Fateci caso: quante volte avete sentito di un calciatore che ha sventato una rapina? Esiste, lo sappiamo, tutta una casistica di calciatori rapinati, in casa o in strada, e insomma possiamo capirne i motivi, ma perché così tanti calciatori sventano rapine? (apro una parentesi per soffermarmi sul verbo sventare, che è un bel verbo, e che - secondo Treccani - ha come prima definizione «Svuotare un recipiente dell’aria o del gas che vi sono racchiusi o compressi»).
L’ultimo in ordine di tempo è stato Victor Lindelof, eroe per aver disarcionato un ladro in bicicletta nella sua città natale di Västerås, dopo che questi aveva scippato un’anziana signora. Certo, quello che fanno i calciatori finisce sui giornali e bisognerebbe sapere a quante persone in media nella vita capita di assistere e influenzare una rapina prima di farne un caso, tuttavia la storia di Lindelof è esplicativa di come, per qualche motivo, le vite dei calciatori sono diverse dalle nostre anche quando si parla di furti. Quante sono le possibilità di trovarsi davanti a un tentativo di scippo in Svezia? A Västerås, poi, città famosa per la cattedrale e per il più antico ginnasio di Svezia fondato da Johannes Rudbeckius. Non solo: uno scippo, in bicicletta, di un’anziana di novant’anni, un ladro ecologico e senz’anima. Io vivo a Roma da più di trent’anni e non ho mai assistito a una rapina e non mi sembra una cosa così strana. Una volta hanno rapinato le Poste vicino al negozio di fumetti in cui ero andato a guardare un amico giocare a Diablo in lan, ma ecco, questo è il massimo, e l’ho saputo dopo.
Dopo la tentata rapina, la polizia di Västerås in un comunicato ha ringraziato un generico uomo: «Si dice che un uomo che si trovava nelle vicinanze abbia inseguito il sospetto colpevole, lo abbia raggiunto e lo abbia trattenuto finché la polizia non è arrivata sul posto», ma più che di un uomo qualunque sembrano parlare di un uomo-ragno o un uomo-pipistrello, insomma un uomo la cui identità deve rimanere segreta, ma che è evidentemente una persona migliore dei comuni cittadini. «L’uomo che è intervenuto in maniera straordinariamente rapida era di corporatura atletica. Questo è tutto quello che posso dire al momento» così Daniel Wikdahl, poliziotto locale, ha liquidato chi gli chiedeva se quell’uomo fosse realmente Lindelof (notizia poi confermata dal giornale svedese Aftonbladet), aggiungendo anche che «l’uomo che è corso dietro al sospetto era ovviamente molto veloce negli scatti brevi» e chissà cosa ne pensano i tifosi del Manchester United di quest’ultima affermazione.
Come dicevo, Lindelof non è l’unico calciatore-eroe. Un topos finito addirittura nella pubblicità di una marca di pneumatici giapponese in cui Montolivo, Abate, Honda e De Sciglio (più una ragazza in costume) inseguono e fermano due malviventi in fuga su una moto con - letteralmente - una sacca piena di soldi in spalla.
I calciatori-eroi si dividono in due categorie: quelli che intervengono per salvare altri, caso più raro, e quelli che salvano se stessi, che - comunque - è una scelta non così scontata. Ecco i casi più eclatanti.
Eddy Onazi
«Ero a cena con mio fratello e vicino a noi c’era un gruppo di turisti. Ho visto un ragazzo e ho subito intuito che voleva rubare qualcosa». Onazi intuisce la presenza di un ladro - chissà se per via delle occhiate furtive o magari aveva un passamontagna - e quando avviene il furto è pronto a intervenire.
La ricostruzione dell’episodio, avvenuto in un ristorante nei pressi della Stazione Termini di Roma, evidenzia un primo piccolo pattern: se Lindelof, difensore centrale di quasi 190 centimetri, ha puntato su stazza e rapidità nel breve, Onazi, centrocampista centrale di rottura, ha usato l’abilità nelle letture e la resistenza: «Mi sono messo sulle sue tracce, ho corso per 300 metri, lo scippatore ha lasciato il portafoglio sotto una macchina, ma io l’ho rincorso e riportato al ristorante, evitandogli le ire della gente». In una città alla continua ricerca di eroi, Onazi è diventato per qualche giorno la storia da raccontare, addirittura invitato in Campidoglio “per una stretta di mano”. È dovuto intervenire lo stesso giocatore per rimettere in prospettiva il suo intervento con una serie di tweet particolarmente ispirati: «Prego tutti voi di non dare troppo risalto alla mia azione, dal momento che sono solamente un ragazzo normale come tutti voi», «Vi prego infine di farvi vedere e rendere questa società un posto migliore. Grazie e che Dio vi benedica».
Thiago Cionek
Il ladro che in pieno lockdown si è infilato nella tabaccheria Segnali di fumo nel centro di Ferrara pensava forse di farla franca. Con la polizia impegnata a tenere le persone in casa e le persone, effettivamente, in casa, chi poteva fermare la sua fuga? Thiago Cionek, naturalmente. D’altronde dove ci si può aspettare di trovare un calciatore professionista durante una pandemia se non fuori da una tabaccheria?
