Francia
di Daniele Manusia
Ultimi piazzamenti: uscita ai quarti al Mondiale ‘15, alle Olimpiadi ‘16 e all’Europeo ‘17
Stella della squadra: Eugénie Le Sommer
Possibile sorpresa: Delphine Cascarino
Quando si parla di calcio femminile bisogna avere presente il terzo principio della dinamica, secondo cui ad ogni forza ne corrisponde sempre una uguale e contraria. Per questo a pochi giorni dall’inizio del Mondiale in cui la Francia è una delle favorite (anzi La favorita nelle previsioni di FiveThirtyEight) il filosofo Alain Finkielkraut (non nuovo a propositi provocatori) ha sentito di dover dire in tv che «non è così che voglio vedere le donne». Non è il solo a pensarla così, né l’unico a esprimere con violenza un’idea soggettiva in fin dei conti trascurabile, ma vediamo il lato positivo: è la forza uguale e contraria a quella che riempirà gli stadi francesi, un’amarezza opposta all’atmosfera di festa che si respirerà nelle nove città francesi ospitanti nei prossimi giorni.
Come nel resto del mondo, in Francia il movimento calcistico femminile è in costante crescita, basti pensare che dal 2011 il numero delle tesserate è più che raddoppiato arrivano a 180mila (numeri comunque lontani da quelli della Germania, che superava il milione già qualche anno fa). È sostenuto dagli investimenti tv (M6 paga ogni anno 5,5 milioni per le partite di preparazione al Mondiale della nazionale) e dall’interesse degli spettatori (5 milioni di francesi hanno guardato su TF1 la trasmissione in cui venivano annunciate le 23 convocate del Mondiale). Oltre che da una cultura più aperta sulla questione di fondo, quella della parità di genere, e tradizionalmente portata a seguire con interesse le vicende di ogni atleta nazionale di successo.
Parte del merito forse va anche al fatto che in Francia gioca il club di calcio femminile migliore al mondo (per Rory Smith, sul New York Times, la squadra più dominante in assoluto degli ultimi 10 anni) quel Lione che ha vinto le ultime quattro Champions League femminili (e che in campionato ha pareggiato 2 partite e vincendo tutte le altre, segnando 89 gol e subendone solo 6) e in finale di Champions dopo mezz’ora era avanti di 4 gol sul Barcellona (partita finita 4-1). Ma sarebbe semplicistico pensare che questa superiorità manifesta si travasi nella nazionale allenata da Corinne Diacre, anzi il senso stesso della missione francese in questo Mondiale va ricercato nelle motivazioni di calciatrici come Eugénie Le Sommer, che qualche tempo fa ha detto: «Con il club ho vinto tutto quello che potevo vincere, al contrario che con la Francia, con cui non ho vinto ancora niente».
Se il Lione rappresenta l’eccellenza del calcio femminile mondiale, perché oltre a diverse nazionali francesi ci giocano diverse altre stelle (tipo la prima Pallone d’Oro femminile, Ada Hegerberg, la numero 10 tedesca Dzsenifer Marozsán, l’inglese Lucy Bronze e l’olandese van de Sanden) e al tempo stesso lo squilibrio che regna a livello di club (il Paris Saint-Germain è arrivato secondo con 3 pareggi e una sola sconfitta, 0-5 contro il Lione, appunto); la Francia è forse la squadra che meglio di ogni altra rappresenta l’incertezza che tiene in equilibrio il calcio delle nazionali, e che rende più interessante e imprevisto il torneo che sta per cominciare. Al Mondiale del 2015, così come alle Olimpiadi del 2016 e all’Europeo del 2017 la Francia è uscita ai quarti (rispettivamente: uscendo rigori contro la Germania, perdendo 1-0 con il Canada e 1-0 con l’Inghilterra) dando sempre l’impressione di aver raggiunto i risultati non all’altezza del proprio potenziale. Nonostante ciò, oggi il rischio è di proiettare troppe aspettative su una nazionale affamata ma che deve ancora dimostrare tutto.
Per questo, dopo la sconfitta in amichevole con la Germania (0-1), lo scorso febbraio, arrivata da 8 vittorie consecutive in un anno, Corinne Diacre ha detto che sarebbe stata utile per riportare tutti «con i piedi per terra», e che almeno così nessuno avrebbe detto che la Francia era «campione del mondo delle amichevoli».
Alla Francia non manca di certo il talento, a cominciare dalle lionesi Le Sommer (attaccante centrale o esterna a sinistra), Sarah Bouhaddi (portiere con più di 100 presenze in nazionale), Amandine Henry (capitana e centrale di centrocampo, forse una delle calciatrici più complete di tutto il torneo, con doti difensive pazzesche e un’intelligenza tattica che farebbe invidia a molti colleghi maschi), Wendie Renard e Griedge Mbock Bathy (centrali di difesa tecniche ed energiche Renard è alta quasi un metro e novanta ed è sorprendentemente veloce), l’ossatura del 4-2-3-1 di Corinne Diacre. Tutte calciatrici esperte, nel picco della propria carriera e con un talento incredibilmente solido e costante, come le 33enni Élise Bussaglia (centrale di centrocampo) e la trequartista centrale trentratréenne Gaëtane Thiney (del Paris FC), play offensivo e praticamente l’unica in campo che possa giocare il filtrante decisivo in area di rigore.
Dal punto di vista tecnico la Francia è una squadra solida con una concentrazione di talento offensivo sugli esterni, dove si giocheranno il posto altre due lionesi, Delphine Cascarino (ala destra, di origini antillesi) e Amel Majri (ala mancina ipertecnica, nata a Tunisi), con Kadidiatou Diani (ala sinistra del PSG, di origine maliana). Ma il posto libero sull’esterno potrebbe diventare uno solo, se Diacre scegliesse di dirottarci Le Sommer per far giocare al centro dell’attacco, come nelle ultime amichevoli, Valérie Gauvin, molto forte nei duelli in area di rigore, anche di testa. Tutte possono aggiungere qualcosa al talento di Thiney e Le Sommer nell’ultimo terzo di campo, dove la squadra di Diacre, molto equilibrata, a tratti sembra un po’ rigida e prevedibile, e Cascarino avrebbe il talento fisico e tecnico per diventare la stella assoluta del Mondiale e parte leggermente avvantaggiata.
