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Le migliori esultanze dopo un canestro da tre
01 ago 2019
Spunti e idee da imitare al campetto.
(articolo)
19 min
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A forza di ripeterlo suona come un luogo comune: il tiro da tre punti è la nuova tendenza dominante nel basket NBA. Nella stagione attuale la frequenza del tiro da fuori è ai massimi storici (32 tentativi a partita, dieci anni fa erano 18.1), ma è un copione che si ripete ogni anno in versione riveduta e corretta, con record che finiscono continuamente ritoccati – quello per maggior numero di triple di squadra segnate in una partita, ad esempio, oggi in possesso dei Rockets con 27. Basti pensare poi che Steph Curry è ad oggi terzo nella classifica all-time per numero di canestri realizzati; insegue Ray Allen a 500 triple di distanza, ma con metà delle partite giocate.

Qualcuno lamenta che si viva ormai in una make or miss league, ma quando l'azione si allontana dal canestro, i giocatori godono di maggiori spazi per esprimere la propria creatività dopo i tre punti segnati, mentre si rientra con tutta calma in difesa. Le esultanze diventano così ritagli strappati all'azione in uno sport che di pause non dovrebbe averne. Il risultato è iconico, come confermano quelle discipline dove invece di tempi inattivi ce ne sono in abbondanza: il ridondante pugnetto + come on! nel tennis, per dirne una, o le coreografie del football dopo un touchdown.

L'NBA detta le mode ramificandosi in tutti i livelli del basket, anche questa è cosa nota. Ci sentiamo dunque pienamente autorizzati a replicare l'abuso di tiri da tre punti anche nel campetto sotto casa o nelle palestre minors: emulare l'esultanza di un campione NBA col giusto tempismo sarà il modo migliore per nascondere le percentuali al tiro – verosimilmente infime. Viceversa, un tentativo raffazzonato ci esporrà al pubblico ludibrio. Per trarre ispirazione abbiamo raccolto le dieci esultanze più belle che abbiamo visto recentemente, accompagnate da un pratico schema di voti.

James Harden: Stirring the Pot

Difficoltà di esecuzione: 7

Rischio imbarazzo: 8

Coefficiente swag: 8

Autentico antesignano dell'esultanza, il Barba ha molte occasioni (36.1 punti a partita nell'ultima stagione, quasi 5 triple di media su 13 tentativi) per deliziarci con la sua inconfondibile gestualità. Si torna in difesa corricchiando, ammiccando alle telecamere o a qualche faccia conosciuta tra il pubblico, le mani davanti al petto oppure esposte in alto, se il canestro ha grande rilevanza. Un palmo sostiene l'immaginario recipiente, l'altra mano mescola gli ingredienti. Significa che Harden sta cucinando o, come diremmo noi, che qualcosa bolle in pentola: di solito, si tratta della difesa avversaria. L'esultanza è perfetta per lo stile compassato di Harden. Come uno chef nella propria cucina – al suo collega arriveremo tra poco – gestisce a piacimento i ritmi del servizio. Cuoce a puntino il difensore in single coverage, con la sua danza di finte e step back, poi lo punisce quando è bello abbrustolito. A volte, se la pietanza è riuscita particolarmente bene, Harden si lecca pure i baffi.

Imitarlo non è impresa facile, si rischiano ingiurie a pioggia da avversari e compagni. È necessario imporsi sulla partita con la stessa ostinazione di Harden, a patto che l'allenatore della vostra squadra UISP sia d'accordo nel garantirvi uno Usage pari a quello del Barba. L'efficacia dell'esultanza aumenta esponenzialmente se effettuate uno step back prima di rilasciare la tripla, ancora meglio se vivete ogni possesso al limite dei passi.




