Siamo arrivati in quel periodo dell’anno in cui il pallone pesa di più, in cui il valore di ogni singolo possesso, ogni azione, ogni giocata aumenta esponenzialmente mano a mano che il cronometro scorre inesorabile verso la fine.
È per momenti come questi che vale la pena vivere, sportivamente parlando: le grandi prestazioni dei giocatori sono destinate a rimanere impresse nelle mente dei tifosi, le loro giocate inondano le timeline dei nostri smartphone, nascono nuovi eroi che la partita successiva tornano nel più completo anonimato.
È quel momento in cui ogni singolo dettaglio viene studiato con meticolosa attenzione, in cui le decisioni da prendere diventano una più decisiva dell’altra, e quello che ne consegue si pianta per giorni, mesi, addirittura anni nelle teste dei giocatori, degli allenatori, dei dirigenti, dei tifosi: l’aggiustamento portato in un determinato frangente, il gioco chiamato per rubare un canestro, l’accoppiamento difensivo, la strategia messa in campo per togliere agli avversari i propri punti di forza svolgono un ruolo fondamentale per decretare i successi e i destini di una squadra.
Le Finali di Conference appena terminate sono state una miniera di spunti di riflessione da un punto di vista tattico: abbiamo deciso di raccontarvele estrapolando da ogni partita l’aspetto tattico che l’ha decisa, cercando anche degli spunti in vita delle Finals che cominceranno nella notte tra giovedì e venerdì.
Golden State Warriors vs Portland Trail Blazers 4-0
La “cenerentola” di questa edizione dei playoff non ha fatto nemmeno in tempo a festeggiare le prime Finali di Conference raggiunte dal 2000 che si è svegliata molto presto dal sogno ed è tornata alla dura realtà dei fatti. Quando la posta in gioco si alza e l’aria diventa rarefatta, i Golden State Warriors hanno una marcia in più che non è alla portata dei Portland Trail Blazers.
Al di là dell’impietoso 4-0 con cui gli Warriors hanno mortificato gli avversari, è stato sconvolgente il controllo della serie da parte dei campioni in carica, in grado di compiere rimonte da -17 per tre partite in fila in una manciata di minuti, alzando il volume in difesa e accendendosi con sfuriate realizzative nate nel giro di pochi possessi. Il tutto senza poter contare dei servigi di Kevin Durant e facendo a meno per una partita e mezzo di Andre Iguodala.
Nel corso della serie i Golden State Warriors sono riusciti a imbrigliare Damian Lillard e C.J. McCollum con difese studiate ad hoc per poi allungare il raggio d’azione anche ai comprimari, tanto che Stotts in corso d’opera ha dovuto rimettere completamente mano alle rotazioni, trovando in Meyers Leonard e Seth Curry gli unici giocatori affidabili del supporting cast.
Viceversa Kerr è stato intelligente nel coinvolgere e valorizzare ogni giocatore del roster, da Kevon Looney a Quinn Cook passando per Jordan Bell e Jonas Jerebko, che hanno risposto presente dando ulteriori opzioni in vista delle finali contro i Raptors, ampliando il ventaglio di opzioni a disposizione degli Warriors.
Gara-1
Dopo aver battuto Thunder e Nuggets usando l’approccio difensivo che ha permesso ai Blazers di arrivare in prossimità della vetta della Western Conference, coach Stotts e il suo staff si sono trovati a fare una scelta: continuare a fare “drop” sui pick and roll, ovvero facendo arretrare il difensore del bloccante a protezione del canestro, oppure fare “show”, quindi raddoppiare Curry e costringerlo a dare via il pallone come fanno quasi tutte le altre squadre NBA?
In gara-1 ha optato per la prima strategia, con Enes Kanter - un fattore nelle prime due serie di playoff - ad aspettare in vernice, lasciando il difensore sulla palla a lottare sui blocchi mentre cercava di restare a contatto di Curry e oscurarne il tiro da tre. L’obiettivo era ridurre al minimo le rotazioni difensive - che ai Rockets sono costate la serie - e permettere ai Blazers di restare “a casa” con i tiratori.
Quando i Blazers si sono attenuti al piano, Curry e l’attacco degli Warriors hanno sofferto il “drop”; ma nel momento in cui l’esecuzione difensiva è venuta meno per gli aggiustamenti offensivi - pick and roll più alti, angoli di blocco differenti, disposizione diversa dei giocatori non coinvolti nel gioco a due - “droppare” ha avuto un effetto boomerang sulla difesa Blazers.