Capelli biondo cenere, pelle sempre un filo abbronzata, collo taurino, Thiago Cionek si è gettato all’inseguimento del malvivente con una reazione istintiva tipica dei difensori che lottano per la salvezza, abituati a considerare ogni azione una questione di vita o di morte. Cionek con balzi felini - credo almeno, la ricostruzione dell’episodio è molto frammentaria - ha placcato lo sventurato ladro pochi metri fuori dalla tabaccheria, assicurandolo alla giustizia. Ringraziato personalmente, al telefono e sui social, dal sindaco, purtroppo nessuno ha pensato di chiedere al fermato se per caso non fosse tifoso della SPAL e cosa pensava del fatto che Cionek fosse stato in grado di fermare lui ma non la retrocessione della sua squadra del cuore.
Riccardo Meggiorini
«Da oggi lo chiameranno il centravanti gentiluomo», si apre così l’articolo di Repubblica in cui si racconta l’eroico atto di Riccardo Meggiorini, non per sventare una rapina, ma un tentativo di violenza sessuale. Svegliato intorno alle 2:30 di notte dalle urla di una donna in strada, lo storico attaccante del Chievo Verona non si è fatto intimorire ed è sceso rapidamente per tentare di riportare l’ordine. Non riuscendo però a calmare l’uomo - cito - «Meggiorini usa quello scatto che di solito gli serve per saltare i difensori e invece stavolta ha un senso diverso, piomba sull'aggressore, gli dà una violenta spallata che lo fa volare a terra».
Più dettagliato il racconto dello stesso Meggiorini «Gli sono andato incontro e gli ho dato una spallata e siamo finiti a terra. Qualsiasi altra persona gli avrebbe dato un pugno ma io no, non sono abituato, mai dato cazzotti in vita mia». All’arrivo dei carabinieri, però, nessuno ha riconosciuto Meggiorini, anche se pochi giorni prima aveva giocato 90 minuti in un pareggio 1 a 1 con la Lazio. L’attaccante però non cercava gloria personale: «Non mi sento un eroe [...] Non sopporto la violenza sulle donne nemmeno quando la leggo o sento news in tv, figuratevi vederle dalla finestra»
Mesut Ozil e Sead Kolasinac
Ozil e Kolasinac se ne stanno a chiacchierare poco fuori l’abitazione del terzino, quando dal nulla è spuntato un motorino con sopra due uomini da cui sono scesi due uomini con due caschi e un lungo coltello. La scena, ripresa da una telecamera, è piuttosto assurda. Mentre Ozil è al riparo nell’abitacolo, l’uomo con il coltello minaccia Kolasinac che per difendersi assume una posa quasi pugilistica. Saltellando e un po’ spaventato, il ladro si tiene a distanza ma allo stesso tempo con il coltello punzecchia il terzino dell’Arsenal mentre lo invita a cedergli l’orologio. Kolasinac, calmissimo nonostante la situazione, all’improvviso reagisce scagliandosi con violenza contro l’uomo e, inaspettatamente facendo arretrare i due di diversi metri.
Conosciamo questa parte della storia perché ripresa da una telecamera, un video diventato presto virale in cui sembra che Kolasinac - il difensore gigante - metta a rischio la propria incolumità per difendere Ozil - il trequartista scricciolo - dai cattivi. L’immagine di Kolasinac che come un pugile di difende da un coltello è effettivamente strana da guardare.
Quello che non si vede è il proseguimento, con Kolasinac salito in macchina in corsa, dove si trovava anche la moglie di Ozil, e la fuga conclusa in un ristorante nelle vicinanze. Un episodio che ha lasciato molto scosso il trequartista turco, che aveva trovato nella città di Londra un ambiente ideale dopo le critiche subite con la Nazionale. Questo episodio ha lasciato degli strascichi in Ozil anche per la presenza della moglie, come raccontato in un’intervista a The Athletic: «Sono tornato ad allenarmi e stava andando anche bene, ma la mia mente era sempre a casa con mia moglie. Era sola a casa e non sapevo cosa potesse succedere. Quindi pensavo solo “ok, allenati e torna da tua moglie”».
Duncan Ferguson
Duncan Ferguson è stato l'ideale dell’attaccante scozzese duro come la roccia e violento come uno sgherro in un film d’azione. Oltre nove cartellini rossi, Ferguson in carriera ha subito anche una condanna a tre mesi di reclusione per aver colpito un avversario con una testata quando indossava la maglia dei Glasgow Rangers. Se la punizione potrà sembrarvi esemplare, dovete sapere che arrivava dopo aver preso a testate un poliziotto, aver preso a pugni un postino in stampelle e dopo aver aggredito un pescatore.