Se il talento offensivo a disposizione è di primissimo livello, in fase difensiva la Francia punta molto sulla solidità dei suoi centrali e sulla concentrazione nei momenti più confusi. Corinne Diacre è stata la prima allenatrice di una squadra professionista maschile, e potrebbe far diventare la Francia la prima nazione ad avere la squadra maschile e quella femminile contemporaneamente campioni del mondo, e per vincere sarà utile riuscire a ricreare quella stessa alchimia che permetteva alla squadra di Deschamps di gestire i momenti. Insomma, la Francia ha le carte in regola per vincere, ma non è l’unica. Può vincere e perdere con tutte le altre favorite al titolo e la differenza la farà l’aspetto mentale, oltre che quel po’ di fortuna necessaria a tutte le squadre che vogliano anche solo sperare di arrivare fino in fondo.
Olanda
di Dario Saltari
Ultimi piazzamenti: uscita agli ottavi al Mondiale ‘15, vittoria all’Europeo ‘17
Stella della squadra: Vivianne Miedema
Possibile sorpresa: Daniëlle van de Donk
L’Olanda è la nazione che di fatto ha dato vita al calcio femminile per nazionali, partecipando nell’aprile del 1971 alla prima partita internazionale tra donne riconosciuta dalla FIFA, contro la Francia. Eppure la sua affermazione come nazionale in grado di dare qualcosa al calcio europeo e internazionale è recentissima: prima del 2009 non era mai riuscita a qualificarsi nemmeno a un Europeo, mentre la sua prima presenza a un Mondiale è datata addirittura 2015. Quel primordiale match contro la Francia forse era stato premonitore, se pensiamo che l’Olanda venne sconfitta per 4-0.
Da quando è riuscita a rientrare nei tornei internazionali, però, la crescita delle “Oranje” è stata esplosiva e improvvisa, come se la nazionale femminile volesse legittimare nel minor tempo possibile la tradizione che l’Olanda vanta in questo sport. E così, dal 2009 a oggi su tre edizioni degli Europei sono arrivati un terzo posto e una vittoria, all’ultima edizione casalinga del 2017, mentre nella scorsa edizione dei Mondiali, in Canada, l’Olanda è stata fermata agli ottavi dal Giappone, sconfitto solo in finale dagli Stati Uniti. Oggi la nazionale di Sarina Wiegman è ottava nel ranking mondiale e arriva al Mondiale francese con i gradi della favorita.
Se l’Olanda ha ottenuto così tanto in così poco tempo deve molto in primo luogo proprio alla sua allenatrice. Sarina Wiegman è stata la prima calciatrice ad andare oltre il muro delle 100 presenze con la nazionale, infrangendo nel 2001 un record che resisteva ancora anche nel calcio maschile (il primo giocatore olandese a raggiungere le 100 presenze in nazionale è stato Frank de Boer, nel 2003). È seduta sulla panchina della nazionale da circa due anni e mezzo, dopo un’esperienza molto positiva all’ADO Den Haag, e da quando è arrivata la storia dell’Olanda è cambiata del tutto.
Ingaggiata alla fine del 2016 in sostituzione dell’esonerato van der Laan in un momento di forte scoramento per le sorti della nazionale, dato che l’Olanda veniva da quattro sconfitte nelle ultime cinque amichevoli a soli sei mesi dall’Europeo che avrebbe dovuto ospitare, Wiegman è riuscita in pochissimo tempo a dare un identità chiara alla sua squadra senza però rivoluzionare il gruppo. Identità che le ha permesso di vincere quell’Europeo senza mai concedere punti all’avversario e di scrivere così il proprio nome accanto a quello di Rinus Michels, l’unico altro allenatore capace di portare l’Olanda a vincere un torneo internazionale (anche in quel caso un Europeo). Anche i principi di gioco di Wiegman seguono fedelmente le orme del maestro del gioco di posizione, fattore che forse più degli stessi risultati le hanno permesso di guadagnarsi l’affetto del pubblico di casa.
L’Olanda gioca infatti con un 4-3-3 piuttosto rigido, che abbandona la sua struttura posizionale solo in fase di recupero del pallone: quando, cioè, l’Olanda prova a pressare alto, stringendo dentro al campo una delle due ali per portare il possesso avversario verso la linea del fallo laterale; e quando tenta di recuperare il pallone appena perso, portando le sue giocatrici a scalate molto aggressive per fare densità in zona palla. Quando è in possesso, invece, la squadra di Wiegman cerca sempre di mettere più giocatrici possibili dietro le linee di pressione avversarie, compresa la regista Spitse (anche la giocatrice con più presenze nella storia della nazionale olandese femminile), che contribuisce alla fase di prima costruzione relativamente poco. Non è un caso, in questo senso, che l’Olanda a inizio azione mantenga entrambi i terzini bloccati, per dare uno sbocco esterno facile alle due centrali, che dovrebbero essere Bloodworth e una tra van der Gragt e Dekker.
L’Olanda, però, concentra gran parte del proprio talento nella trequarti offensiva, e soprattutto a sinistra, dove le connessioni tecniche tra Lieke Martens e Daniëlle van de Donk costituiscono di fatto il fulcro creativo della squadra. La squadra di Wiegman costruisce a sinistra per finalizzare a destra, dove van de Sanden stringe spesso per attaccare il lato debole. Certo, la circolazione palla e il gioco dell’Olanda non è sempre sufficientemente brillante per permetterle di arrivare a raggiungere l’obiettivo del gioco di posizione, cioè far risalire il pallone per vie centrali, e quindi deve far spesso far affidamento a lanci lunghi e cambi di gioco per cercare le due ali, larghe e in isolamento con il terzino avversario - una buona idea soprattutto quando la palla va a sinistra, dove Martens supera l’avversario con estrema facilità.
I momenti migliori del gioco di Wiegman arrivano, come detto, quando il talento di Martens e quello di van de Donk entrano in connessione, prendendosi delle libertà che sembrano non essere concesse alle altre giocatrici. Per esempio, quando Martens viene dentro al campo a ricevere nel mezzo spazio di sinistra per liberare la trequarti e permettere a van de Donk di agire da trequartista pura. In questo senso, lo stato di forma delle giocatrici che compongono la catena di sinistra, completata dal terzino van Es, sarà fondamentale per le fortune offensive dell’Olanda, insieme ovviamente ai gol di Miedema.
Il gol contro la Danimarca ai playoff per le qualificazioni ai Mondiali nasce proprio da una ricezione di Martens tra le linee che libera lo spazio sulla trequarti a van de Donk.