Steph Curry: The Shimmy

Difficoltà di esecuzione: 8

Rischio imbarazzo: 7

Coefficiente swag: 9

Il tiro di Steph Curry è probabilmente il più naturale che si sia mai visto su un campo da basket. Per questo la sua caratteristica esultanza non poteva che trasmettere la stessa fluidità con cui Steph intende la disciplina. Importantissimo è rimanere qualche istante in posa plastica, mentre il pallone si adagia sulla retina. Poi mano sul petto, dito al cielo, sguardo languido e spalle che ondeggiano. Nella sua semplicità, lo Shimmy esplicita quel senso di superiorità che Steph è capace di imprimere sulla partita tormentando le menti degli avversari. Quando entra nella zona tutto è così facile che fare canestro diventa un gioco, e il ballo è un modo di specchiarsi nella propria irresistibile bellezza. Così accade anche che Steph cominci a esultare quando il tiro ancora non è entrato, o che lo Shimmy si sviluppi in una danza più elaborata.

Per imitare Steph il contesto è fondamentale. La vostra squadra dovrà condividere la filosofia dei Golden State Warriors nei suoi pregi e nei suoi difetti: il gioco deve essere veloce, altruista, pericoloso da ogni posizione, ma talvolta è necessario anche esagerare in irriverenza e narcisismo, buttando via più palloni di quanti sarebbe ragionevole fare. Se siete i più odiati del campetto, siete già sulla strada giusta: ora non resta che lavorare sulle percentuali e sul gioco di spalle.


D'Angelo Russell: Ice in My Veins

Difficoltà di esecuzione: 7

Rischio imbarazzo: 9

Coefficiente swag: 10

Un po' in sordina, D’Angelo Russell è asceso allo status di giocatore di culto non tanto per le sue doti cestistiche – i Los Angeles Lakers lo scaricarono a Brooklyn per vari motivi caratteriali e di salario, anche se ora lui si gode la meritata vendetta da All-Star – quanto per la sua gestualità catchy che strizza l'occhio alla vena più postmoderna della cultura hip-hop. In tanti hanno cominciato ad apprezzarlo quando lanciò la tendenza del self high-fivecongratulandosi da solo alla faccia di compagni e telecronisti che lo ignoravano.

D-Lo è sempre stato orgoglioso della capacità di dare il meglio in the clutch: le statistiche confermano in parte questa sua attitudine (10/29 nell'annata 2017/2018 con meno di cinque minuti sul cronometro e meno di cinque punti di margine tra le squadre), ma l'impressione da suscitare agli occhi del pubblico conta più delle cifre. Ecco che allora, quando mette a segno una tripla importante, Russell punta l'indice sulla parte interna dell'avambraccio ed esclama, con enfasi, in favore di telecamera: «I've got ice in my veins!».

Il concetto di sangue freddo è un po' un cliché, ma l'estro interpretativo di Russell lo svecchia. Interessante anche la variante sul tema offerta da Jayson Tatum, un altro che non sembra conoscere la paura – grazie anche a dosi notevoli di incoscienza. Mentre indica il solito ghiaccio nelle vene, col braccio ben steso verso il basso, la mano destra segna il numero tre – ed è pregevole il fatto che, a noi italiani, il cerchio disegnato da indice e pollice rammenti il gioco del tondino e ci inviti immediatamente a imprecare. Manco a dirlo, mimica facciale e swag sono essenziali per prendere in prestito l'esultanza di D-Lo: eseguitela dopo un canestro decisivo sul 20 pari e forse un giorno Shea Serrano scriverà di voi.


Russell Westbrook: Holster the Guns

Difficoltà di esecuzione: 6

Rischio imbarazzo: 7

Coefficiente swag: 8

Quando si parla di armi c'è da stare attenti. Nel basket un certo filone metaforico è accettato (dopotutto il telecronista Mike Breen spara un «bang!» dopo ogni tripla pesante), ma le gestualità troppo esplicite non sono ben tollerate – si veda LeBron che nelle Finals 2015 fece finta di caricare una Glock. Negli altri sport, in verità, si viaggia attraverso simili zone d'ombra: la mitraglietta di Gabriel Batistuta andava bene, la pistola di Piątek anche, ma bisogna evitare di associare lo sparo all'idea di uccisione. La NFL presenta regole dettagliatissime a questo proposito, valide anche per le allusioni sessuali: con due colpi di bacino puoi farla franca, ma con tre colpi scatta di sicuro la flag.

