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Le delusioni della Serie A
12 feb 2015
Per motivi diversi, Parma, Atalanta e Verona non stanno ripetendo il rendimento della scorsa stagione. Cosa è cambiato e quali sono le loro possibilità di riprendersi?
(articolo)
17 min
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Parma

di Emiliano Battazzi (@e_batta)

Deve essere stato un sogno per Ermir Kodra: da giovane dirigente di una compagnia di raffinazione albanese, a presidente di una storica squadra della Serie A, il Parma, ufficialmente dal 21 gennaio 2015. Deve essere un incubo per i tifosi del Parma FC, già Parma AC (eh sì, quello magico di Scala e Minotti non esiste più dal 2004): dall’Europa League raggiunta sul campo il 18 maggio 2014, scavalcando il Torino all’ultimo momento grazie al rigore sbagliato da Cerci a Firenze, allo spettro del fallimento.

Da mesi (pare siano 7), infatti, il Parma non paga gli stipendi ai calciatori: una mazzata su un gruppo che forse aveva già raggiunto l’apice, e non poteva che iniziare a scendere. Non così in fretta, però: e probabilmente più che una questione di soldi, è una questione di obiettivi raggiunti e poi sfumati per ragioni che nulla hanno a che fare con il campo.

L’inizio della fine è stato aver raggiunto l’Europa League: la mancata concessione della licenza UEFA ha inclinato il piano su cui la pallina parmense ha iniziato a rotolare senza riuscire a fermarsi.

I giocatori aspetteranno fino al 16 febbraio per decidere cosa fare: qualora non dovessero ricevere gli stipendi, chiederanno la messa in mora. Nel frattempo, Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, ha evidenziato i pericoli di una situazione del genere: anche quello del calcioscommesse.

Una piccola fuga c’è già stata: prima Cassano ha ottenuto la rescissione contrattuale, poi anche Felipe, e sono stati ceduti Paletta, De Ceglie e Acquah, con la chicca di Pozzi in prestito con diritto di riscatto a mille euro. A sorpresa ci sono stati anche degli arrivi: Varela, ala della Nazionale portoghese in prestito dal Porto, e Cebolla Rodriguez in prestito dall’Atlético Madrid. Gli sventurati non sapevano assolutamente nulla della situazione, come testimoniato dalle parole dell’uruguaiano.

Tra trattative annunciate in puro stile Longobarda, tipo quella di Balotelli, guarda caso sfumata nel nulla, e risanamenti promessi, è sparita anche la nuova proprietà. La holding russo-cipriota (la Dastraso, nome terribilmente sinistro, quasi anagrammatico di disastro) che aveva acquistato il Parma da Ghirardi era guidata da tale Pietro Doca, proprietario di un negozio di orologi e gioielli a Piacenza. In realtà, tutta l’operazione faceva riferimento all’albanese Taçi, petroliere, il proprietario della compagnia di raffinazione per cui lavora il ragazzo di 29 anni che era presidente fino a pochi giorni fa. Il Parma è stato venduto al prezzo simbolico di un euro dopo poco più di un mese ad un’altra società, di diritto sloveno e con soci italiani, sloveni ed esteri. Sembra roba da spy fiction, oppure una barzelletta, ma qui non ride nessuno, soprattutto i tifosi e chi lavora per il club. Adesso il presidente è tal Giampietro Manenti, che ha già promesso di provvedere ai pagamenti e di risolvere tutto: in bocca al lupo, soprattutto ai tifosi del Parma.

Sarebbe ingiusto prendersela solo con i nuovi acquirenti, appena andati via. La gestione precedente si basava su una movimentazione dei calciatori che rasentava la follia, o che era forse un tentativo di imitazione della Factory di Warhol: nell’estate del 2013 il Parma aveva 230 giocatori sotto contratto, diventati poi 130 ad inizio di questa stagione.

Giunti a questo punto, considerato che persino i revisori contabili non riescono ad esprimere un giudizio, non ha più importanza capire di chi siano le colpe, ma valutare se in campo la squadra di Donadoni abbia ancora qualche speranza di salvarsi. È giusto dire che i gialloblù sono la più grande delusione di questo campionato, ma non si può nascondere che le difficoltà sono immense: non può essere colpa di Roberto Donadoni. Un uomo insultato da Cassano, che l’ha accostato ad un personaggio del film “L’allenatore nel pallone”: ma se c’è uno che ci sta mettendo tutta la dignità necessaria, in questo brutto film, è solo lui, l’allenatore introverso.