Pochi giorni fa l’Olanda ha dato un’altra dimostrazione di forza battendo nettamente una delle favorite alla vittoria finale, e cioè l’Australia, per 3-0, in amichevole. La squadra di Wiegman arriva in grande fiducia, insomma, ma dimostrare di poter essere competitiva anche al Mondiale non sarà semplice, a partire dal girone. L’Olanda è di sicuro la testa di serie insieme al Canada, ma Nuova Zelanda e Camerun sono cresciute molto a loro volta negli ultimi anni e possono rivelarsi avversarie più insidiose di quanto non sembra.
Ciò di cui possiamo essere ormai sicuri è che le “Oranje” sono ormai una squadra di livello, con la preparazione tattica e il talento per arrivare fino in fondo. Certo, la vittoria del Mondiale sarebbe il coronamento simbolico perfetto per la crescita di un movimento che ha pochi eguali nella storia di questo sport, a dieci anni esatti dalla prima storica qualificazione a un torneo internazionale.
Germania
di Emanuele Atturo
Ultimi piazzamenti: uscita ai quarti ai Mondiali '15, oro alle Olimpiadi '16 e uscita ai quarti agli Europei '17
La stella: Dzsenifer Marozsán
Possibili sorprese: Lea Schüller, Lina Magull.
Il biglietto da visita della nazionale tedesca a questi Mondiali è un video dal messaggio forte, diventato subito virale. «Giochiamo per una nazione che non conosce neanche i nostri nomi» dice all’inizio dello spot Alexandra Popp, capitano della Germania e una delle calciatrici più vincenti del calcio tedesco. «Non giochiamo solo contro gli avversari, ma anche contro i pregiudizi» dicono tutte, sorridendo, mentre prendono il tè in un salotto che crea un cortocircuito fra la loro immagini di donne forti e atlete e quella calma e familiare a cui le vorrebbe associate il pregiudizio.
Quello del tè è un rimando storico. Nel 1989 la Germania Est femminile organizza e gioca il suo primo torneo internazionale, un campionato europeo che la Germania si aggiudica battendo in finale la Norvegia (in semifinale aveva battuto l’Italia, per dire quanto fossero lontani i tempi). In Germania è considerato un momento di svolta per tutto il movimento, ma i vertici della Federazione hanno ricompensato le vincitrici con un servizio da tè ciascuna.
Due anni dopo la Germania vincerà il suo secondo titolo europeo, e 12 anni dopo il suo primo Mondiale. Oggi la Germania è una delle nazionali femminili più titolate al mondo, con 2 Mondiali, 8 Europei e un oro olimpico, ma se ha deciso di comunicarsi in un modo così politico è perché persino in Germania la situazione del calcio femminile non è esattamente rosea. Gli investimenti della federazione sul calcio femminile sono di 5 milioni di euro, un settimo del budget del maschile e meno di un terzo di quelli che la federazione inglese versa nel femminile.
La nazionale tedesca non arriva tra le favorite a questi Mondiali. I risultati recenti sono stati ambigui: pur essendosi laureata campione olimpica a Rio nel 2016, è stata eliminata ai quarti di finale degli Europei del 2017 per mano della Danimarca. In più, la squadra arriva a questi Mondiali in un periodo di transizione, con diverse campionesse olimpiche che hanno dato l’addio e delle giovani che devono ancora affermarsi ad alti livelli.
Anche la guida tecnica viene da un periodo travagliato. La Germania si è qualificata ai Mondiali con in panchina Horst Hrubesch, ex allenatore dell’Under-21 tedesca ma poi è stata affidata a Martina Voss-Tecklenburg. Leggenda del calcio tedesco - 250 presenze con la nazionale - con un curriculum interessante non solo come calciatrice: alla guida per sei anni della selezione svizzera, è riuscita a qualificarla per la prima volta a un campionato mondiale prima, nel 2015, e a uno europeo due anni dopo.
Voss-Tecklenburg ha 52 anni e dice di ispirarsi a Klopp, che ha potuto osservare direttamente sul campo nel 2011, all’epoca del Borussia Dortmund. «Prima di ogni partita riusciva a dare ai suoi giocatori un piano diversa. È quello che proverò a fare anch’io: le mie giocatrici avranno sempre un piano A, B e C con cui possono sentirsi al sicuro» ha dichiarato in una delle sue prime interviste, nel dicembre scorso. Accanto a lei ci sarà la leggenda Birgit Prinz, primatista di presenze e reti con la Germania e che porterà la sua esperienza di psicologa sportiva, maturata nell’Hoffenheim maschile, al servizio della nazionale.
La Germania gioca con un 4-2-3-1 aggressivo e dalla mentalità offensiva, che cerca di dominare il campo col possesso e con una fase difensiva coraggiosa. Quando le avversarie impostano Marozsán (il trequartista centrale) e Popp (la punta) si posizionano al centro per schermare le linee di passaggio verso i centrocampisti; la squadra si schiera con un blocco medio-alto, con la difesa sopra la propria trequarti. Quando gli avversari vanno sulle fasce scatta un pressing più aggressivo, che la Germania applica però soprattutto nelle fasi di riconquista, dove prova a sfruttare anche una supremazia fisica che ha rispetto a molte squadre avversarie.
In fase di possesso la Germania riflette la propria identità di squadra organizzata e offensiva ma tutto sommato piuttosto lineare. La difesa prova a impostare da dietro sempre palleggiando e con calma, ricorrendo spesso al portiere, a volte abusandone. Contro il Giappone - una delle selezioni col pressing più organizzato - la Germania ha subito due gol dopo aver perso palloni sanguinosi col portiere in impostazione. I due mediani non vengono coinvolti molto e si passa più dagli esterni, da dove poi si cerca di tornare al centro con delle tracce diagonali verso i trequartisti. Le tre giocatrici sulla trequarti sono quelle con la maggiore qualità tecnica e con i loro movimenti determinano il modo in cui la Germania decide di attaccare. Passando per le catene laterali e i cross, o creando densità in zona centrale.
Tutte le giocatrici offensive, comunque, si muovono in maniera fluida, scambiandosi spesso la posizione. Svenja Huth gioca di solito sull’esterno destro, ma ha caratteristiche e movimenti da punta e spesso prende la posizione del capitano Alexandra Popp, che può allargasi sull’esterno. Dall’altra parte il posto è più in bilico - la Germania ha giocato solo 4 partite con la nuova allenatrice ed è in generale difficile fare previsioni di formazione - ma sembra favorita la 22enne Lea Schüller, che gioca punta centrale nell’Essen. La Germania potrebbe anche decidere di schierare Lina Magull, più tecnica e brevilinea, che a volte viene impiegata anche tra i due mediani contro avversari meno quotati.
