistica come Le coq sportif poteva rivelarsi l’ennesima provocazione fine a sé stessa, e invece ha prodotto una delle maglie più eleganti degli ultimi anni: un perfetto bilanciamento tra classico e moderno. Riunisce vari elementi usati nelle precedenti maglie dandogli allo stesso tempo un tono dinamico, aggressivo, ritagliato su misura alle esigenze dei giocatori. Semplice girocollo evidenziato da un bordino a contrasto che poi continua lungo i fianchi a spezzare l’intenso viola dominante, giglio sulla spalla a citare l’idea della Reebok per garantire la tradizione. È allo stesso tempo una maglia iconica per i tifosi e un prodotto spendibile su ogni mercato, esempio di come la superbia a volte paghi.