Il Parma di Donadoni era arrivato sesto in campionato nella passata stagione anche grazie al cambio di modulo deciso dall’allenatore: dal 3-5-2 al 4-3-3, decisione che portò ben 17 risultati utili consecutivi. Un gioco offensivo che ruotava intorno a Cassano falso nove: quando lui si abbassava, Parolo attaccava lo spazio. Le ali d’attacco, spesso Schelotto e Biabiany, si muovevano verso l’interno del campo per lasciare spazio ai terzini Cassani e Molinaro, a centrocampo c’era la coppia Marchionni-Gargano e la difesa formata da Paletta e Lucarelli sembrava insuperabile. L’Europa League era arrivata con merito.

Già a leggere i nomi, si capisce che di quella squadra è rimasto ben poco, e i perfetti meccanismi di gioco non potevano non risentirne. Anche quest’anno la squadra ha iniziato con il 4-3-3, ma non aveva grande equilibrio. Questo rimane tuttora il vero grande problema: il Parma crea poco e lo fa con scarsa efficacia (solo 2.5 tiri in porta a partita, la media più bassa in Serie A); subisce tanto, e soprattutto in zone pericolose (con il 60% dei tiri subiti nella propria area di rigore, è record negativo del campionato). Per dare maggiore solidità alla squadra, Donadoni ha provato anche con il 3-5-2: né José Mauri né Acquah erano bravi ad attaccare la profondità, e il movimento di Cassano a svuotare l’area andava perso nel nulla, quindi meglio inserire una seconda punta mobile come Palladino. I risultati non sono cambiati, e dopo l’ennesimo vortice del mercato invernale, il nuovo Parma sembra essere ritornato al 4-3-3, con Palladino nel ruolo di Cassano, affiancato da due esterni mobili come Rodriguez e Varela. Il portoghese ha effettuato ben 9 dribbling nella partita persa in casa contro il Cesena, un record in Serie A: almeno il Parma sa a chi affidarsi per creare superiorità numerica. A centrocampo Lodi dovrebbe essere aiutato dal nuovo arrivato Nocerino e da Mauri, mentre in difesa uno tra Coda e Santacroce è destinato a sostituire Paletta. Nella partita contro il Milan si è visto qualche movimento degno di nota: a volte il Parma è sembrato sistemarsi con il 4-2-3-1, con Nocerino a svolgere il ruolo di incursore per attaccare lo spazio dietro Palladino e disturbare l’inizio azione avversario. Il movimento ha funzionato in più di un’occasione, cogliendo impreparata la difesa rossonera, ma è mancata qualità ed efficacia sotto porta.

Il Parma si ritrova 3 vs 3 in fase offensiva: Palladino è sceso basso sulla fascia a ricevere il pallone, portando Alex fuori posizione. Nel frattempo, Nocerino prova ad attaccare lo spazio che si è creato centralmente, mentre Varela sulla fascia destra taglierà sul primo palo. Manca Rodriguez, che è l’ala di maggior sacrificio e aveva infatti riconquistato palla nella propria metà campo, permettendo al terzino Gobbi di attaccare. L’azione si conclude male perché Nocerino sbaglia completamente un tiro al volo, solo in area.

Contro il Chievo, Donadoni ha riproposto lo stesso meccanismo, che però non ha funzionato (anche perché costretto in 10 uomini per un’ora): rimane il problema del basso numero di tiri in porta.

Ultimo a 12 punti dalla salvezza, le speranze del Parma sono minime: salvarsi sarebbe un’impresa di portata storica, ma non c’è un’inversione di tendenza che faccia ben sperare. La scomoda verità è che quella di Donadoni è ormai una battaglia per la dignità di un gruppo, che vuole dimostrare di essere ancora da Serie A, e di essere ultimo per cause esterne al campo. Le ottime prestazioni contro le grandi lasciano supporre che il Parma abbia anche subito una sorta di collasso emotivo: senza stipendi, senza Europa League, le motivazioni si riaccendevano solo in alcune grandi partite (vittoria in casa contro Inter e Fiorentina, sconfitte contro Roma e Juve - Coppa Italia - solo all’ultimo minuto). La sensazione è che, ancora una volta, la squadra rischierebbe di compiere un’impresa inutile: a fine stagione in che serie giocherà il Parma? La risposta spetta ai nuovi acquirenti, che la devono soprattutto ai tifosi.

Il campionato italiano non può che affidarsi alla comprovata serietà di Donadoni per un regolare svolgimento della Serie A.