A manovrare i movimenti senza palla di tutte queste giocatrici fisiche e verticali c’è, al centro, Dzsenifer Marozsán, la stella della squadra e una delle giocatrici per cui varrà la pena guardare i Mondiali. Se volete dei dati concreti del valore di Marozsán, è stata giocatrice dell’anno in Germania nel 2017 e nel 2018; giocatrice dell’anno del campionato francese nelle ultime tre stagioni, dove gioca nel Lione insieme al Pallone d’Oro Ada Hegerberg. Ha vinto un numero enorme di trofei col suo club, e solo con la sua nazionale ha vinto un Mondiale U-20, un Europeo e un oro olimpico. Ma basta vedere giocare Marozsán per accorgersi di quanto sia unica e speciale nel contesto del calcio femminile. È un numero 10 con una sensibilità tecnica assolutamente fuori scala, maestosa nei dribbling difensivi e nella gestione del pallone negli spazi stretti. La sua qualità migliore però è una visione di gioco che le permette di trovare delle rifiniture che un secondo prima non sembravano neanche esistere.
Dallo stato di forma di Marozsán dipenderà molto della capacità competitiva della Germania in questi Mondiali francesi. Voss-Tecklenburg ha dichiarato un obiettivo in fondo alla portata: «Vogliamo qualificarci per i giochi olimpici e potrebbe bastare anche l’ingresso ai quarti di finale. Da quel momento in avanti è tutto di guadagnato».
Giappone
di Daniele V. Morrone
Ultimi piazzamenti: finalista al Mondiale ‘15, campione dei Giochi Asiatici ‘18, campione della Coppa d’Asia ‘18
Stella della squadra: Mana Iwabuchi
Possibile sorpresa: Yui Hasegawa
Sono circa 40000 le giocatrici di calcio registrate in Giappone, parliamo di un movimento calcistico chiaramente ormai maturo, con un campionato di livello e una nazionale che ha dato molte soddisfazioni negli ultimi 10 anni: dalla vittoria del Mondiale 2011, alla medaglia d’argento alle Olimpiadi 2012, alle due Coppa d’Asia consecutive nel 2014 e nel 2018, con in mezzo la finale al Mondiale raggiunta nel 2015. E dopo un decennio di successi è stato scelto proprio questo Mondiale per fare un drastico ricambio generazionale. Anche perché dopo il Mondiale 2015 si è ritirata la più grande giocatrice giapponese di sempre, Homare Sawa, che ha il record sia di presenze che di gol col Giappone dopo 22 anni in nazionale, ma anche Aya Miyama e Shinobu Ohno, che sono le due subito dietro per presenze. Non sono più in nazionale anche giocatrici come Yuki Nagasato e Kozue Ando. Prendendo quindi la rosa del Mondiale, sono 5 le reduci dalla vittoria del 2011 (il capitano Saki Kumagai, la centrale difensiva Aya Sameshima, le centrocampiste Mizuho Sakaguchi e Rumi Utsugi e l’attaccante Mana Iwabuchi), di cui nessuna ha più di 31 anni e sono ben 10 le convocate che hanno meno di 23 anni.
Non è un caso allora se è stata scelta come allenatrice Asako Takakura, ex giocatrice di successo e la prima donna ad allenare il Giappone. Takakura infatti viene dalle selezioni giovanili ed è già stata in carica dell’U-17 (con cui ha vinto il Mondiale 2014) e dell’U-20 (con cui è arrivata al terzo posto nel 2016) e ha quindi in sostanza cresciuto la generazione che ora porta al Mondiale. Dopo aver vinto la Coppa d’Asia 2018 avendo integrato le migliori giocatrici della sua esperienza nelle giovanili, Takakura ha scelto di abbassare ulteriormente l’età media portando al Mondiale addirittura 8 giocatrici con meno di 10 presenze in nazionale. Solo 2 convocate poi giocano fuori dal Giappone, le due veterane Saki Kumagai di 28 anni e Rumi Utsugi di 30.
Come detto proprio da Rumi Utsugi al ritiro pre-Mondiale: «Il calcio del Giappone è tipicamente fondato sull’organizzazione e l’intelligenza dei movimenti, noi proveremo a combinare questo con idee creative e fresche, cosa che esiste soprattutto nelle più giovani della squadra». Anche perché come ha ricordato la giovane centrocampista Yuka Momoki, il Giappone è consapevole del gap fisico esistente: «La nostra forza sono l’impegno, la precisione nei passaggi e il lavoro tattico. Dobbiamo ammettere che non siamo allo stesso livello fisico con le migliori squadre del mondo. Ma abbiamo dimostrato che siamo capaci di essere competitive contro di loro».
Per questo Takakura ha impostato un Giappone che prova a restringere il campo di gioco per far valere la tecnica e aiutare il recupero immediato. Spesso sui rilanci del portiere tutto lo schieramento è raccolto tra il mezzo spazio e la fascia dove arriverà il pallone, così da essere sicuri di avere più giocatrici sulla seconda palla. Quello del Giappone è un 4-4-2 che con la palla in fase di attacco posizionale è in grado di muovere la difesa avversaria creando triangoli continui proprio grazie al talento tecnico e all’intelligenza nei movimenti di tutto il fronte offensivo.
In questo il lavoro dell’attaccante Mana Iwabuchi e delle due esterne Yui Hasegawa e Emi Nakajima è fondamentale. Iwabuchi ha 26 anni ed è la stella indiscussa della squadra, è in grado con il suo controllo del pallone, la sua tecnica con entrambi i piedi e il baricentro bassissimo (anche perché è alta 158 cm), di giocare anche circondata da avversari ed è quindi il punto di appoggio necessario per la sua squadra. Per questo è libera di muoversi dove meglio crede, e associandosi con le due esterne attua un lavoro di rifinitura decisivo. Anche perché le esterne sono più rifinitrici che ali che arrivano sul fondo, ad esempio Hasegawa che ha 22 anni ed è stata campione del mondo U-17 nel 2014, non è veloce né prestante (arriva ai 157 cm), ma ha un’ottima tecnica e conosce bene i tempi di gioco, sa riconoscere l’azione giusta da fare al momento giusto.
