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Le memorie di Mauro
25 ott 2016
L'autobiografia di Icardi, seriamente.
(articolo)
7 min
(copertina)
Foto di Marco Luzzani/Getty Images
(copertina) Foto di Marco Luzzani/Getty Images
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Introduzione. La fame

Cosa facevate il 18 maggio 2013? Il protagonista di Sempre avanti, per esempio, non ha dubbi: “il 18 maggio 2013 ho urlato ‘gol’ tre volte”. Sempre avanti è ingemmato di date, a confermare che — sulla scia di Bachtin — nelle biografie il cronotopo biografico è contenuto nel cronotopo reale, ovvero le coordinate spazio-temporali della vita descritta nell’opera (per esempio: il 18 maggio 2013) interagiscono senza sosta con il cronotopo reale: secondo Bachtin, questo cronotopo reale è il luogo deputato a svelare la vita altrui, insomma, la piazza (nel testo, agorà). Raramente come nel 25 ottobre del 2016 le vicende private del protagonista vengono discusse in quello che rimane della piazza, monitor illuminati dal litio. In questa sede si tenterà, per quanto possibile, di delimitare il perimetro della discussione intorno al contenuto dell’opera.

Chi scrive queste righe ha provato ad accennare una linea del tempo ma la fabula viene perpetuamente squassata dall’intreccio, le unità aristoteliche scivolano in una fuga centripeta e, di fronte a questa agenda, non rimane che arrendersi. Ne emerge comunque un protagonista di umili natali — e umidi, il gracidio delle rane come colonna sonora dell’infanzia — cresciuto in un contesto di alto sottoproletariato, entro i margini di una severa disciplina paterna, di una ruvida educazione cattolica che odora di Parise (chierichetto, grembiule “bianco o giallo”, maestre algide già dal nome) e di, soprattutto, una Scuola della Strada sempre lì, mai invasiva ma onnipresente.

In onore di Franco Moretti e della cifra analitica di UU, è possibile restituire del materiale statistico sulla base di un approccio quantitativo al testo, in cui si presentano lemmi evidentemente ricorrenti, come “mio padre” (70 ricorrenze), “gol” (74), “Inter” e “Wanda” (rispettivamente 65 e 62), e altri meno ricorrenti, come “Maxi Lopèz" (15), “Moratti/top/responsabilità/ultrà” (4), “bomber” (1).

C’è poi un vocabolo che non compare forse troppo spesso, ma che incapsula la raison d’être del libro e la pulsione del protagonista. Si tratta di “fame”. Sempre avanti, in un certo senso, è un libro sulla fame. Il protagonista, a Rosario, accarezza ogni giorno la dimensione della Povertà, (“in dieci anni ero stato al ristorante tre o quattro volte”) e la presenza del cibo emerge in diversi aneddoti, dall’hot dog come ricompensa per i primi successi, all’indigestione di trippa e faglioli [sic] ai tempi del Barcellona. Arrivato a Genova, il protagonista va a pescare al porto con il padre. I tempi del sabalo albiceleste sono ormai lontani.

Prochilodus lineatus, o sabalo. Il protagonista, bambino, ne mangiava anche testa e coda, aiutato dalla fame.

L’insistenza sulla pesca del sabalo non può che nascondere qualcosa di più ampio, uno sprofondare nell’acqua blu che diventa nera, la lotta con l’Avversario: “Quando arrivavo alla testa, mi fermavo a fissarla: mi incuriosiva quella bocca enorme da mostro marino, da cui spuntavano fuori due denti da cane lupo.”

Sì perché il protagonista è dopotutto soggetto cogente, e nello sviluppo diegetico il suo è un esercizio interiore assimilabile a quello — tra gli altri — dell’eroe turgeneviano, prono a speculazioni percettive che concorrono al fiorire di un ampio spettro auto-analitico: “l’episodio però mi fa riflettere. Wanda desiderava così tanto quell’iPad, o era stato un pretesto per sentirmi?”. Proprio così: non siamo isole, ma arcipelaghi tempestati di ponti, il risultato di continui scambi interpersonali. “Quel suo messaggio, che a me aveva fatto piacere ricevere, lasciava forse presagire qualcosa che andava oltre un semplice favore?”.

La narrazione non risparmia sorprese, tenendo in sospeso il lettore, deliziandolo con inaspettati calembour: il silenzio notturno della Pampa Húmeda viene spezzato da una “cantilena [che] diventa sempre più forte, e io quasi cado in un fosso”. Il resoconto di un mese di tournée americana si risolve in un unico paragrafo dove viene descritto “AlterG, una sorta di tapis roulant che permette all’atleta di correre con sottrazione di peso.” Oppure: “stavo per infilarmi il secondo calzino quando è successo un casino”, e ancora: “A parte le fogne, nel mio quartiere non avevo limiti.” Inoltre, il protagonista nasconde trasparenti trappole postmoderne ricorrendo a un’ironia così affilata da sparire tra due minime colonne d’aria, come in questa confessione, “Ancora oggi leggo poco. Più che altro sfoglio i libri che mi regalano, e mi soffermo sulle figure”, un corto-circuito delizioso, capace di abbandonare il lettore alla sua edizione rilegata.

