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Le peggiori figuracce del 2017
02 gen 2018
Nell'anno di sport che si è appena concluso c'è stato molto per cui provare imbarazzo.
(articolo)
17 min
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Dopo aver compilato la lista delle peggiori figuracce del 2016 mi sono ritrovato a scrivere anche quelle dell'anno che volge ormai al termine. L’impressione, del tutto soggettiva, è che nel 2017 le figuracce siano diminuite nella loro parte imbarazzante ma anche un po’ simpatica, mentre si è ingrossato il filone delle figure barbine o più direttamente delle uscite tristi. Forse siamo anestetizzati ai “fail”, agli errori più o meno forzati, all’iperanalisi dei gesti che, visti più e più volte, diventano comprensibili perdendo l’insensatezza che rende una figuraccia divertente. Pochi calciatori che inciampano, pochi Cristiano Ronaldo buffi, pochi attaccanti inconcludenti, però percorsi sbagliati, testardaggini deleterie e calci in testa. Letteralmente. Vengono quasi tutti dal calcio, tranne il primo, perché non si vive (male) di solo calcio.

Fuori classifica: Djokovic, che ha avuto Saturno contro

Foto di Glyn Kirk / Getty Images

Novak Djokovic, il tennista serbo metà simpaticone metà cyborg tennistico, ha passato un 2017 pessimo. Inizia bene vincendo a Doha, in finale con Murray, ma agli Australian Open deve cedere il passo al secondo turno a Denis Istomin, tennista uzbeko fuori dalla top 100. Agli ATP 500 di Acapulco arriva forte ma le prende da Kyrgios ai quarti. Ad Indian Wells ritrova Kyrgios agli ottavi dopo aver mandato a casa il mai semplice del Potro, e il risultato non cambia: Nole a casa. Si fa male ad un gomito e rinuncia ai Masters 1000 di Miami. Ci riprova sulla terra a Monte Carlo, ma trova Goffin sulla sua strada; a Madrid incontra l'highlander Nadal che gli fa 2-6 4-6 in semifinale. Arriva a Roma arrabbiato e carichissimo, butta giù Bedene, Agut, del Potro, schianta Thiem in semifinale, ma in finale deve cedere all'appena ventenne Zverev. Al Roland Garros arriva da detentore del titolo e con Agassi come allenatore, ma ritrova un Thiem indiavolato ai quarti che si vendica in tre set; per la prima volta dal 2008 Djokovic scende dal podio della classifica ATP, accomodandosi in quarta posizione. Prova a dare una svolta alla stagione giocando il 250 di Eastbourne, vincendolo contro Monfils e tornando a Wimbledon alla carica, come testa di serie. Sembra vada tutto bene, ma ai quarti incontra Berdych e l'infortunio al gomito si ripresenta, così è costretto a ritirarsi. Il 26 luglio annuncia di non voler più partecipare a tornei per tutto il 2017 e che tornerà nel 2018. Ti aspettiamo, Nole.

Frank De Boer non si è trovato benissimo a Croydon

Foto di Oli Scarff / Getty Images

Avete presente il Crystal Palace che è riuscito a bloccare la striscia vincente di 18 partite del Manchester City visionario di Guardiola? Ecco, NON è quello di Frank De Boer. Perché Frank de Boer è arrivato a luglio, ha fatto un po' di cambi in rosa e ha perso quattro match in Premier League su quattro partite possibili, prendendo sette gol e facendone zero, venendo rispedito a casa alla velocità della luce l'11 di settembre. De Boer è riuscito a battere il suo stesso record precedente: 76 giorni prima dell'esonero, contro gli 85 che durò all'Inter. Frank torna presto, ma fossi in te non preparerei bagagli troppo grossi.

Il nuovo Milan, perché ce lo aspettavamo molto meglio

Foto di Maurizio Lagana / Stringer

Brignoli segna di testa con un tuffo sgraziato al 95’ di Benevento - Milan il 2-2 e regala ai suoi il primo punto in Serie A nella storia delle "Streghe". Se per il portiere di Trescore Balneario (giuro) e per il Benevento è un grande risultato, è una figuraccia per gli altri, quelli in rosso e nero. Dopo un inizio di campionato non all’altezza delle aspettative, il Milan ha deciso di esonerare Montella, richiamando per l’ennesima volta una vecchia gloria della squadra. Il simbolo più forte di un club che non riuscendo a proiettarsi in avanti finisce imprigionato nella gloria del passato. Finora non è sembrata una scelta geniale e Gattuso, in una situazione in cui tutti sarebbero in difficoltà, è effettivamente in difficoltà.