In finale di Coppa d’Asia 2018 Iwabuchi riceve sulla linea laterale e si libera nello stretto prima di servire il taglio di Hasegawa, il cui tiro però viene deviato fuori dal portiere.
Il Giappone non ha un pattern prestabilito per la manovra, preferisce far leggere e reagire ogni giocatrice a seconda di dove si trova il pallone. Punta sul talento tecnico e sulla telepatia nei movimenti tra giocatrici che parlano la stessa lingua calcistica. Per questo, nonostante possa sembrare la squadra più tecnica in campo, non è quella che punta a creare maggiori occasioni da gol, ma prova invece a sfruttare quelle giuste.
Il Giappone preferisce attivare poche giocatrici per volta con combinazioni veloci che quando riescono vicino all’area sono praticamente indifendibili, ma che ovviamente non possono essere la base di una strategia offensiva di 90 minuti e quindi portano anche a momenti di magra in cui risalta il lavoro in pressing, in riaggressione immediatamente dopo la perdita e l’attenzione ad avere due linee compatte e alte sul campo. Le due veterane Kumagai e Utsugi sono la colonna portante del Giappone senza palla: giocano una di fronte all’altra con il capitano Kumagai, che è regista davanti alla difesa del Lione campione di tutto, ma che nel Giappone è arretrata a difensore centrale e guida la linea difensiva con una comprensione del gioco da prima della classe. Tecnicamente sobria e impeccabile nella sua ambidestra, è poi la giocatrice che imposta nella costruzione dal basso.
Kumagai vede la compagna Nakajima che dall’esterno si posiziona libera dietro la linea del centrocampo della Cina e la serve con un laser pass perfettamente calibrato.
Le prestazioni altalenanti nelle amichevoli, dove Takakura ha però anche sperimentato molto nelle giocatori in campo e in cui si è dimostrato quanto dipenda forse troppo dal talento di Iwabuchi, non fanno presagire un Mondiale tra le favorite. Il Giappone è alle prese con un ricambio generazionale nella rosa e l’ambizione è quella di superare il girone e provare a giocarsela poi contro chiunque. Probabilmente non arriverà fino in fondo, ma a tratti può mostrare il miglior calcio del Mondiale.
Stati Uniti
di Marco D’Ottavi
Ultimi piazzamenti: campione del mondo '15 e campione CONCACAF '18
Stella della squadra: Alex Morgan
Possibili sorprese: Rose Lavelle, Mellory Pugh
Se c’è una squadra che è riuscita a squarciare il velo dell’indifferenza che per anni ha circondato il calcio femminile, quella è la nazionale degli Stati Uniti. Grazie a un movimento interno molto solido, nel 2006 le praticanti erano oltre il milione e mezzo, e a un interesse mediatico addirittura maggiore rispetto alla controparte maschile - culminato con la finale dei Mondiali del 1999 giocata e vinta in casa davanti a oltre 90000 spettatori - le giocatrici degli USA hanno sempre fatto la parte del leone sia in campo che fuori.
Il palmares della nazionale comprende 4 titoli olimpici (su 6 edizioni) e 3 mondiali (su 8 edizioni), tra cui l’ultimo giocato in Canada, ma l’importanza di questa squadra non si ferma ai titoli. L’otto marzo 2019 hanno fatto causa alla Federazione, sostenendo che per anni questa abbia applicato una discriminazione di genere nel trattamento tra la squadra maschile e quella femminile. Una battaglia importante, che con lo slogan “equal play for equal pay” è entrata nel dibattito sulle disparità di genere nel mondo del lavoro, anche grazie all’impegno di alcune delle giocatrici più rilevanti quali Alex Morgan, Carli Lloyd, Becky Sauerbrunn e Megan Rapinoe. Una disparità che non riguarderebbe solo l’aspetto economico, legato a bonus e premi partita, ma anche la qualità degli allenamenti e delle infrastrutture, il trattamento medico e sanitario e perfino le condizioni di viaggio nelle trasferte.
Per il modello statistico di FiveThirtyEight gli Stati Uniti sono la seconda squadra favorita per la vittoria finale del Mondiale. Il ranking FIFA le mette invece al primo posto. Dopo aver dominato negli anni più di nicchia del calcio femminile, gli Stati Uniti proveranno in tutti i modi a confermare la loro superiorità anche in questa edizione, forse la più importante di sempre.
Negli anni la nazionale statunitense ha costruito il proprio predominio su una superiorità atletica spesso netta, che però si sta assottigliando. Nelle Olimpiadi del 2016 sono state eliminate ai quarti dalla Svezia, in grado di pareggiare il livello fisico nelle varie zone del campo e portarle ai rigori. Dopo quella partita l’allenatore, Jillian Ellis, ha deciso di cambiare l’impronta della squadra, sperimentando molto. In due anni e mezzo sono state provate ben 61 giocatrici, trovando però alla fine la quadra intorno a un nucleo esperto e affiatato: 11 delle 23 convocate infatti hanno oltre i 30 anni, solo 2 sono sotto i 25 e quasi tutte hanno già partecipato a un mondiale (12 hanno vinto l’edizione del 2015). Una scelta chiara dell’allenatore, convinta che le possibilità di vittoria della squadra passino dalla capacità del gruppo di adattarsi a una competizione complicata: «la Coppa del Mondo non è il momento per investire sulle giocatrici», «la Coppa del Mondo è il momento per vincere» ha dichiarato recentemente.
Gli Stati Uniti si schierano con un 4-3-3 molto aggressivo, con un gioco prettamente verticale basato sulla tecnica e la velocità delle interpreti. Quando le avversarie attaccano, le linee di difesa e centrocampo sono sempre molto alte e compatte. Il pressing non è esasperato, ma il recupero del pallone viene effettuato grazie alla densità in zona palla e all’anticipo, contando sulla superiorità fisica dei centrocampisti, come Lindsay Horan, l’MVP della NWSL, in grado di dare un grande contributo in fase di recupero palla.
Una volta riconquistato il possesso, c’è una ricerca quasi esasperata di occupare la trequarti avversaria nella maniera più rapida possibile, o tramite le conduzioni palla al piede di giocatrici come Rose Lavelle e Julie Ertz o cercando direttamente i tre attaccanti, a cui viene chiesto un lavoro in copertura quasi nullo per permetterle di essere sempre pronte a guidare transizioni lampo. Megan Rapinoe, Alex Morgan e Tobin Heath assicurano infatti una talento offensivo che non può schierare quasi nessun'altra nazionale, sia in termini di gol che di atletismo.