Russell Westbrook non ha grossi problemi perché la sua esultanza è autoreferenziale. Dopo la tripla segnata mima con gli indici due pistole fumanti e le ripone nelle fondine, come fosse l'eroe di un vecchio Western. A giudicare dalle percentuali in calo e dall'accusa di tirare mattoni - critica che lui ha recepito col solito sarcasmo presentandosi nell'arena col gilet da muratore - sarebbe interessante vederlo ideare una versione dove, al posto delle Colt, imbraccia secchio e cazzuola – ma per il momento ci accontentiamo.

L'esultanza è dinamica e di sicuro effetto, funziona bene in ogni contesto, ma per stupire gli amici dovrete riproporla con la stessa intensità di Westbrook: tritolo nelle gambe, occhi spiritati e si va alla caccia di qualsiasi pallone che orbiti nei pressi del ferro. Probabilmente vi accorgerete che è più difficile di quanto lo faccia sembrare Russ.


Jamal Murray (ft. Wes Matthews): Bow & Arrow

Difficoltà di esecuzione: 9

Rischio imbarazzo: 6

Coefficiente swag: 8

Il tiro con l'arco va di moda. Da un lato, è merito dello sconfinamento pop dell'immaginario nerd e fantasy (si veda il buon successo della serie tv supereroistica Arrow); dall'altro, i versanti più politically correct della NBA appoggiano questa versione edulcorata delle esultanze con polvere da sparo.

A Wes Matthews va l'onore di averla resa nota quando si è imposto al grande pubblico come eccellente two-way player nel sistema di Portland, prima di spostarsi a Dallas. La mimica è essenziale e plastica, di rara eleganza. Wes estrae la freccia dalla faretra, tende la corda e scocca il tiro dal suo arco immaginario. La attribuiamo in coabitazione a Jamal Murray, però, come riconoscimento a un giocatore che brilla per sfacciataggine rispetto al quadrato Wes. Nelle mani di Murray, l'arco diventa strumento per irridere l'avversario a distanza: io sono quassù e tu sei laggiù, non mi puoi toccare. A dimostrazione di quanto l'esultanza di Murray appaia irritante, c'è chi cade nella trappola della provocazione.

Nella scorsa stagione lui e Devin Booker misero in piedi un duello che rese appassionante un’anonima Denver-Phoenix. Booker cominciò a scimmiottare l'esultanza di Murray e il risultato fu una pioggia di triple, con 30 punti a testa; sembrava di essere al Fosso di Helm, con Legolas e Gimli a competere per il maggior numero di orchi ammazzati. Esultanza d'impatto e piacevole da vedere, richiede però una certa grazia per essere eseguita correttamente e si adatta al meglio a giocatori eleganti, dai fondamentali vellutati. Se possedete la meccanica di tiro di Chuck Hayes, lasciate perdere.


Damian Lillard: What time is it?

Difficoltà di esecuzione: 6

Rischio imbarazzo: 9

Coefficiente swag: 9

Damian Lillard è la cosa più simile a un'assicurazione sulla vita che potete trovare in NBA. A volte passa inosservato perché il rendimento suo e dei suoi Blazers è talmente regolare da non fare notizia. Eppure, Lillard è stato partner in crime di Steph Curry nello stravolgere la figura del playmaker NBA, ampliando il raggio di tiro fino al logo e ridefinendo i canoni per eleggere un “buon tiro”.

Lillard è un altro di quei performer che si esalta quando il pallone pesa di più, e ogni volta che realizza un canestro in crunch time ci tiene a farlo sapere al mondo intero, così da segnare un bel cerchietto rosso intorno a Portland sulla mappa. La gestualità l'ha aiutato a costruire il proprio culto della personalità, un'intuizione semplice quanto geniale: “Che ora è?” si chiede dopo l'ennesima tripla dal palleggio, scagliata da otto metri, nel momento decisivo della gara. Il polso è esposto al pubblico con discrezione, il dito tamburella sull'orologio immaginario senza strafare; tutto sta nella sua espressione supponente e nel fascino dell'uomo solo in mezzo al campo. Con tali premesse la risposta è ovvia: il crunch time diventa il Dame Time.

