Il 22 Maggio 1996 la Juventus vince la Coppa dei Campioni battendo l’Ajax in finale. Nell’estate successiva cede due degli artefici di quel successo: il capitano Gianluca Vialli e l’autore del gol in finale Fabrizio Ravanelli; più Paulo Sousa, Massimo Carrera e Pietro Vierchowood. Solo due anni prima si era privata di uno dei migliori giocatori al mondo, Roberto Baggio. Quelle cessioni, figlie della necessità di svecchiare la rosa, sono un monito per tutti i tifosi della Juventus dal cuore fragile: non esistono giocatori incedibili.
Un mantra che dominerà i successivi venti anni di mercato e che sarà giustificato dai risultati: tolta la parentesi Calciopoli, la Juventus è riuscita a sopravvivere ai vertici anche grazie a questa oculata politica societaria. Cedendo alcuni dei giocatori migliori nel prime della loro carriera è riuscita a massimizzare le loro vendite, avendo sempre capitale da reinvestire nel mercato. Una politica tanto radicata da aver spinto - nel pieno del calciomercato - Tuttosport, giornale vicino alla Juventus, a pubblicare un articolo dal titolo “Bonucci via, ma le cessioni non hanno mai scalfito la Juventus”.
Ma il tifoso deve necessariamente sposare questa logica? Se una società ha l’obbligo di ragionare sul lungo periodo e tenere d’occhio il bilancio, i tifosi hanno invece il diritto di interpretare il tifo secondo codici soggettivi. Essere irrazionali se vogliono, legarsi al singolo e preferirlo al bene comune, sentirsi abbandonati o impauriti anche se la cessione viene prontamente sostituita. Il rapporto tra tifoso e atleta è univoco, totalizzante, e per questo assolutamente sbilanciato: prende la forma di una relazione morbosa e senza logica.
Proprio per la natura ancestrale di questo legame, per i tifosi alcune cessioni portano in dote un dolore, emotivo ma quasi fisico, difficile da spiegare all’esterno. E nonostante una narrazione della storia juventina univocamente fondata sul successo (o al massimo sulla risalita verso il successo) - e nonostante la Juventus abbia l’immagine di una società che non soffre ma fa soffrire gli altri - gli ultimi vent’anni di mercato sono stati pieni di cessioni incredibilmente dolorose. In alcuni casi si è trattato di dolori postumi, quando giocatori che sembravano promettere sono esplosi altrove, in altri casi – invece – si è trattato di veri e propri drammi: più volte la Juventus ha ceduto il suo giocatore migliore perché è così che va la vita (da quest’anno neanche il Barcellona è più al riparo da questa legge).
Sempre considerando che il tifo è un atto soggettivo, così come l’amore, ho provato ad individuare le cessioni che hanno fatto più male ai tifosi juventini negli ultimi vent’anni.
Paul Pogba - Venduto al Manchester United per 105 milioni + 5 di bonus
La percezione che abbiamo del valore di Pogba è ancora piuttosto vaga, dopotutto non ha ancora 25 anni. Mi sembra il giocatore sul cui giudizio ci sia più scarto tra tifosi juventini e tutti gli altri. Non sono convinto sia chiaro al resto del mondo quanto il francese sia stato decisivo nei suoi quattro anni in bianconero. Il tipo di prestazioni offerte dal primo giorno, da quando il suo sinistro al volo sul lob alzato da Campagnaro l’ha presentato al mondo. Personalmente faccio fatica a ricordarmi una sua brutta partita in maglia bianconera, forse la prima con la numero 10, oppure una partita in cui non ha fatto qualcosa di speciale, qualcosa che poteva fare solo lui.
I nuovi recenti aumenti del mercato dei calciatori, poi, hanno anche diminuito quella piccola sensazione di benessere che si poteva avere pensando ai soldi guadagnati con la sua cessione. Visti oggi i 105 milioni, o quanti sono tolti quelli intascati da Raiola, non fanno più strabuzzare gli occhi e nel lungo periodo bisognerà iniziare a domandarsi se è stata una cessione vantaggiosa per la Juventus, come si ripete da più parti.
Non sta a me tracciare la legacy di Pogba, ma ogni tifoso è consapevole del fatto che forti come lui nella storia della Juventus se ne contano sulla punta delle dita. Pogba è stato un giocatore che non si era mai visto e chissà quando se ne vedrà un altro simile.
Leonardo Bonucci - Venduto al Milan per 42 milioni di euro
Non devo neanche dirlo, la cessione di Leonardo Bonucci al Milan è il motivo per cui mi trovo a scrivere questo articolo. È la più recente, dolorosa in modo particolare, perché scivolosa e ammantata di un mistero che forse i tifosi non saranno mai in grado di cogliere del tutto. Perché non passerà presto, a causa dell’inclinazione di Bonucci a non avere filtri, a non perdere mai occasione per dire qualcosa che avrebbe potuto evitarsi.