Morgan è il riferimento centrale, una macchina da gol (101 in 163 presenze con la nazionale) semplicemente mortifera quando gli viene concesso il minimo spazio, ma anche in grado di abbassarsi tra le linee per giocare il pallone con qualità e lasciare l’area libera agli inserimenti di Rapinoe, l’esterno sinistro che ama accentrarsi per associarsi con Morgan, dotata di una sensibilità rara per l’ultimo passaggio (pur non disdegnando anche lei il gol). Forse meno talentuosa in zona gol è l’esterno destro Heath, che però può creare vantaggio grazie alla sua corsa e a un dribbling particolarmente creativo.
Al terzino basta un lancio lungo verso Alex Morgan, che in questa giocata dimostra di essere una delle giocatrici più forti al mondo.
Anche considerando la presenza di alternative valide come Carli Lloyd, Mellory Pugh e Christen Press, è facile capire cosa abbia spinto l’allenatrice a puntare su un atteggiamento così spregiudicato. Tuttavia nelle amichevoli di avvicinamento al Mondiale questa spinta offensiva ha portato risultati rotondi contro le squadre tecnicamente inferiori, ma ha anche mostrato qualche crepa contro avversari di livello maggiore. Nel 2019 Gli Stati Uniti hanno subito 10 gol nelle sfide più impegnative, contro Francia, Giappone, Inghilterra e Australia, vincendo solo contro quest’ultima. La fase difensiva in alcuni momenti sembra approssimativa, in estrema difficoltà nel difendere i tagli alle spalle e l’ampiezza. Il miglior elemento del pacchetto arretrato, Becky Sauerbrunn, ha 34 anni, mentre i terzini non sembrano a livello delle compagne (il destro, Crystal Dunn, è in realtà un esterno d’attacco adattato). Anche in porta, dopo l’abbandono del totem Hope Solo, Alyssa Naeher, che dovrebbe essere il titolare, non garantisce altrettanta sicurezza.
Nel secondo gol dell’Inghilterra la linea difensiva si è fatta cogliere totalmente impreparata.
L’altro problema per la nazionale statunitense potrebbe essere la pressione: in patria ogni risultato diverso dalla vittoria sarebbe una delusione e la squadra sente di dover vincere per continuare a essere il traino del movimento, che però si è avvicinato di livello. Tuttavia le migliori giocatrici hanno già dimostrato di saper dare il meglio sotto pressione e se riusciranno a mostrare una fase difensiva più stabile nel corso del torneo, per la vittoria finale tutti dovranno fare i conti con loro.
Australia
di Federico Aquè
Ultimi piazzamenti: uscita ai quarti ai Mondiali '15 e finalista Coppa d'Asia '18
Stella della squadra: Sam Kerr
Possibile sorpresa: Ellie Carpenter
Lo scorso gennaio il controverso esonero del commissario tecnico Alen Stajcic ha stravolto la preparazione al Mondiale della nazionale australiana. Stajcic era in carica dal 2014 e negli anni ha costruito la miglior squadra che l’Australia abbia mai avuto. Con lui le “Matildas” sono state per due volte finaliste in Coppa d’Asia, hanno raggiunto i quarti agli ultimi Mondiali e alle Olimpiadi di Rio e nel 2017 hanno toccato il punto più alto di sempre nel ranking FIFA, il quarto posto.
A gennaio, però, Stajcic è stato allontanato dopo che due indagini condotte dalla federazione hanno portato alla luce grandi livelli di stress e paura che avrebbero rovinato il clima all’interno della nazionale. Le circostanze che hanno portato all’esonero di Stajcic non sono comunque mai state chiarite del tutto. Alcune giocatrici, tra cui la stella Sam Kerr, hanno accolto la notizia con reazioni incredule e si sono schierate dalla parte del loro allenatore, mentre la federazione ha negato che la sua decisione fosse da collegare a qualche comportamento inappropriato di Stajcic, e gli ha anche chiesto scusa con un messaggio della vicepresidente Heather Reid, che a gennaio aveva fatto uscire la storia informando i giornalisti, ma non ha dato ulteriori motivazioni.
Simon alla fine non è stata convocata perché non ha recuperato la forma migliore dopo un’operazione alla caviglia. Al suo posto è stata chiamata la sedicenne Mary Fowler.
Come successore di Stajcic è stato quindi scelto Ante Milicic, alla sua prima esperienza nel calcio femminile dopo essere stato per diversi anni un assistente nella nazionale maschile, con la quale ha partecipato agli ultimi due Mondiali.
Poco dopo aver firmato un contratto come commissario tecnico della nazionale femminile fino al 2020, Milicic ha però accettato l’offerta del Macarthur FC, un nuovo club che entrerà nella A-League, il massimo campionato australiano, a partire dalla stagione 2020/21. In pratica Milicic guiderà le “Matildas” al Mondiale e cercherà di portarle alle Olimpiadi di Tokyo dell’anno prossimo, sapendo già di lasciarle al termine dei Giochi olimpici per tornare al calcio maschile e allenare il Macarthur FC.
Essendo subentrato a febbraio, Milicic ha gestito solo l’ultima parte della preparazione al Mondiale, che includeva la Cup of Nations, un torneo a quattro squadre che, oltre all’Australia, comprendeva l’Argentina, la Corea del Sud e la Nuova Zelanda, e le amichevoli contro gli Stati Uniti e l’Olanda. Le “Matildas” hanno vinto tutte e tre le partite della Cup of Nations, ma hanno perso le ultime due amichevoli contro gli Stati Uniti (5-3) e l’Olanda (3-0), lasciando diversi dubbi sulla loro stabilità difensiva.
Milicic vuole una squadra che pressi e resti alta con la difesa e che, quando è in possesso, risalga il campo palleggiando. La costruzione da dietro non è però sempre pulita, un aspetto di cui si è lamentato anche Milicic dopo la sconfitta contro l’Olanda, e la linea difensiva si è fatta sorprendere spesso dai lanci che puntavano a scavalcarla cercando direttamente lo spazio alle sue spalle. E quando sono state costrette a difendere in area, le linee tendevano a schiacciarsi e a lasciare spazi al limite, diventando vulnerabili se la palla arrivava in quelle zone, con un cross all’indietro o dopo una respinta. Nella sconfitta contro l’Olanda si sono poi aggiunte le disattenzioni sui calci piazzati, che hanno permesso a van de Sanden di segnare una doppietta.