Atalanta

di Daniele V. Morrone (@DanVMor)

L’Atalanta ha chiuso la stagione scorsa all’undicesimo posto e quest’anno ci aspettava un'altra salvezza tranquilla. La squadra di Colantuono si trova invece, ad oggi, a soli quattro punti dalla zona retrocessione.

Gli orobici sono stabilmente al quindicesimo posto ormai da quattro giornate, dopo un inizio di campionato shock che dopo sei partite aveva portato la squadra al quartultimo posto.

Ad una visione rapida alla classifica sembra tutto molto facile: l’Atalanta segna poco (19 gol, peggior attacco dopo il Chievo) e fatica a vincere le partite (solo una vittoria in più rispetto al Cagliari, in piena zona retrocessione). Eppure, andando a confrontare i numeri della scorsa stagione alla stessa giornata si può capire che in realtà l’Atalanta non ha fallito nel mantenere lo stesso livello dello scorso anno, ma nel migliorarlo.

L’Atalanta 2013/14 aveva quattro punti in più di quella di quest’anno (27), avendo vinto tre partite in più (avendone curiosamente perse undici, contro le nove di quest’anno). Anche in termini di gol i nerazzurri non segnano molto meno rispetto alla scorsa stagione (19 invece di 24) e subiscono persino meno gol (29 invece di 30). La squadra quindi è sui livelli dello scorso anno, ma gli avversari diretti di metà classifica no, loro sono migliorati.

Il calendario non ha aiutato, mettendo la squadra davanti a una serie di partite durissime tra la terza e la sesta giornata (nell’ordine: Fiorentina, Inter, Juve e Sampdoria), terminata con solo sconfitte e a cui Colantuono ha pensato di rispondere cambiando modulo, inizialmente rimasto lo stesso nonostante la cessione della stella Bonaventura - lo scorso anno 4 sconfitte arrivate durante le sue 6 assenze.

Per qualche partita l’Atalanta ha giocato con il 4-3-3 per avere un uomo in più a centrocampo capace di aiutare la circolazione, affiancando a Cigarini il suo alter ego Baselli, o l’esperto Migliaccio. Ma l’esperimento è durato poco e Colantuono è tornato presto a fidarsi del 4-4-2, marchio di fabbrica dei bergamaschi, che aiuta la squadra a coprire meglio il campo in fase di pressing, non lasciando Denis in inferiorità numerica contro i centrali avversari. Rimanendo fedele al suo sistema l’Atalanta è riuscita a uscire dalle zone caldissime della classifica.

Colantuono chiede ai propri giocatori un’interpretazione abbastanza ortodossa del 4-4-2, che prevede in fase difensiva una squadra corta e stretta per proteggere l’area, e che in fase di attacco si apre ricercando il gioco sugli esterni e molti cross - con 26 a partita è la terza squadra per traversoni tentati. L’Atalanta difende il centro e attacca dalle fasce proprio come si può immaginare faccia una squadra che non voglia complicazioni di sorta dal proprio modulo. La palla viene toccata poco (la squadra è quindicesima per possesso palla con il 46%) e male (solo 76% di precisione nei passaggi, diciassettesima in Serie A) e le verticalizzazioni e gli scambi ad alto ritmo sono cercati con continuità, non rendendo facile un possesso continuato del pallone.

La circolazione è limitata alla transizione offensiva, guidata dal regista Cigarini (o Baselli) per permettere alla squadra di occupare le due fasce, così da far arrivare i cross alle due punte, Denis e il nuovo acquisto Pinilla. I due esterni hanno caratteristiche diverse: con l’italiano Zappacosta a destra che deve semplicemente arrivare sul fondo per il cross (non a caso ad inizio stagione giocava esterno basso con lo stesso compito, sostituito adesso dal più conservativo Bellini) mentre a sinistra si alternano il trequartista Maxi Moralez o l’ex Catania Gomez. I due non si limitano a crossare ma si accentrano anche per andare al tiro sfruttando il piede invertito e l’ampiezza creata dalla squadra. Quest’ampiezza è voluta per assicurare i cross ma porta ad una marcata distanza tra i reparti in situazione di attacco posizionale e non aiuta certo la circolazione del pallone - si può spiegare in parte così la poca precisione nei passaggi. La squadra crossa molto ma tira poco (11,8 a partita, sedicesima in Serie A) e soprattutto tira male, con solo 3 conclusioni nello specchio a partita (peggio fa solo il Parma). Ovvio che tirando così poco in porta è molto difficile segnare.