Per eseguire questa esultanza, indispensabile è la costanza. Pensiamo a Isaiah Thomas, che l'ha adottata con entusiasmo nel periodo in cui, in maglia Celtics, si distingueva come miglior realizzatore della lega nei quarti conclusivi. Spentosi il clamore intorno a IT per via delle sue amare peripezie di salute, si è spento anche il ricordo della sua esultanza. Dame invece è sempre lì. Se volete che questa esultanza diventi il vostro status symbol, dovrete diventare il go-to-guy del campetto per qualsiasi tripla che valga la vittoria. E non esagerate mimando l'orologio in maniera troppo vistosa; c'è il rischio di sembrare Mazzarri.




Klay Thompson: The Talking Hand

Difficoltà di esecuzione: 6

Rischio imbarazzo: 8

Coefficiente swag: 6

Klay è un partecipante sui generis in questa rassegna. Non è un personaggio da copertina, e non ama fare l'istrione con esultanze ritualizzate. Anzi, in giro per la lega è apprezzato per le sue reazioni sempre nuove e genuine, talvolta bizzarre, senza contare quella volta in cui scappò in difesa festeggiando la tripla del compagno Steph mentre lui, in realtà, gli stava passando la palla – un'immagine che è diventata per certi versi il simbolo della filosofia Warriors.

Quando si tratta di canestri da tre punti, però, Klay Thompson offre un gran volume di contributi alla causa (oltre 4.000 triple tentate in carriera, convertite col 41%). In questa stagione è incappato in uno dei peggiori shooting slump della carriera, coincidente con un periodo di flessione degli Warriors angustiati dalle voci sul rinnovo di Kevin Durant e dai suoi dissapori con Draymond Green. Nelle serate più nere, Klay sembrava assumere le sembianze del gemello scarso che da un paio di estati a questa parte viaggia in Cina per mettersi in ridicolo. Poi, il 30 dicembre 2018, la partita della svolta. Gli Warriors battono i Blazers (di lì a poco riprenderanno a scalare la classifica della Western Conference fino a riguadagnarne la vetta) e Klay risponde alle critiche con 32 punti e 4 triple a bersaglio. Dopo l’ennesima tripla scaccia-crisi si ferma a confabulare con la mano destra, il palmo ben aperto davanti al viso e le dice “I missed you”, mi sei mancata.

L'esultanza sembra immediata, persino banale, ma l'originalità emerge dai dettagli. Osservate lo sguardo di Klay, che trasuda affetto. Non è solo un professionista che si rivolge agli attrezzi del mestiere; è prima di tutto un uomo che riscopre la fiducia nella propria migliore amica. A prima vista, imitare il suo gesto pare facile. Le motivazioni, però, erano verosimilmente differenti. Solo acquisendo la purezza d'animo dell'integerrimo Klay Thompson potrete replicarne l'esultanza con simile effetto: la vostra mano destra, da qua in avanti, dovrà mandare il pallone solamente in fondo alla retina.


Lance Stephenson: Air Guitar

Difficoltà di esecuzione: 9

Rischio imbarazzo: 9

Coefficiente swag: 10

Al contrario di Klay, Lance Stephenson è un animale da palcoscenico e l'esibizione di air guitar che accompagna i suoi canestri da tre punti è solo l'ultima nella lista di trovate volte a stuzzicare pubblico e avversari. Basta una rapida carrellata per riportare alla mente il soffio nell'orecchio a LeBron, i flop degni di un number one contender match per WrestleMania, o la pura follia cestistica che conduce ad assist come questo. Recentemente, Stephenson ha rilanciato la propria carriera abbracciando in pieno la gimmick di “Lance, make'em dance” e la chitarra è una compagna perfetta. L'esecuzione è degna di una rockstar. Ginocchia molleggiate, baricentro basso, schitarrata potente e, soprattutto, sguardo puntato sull'avversario. Se i grigi fischiano un fallo tecnico per taunting, ancora meglio – la reputazione di Lance si alimenta di queste cose, e infatti gli avversari lo imitano per ripicca.