Per osare questo tipo di difesa contro i campioni in carica è necessario eseguire alla perfezione, perchè basta un errore per essere puniti severamente.
Gara-2
Raddoppiare Lillard e McCollum sui pick and roll è prassi piuttosto comune per costringerli a dare via la palla ed evitare che abbiano luce per tirare o penetrare quando "girano l'angolo" dopo il blocco.
Gli Warriors hanno però svolto il compitino per tutto il primo tempo e i Blazers ne hanno approfittato per portarsi a +17 sul finale di primo tempo. Poi però nel giro di quattro minuti nel terzo quarto i padroni di casa hanno cambiato passo: non appena gli Warriors hanno stretto le maglie gli avversari sono andati in panne, tramortiti dell'intensità dei campioni in carica che hanno piazzato un parziale micidiale di 17-2.
In quel lasso di tempo i Warriors non solo ci hanno messo più voglia, ma hanno difeso con grande disciplina e precisione, con la compartecipazione dell'attacco Blazers troppo lento nello spaziarsi correttamente e leggere i sovrannumeri (non è un caso che Aminu e Harkless, fondamentali contro Thunder e Nuggets, abbiano progressivamente perso minuti, sparendo completamente dalle rotazioni nei secondi tempi di gara-3 e gara-4). Una situazione tattica i Toronto Raptors dovranno leggere bene per avere una chance nelle Finals, visto che spesso Kawhi Leonard verrà raddoppiato per fargli cedere il pallone.
Maggiore pressione sulla palla, passaggi di uscita dal raddoppio anticipati, pochi vantaggi concessi 3 contro 2 contro la seconda linea difensiva, rotazioni tempestive: in quei 4 minuti sull’attacco dei Blazers si è abbattuto un uragano.
Gara-3
Nel parziale di 31-13 del terzo quarto c'è tutta la scienza difensiva degli Warriors, sotto anche di 18 a inizio ripresa. La chiave è stata nuovamente costringere il cast dei Blazers a fare le giocate decisive togliendo la palla dalle mani di McCollum e Lillard.
I Blazers, dopo averci sbattuto la testa in gara-2, erano pronti con le contromosse, ma gli Warriors sono andati oltre, aumentando la pressione difensiva e mangiando continuamente spazio all’attacco tanto che i padroni di casa sono stati costretti a tirar fuori le castagne dal fuoco spesso allo scadere dei 24 secondi senza aver ottenuto nessun tipo di vantaggio sulla difesa. Dopo un primo tempo da 66 punti con quasi il 50% al tiro, nella ripresa i Blazers hanno segnato solo 33 punti con il 30% dal campo.
L’obiettivo degli Warriors era negare la ricezione a Lillard e McCollum il più possibile e poi con Draymond Green intercettare tutti gli “short roll”, i tagli, le penetrazioni che scavalcavano la prima linea. Missione compiuta. Per Green nel terzo periodo 6 punti, 6 rimbalzi, 6 assist e 2 recuperi con un +72 di Net Rating: insormontabile.
Gara-4
Da quando Durant si è infortunato al polpaccio in Gara-5 delle Semifinali di Conference contro gli Houston Rockets, la vecchia guardia composta da Curry, Green e Thompson è salita di livello, o per meglio dire è tornata a giocare la “loro” pallacanestro, meno statica e molto più dinamica, professata sull’incessante movimento di uomini e palla che ha permesso agli Warriors di rivoluzionare il gioco negli anni passati.
Curry e Thompson quando giocano senza palla non si fermano mai, e sono capaci di disegnare traiettorie di taglio non prestabilite, leggendo la difesa e gli spazi da attaccare. È il concetto cardine dello stile di gioco "Read & React" che permette di non dare punti di riferimento alle difese affinché il gioco si sviluppi in modo impronosticabile e difficilmente intercettabile dalle difese.
È in questo contesto che sale in cattedra Draymond Green: quando Curry e Thompson corrono sui blocchi, Green diventa il playmaker di fatto dei Warriors. La sua capacità di leggere il gioco una frazione di secondo in anticipo rende gli Warriors un'arma di distruzione di massa.