La preoccupazione per l’assenza di precisione in area ha portato all’arrivo di Pinilla, ma la squadra tira poco anche perché tolti i due attaccanti (Denis e chi lo accompagna, che sia Maxi Moralez, Boakye o Pinilla ora) sono pochi i giocatori ad entrare in area: con Carmona che pensa più a mantenere la posizione e Cigarini (o Baselli) alla circolazione del pallone.

Il centro del campo non va oltre i due tiri provati a partita. I due esterni rimangono larghi per mantenere l’ampiezza fino all’arrivo dei terzini, e alla fine la presenza in area è limitata alle punte. Il sistema di Colantuono produce pochi tiri e con un Denis leggermente sotto le medie dello scorso anno ecco che la squadra fatica a fare gol.

L’Atalanta fatica a segnare ma va detto che fa anche faticare chi gli vuole segnare. La transizione difensiva è dedicata a un pressing alto scandito dalla pressione della punta Denis (tra i migliori in Italia in questo) e da un’attenzione maniacale per lo studio delle seconde palle, vera specialità della casa. Il grande lavoro di tutti i giocatori in fase di transizione difensiva - unita a una mancanza di necessità di coinvolgere tutti i giocatori nel caso di transizione offensiva una volta riconquistato il pallone - permette ai centrali di difesa di rimanere bassi così da non concedere spazio agli avversari alle spalle della squadra, cancellando l’opzione di ostacolare la pressione atalantina lanciando lungo. Interessante in tal senso come l’Atalanta sia la seconda squadra a mandare meno in fuorigioco gli avversari con 1,5 alzate di bandierina a partita.

Se la palla non viene recuperata con la pressione degli offensivi allora la squadra corre immediatamente a stringere le linee proteggendo l’area. La fase difensiva dell’Atalanta funziona: la squadra di Colantuono è difficile sia da attaccare in transizione - grazie a una linea difensiva che non si espone facilmente - che facendo circolare il pallone, data la compattezza e l’ordine in difesa posizionale.

Le vittorie contro le squadre dietro in classifica dicono che l’Atalanta è di un livello superiore rispetto a chi lotta per non retrocedere. Adesso però è in arrivo il tifone delle quattro partite contro squadre più forti che ad inizio campionato ha azzoppato l’idea dell’ennesima annata tranquilla e che potrebbe far tornare la squadra in zona retrocessione. L’Atalanta è tornata ad avere fiducia nel proprio gioco e l’arrivo di Pinilla dovrebbe alleviare le difficoltà della squadra nel trovare il gol. Questo potrebbe fare la differenza nella seconda parte di stagione, anche in caso di risultati negativi nella prossima difficile serie di partite in arrivo. Se dovesse continuare questo ritmo da parte delle avversarie di mezza classifica però l’Atalanta dovrà fare meglio dello scorso anno, anche solo per chiudere nella stessa posizione.

Verona

di Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)

La stagione dell’Hellas non può essere definita fallimentare. Anche se confrontata con la temporada passata che, a detta di tutti, è stata positiva sotto ogni aspetto. La vittoria casalinga sull’Atalanta e la buona prestazione di Palermo hanno rinfrancato l’ambiente e tranquillizzato lo spogliatoio. Le due partite giocate back-to-back contro la Juventus - dieci gol incassati in centottanta minuti - avevano infatti consegnato Mandorlini in pasto ai retroscenisti di TV e carta stampata. Un Verona francamente ingiudicabile, quello travolto dalla locomotiva manovrata da Allegri, dal punto di vista agonistico prima ancora che da quello tecnico e tattico.

Sotto il profilo dei numeri, va fatto un distinguo: il Verona, nel girone d’andata 2013/14, è stato capace di collezionare 32 punti in 19 partite, a fronte dei 22 punti racimolati nella seconda parte dello scorso campionato. Il cammino dell’odierno Hellas, che ha in cascina 24 punti racconti nelle prime 22 gare, è molto simile all’ultimo Verona della seconda parte della scorsa stagione. A stupire è anche la differenza in efficacia offensiva: da Agosto 2013 a Gennaio 2014, il Verona segnò 34 gol contro i 21 gol nello stesso periodo un anno dopo; nei periodi citati il confronto sui gol segnati su calcio piazzato, rigori esclusi, è di 8-1. Come detto, i numeri del girone di ritorno nello scorso campionato coincidono con quelli del girone d’andata di quest’anno. Si potrebbe dire quindi che quanto fatto nella prima parte della scorsa stagione fu un percorso netto straordinario, forse irripetibile. Che non è rappresentativo della misura vera di questa squadra, capace comunque di rimanere sopra la soglia salvezza - i famigerati 40 punti - nei due mezzi campionati disputati nell’anno solare.