Emulare l'air guitar sul cemento del vostro campetto preferito è un'operazione ad alto rischio. In mancanza di arbitri che dirimano la questione, a forza di sostenere lo sguardo dell'avversario qualcuno potrebbe interrompervi l'esibizione con le cattive maniere - specialmente se avete passato il resto della partita a infastidire il miglior marcatore della squadra rivale. Le percentuali al tiro non sono importanti, è sufficiente mandare una tripla a bersaglio. Però dovete credere nel personaggio come Lance: vivere in un presente assoluto dove il campo è il vostro palcoscenico.


Brook Lopez: Smoking Hot

Difficoltà di esecuzione: 6

Rischio imbarazzo: 6

Coefficiente swag: 7

La stagione 2018-19 dei Milwaukee Bucks, titolari del miglior record della lega, è sorprendente e Brook Lopez incarna una delle sue storie più felici. Declassato come centro preistorico e scarrozzato tra Brooklyn e Los Angeles in anni poverissimi di successi, Brook ha finalmente trovato la propria dimensione nel sistema di coach Budenholzer. In difesa si preoccupa di piantonare il pitturato con la sua mole, a uscire sul perimetro ci penseranno gli altri. In attacco interpreta il ruolo di stretch big purissimo per aprire corridoi alle scorribande di Giannis Antetokounmpo.

I centri avversari devono allontanarsi dal canestro per marcarlo da vicino, altrimenti Lopez li punirà dalla distanza. Se si proiettano i 6.5 tentativi da tre in stagione, il valore sulle partite che mancano alla fine della regular season qualificherà Lopez come il big man col volume di triple più alto di sempre. La percentuale è discreta, 36.5%, soprattutto se aggiungiamo all'equazione l'alto coefficiente di difficoltà di alcune sue soluzioni: non è raro vederlo danzare in aggraziati, seppur lenti, step back, o scagliare il tiro da fermo, ben oltre i sette metri, con la mano del difensore a fargli ombra sulla faccia. Guardia tiratrice imprigionata nel corpo di un centro, talvolta Lopez si sente così caldo che prova l'heat check come farebbe un Curry qualsiasi, bombe sconclusionate a difesa schierata per vedere se va – e a volte, va. La sua esultanza, una novità quasi assoluta (fino al 2016 aveva segnato solo tre triple in carriera), nasce da qui. Brook è caldo, fumante, smoking hot. Mentre corricchia all'indietro verso il suo gabbiotto da occupare in difesa, aspira un ultimo tiro dal sigaro (o più probabilmente dallo spinello, ma la lega ancora non se n'è accorta o fa finta di non vedere), lo spegne e lo getta a terra con grandi svolazzi della mano.

L'esultanza è facilmente replicabile se vi sentite vittime della stessa maledizione che affligge Lopez, se cioè i limiti oggettivi del vostro corpaccione grande e grosso non vi permettono di mostrare la squisita purezza dei vostri fondamentali. Mentre i compagni sbraitano per convincervi a correre sotto canestro per fare a sportellate, voi appostatevi beati sul perimetro: prima di permettervi l'esultanza, però, conditio sine qua non è mandare a segno almeno tre triple consecutive.


Robin Lopez: A Good Ol' Cuppa

Difficoltà di esecuzione: 8

Rischio imbarazzo: 5

Coefficiente swag: 7

La parabola dei gemelli Lopez è bizzarra, anche perché Robin sembrava sotto tutti gli aspetti quello sfigato del duo. Quanto Brook era elegante, tanto Robin era legnoso. Quanto Brook era preciso nei fondamentali, tanto Robin aveva mani da carpentiere. Quanto Brook sfoggiava un look da perfettino, col capello rasato e il viso pulito, tanto Robin diventava il sosia di Telespalla Bob. La carriera agonistica in NBA non ha regalato grandi soddisfazioni a nessuno dei due, ma Robin ha orbitato nei pressi del successo con due stagioni di spessore a Portland. Non a caso, col passare del tempo ci si convinceva che, dei due gemelli, proprio lo sgraziato Robin fosse il più adatto per l'NBA contemporanea, con la sua attitudine difensiva abbinata a un decoroso atletismo. Tutto questo prima che coach Budenholzer atterrasse a Milwaukee e rinvigorisse Brook col soffio divino, trasformandolo in uno dei migliori cecchini della lega – mentre Robin marciva a Chicago talmente triste da non intrattenersi più nemmeno a picchiare le mascotte.