La cessione di Leonardo Bonucci, maturata in un paio di giorni, per una cifra tutto sommato non da strapparsi i capelli, con lo stipendio più alto della Serie A e una fascia da capitano che non è la fascia da capitano della Juventus è l’equivalente di una coltellata nella schiena. Tutto grida, stride, non è spiegabile senza appellarsi a dietrologie e guerre di potere interne alla squadra. Leonardo Bonucci nella mente dei tifosi doveva essere il futuro capitano, l’uomo col compito di tramandare l’attuale corso, la granitica impermeabilità della BBC, lo spirito acquisito dall’arrivo di Conte di cui Bonucci era il fiore all’occhiello, questa idea rinnovata – e più forte che mai - per cui vincere è l’unica cosa che conta, ma per davvero.
Vista oggi questa cessione, alla luce delle cattive prestazioni inanellate da Bonucci con la maglia del Milan, potrebbe sembrare dopotutto una cessione giusta. Ma volendo superare l’antipatia di riflesso per il difensore, proprio il fatto che abbia fortemente voluto questo “salto nel vuoto”, che abbia deciso di lasciare una situazione accogliente e sicura per una tutta in divenire e per nulla rassicurante, evidenzia bene il motivo per cui Bonucci è in questa classifica. I tifosi della Juventus possono anche mettersi davanti alla televisione come gufi ogni volta in cui il difensore scende in campo con la maglia del Milan, sperando in prestazioni sempre più disastrose, ma questo non cambierà la sostanza di Bonucci, quel grado di guasconeria che lo ha reso un idolo agli occhi dei tifosi.
Bonucci doveva rimanere alla Juventus, anche se con Allegri si odiavano, anche se nello spogliatoio di Cardiff ha menato qualcuno, anche se «si sentiva importante solo a fasi alterne». Bonucci doveva rimanere alla Juventus perché era bello da veder giocare e le sue capacità difficilmente sostituibili. Invece è diventato il leader di una squadra che ha il preciso obiettivo di prendere il posto della Juventus.
Il dolore più grande di questa cessione per i tifosi è che Bonucci li costringe a chiedersi se il ciclo sia finito, se devono aspettarsi la carestia dopo anni di raccolti abbondanti. Una domanda che i tifosi non vogliono ancora farsi.
Zlatan Ibrahimovic - Venduto all'Inter per 24,8 milioni di euro
È difficile provare dolore per un giocatore che ha dimostrato di non avere interesse per le sovrastrutture del tifo, della maglia. Eppure la cessione di Zlatan Ibrahimovic è una ferita ancora aperta. Perché figlia di una costrizione, di una colpa che non era dei tifosi, ma che si sono accollati i tifosi. Di tutta la storia di Calciopoli, Ibrahimovic è la perdita più grande. Perché – come ampiamente dimostrato dai fatti – la Juventus aveva in squadra uno dei giocatori più unici al mondo, ha passato due stagioni ad insegnargli come si diventa un fenomeno (più volte Ibra ha ringraziato il lavoro di Capello a Torino) e poi lo ha perso così, cedendolo per un prezzo irrisorio ad una rivale che grazie a lui ha vinto tanto.
Nella sua autobiografia Zlatan racconta quei momenti difficili prima della cessione, il caos societario e l’incertezza tra i giocatori. Racconta un episodio in particolare, il suo rifiuto di lasciare il ritiro per un’amichevole con lo Spezia, con Deschamps che va ad implorarlo in camera e lui che non si schioda di un millimetro continuando a giocare alla Playstation. Ibrahimovic non ha mai fatto nulla per farsi amare, anzi, visto oggi il suo comportamento nei confronti della Juventus non è stato il massimo, così come non sarà il massimo in altre situazioni, verso altre squadre. Eppure non gli è bastato per non farsi rimpiangere.
Dalle sue parole risulta anche chiaro che lo svedese ha scelto di lasciare la Juventus nell’esatto momento in cui questa è stata mandata in serie B. Non c’erano altri problemi, o desideri che non potessero essere accontentati. A differenza degli altri nomi presenti in questa lista, possiamo sforzarci di immaginare un mondo ipotetico in cui Ibrahimovic è ancora alla Juventus e sarebbe considerato una bandiera. La sua intera carriera avrebbe preso una piega diversa, l’aggettivo mercenario non rientrerebbe in quelli usati per descriverlo. Forse non sarebbe diventato così dominante, non avrebbe avuto questo impulso così forte a migliorarsi per ogni nuova sfida. Oppure – più probabilmente - avrebbe cambiato idea poco tempo dopo e tirato fuori uno dei suoi famosi mal di pancia pur di cambiare aria. Fino a prova contraria non possiamo saperlo: se la Juventus non fosse stata costretta a cedere Ibrahimovic, che tipo di futuro avrebbe costruito per i tifosi? Sarebbe stato il più forte giocatore ad aver vestito la maglia della Juventus? Sono tutte domande senza risposta, ed è per questo che fa così male averlo perso come una fidanzata capricciosa in una vuota giornata d’Agosto.