Insomma Ferguson è il tipo di persona che reagirebbe a una rapina non per istinto, ma per volontà, perché la violenza è in parte il suo linguaggio. Ed è proprio quello che è accaduto la notte tra il 7 e l’8 gennaio del 2001, quando due malviventi - o malcapitati - si sono intrufolati nella sua casa vicino a Ormskirk, nel Lancashire (giocava all’Everton in quel momento). Ferguson, a quanto riportato, ha picchiato entrambi e - se uno dei due è riuscito a scappare - l’altro è stato bloccato in casa dall’attaccante fino all’arrivo della polizia, che l’ha dovuto portare in ospedale per curare le ferite subite (è stato ricoverato per 3 giorni).
«Beh, non ho voluto fargli troppo male. Avevo paura che i miei figli si impressionassero» così ha commentato l’episodio Ferguson.
Leonardo Bonucci
All’uscita di un concessionario, un uomo ha puntato una pistola in faccia a Leonardo Bonucci, che era con la moglie e il figlio piccolo, intimandogli di cedere l’orologio. Il difensore della Juventus ha reagito dando un pugno in faccia al rapinatore che, dopo essere caduto a terra, è fuggito verso un complice in moto poco lontano.
L’episodio è accaduto nell’ottobre del 2012, proprio nel picco della Juventus di Conte, dove Bonucci era una specie di santone pazzo dai piedi fatati. Il difensore era passato da "sciagura" a "uno dei migliori difensori al mondo", il primo di una nuova wave in grado di pensare come un centrocampista. Tra i motivi del suo successo era l’aiuto di un mental coach sui generis, che lo aveva portato nella sua cantina per prenderlo a pugni al buio oppure gli faceva mangiare caramelle all’aglio.
Insomma nel 2012 era perfettamente normale che Bonucci reagisse a una pistola puntata in faccia con un pugno, una reazione così assurda che lo stesso giocatore ha dovuto smorzare, affidando ai social un messaggio piuttosto piatto ma diretto:«quanto accaduto è stato frutto di una reazione istintiva e non di uno spirito di emulazione dei supereroi del cinema».
Massimo Cellino
Ok, Cellino non è un calciatore, ma fa parte del nostro immaginario calcistico da così tanto tempo che la differenza si nota appena. E se i calciatori ci sembrano naturalmente predisposti a reagire ai tentativi di rapina per via del loro status: giovani, forti, coraggiosi, ai presidenti della piccola e media provincia italiana dobbiamo riconoscere la capacità di difendere e valorizzare i propri averi, solitamente calciatori, in questo caso orologi.
Due rapinatori in moto lo hanno avvicinato all’uscita di un supermercato, dove era andato per comprare le batterie per il pedale della sua chitarra elettrica, cercando di sfilargli con la forza il Patek Philippe che aveva al polso. Cellino non ha però assecondato i due, reagendo invece e portando lo scontro sul piano fisico. «Ho appena avuto il tempo per reagire, girarmi e afferrare il casco per evitare che me lo desse in testa», così ha raccontato il presidente del Brescia quegli attimi concitati, riuscendo anche a colpire uno dei due con dei calci, «Mi diceva in francese di smetterla».
Cellino è riuscito a sventare il furto, non senza conseguenze però: nella colluttazione è rimasto ferito al naso ma non per un pugno dei malviventi, ma sbattendo contro la portiera della macchina. La dinamica non è chiara, «Non ricordo nemmeno quando sono rimasto ferito» ha detto il presidente, ma insomma se l’è cavata con un setto nasale incrinato, che gli ha impedito - per fortuna possiamo dire? - di assistere dallo stadio alla sconfitta per 6 a 2 nel derby contro l’Atalanta.
Bryan Cristante
«Appena mi sono accorto di cosa stesse accadendo, ho reagito dandogli due pugni talmente forti da spaccargli la visiera del casco», la reazione di Cristante a un bandito che si era infilato con la testa nella macchina del calciatore per rubargli il rolex è sembrata persino eccessiva, soprattutto considerando il giudizio che aleggia sul centrocampista della Roma, considerato dai tifosi uno moscio, come si dice a Roma: “una busta”. Effettivamente Cristante a Roma è apparso un po’ anemico, improvvisamente lontanissimo dal trequartista dinamico e martellante visto con l’Atalanta.
Anche per questo il tentativo di rapina subito da Cristante è diventato subito un meme tra i tifosi. Molti si sono chiesti quanto dovevano essere scemi o lenti i due banditi per non essere riusciti a derubare uno che sembra così poco sveglio come Cristante.
Eppure a quanto pare i due facevano parte di una “banda dei rolex” che terrorizza i possessori dei preziosi orologi e che inoltre risponde in maniera quasi perfetta all’ideale di bandito romano, che gira col T-Max, che ti frega con “il trucco dello specchietto” e che ti aggredisce al semaforo. La reazione di Cristante, anche naturale nelle sue parole, dimostra che i calciatori sono più predisposti delle persone normali - nella sfumatura per la quale gli sportivi professionisti sono diversi da noi - a reagire convinti di avere successo.
In fondo l’idea di poter vincere sempre uno scontro fisico è tipica dello sport ad altissimi livelli. Non importa se l’avversario potrebbe avere un coltello o una pistola o chissà cosa: se c’è una competizione, per un calciatore vincere è l'unica cosa che conta.