Cosa poteva risollevare il morale di Robin, se non imitare Brook nelle sue improvvise prodezze balistiche? Ecco che anche il gemello sfigato comincia a tirare da tre punti; lo stile è quello ruvido di sempre, ma 7 volte su 31 la conclusione va a segno, per ora rigorosamente dalla punta e col difensore più vicino che occupa uno ZIP Code differente. Con l'esultanza, i ruoli si ribaltano di nuovo in una singolare forma di poesia: se il gemello perfettino fa il gradasso buttando per terra la cicca, il capellone Robin inzuppa il filtro nella tazzina e butta giù un sorso di tè, tenendo delicatamente la ceramica immaginaria tra due dita. Che relazione sussista tra questo gesto e l'atto di segnare una tripla fatichiamo a decifrarlo, ma in fondo non importa.

L'esultanza di Robin Lopez incarna quel momento di follia in cui tutto vi è concesso: avete appena mandato per aria un tiro senza capo né coda, ma la sorte vi ha premiati col canestro da tre punti e il campo è tutto vostro.


Esultanze da sbloccare: modalità PRO

Quando avrete padroneggiato le tecniche precedenti potrete cimentarvi nell'imitazione di questi esempi storici. Non provateci prima di aver acquisito una totale sicurezza nei vostri mezzi: si tratta di esultanze per professionisti del tiro da tre punti, occasioni di dileggio garantito se non avete il physique du rôle.

Marco Belinelli: Big Balls

Nel 2013 Belinelli giocava coi Chicago Bulls, e nei playoff della Eastern Conference si trovò a fronteggiare i Brooklyn Nets in una serie combattuta. In gara-7 mise insieme 24 punti dalla panchina con qualche tripla pesante per aiutare i suoi a passare il turno. L'esultanza che sfoggiò non era un unicum (l'aveva proposta anche Sam Cassell in passato), ma il gesto del Beli che mima due gigantesche gonadi rimane fresco nella nostra memoria – anche perché l'NBA dissuase eventuali emuli con una multa da 15.000 dollari. Imitatela a vostro rischio e pericolo: se non avete i giusti attributi, non se ne parla nemmeno. Se c’è il rischio che arrivi una multa, neanche.

J. R. Smith: Praise the Lord

La fantasia di J. R. Smith è troppo ampia per essere contenuta nei 28 metri di un parquet NBA. La sua mente viaggia su piani sconosciuti ai giocatori comuni. Quando costò ai suoi Cavs un eventuale overtime in gara 1 delle ultime Finals, in realtà era lui ad avere ragione e tutti gli altri torto: nella linea temporale di J. R. i Cavs erano davvero avanti nel punteggio.

Per riassumere le sue esultanze ci vorrebbe un'esposizione monografica, ma menzioniamo intanto la più iconica, una tripla da metà campo allo scadere del cronometro quando giocava coi New York Knicks. Inginocchiamento plastico, sguardo rapito dall'estasi e mani che si muovono coreografiche come negli esuberanti sermoni cantati dai pastori di colore. Se ci provate a partita in corso, sappiate che l'azione seguente proseguirà senza di voi. Ma se godete di ispirazione divina come J.R. ne varrà la pena.

Gilbert Arenas: Walk Away

Il suo momento di grazia durò poco, ma in quel periodo Gilbert Arenas era inarrestabile. Agent Zero riponeva una tale fiducia nei propri mezzi da conoscere in anticipo l'esito dei tiri. Quando i suoi Wizards affrontano i Jazz, nel gennaio 2007, dopo aver lanciato la tripla dal palleggio volta le spalle al difensore col pallone ancora in aria. Ovviamente entrerà; sarà un game winner sulla sirena. Le braccia allargate e levate in aria simboleggiano il potere demiurgico di chi modellava le partite secondo la propria volontà.

Questa è l'esultanza in assoluto più difficile da imitare. Non per niente conta vittime illustri come Nick Young e Kemba Walker, che per metterci il carico l'ha pure mixata con lo Shimmy. Se fallite l'imbarazzo vi perseguiterà per ogni campetto e palestra della provincia. C'è posto per un solo Agent Zero, dopotutto.




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