Intervallo. Sempre avanti e il canone

Sempre avanti è in realtà una lettera d’amore alla Letteratura, ai generi che la strapazzano, insomma, un inchino alla tradizione:

Fantascienza distopica: “Periodicamente […] i medici mi infilzavano la pancia con un ago lungo oltre quindici centimetri, e lo indirizzavano verso il pube per rinforzarlo con un liquido ad alto contenuto zuccherino.” Altri passaggi notevoli vengono offerti nella descrizione della Masia catalana, dove futuri milionari condividono le camere da letto con future meteore, dove molti ragazzi vengono da paesi lontanissimi, e dove tutti devono sottostare a una pletora di regole, inclusa la richiesta di parlare catalano.

Neorealismo: coinvolto nel raccontare il distillato di vita nelle villas alla periferia di Rosario, il protagonista sottolinea che in famiglia non si leggeva perché “non avevano soldi da spendere in cose inutili”. Le fonti di svago diventano, per forza di cose, gratuite: un pallone, delle biglie, una fionda. L’unico mezzo di trasporto a disposizione, poi, “era la bicicletta. Al mattino stavo con i miei amici e gironzolavo tra il campetto e le strade del quartiere.”

Tradizione picaresca: “Fionde e rivoltelle” è senza dubbio il capitolo di riferimento. “Giravo tutto il giorno con la fionda infilata nei pantaloni e il pallone sotto il braccio.” La funzione delle biglie si trasformava da ludica – tra le piccole dita dei bimbi argentini – a evoluzionistica, biglie come proiettili trasparenti, piccole sfere di vetro capaci di perforare l’addome di piccoli uccelli esotici. C’è chi lo fa per divertimento — il protagonista — e chi per fame. Il protagonista, suo malgrado e occasionalmente, condivide con il pubblico il passato di lavoratore minorile.

Giornalismo investigativo: il primo dialogo con Branca è una sottile denuncia del giornalese, la lingua ufficiale, morta in vita — la lingua ufficiale che si riconosce per l’assenza di hashtag: “C’è un forte interesse della società verso suo figlio. Non escludo un passaggio da noi nella prossima stagione”. E poi: sapevate che il capitano raccoglie le multe dei suoi compagni? Che ricopre un ruolo quasi sindacalista per quanto riguarda — un esempio — gli orari degli allenamenti? Che per diventarlo a ventidue anni devi presentare un certo quadro di competenze e qualità caratteriali che finiscono con -?

Bildungsroman: in alcune occasioni il libro si trasforma nel diario intimo di un giovane padre. “Tutti i dettagli di quel periodo mi sono rimasti nel cuore, persino la prima cacca di Francesca: era nera e aveva un odore tremendo, ma era di mia figlia e l’ho persino fotografata”.

Epica omerica: “Quando sono tornato in Argentina, sei anni dopo la partenza per le Canarie, per prima cosa sono andato a trovare il mio cane-salsiccia. Mi ha riconosciuto subito ed è impazzito di gioia. […] Era già vecchiotto, ma aveva trovato l’energia per dimostrarmi il suo affetto dopo tutti quegli anni.”

Realismo magico: “Avevo imparato molto bene a fare un gioco che consisteva nel doverle [le carte da gioco, ndA] girare sottosopra senza toccarle”.

Operazione dadaista: sì perché quello che sarebbe stato il migliore incipit del libro, il più organico, si trova a metà volume: “Se la gente sapesse da dove sono partito […] ci penserebbe dieci volte prima di parlare. È per questo che ho scelto di raccontarmi in un libro”. Un consiglio per la ristampa che andrà già ad alleggerire l’opera di qualche pagina.

Conclusioni. Fai la ragione

L’ultimo capitolo, “Sempre al massimo”, è breve, spezzato, quasi free jazz, dove dichiarazioni serene come “Ho sempre avuto le idee molto chiare: restare qui, all’Inter” precedono immediatamente assiomi come “Il calcio è un business e può succedere di tutto.”

Perché scrivere un’autobiografia a ventitré anni? Non si sarebbe arrivati a questo punto se il protagonista reale e il protagonista ombra (la silhouette proiettata dai media) non si fossero gradualmente separati. Il protagonista ha bisogno della sua ombra, e di ricordare al mondo che “i soldi [gli] hanno cambiato la vita, non la testa”. Il dramma incarnato da questa storia è l’ennesima rifrazione di un oggetto prismatico — il ventunesimo secolo — che regala a tutti la possibilità di raccontarsi, ma non gli strumenti per sfruttare consapevolmente questa possibilità. In merito a questa vicenda, e a questa istantanea drammatica, chi scrive queste parole chiede di ricordare l’esergo biblico di Anna Karenina, storia di un’adultera giudicata dai suoi simili, esergo che recita: “a me la vendetta, io farò la ragione”. Le scritture ci ricordano che la ragione si fa con i gol, che facendo gol si vincono le partite, che vincendo si tacciono i tifosi. Buona fortuna, Maurito, sempre avanti. Il resto sono parole.

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