Il controverso esonero di Stajcic ha complicato l’avvicinamento al Mondiale e la necessità di adattarsi in fretta alle idee di Milicic potrebbe diventare un problema per le ambizioni della “Matildas”, che restano comunque una delle outsider più credibili dietro le grandi favorite.
L’Australia può infatti contare su una delle migliori giocatrici del torneo, Sam Kerr, dominatrice degli ultimi trenta metri e principale riferimento per finalizzare la manovra, e su una squadra piuttosto flessibile, capace di ruotare a centrocampo e di cambiare sistema con piccoli accorgimenti. Caitlin Foord può infatti affiancare Kerr o occuparsi di collegare centrocampo e attacco giocando da mezzala, Tameka Yallop nelle ultime due amichevoli ha giocato sia più aperta sulla destra che da mezzala, mentre van Egmond può essere il vertice basso davanti alla difesa o giocare insieme a un’altra centrocampista.
In difesa c’è molta attesa attorno a Ellie Carpenter, terzino destro 19enne premiata nelle ultime due stagioni come miglior giovane del campionato australiano, più abile a spingersi in avanti che a difendere, mentre l’infortunio di Laura Alleway, sostituita all’ultimo secondo da Karly Roestbakken, lascia Milicic senza un’alternativa di esperienza alle spalle delle centrali Alanna Kennedy e Clare Polkinghorne.
Nelle ultime tre edizioni dei Mondiali il cammino delle “Matildas” si è sempre fermato ai quarti, l’obiettivo in Francia è di fare un passo in avanti arrivando almeno alle semifinali.
Inghilterra
di Roberta Decarli
Ultimi piazzamenti: terzo posto ai Mondiali '15 e semifinali a Europei '17
Stella della squadra: Lucy Bronze
Possibile sorpresa: Beth Mead
Dopo due semifinali perse al Mondiale 2015 e all'Europeo 2017, l'Inghilterra punta in alto, forte di una qualificazione quasi perfetta – hanno fatto meglio soltanto la Germania e la Spagna – e delle recenti vittorie contro Giappone e Brasile, a cui si aggiunge una crescita sostanziale del movimento calcistico inglese. Nella fase a gironi non dovrebbe avere troppi problemi: a parte il Giappone, le altre squadre del gruppo D – l'Argentina nuovamente al Mondiale dopo 12 anni e la Scozia alla sua prima partecipazione – non dovrebbero dare troppi grattacapi alla squadra inglese. A suo svantaggio giocano però alcune incognite.
La prima è Phil Neville, l'allenatore dell'Inghilterra. La sua nomina a CT nel gennaio del 2018 è stata accolta con stupore, se non addirittura indignazione: fino ad allora infatti l'ex giocatore dello United e dell'Everton era stato secondo allenatore e preparatore. La sua unica esperienza da allenatore in capo era stata una partita del Salford City, club di League Two di cui lo stesso Neville è tra i proprietari.
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La nazionale inglese, per di più, arrivava da un momento molto delicato. Poco dopo la conclusione dell'Europeo del 2017 l'allenatore Mark Samson, su cui pendeva anche un'indagine legata alle accuse di razzismo mosse tra le altre da Eniola Aluko, era stato esonerato per i "comportamenti inappropriati e inaccettabili" avuti durante un precedente incarico alla Bristol Academy. In seguito all'esonero, la Football Association aveva puntato su una certezza in seno alla federazione, affidando all'allenatrice dell'U20 Mo Marley anche la gestione ad interim della Nazionale maggiore. Proprio se raffrontata alla scelta presa nell'autunno del 2017, basata sull'esperienza nel calcio femminile e in seno alla Football Association di Marley, la nomina di un neofita non è sembrata la scelta migliore, sebbene le candidature realistiche non fossero molte.
Non potendo giocare la carta dell'esperienza, Neville ha basato il suo lavoro di selezionatore, oltre che sull'osservazione delle giocatrici sia in nazionale sia nei club, sulla comunicazione quotidiana con ciascuna calciatrice orbitante attorno alla nazionale. «Scrivo a ognuna di loro e abbiamo 30 gruppi WhatsApp, uno per ciascuna giocatrice. È l'unico modo per rimanere costantemente in contatto.Significa che in ogni singolo minuto di ogni singolo giorno so che cosa stanno facendo», ha spiegato Neville al Guardian, sottolineando come ritenga impossibile allenare qualcuno senza conoscerlo bene.
Il confronto, l'analisi delle prestazioni e l'attenzione a ogni aspetto della vita delle giocatrici fanno parte dell'approccio "olistico" di Neville: « Il lavoro dell'allenatore moderno è incentrato sulle relazioni, quindi ho bisogno di sapere ogni piccola cosa che farà muovere le mie giocatrici», ha affermato nella stessa intervista. Quanto questo atteggiamento sia funzionale alla squadra e alle stesse giocatrici è stato confermato per esempio, secondo lo stesso Neville, dal netto miglioramento di Beth Mead che l'ha portata a essere per la prima volta tra le 23 giocatrici convocate per il Mondiale.
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L’urlo di Beth Mead dopo il suo gol contro il Brasile.
Dalla sua l'allenatore inglese ha i risultati positivi ottenuti nel girone di qualificazione sotto la sua guida, un pareggio all'andata con il Galles e quattro vittorie su quattro partite al ritorno, a cui si aggiungono il secondo posto nel 2018 e la vittoria nel 2019 alla SheBelieves Cup. Nel quadrangolare svoltosi tra fine febbraio e inizio marzo che quest'anno ha coinvolto, oltre agli Stati Uniti e l'Inghilterra, anche il Giappone e il Brasile, le giocatrici guidate da Neville si sono confrontate con tre delle migliori dieci squadre al mondo, affermandosi con due vittorie e un pareggio. Nelle amichevoli di preparazione al Mondiale, però, i risultati sono stati più ballerini: su quattro amichevoli disputate tra aprile e inizio giugno la selezione inglese ne ha perse due: sia contro il Canada, sia contro la Nuova Zelanda. Osservando le giocatrici inglesi in campo, però, si capisce come la squadra di Neville sia un work in progress legato alla disponibilità delle giocatrici.
