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Le due torri di New Orleans
11 apr 2017
Come è andata la coesistenza di Anthony Davis e DeMarcus Cousins nell’ultima parte di stagione?
(articolo)
8 min
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Lo scambio che ha portato DeMarcus Cousins dai Sacramento Kings ai New Orleans Pelicans è stato oggetto di ampio dibattito, anche su queste pagine. Di fatto si è trattato dell’unico movimento di mercato riguardante un Top 25 NBA dell’ultima stagione, ma soprattutto di un Top 3 tra i giocatori discussi e discutibili della lega. Per di più, Cousins è finito in una squadra dove era presente già un leader, un uomo franchigia attuale e - sperano in Louisiana - futuro, con caratteristiche affini e che, esattamente come “Boogie”, mai si era ritrovato accanto un compagno potenzialmente del suo livello. La coesistenza sul parquet tra due grandi amici come Cousins e Anthony Davis è stato dunque uno dei temi del finale di questa regular season.

Era molto, molto difficile che i due potessero dare già da subito un indirizzo globalmente positivo ai risultati della squadra, leggi passaggio ai playoff. Inserire un giocatore ingombrante come Cousins in un contesto tutt’altro che solido e definito non era operazione immediata, basti pensare solo al fatto che coach Alvin Gentry abbia lavorato per settimane su come migliorare l’efficienza difensiva del quintetto con Davis da 5 e quattro piccoli attorno a lui. Un’opera che è stata poi sostanzialmente accantonata nel momento in cui la dirigenza ha potuto puntare su Boogie cedendo la scelta di quest’anno e il rookie Buddy Hield, oltre ad altri giocatori di contorno. Se Roma non è stata costruita in un giorno, figuriamoci l’attacco dei Pelicans.

L’esordio di DMC: doppia doppia da 27 punti e 14 rimbalzi in un ko da -30 contro Houston.

Dentro & fuori

La soluzione immediata su cui Gentry ha impostato l’attacco è stata quella di alternare Davis e Cousins in post alto e post basso. I due hanno qualità affini e predisposizione simile a giocare sia fronte che spalle a canestro, ma con una differenza abissale che ha dirottato ben presto il playbook verso situazioni meglio definite: “Boogie” è più affidabile al tiro rispetto al compagno, che a sua volta è più devastante quando riceve palla in movimento nel pitturato. È questo il dato più pesante dell’esperienza fin qui in Louisiana dell’ex Kings, passato dal prendersi il 19.5% dei suoi tiri da 3 nell’ultimo anno e mezzo a Sacramento al 30.4% in maglia Pelicans, con un leggero miglioramento nella percentuale realizzativa (dal 35.4& al 37.6%). A lui, dunque, è toccato il compito di allargare le difese e creare spazio in area per le giocate di “The Brow”. In sostanza Cousins sta studiando come adattarsi a giocare da 4 moderno per esigenze di squadra: considerando il modo in cui si applica normalmente, lo possiamo considerare già di per sé un successo.

Questa è diventata presto la prima opzione offensiva dei Pelicans: Davis e Cousins in post alto in avvio d’azione, con Holiday che sceglie uno dei due lati per il blocco. Indipendentemente dalla decisione del play, AD taglia dentro e Boogie si allarga. Qui l’ottimo recupero di Dedmon non lascia spazio per un tiro comodo a Cousins.

Un attacco quasi estremo: passaggio consegnato di Davis per Cousins. Magari meglio, Boogie, eh...

Se nelle prime dieci partite con i due in campo il rating offensivo di squadra si è attestato su un impresentabile 91.1, nelle successive dieci c’è stata un’impennata notevole che ha portato il dato a 113.5 (nello stesso periodo hanno fatto meglio solo Warriors, Clippers e Hornets). Anche la percentuale reale al tiro è balzata da 42.2% a 54.7% e, più in generale, la NOLA pre Cousins era 22esima per Net Rating (-2.3, 102.3 in attacco e 104.6 in difesa), mentre quella post Cousins è 16esima (differenziale pari, 106.6 e 106.6 sui due estremi del campo). Da un lato la difesa non ha mostrato miglioramenti sul lungo periodo perché le carenze strutturali degli esterni, troppo facilmente battibili nell’1 vs 1, permangono; dall’altro l’attacco ha invece cominciato a girare, a trovare una chimica, un linguaggio comune ed è facile individuare il principale motivo nella maggior conoscenza sviluppata tra i giocatori. È come se i Pelicans avessero fatto il training camp tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo: in quel periodo così denso di novità si sono giocati le residue chance di post-season, ma hanno costruito delle basi molto interessanti. Al netto dell’aver affrontato squadre con pochissime motivazioni, un innegabile innalzamento della brillantezza in attacco c’è stato.

L’inizio è stato abbastanza traumatico. Prendiamo la gara contro OKC del 26 febbrai

L’inizio è stato abbastanza traumatico. Prendiamo la gara contro OKC del 26 febbraio: blocco di Davis per Holiday che la passa al #23, che va dentro. Solo che anche Holiday va dentro. E Cousins è già dentro. Hollis Thompson non vuole essere da meno. “Boogie” alla fine segna, ma le spaziature qui sono un concetto utopico.