Ma non è fino in fondo colpa del Milan se è finito in questa classifica, perché alla fine c’è ancora il girone di ritorno e i risultati non sono tutto, però ecco c’è una sproporzione troppo grande tra le aspettative generate dalla campagna acquisti estiva e i risultati ottenuti finora. Forse è maggiormente colpa delle copertine esagerate dei quotidiani ma è vero anche che l’acquisto simbolo delle nuove ambizioni rossonere, quello che doveva spostare gli equilibri, cioè Bonucci, si è trasformato in brevissimo tempo nel simbolo del suo fallimento; che la soap opera The Donnarumma’s è tuttora irrisolta e ha portato Gigio alle lacrime; che praticamente tutti gli acquisti estivi hanno floppato questo inizio di stagione, e se persino Biglia e Kessié sembrano appena scesi da una giostra che ti fa venire la nausa quando entrano in campo allora forse c’è qualcosa che non va - a parte forse Borini, cioè il più dimesso. E poi sullo sfondo una cordata presidenziale di cui si riesce a capire poco, rapporti con la Uefa non idilliaci e Silvio Berlusconi 2.0 che infila il coltello nella piaga delle dichiarazioni deprimenti. Difficile fare peggio nel 2018.

Renato Sanches, che ci risparmia il tempo di trovare una metafora della sua avventura inglese

Dopo la gran figura agli Europei del 2016 ed essere stato uno degli uomini mercato per due estati di fila, Renato Sanches è finito dal Bayern di Monaco in prestito oneroso allo Swansea quest’estate. Le condizioni di questo prestito erano molto più vantaggiose per il club gallese di quelle messe sul piatto da altre grandi interessate come il Milan, la Juventus o il Liverpool, ma Sanches è finito allo Swansea comunque. Il motivo fu trovato nell’amicizia e nella conoscenza e stima reciproca di Ancelotti, tecnico del Bayern Monaco, e Clement, tecnico dello Swansea, ex collaboratore del Carletto nazionale e molto capace coi giovani.

Insomma Ancelotti e Clement hanno messo d’accordo Rumenigge e Mendes (procuratore del giocatore) per farlo finire in Galles; peccato che sia Ancelotti che Clement siano stati esonerati dalle rispettive squadre poco tempo dopo, che il povero Sanches abbia giocato a singhiozzi e che, in uno dei match per lui più disastrosi, abbia passato il pallone direttamente ad un cartellone pubblicitario (bisogna ammettere rosso, come i suoi compagni) per essere sostituito al 45’.

Griezmann, che non conosce i temi principali di questi anni

La gaffe di Antoine Griezmann sta proprio lì al limite tra una buona e una cattiva figuraccia. La stella dell’Atletico Madrid è apparsa sui suoi social in una foto che lo ritrae mascherato da giocatore di pallacanestro dell’All-Stars americano, o forse da Harlem Globetrotter, completamente ricoperto di cerone, o di qualsiasi cosa si usi per pittarsi di nero la pelle. È lampante che Griezmann non abbia mai sentito parlare del Blackface, ovvero del trucco utilizzato come parodia razzista per interpretare ruoli di afroamericani da parte dei bianchi, prima negli spettacoli itineranti e fino agli albori del cinema Nordamericano, problema per cui si è battuto anche il Movimento dei Diritti Civili del dottor King. Il Blackface è stigmatizzato da anni nelle comunità d’oltreoceano e difficilmente ci si scherza su (anche se viene usato dalle stesse comunità afroamericane come parodia della propria parodia, appropriazione di appropriazione) ma in Europa è una faccenda meno conflittuale, tant’è che in Francia esiste una marca di bibita zuccherata, Banania, il cui logo è una caricatura da Blackface, con occhi e denti grandi e bianchi, pelle marrone, grosse labbra rosa. Davvero di tutto ciò Griezmann non ne sa niente? I personaggi famosi sono tenuti a sapere queste cose prima di postare la foto sul proprio profilo con quasi cinque milioni di followers? Certo, non possiamo giustificare uno scivolone poco simpatico, ma le scuse sincere che hanno seguito un minimo lo redimono: sono stato maldestro, mi scuso. Noi ti crediamo, Antoine “faccia d’angelo - se non la dipingi di nero” Griezmann.