Nei mesi che sono passati dalla qualificazione ai Mondiali, in particolare, alcuni infortuni hanno reso necessari alcuni cambiamenti a lungo termine nel centrocampo inglese: Neville ha dovuto individuare le sostitute di Jordan Nobbs e Izzy Christiansen, due giocatrici di grande esperienza. Nobbs in particolare, dopo la frattura del crociato in novembre e memore dell'esperienza post-infortunio al Mondiale 2015, si è ben presto resa conto che, anche se avesse recuperato non sarebbe mai stata al 100%. Se per il vicecapitano Nobbs le speranze erano remote, Christiansen ha sperato fino all'ultimo momento di potersi riprendere completamente dalla frattura del perone subita durante la SheBelieves Cup.
Proprio nel torneo americano Neville si è ritrovato nella situazione di poter e dover sperimentare nuove soluzioni, non potendo convocare diverse giocatrici del giro della nazionale che erano infortunate o convalescenti: Jill Scott e Jade Moore a centrocampo, Fran Kirby in attacco e Millie Bright in difesa. In quest'occasione Neville ha riconvocato Gemma Bonner, difensore del Manchester City che non giocava più con la nazionale da novembre 2017, e ha provato a spostare Lucy Bronze dalla difesa a centrocampo. La scelta di schierare in un'altra posizione il terzino destro titolare del club europeo più blasonato, che Neville ha riproposto in forma sperimentale, è particolare, ma non ha avuto degli effetti particolarmente positivi o evidenti.
Con il rientro della maggior parte di giocatrici assenti alla SheBelieves Cup e l’assenza di Bonner, la squadra dovrebbe riuscire ad assumere una forma simile a quella delle qualificazioni: la prestazione brutta ma efficace dell'amichevole con la Danimarca e quella bella ma perdente con la Nuova Zelanda vanno lette come una nuova fase di rodaggio della squadra.
Su ventritré convocate, ben quattordici calciatrici hanno giocato la stagione appena conclusa nelle prime tre squadre della Women's Super League inglese: Arsenal, Manchester City e Chelsea. Aggiungendo le giocatrici di Manchester United, Birmingham City e Reading, le calciatrici selezionate che giocano sui campi inglesi sono 18. A loro si aggiungono le americane d'adozione Rachel Daily e Jody Taylor e tre giocatrici che giocano nelle massime serie europee: il portiere del Wolfsburg Mary Earps, l'attaccante del Barcellona Toni Duggan e Lucy Bronze.
In avanti potrebbe fare delle variazioni, ma è molto improbabile che Neville si discosti dalla difesa a quattro, basata sul nucleo dell'Europeo 2017 a cui sono stati aggiunti alcuni innesti durante le qualificazioni. In tutte le partite giocate finora, ha giocato con un 4-3-3 o al massimo, in assenza di Kirby, con un più offensivo 4-2-3-1. In entrambi i casi, la squadra baserà buona parte sulla risalita dell'intera squadra, facendo spaziare in modo consistente i terzini.
Nell'azione che porta al primo gol segnato dall'Inghilterra lo scorso agosto contro il Galles, si vede, per esempio, come le linee delle giocatrici inglesi siano compatte e proiettate in avanti:
L'Inghilterra, infatti, punta ad avere il possesso per la maggior parte del tempo: senza considerare il 73% di possesso nella partita vinta per 3-0 contro il Galles, va detto che anche nelle amichevoli meno brillanti dell'ultimo periodo le Leonesse hanno avuto un possesso palla superiore al 50%. Così come è stata impostata da Neville, la squadra ha un forte carattere offensivo, che però non è ancora uscito del tutto.
Le occasioni mancate nelle scorse partite sono state molte: forse la debolezza principale dell'Inghiltera sta proprio qui: nella difficoltà a sfruttare a pieno questo approccio offensivo, perdendo molte occasioni di finalizzazione, come lo stesso Neville ha osservato al termine della partita con la Nuova Zelanda: «L'unica cosa leggermente negativa dal mio punto di vista è che stavano crossando troppo la palla. Volevo un po' più compostezza e che passassero un po' di più la palla nelle aree. Che portassero Kirby, Carney, Mead o Parris sulla palla e provassero a creare un gol invece di tirare la palla in area».
Se l'Inghilterra del 2015, in cui giocava una sola calciatrice tra le quaranta migliori al mondo, Karen Carney, è riuscita ad arrivare sul podio, la rosa del 2019 ha un valore individuale nettamente superiore, con ben 4 giocatrici nella stessa classifica: capire come farle giocare in modo produttivo e come sfruttarne al meglio il loro potenziale sarà il compito principale e più impegnativo di Neville. Ma potrà godere di un fattore fondamentale nei grandi stadi francesi: il pubblico.
L'approccio con cui la squadra e la Football Association si sono avvicinate al Mondiale è fortemente comunicativo e coinvolgente per il pubblico inglese: per esempio la convocazione di ognuna delle 23 ragazze in rosa è stata comunicata ufficialmente sui canali social da una personalità inglese.
https://twitter.com/Lionesses/status/1126167699619491840
Vip, sportivi, ex giocatrici e addirittura il principe William hanno preso parte alla presentazione.
In quest'ottica va visto anche il grande lavoro di narrazione sui principali media inglesi che ha accompagnato la preparazione della nazionale, tra camp di preparazione con i Royal Marines e saune per prepararsi al caldo umido francese.
In questo modo, oltre ad aumentare l'attenzione mediatica e le notizie attorno alla squadra, la nazionale inglese ha voluto accrescere la vicinanza con il suo pubblico. Grazie al sostegno diffuso per le Leonesse, l'Inghilterra può contare su numerosi fan, che la seguiranno anche fisicamente. Complice anche la relativa vicinanza con la Francia, tutti i biglietti delle tre partite che l'Inghilterra disputerà nella fase a gironi sono andati esauriti. Il sostegno popolare, nettamente inferiore per motivi logistici al Mondiale in Canada, giocherà una parte fondamentale nella percezione che le giocatrici avranno delle sfide.
Da parte loro, le giocatrici dell'Inghilterra sono motivate a vincere per riscattarsi dalle due semifinali perse in Canada e Olanda: per quanto siano state delle esperienze spiacevoli, ora vogliono sfruttarle per andare oltre. «Questa volta vogliamo assicurarci di superare quella fase. Non vogliamo concentrarci troppo sul dolore che abbiamo provato e sentiamo ancora, ma utilizzarlo come motivazione», osserva Fran Kirby, focalizzando l'attenzione sulla fase finale.