Non è un caso che i Warriors, Durant o non Durant, abbiano centrato la 5° finale NBA consecutiva, un’impresa che nella storia è riuscita solamente ai Boston Celtics di Bill Russell negli anni ‘60 e a LeBron James - però con due squadre diverse - fino allo scorso anno. La storia si sta compiendo davanti ai nostri occhi.
Milwaukee Bucks vs Toronto Raptors 2-4
Dopo il 2-0 dei Bucks maturato con prove di forza perentorie in gara-1 e gara-2, la serie sembrava finita e in pochi avrebbero scommesso su una rimonta dei Raptors - e quasi nessuno avrebbe pensato che sarebbero stati in grado di vincere quattro volte in fila. Dopo le prime due partite i canadesi sembravano svuotati, sull’orlo dello psicodramma che negli anni scorsi aveva accompagnato i tifosi canadesi in primavera.
Invece i Raptors nel momento di maggior difficoltà hanno saputo rialzarsi, hanno sofferto le pene dell’inferno in una gara-3 che per due volte rischiava di scivolare loro di mano, e da lì in poi sono cresciuti in modo esponenziale, facendo uscire delle proprie “comfort zone” i Bucks e mettendo a nudo i limiti odierni di Giannis Antetokounmpo.
Coach Nick Nurse, dopo aver visto i suoi rincorrere inutilmente gli avversari nelle prime due partite, anziché entrare nel panico ha fatto lavorare i suoi per “addormentare” il ritmo da gara-3 in poi, costringendo i Bucks a camminare.
- Gara 1 - Pace 101.50
- Gara 2 - Pace 102.50
- Gara 3 - Pace 99.31
- Gara 4 - Pace 96
- Gara 5 - Pace 95
- Gara 6 - Pace 87
Per i Raptors agire sul pace ha significato prendere il controllo della serie e ha fatto diventare i Bucks una brutta copia della squadra in grado di dominare la regular season. I Raptors hanno così potuto mettere il lucchetto al pitturato e al tempo stesso controllare il perimetro, mentre il gioco dei Bucks diventava estremamente monocorde e prevedibile. Il controllo del ritmo e la gestione dei momenti della partita sarà inevitabilmente una delle chiavi della serie di finale.
Gara-1
Dopo una partenza lanciata dei Raptors, i Bucks si sono ricompattati attorno a Giannis e all’eroe di turno Brook Lopez trovando ritmo e fiducia nel loro sistema di gioco “5 fuori”.
La “positionless 5 out motion offense” dei Bucks è pallacanestro moderna e universale, quasi futuristica, in cui tutti e cinque i giocatori possono maneggiare il pallone, partire in palleggio, tirare, occupare ogni posizione senza nessun tipo di vincolo: ad esempio è possibile vedere lunghi correre negli angoli come esterni, esterni che arrivano a rimorchio come lunghi.
L’importante non è rispettare i ruoli (che in questo attacco si invertono, si mischiano, spariscono del tutto) ma occupare gli spazi giusti in campo nel minor tempo possibile per iniziare a muoversi e muovere il pallone. Questo consente ai Bucks di tenere costantemente sotto attacco la difesa, da quando recuperano il pallone fino a quando non si prendono il tiro senza darle mai modo di “resettare”. Meno l’attacco ferma la palla, più la difesa è costretta a rincorrere e a scoprire un fianco. Quel fianco si materializza spesso sotto forma di un recupero difensivo in leggero svantaggio sulla palla da attaccare con ogni mezzo a disposizione - in particolar modo dal palleggio - per creare linee di penetrazioni pulite e, in caso di aiuti e rotazioni, tiri aperti.
Nella motion offense dei Bucks c’è un solo movimento prestabilito, ovverosia la prima collaborazione che prevede un ribaltamento della palla. Poi il gioco segue il flusso, entrando in situazioni a volte codificate altre volte no: c’è spazio per stagger, per consegnati, per pick and roll centrali o laterali, tagli backdoor, blocchi di contenimento ecc…
Gara-2
Nella seconda partita tra le mura amiche del Fiserv Forum i Bucks hanno eretto un fortino nella propria area colorata che i Raptors non sono quasi mai riusciti ad espugnare.