Il calo del Verona, lo scorso anno, coincise con la partenza di Jorginho alla volta di Napoli. Da quel momento, Mandorlini cambiò il suo sistema rinunciando de facto al playmaker: davanti alla linea difensiva a quattro si alternarono Donadel e Cirigliano, due giocatori che potremmo definire di rottura piuttosto che d’impostazione. Quest’anno il tecnico è tornato sui suoi passi, affidando le chiavi del gioco a Tachtsidis. Un ritorno gradito alla piazza e all’allenatore, quello del greco, che disputò un’ottima stagione in Serie B nella stagione 2011/12. Jorginho e Tachtsidis sono però due giocatori completamente diversi: il primo è un giocatore più mobile, bravo a smarcarsi oltre la prima linea di pressing e nel dettare poi i tempi della manovra; il secondo cerca spesso la verticalizzazione sulle punte, talvolta prendendo rischi eccessivi. Statisticamente, la stagione del greco, ad oggi, è inferiore a quella disputata da Jorginho: Tachtsidis mette a segno il 78% dei passaggi effettuati, contro l’86% dell’italo-brasiliano che ha giocato quasi 1000 passaggi in 19 partite, 250 in più del greco. Il primo ha fatto valere le sue capacità di calcio sui piazzati e dal dischetto; il secondo può garantire una maggiore presenza fisica in area, come mostrato a Palermo.

Non solo Jorginho. Perché un’altra pedina fondamentale nel gioco del Verona era Romulo. Arrivato dalla Fiorentina col pedigree del laterale a tutta fascia, fu trasformato da Mandorlini in interno di centrocampo nel 4-3-3. Romulo si intendeva alla perfezione con Iturbe e riusciva ad offrire una sovrapposizione esterna o interna sempre con i tempi giusti, quando l’argentino veniva in mezzo al campo per cercare il sinistro o restava largo. La catena di destra per il Verona era il mezzo più efficace per rifornire l’ariete Luca Toni. Che l’attaccante campione del mondo non ripetesse comunque l’exploit della scorsa stagione era prevedibile; ma la cessione alla Juventus di Romulo ha fatto la differenza, forse più di quella dello stesso Iturbe.

Un’immagine esemplificativa: con Tachtsidis marcato a uomo, Marquez è libero di impostare fin dentro la metà campo avversaria, un po’ come ha fatto col Messico al Mondiale brasiliano; Brivio e Sala risalgono il campo, mentre Saviola guadagna spazio tra le linee.

Che Jorginho e Romulo siano gli uomini che più mancano a questo Verona secondo me è confermato dal cambio di modulo al quale Mandorlini è approdato nelle ultime settimane. Col 3-5-2 Tachtsidis è sgravato da una parte delle responsabilità di costruzione della manovra: i tre difensori dietro fanno girare meglio il pallone e, così come avveniva nella Juventus, il difensore centrale agisce da playmaker di scorta. Mandorlini può così sfruttare i piedi buoni di Rafa Marquez, oltre che recuperarlo in fase difensiva: il messicano era apparso visibilmente in difficoltà quando è stato schierato come centrale nella difesa a quattro. Inoltre i laterali possono alzarsi di più ad inizio azione, creando ampiezza e giocando il pallone con gli interni. Contro l’Atalanta, Sala è stato il migliore in campo e dalla fascia destra sono arrivate le migliori assistenze possibili per Toni. Infine, il 3-5-2 permette di schierare un secondo attaccante a sostegno del centravanti azzurro, che è apparso spesso isolato e in balia delle difese avversarie. Due domeniche fa ha trovato spazio El Conejo Saviola, fino a quel momento solo sette presenze in stagione, ed è subito stato decisivo; contro il Palermo, Nico Lopez ha faticato a trovare spazio al centro alle spalle dei centrocampisti avversari, mostrandosi più a suo agio quando partiva dalla fascia.

I veronesi dovranno mostrare pazienza ma possono guardare con fiducia al resto della stagione. Mandorlini ha dimostrato di aver individuato dei punti di debolezza nel proprio sistema e di lavorare per risolverli. A me sembra vicino alla quadratura del cerchio.

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