Zinedine Zidane - Venduto al Real Madrid per 150 miliardi di lire
Sono sull’autobus, fa molto caldo – dopotutto è già luglio - quando mi arriva un SMS. C’è scritto che la Juventus ha ceduto Zinedine Zidane al Real Madrid per 150 miliardi di lire. Me l’ha scritto un amico nel modo più asettico possibile, come se avesse scelto ogni parola per non farmi troppo male. A ripensarci oggi quello è il momento più doloroso della mia vita da tifoso, più delle finali di Champions perse, più di Perugia, più di Wiltord al novantesimo e Trezeguet nei supplementari. Zinedine Zidane è stato e sempre sarà il mio giocatore preferito. Il preferito di una grande parte dei tifosi juventini che l’hanno potuto apprezzare, immagino.
Zizou ha piegato ogni logica, anche quelle ferree che da sempre muovono la Juventus. Nei suoi anni a Torino non si è vinto così tanto (in relazione alle vittorie successive) e con i soldi della sua cessione è stato possibile l’acquisto di calciatori importanti che hanno regalato anni di soddisfazioni ai tifosi (Buffon resiste ancora saldo al comando). Ma importa? Con Zidane ogni vittoria era più bella, ogni sconfitta meno dura. Non importa neanche che fosse “più divertente che utile” come gli rinfacciò l’Avvocato dopo la cessione. A Zidane i tifosi erano disposti a perdonare tutto, proprio perché l’emotività di alcuni tifosi è più incline all’arte che al pragmatismo. Anni dopo Moggi rivelò che - praticamente – Zidane si vendette da solo, decidendo di voler andare al Real Madrid, e che loro furono solo bravi a ricavare quanto più sangue da una rapa incredibilmente dotata. Ma io continuo a pensare che non sarebbe dovuto importare neanche quello, il calcio non dovrebbe essere democrazia.
Tutti quelli in questa classifica vengono molto dopo Zidane, infinitamente dopo. Forse sono io, più probabilmente era lui, però per tenermi lui avrei rinunciato a molto, forse a tutto quello che è venuto dopo.
Bonus: Paulo Dybala – Venduto a xxx per xxx
Mutuando una frase che nel mondo del calcio è piuttosto ricorrente, possiamo dire che la cessione più dolorosa per i tifosi juventini è quella che deve ancora arrivare. Ed inevitabilmente quello spazio sarà occupato da Paulo Dybala. Il giocatore argentino è già entrato prepotentemente nell’immaginario collettivo dei tifosi juventini, pur non avendo ancora del tutto espresso il suo potenziale. Eppure è già lecito domandarsi ancora per quanto questo possa essere tenuto al servizio dei tifosi bianconeri.
Le recenti prestazioni, che sembrano segnare un ulteriore passo in avanti, sono per i tifosi al tempo stesso la più grande gioia e la più grande paura. La più grande paura perché arriverà il momento, se non è già arrivato, in cui dovranno iniziare a chiedersi se la Juventus è abbastanza per Paulo Dybala. È questo il più grande dilemma dei tifosi, a mio avviso, una certa perplessità su quale sia la posizione della Juventus sullo scacchiere globale del calcio mondiale. Se da un punto di vista del campo le ultime stagioni hanno raccontato di una squadra costantemente presente ai massimi livelli, lo stesso non si può dire quando si parla di appeal internazionale. Senza voler entrare nel merito dei discorsi economici, può la Juventus trattenere Dybala dalle eventuali sirene del Real Madrid, del Barcellona, ma anche da quelle del PSG o da una delle corazzate inglesi (qualora dimostrasse di meritarsi queste attenzioni)?
Quando i ritocchi dell’ingaggio smetteranno di essere sufficienti (per non parlare di quando non sarà più possibile ritoccarlo)? C’è nella nuova società bianconera una mancanza di glamour, difficilmente spiegabile, come di un contadino arricchito che si siede alla tavola dei nobili. La firma di Dani Alves poteva sembrare un primo passo in avanti per colmare questa lacuna. La burrascosa rottura del contratto di quest’estate, invece, è la dimostrazione che la società questo ultimo step non riesce (o non vuole) farlo. Lo stesso brasiliano ha identificato la questione proprio nei giorni della sua rescissione, invitando Dybala a lasciare la Juventus per migliorare - e se le sue possono essere parole di un uomo rancoroso nel modo, è difficile contestare il contenuto.
Arriverà il momento in cui trattenere questi giocatori sarà più importante che massimizzare la loro vendita (quest’estate è successo con Alex Sandro). Il momento in cui la società dovrà domandarsi perché Dybala deve lasciare la Juventus per migliorare, perché Pogba ha voluto a tutti i costi Manchester e perché Bonucci ha preferito un salto nel vuoto. La risposta non è certo una, e non necessariamente deve essere ridotta ad un mero aspetto economico. Intanto i tifosi soffrono, ma dopotutto per ogni Dybala che sembra sfuggire c’è un Bentancur pronto a farsi carico del loro amore.