Marcelo Bielsa, che ha deciso di non farci più vedere una squadra allenata da Bielsa

Foto di François Lo Presti / Getty Images

Non sappiamo se Bielsa ogni anno debba necessariamente fare qualcosa di matto per riconfermare il suo soprannome "el loco" all'anagrafe argentino dei soprannomi, altrimenti glielo levano. A luglio scorso è arrivato alla Lazio per andarsene due giorni dopo da Formello arrabbiato con Lotito e Tare; quest'estate è arrivato al Lille e ha ingaggiato quattordici nuovi giocatori. Ha iniziato una parabola discendente nella bassa classifica francese, condita da alcune conferenza stampa memorabili, come quando ha detto ai giornalisti: «Se c’è un rischio, voi lo trasformate in catastrofe; e se le cose vanno bene, sfruttate quelli che hanno successo. Per questo la vostra compagnia è spesso sgradevole. Il mestiere di allenatore è tutto l’opposto: noi siamo ottimisti».

Cinque vittorie, quattro pareggi e dieci sconfitte dopo, dovuti a quanto pare ad una gestione carente dei ritiri e dello spogliatoio, affidati completamente all'autogestione dei calciatori e del capitano Amadou (24 anni), Bielsa è stato sospeso dal Lille il 22 novembre per "motivi disciplinari". Pare sia andato senza preavviso in Cile a far visita al suo collaboratore storico ai tempi della nazionale cilena e argentina, Bonini, malato di cancro; ma si mormorano anche dissapori con la presidenza di Gerard Lopez e coi suoi uomini, il consigliere Campos e l'analista video Sacramento, che nel frattempo ha preso le redini della squadra. Il 15 dicembre, finalmente, in un comunicato ufficiale il Lille annuncia l'esonero del tecnico argentino. Bielsa, nel frattempo, chiede alla società una dozzina di milioni di euro per il suo contratto (teoricamente fino a giugno 2019) come indennizzo. Con questa, sono tre stagioni che uno degli allenatori più amati, originali e unici dei nostri tempi, non allena una squadra fino alla fine. Noi vorremmo solo vederlo allenare per due anni la stessa squadra: chiediamo troppo?

Gian Piero Ventura, perché è finito nella storia dalla parte sbagliata

Foto di Claudio Villa / Stringer

Per la prima volta dal 1958 l’Italia non parteciperà ai Mondiali di calcio, e questo basta a rendere quella di Ventura una delle peggiori figuracce dell’anno. Perché d’accordo la valutazioni storica che va oltre l’uomo, d’accordo anche che non è stata solo colpa sua, però Ventura resterà per sempre ormai l’allenatore che non ha fatto qualificare l’Italia per la prima volta dopo sessant’anni. Certo è difficile non dargli almeno una parte molto grossa di colpa, per via delle scelte tattiche scellerate (anche se qualcuno ci ha provato, a non dargli la colpa) e del suo legame esagerato con i propri dogmi calcistici. Ma quello che ha reso particolarmente spiacevole e imbarazzante l’esclusione dal Mondiale, e la strana comunicazione di Ventura e della Federazione in questi anni.

Dal suo arrivo sulla panchina italiana i risultati sono stati tutto sommato positivi, a parte la sconfitta a Madrid con una Spagna con una nuova generazione di fenomeni in mezzo al campo e una voglia matta di mettersi in mostra. Per il resto, si contano sette vittorie e due pareggi, uno sempre con la Spagna e l’ultimo con la Macedonia, un mese prima dei playoff, quando però eravamo già certi del nostro secondo posto in classifica nel Girone G. Insomma, era chiaro fin dall’inizio che, con la Spagna superiore, saremmo dovuti andare ai playoff. In seguito alla sconfitta di Madrid e la conseguente quasi certezza dello spareggio, Tavecchio ha pensato bene di smorzare i toni parlando di «apocalisse» in caso di non qualifica ai mondiali, per poi assicurarci che «ho rinnovato la fiducia a Ventura telefonandogli questa mattina»; d’altro canto Ventura non ha mai pensato neanche all’evenienza di una non qualificazione, quasi come noi: «Apocalisse mi sembra un termine enorme. È fuori di dubbio che sarebbe un dramma non andare in Russia. Ma noi non ci pensiamo neanche...».