I Bucks non si sono limitati a sfidare al tiro i Raptors, ma hanno basato la propria strategia sui concetti della "Pack Line", un sistema difensivo di matrice collegiale inventato da Dick Bennett, padre del coach di Virginia University - e fresco campione NCAA - Tony Bennett che a sua volta ha fatto suoi i precetti del padre per i Cavaliers.
I Bucks hanno eseguito la loro versione della "Pack Line" con una precisione e un'esecuzione magistrale nel primo tempo di gara-2, imbrigliando sia Leonard che Lowry e costringendo i vari Siakam, Ibaka e Gasol a farsi carico delle giocate risolutive, che ovviamente non sono andate a buon fine.
I canadesi alla fine hanno chiuso con 13/34 nel tiro dalla media distanza, proprio dove la forza della “Pack Line” è più accentuata.
In linea di massima si tratta di disporre i quattro difensori lontani dalla palla entro un perimetro di 5 metri dal canestro in una posizione tale che possano recuperare sull’uomo (closeout) in caso di passaggio o andare in aiuto in caso di penetrazione a canestro. L’unico giocatore che può uscire dalla pack line è il difensore sulla palla che deve pressare, contestare ogni minaccia di tiro e indirizzare l’attaccante in palleggio verso gli aiuti.
Gara-3
I Raptors sono riusciti a mettere il primo granello di sabbia nell’ingranaggio dei Bucks limitando Giannis a un misero 5/16 al tiro - di cui 5/12 al ferro da dove in stagione ha tirato quasi il 70% - e 8 palle perse.
Per difendere contro Antetokounmpo esiste un protocollo specifico, delle “Giannis Rules” se così vogliamo chiamarle, ovverosia un vademecum delle cose da fare per evitare che arrivi in area e porti morte e distruzione lungo la strada. In primis bisogna sfidarlo al tiro (in gara-3 0/3 da tre e 0/1 nei long two); se va in post per sfruttare un mismatch, bisogna far scattare raddoppi sistematici che lo costringano a disfarsi del pallone; quando parte fronte a canestro e punta l’area, è necessario che il suo difensore diretto sia in grado di contrastarlo per almeno un paio di palleggi, con ogni mezzo necessario. Fatto tutto questo, che già sarebbe un ottimo risultato difensivo contro ogni giocatore al mondo, si è a metà dell'opera perché poi occorre circondarlo con difensori extra per costringerlo a scaricare la palla.
Proteggere il canestro e chiudere l’area a Antetokounmpo è la priorità per i Raptors e, specialmente in casa, non è un problema se la palla gli esce dalle mani con i tempi giusti per armare la mano dei compagni, lasciare il tiro da fuori ai Bucks (14/44 totale, 3/19 del terzetto Mirotic/Middleton/Bledsoe) è un rischio che possono correre.
Gara-4
Per la prima dall’inizio dei playoff il supporting cast di Toronto ha battuto un colpo riuscendo a salire di livello e non vivere di sola luce riflessa di uno stremato e infortunato Leonard.
Bravi i Raptors a trovare dai Powell, Gasol, Ibaka e Van Vleet i canestri pesanti per strappare con le unghie e con i denti una vittoria che rischiava di essere compromessa nel finale. Per loro alla fine 10/24 da tre punti contro il 4/18 dei gregari di Antetokounmpo, con il terzetto in uscita dalla panchina composto da VanVleet, Ibaka, Powell capace di produrre un Net Rating di +57 in 18 minuti. Prima di quella partita erano -2.5 in 155 minuti in campo insieme ai playoff: l’apporto delle panchine sarà una delle chiavi anche delle Finals.
I Raptors sono riusciti a sbloccarsi in attacco usando il pick and roll come grimaldello per scassinare la “Pack Line” dei cerbiatti, e prendere così quel vantaggio necessario ed entrare nel loro classico gioco fatto di penetra e scarica al fine di incrementare costantemente il vantaggio preso.
I canestri che hanno fatto veramente male alla difesa dei Bucks non sono stati le schiacciate di Ibaka e Leonard o le bombe in stepback di Lowry, ma i canestri subiti a rincorrere l’uomo libero sul perimetro che a suon di penetrazione ed extra pass ha costantemente generato situazioni di sovrannumero. E non è un caso che, attaccando con lucidità e precisione, le percentuali al tiro siano salite per i Raptors.