Stella polare

C’è una partita in particolare che rappresenta lo spartiacque dei Pelicans versione “Twin Towers”, la prova sul campo che una squadra con quei due può avere un brillante senso. Il 21 marzo a New Orleans arrivano i Memphis Grizzlies e il primo tempo è da incubo: 34 punti segnati con il 32.1% di percentuale reale al tiro e un miserrimo 68.7 di offensive rating. Cousins è a quota 16 ma praticamente è da solo, non coinvolge i compagni e a sua volta non è coinvolto. Poi nel terzo quarto cambia tutto.

Nel periodo pre-All-Star Game una serataccia così avrebbe avuto facilmente un epilogo del tipo “Anthony, per favore salvaci tu”. E il povero AD si sarebbe preso la combriccola sulle spalle e avrebbe cercato da solo, tendenzialmente senza riuscirci, di far riemergere i suoi dalle sabbie mobili. Una solitudine ben espressa ad inizio stagione da Dario Costa, che auspicava potesse arrivare un Robin per dare una mano a Batman-Davis. E invece è arrivato un Batman-2.

Holiday va in post basso e sembra chiuso, con un palleggio riapre la visuale e trova Cousins sul lato debole. Selden abbocca alla finta di DMC che ringrazia e firma il sorpasso.

Pick and roll tra i due lunghi con Davis che porta il blocco. Cousins si ritrova con quattro difensori davanti e ha una sola opzione di passaggio per chiudere i gioco a due. E che problema c’è? Al Monociglio non gli par vero di avere un compagno capace di dargli quel pallone.

Come scritto prima, questa è un’azione ormai consolidata per i Pelicans ma Randolph pare dimenticarsene: Boogie ringrazia.

Qui ormai Cousins è talmente padrone della situazione che per rispondere ad un mini break Grizzlies parte in palleggio come un caterpillar e asfalta tutti.

Il terzo quarto contro i Grizzlies deve essere la stella polare per i Pelicans: palla sempre in circolo, decisioni rapide, forzature ridotte all’osso, un passaggio in più invece che un palleggio in più. Così Davis e Cousins possono esprimersi al loro meglio, che poi coincide con il meglio della squadra. Perché in tutto questo non va tralasciato un aspetto: il contorno su cui hanno potuto contare i due è povero, discontinuo e al momento non futuribile. Non è un caso che i minuti in cui la second unit è stata in campo senza entrambi i Big sono risibili e con statistiche da mani nei capelli.

Scenari futuri

C’è un solo vero titolare da playoff, ovvero Jrue Holiday che fortunatamente ha messo alle spalle le drammatiche vicende che hanno riguardato la moglie Laureen. Holiday peraltro andrà in scadenza a giugno e rinnovarlo non sembra affatto semplicissimo per NOLA, per quanto tecnicamente sarebbe una mossa essenziale. Il resto è composto da onesti mestieranti che mostrano spirito di abnegazione e si mettono al servizio delle due stelle (due nomi su tutti: Jordan Crawford, preso con un decadale a marzo e diventato essenziale nelle rotazioni per il suo apporto in attacco, e Tim Frazier, ormai da settimane nello starting five per dare difesa e ordine più di quanto riesca a mettere in campo E’Twaun Moore) o giocatori poco o nulla funzionali al progetto tecnico ma con contratti fuori mercato (state pensando a Solomon Hill o ad Omer Asik? Bravi).

Considerando che difficilmente dal Draft arriverà qualcosa visto che la scelta dei Pelicans ceduta a Sacramento nell’affare Cousins è protetta fino alla 3 - e ci vorrà una botta di fortuna con la C maiuscola per mantenerla, visto che le possibilità sono del 4% -, servirà allora muoversi sul mercato a fine stagione per alzare il livello di qualità della squadra dando un ulteriore senso logico al roster, cercando almeno un 3&D che è attualmente la vera, grossa, lacuna di questa squadra.

Magari prima, però, sarebbe meglio partire da una seria valutazione sulla guida tecnica. Alvin Gentry è l’uomo giusto per guidare i Pelicans formato Twin Towers? La domanda è legittima e la risposta di molti addetti ai lavori è ampiamente negativa. Tuttavia mentre un paio di settimane fa l’addio dell’ex assistente di D’Antoni a Phoenix sembrava certo in caso di mancata qualificazione ai playoff, ora i sensibili miglioramenti della squadra potrebbero aver dato alla dirigenza quelle indicazioni necessarie per riporre ulteriore fiducia.

Fiducia nel progetto che servirà anche a Cousins per non andarsene tra un anno, alla scadenza del contratto. In definitiva il GM Dell Demps, anche lui in odore di licenziamento prima dello scambio, si trova davanti la possibilità di costruire una squadra che sia credibile per la lotta playoff ad Ovest attorno a due giocatori per molti versi unici, che hanno dimostrato di poter interagire al meglio in campo e di aver voglia di mettersi al servizio l’uno dell’altro senza gelosie. Onestamente, sarebbe uno spreco non approfittarne.

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