Gara-5
Per la terza volta consecutiva i Raptors sono riusciti a controllare il ritmo della partita, con attacchi pazienti portati spesso allo scadere dei 24 secondi e transizioni difensive ordinate capaci di togliere ai Bucks i vantaggi prodotti dal gioco in velocità, di vitale importanza per dipanare il gioco, muovere la difesa e attaccare il ferro.
I Bucks hanno avuto poche occasioni di poter correre come piace a loro - anche perchè Toronto ha trattato molto bene il pallone con sole sei palle perse, che è sempre il primo passo di una buona transizione difensiva - e giocando sistematicamente a difesa schierata hanno compromesso la propria fluidità offensiva cercando di sfondare a testa bassa la prima linea difensiva dei Raptors.
I Raptors viceversa hanno giocato un'altra partita di grande sacrificio difensivo ed acume tattico, non solo su Antetokounmpo - perennemente accerchiato non appena metteva piede in vernice - ma su chiunque provasse a entrare dentro “il castello”: i Raptors hanno chiuso l’area colorata con una sorta di zona 3-2 cucita addosso alla strutturazione “5 fuori” dei Bucks. Una soluzione tattica che però è difficile riprodurre in finale, se non adattandola molto alla presenza contemporanea di Curry e Thompson.
Quando i Raptors hanno concesso ripartenze veloci, i Bucks hanno banchettato in campo aperto. Ma facendo equilibrio difensivo per intasare l’area in transizione, i Raptors hanno spuntato l’attacco dei Bucks che non è riuscito a trovare quella fluidità che li contraddistingue e permette loro di procurarsi vantaggi già nei primi secondi dell’azione. In molte di queste clip i Bucks hanno faticato non solo a trovare un buon tiro, ma addirittura a mettere il naso in vernice, circumnavigando il perimetro alla ricerca di un buco nella simil 3-2 dei canadesi.
Gara-6
Quando la partita diventa una lunga e inesorabile guerra di trincea per riuscire a trovare spazio per un tiro, avere un giocatore come Kawhi Leonard in grado di portarsi dietro la difesa per armare la mano dei compagni o creare a giochi rotti con un palleggio-arresto-tiro dalla media distanza (beneficiando proprio dello spazio prodotto dalle prestazioni balistiche dei compagni) fa tutta la differenza del mondo.
Ma non è lì che i Raptors hanno staccato il pass per le prime Finali NBA della storia. Dopo la rimonta iniziata nel terzo periodo - 26-3 di parziale in 7 minuti e spiccioli tra la fine della terza frazione e l’inizio dell’ultimo periodo - i Raptors hanno estratto il coniglio del cilindro: nel momento più importante della partita, della stagione e della storia della franchigia canadese, anzichè mettere il destino del Nord sulle spalle di Iso-Leonard, i Raptors si sono affidati al collettivo e alla propria esecuzione offensiva, giocando per la prima volta nella serie lo Spain Screen, ovvero il blocco cieco al bloccante del pick and roll.
E non è un caso che sulla panchina dei Raptors sieda il nostro connazionale Sergio Scariolo, colui che ha sdoganato al grande pubblico questa situazione tattica con la nazionale spagnola agli europei del 2015.
Nei cinque possessi in cui hanno giocato lo Spain Screen nel quarto periodo sono arrivati 12 punti di sistema e ad alta percentuale: un canestro da sotto di VanVleet, una tripla dall’angolo non contestata di Powell, un runner di Siakam nel cuore dell’area, altra tripla aperta dall’angolo stavolta di Leonard, e infine un canestro da sotto su rimbalzo offensivo a seguito di una penetrazione fino al ferro. Tutto questo mentre i Milwaukee Bucks facevano fatica a costruire un tiro decente dell’altra parte.
I Raptors sono il manifesto di come i playoff siano un’estenuante lotta di sopravvivenza in cui la forza mentale e l’esperienza sono doti imprescindibili di una squadra che vuol fare strada.
Il cammino dei Raptors in questa post season è stato commovente per come sono riusciti a portare i Sixers a gara-7 e batterli con quel tiro di Leonard allo scadere e poi non farsi schiacciare dalla pressione, spalle al muro, contro i Bucks.
Le prime Finali NBA senza LeBron James dal 2010 rischiavano di essere noiose e scontate ma con tutto quello che Warriors e Raptors sono riusciti a dimostrare nel corso dei playoff, noi sinceramente non vediamo l’ora di vedere cosa bolle in pentola.