Dopo l’andata in Svezia e la sconfitta di 1-0 si è lamentato del gioco rude della nazionale svedese e un po’ dell’arbitro, facendo trapelare un po’ di nervosismo e timore, dichiarando «per questa volta lasciamo stare i moduli, conteranno la testa e la rabbia di ribaltare il risultato, mi auguro con l'aiuto del pubblico e con più correttezza nel gestire la partita» e augurandosi che «il pubblico di San Siro ci dovrà prendere per mano e noi dovremo essere bravi a trascinarlo con una bella prestazione». Il crollo finale il 13 novembre a San Siro è stato a maggior ragione paradossale, con il pubblico che primacercava di incitare la squadra intonando l’inno nazionale all'ottantesimo e poi ha subissato di fischi gli azzurri al termine. Le lacrime di Buffon hanno poi certificato in maniera teatrale chi è uscito con infamia e chi con la lode. I prossimi mondiali estivi in cui l’Italia potrebbe partecipare (quelli in Qatar saranno invernali) saranno nel 2026: facciamo che patatine e birra le compriamo tra un po’.

Evra, perché ha buttato anni di PR e fatiche social media in un istante

Foto di Miguel Riopa / Getty Images

Il 2017 non è stato neanche l’anno buono per Patrice Evra: dopo aver lasciato la Juventus nel mercato di gennaio con delle motivazioni fumose, in parte ricollegabili all’ascesa di Alex Sandro nell’olimpo dei terzini e in generale ad una difficile accettazione della sua età da parte del francese (ma li avete visti i suoi video su Instagram? Un sedicenne), si è accasato all’Olympique Marsiglia. Era a Marsiglia, giocava e non giocava, undici presenze e persino un gol. In una trasferta a Guimarães, in Portogallo, però, valida per l’Europa League, durante il riscaldamento Evra continua a battibeccare coi tifosi del Marsiglia, e a una certa sbrocca e li fa scendere per un confronto e decide di tirare un calcio volante ad uno. Viene squalificato fino al giugno successivo ma la società rescinde il contratto consensualmente col giocatore poco dopo. Chissà quanti video su Instagram ci vorranno per restaurare la sua immagine…

I simpatici sfottò sull’Olocausto, perché in Italia siamo talmente poco razzisti che possiamo scherzarci sopra

Foto di Gianni Schicchi / Getty Images

Il 22 Ottobre la curva nord dell’Olimpico di Roma era chiusa a causa di alcuni cori razzisti da parte dei tifosi della Lazio. La partita Lazio - Cagliari si è giocata quindi con la curva di casa chiusa, ma alcuni tifosi della Lazio hanno pensato bene di andare comunque in curva, quella sud, per tifare. Allo stesso tempo però hanno pensato di lasciare un segno del loro passaggio sugli spalti: nella sud sono stati attaccati vari adesivi con dei fotomontaggi con Anna Frank con la maglia della Roma e altri con le scritte “Romanista ebreo” e “Romanista Aronne Piperno” (personaggio ebreo del Marchese del Grillo). Va detto che erano immagini vecchie, che giravano sui forum per tifosi anche a parti invertite, ma che la quantità di adesivi incollati nella curva “nemica” ha creato una reazione inedita e inaspettata. D’altra parte, se fai una cosa del genere ti aspetti una reazione, no? O vuoi passare inosservato?

Due sono i plausi speciali: il primo va alla reazione gramellinica dell’opinione pubblica, e soprattutto della risposta ufficiale in campo, con riscaldamenti con la maglia di Anna Frank in Lazio-Bologna e soprattutto con la lettura di una pagina del Diario in ogni campo, come se fosse una punizione, come se la lettura fosse una metodo per sgridare gli ultrà cattivi. Come se in quel momento preciso, per via proprio di quegli adesivi, l’antisemitismo fosse tornato d’attualità, un argomento da trattare con urgenza. Ovviamente è fuori luogo chiedersi se al di là di quegli adesivi l’Italia sia un paese razzista quotidianamente e, eventualmente, chiedersi cosa fare… Il secondo plauso va però alla società Lazio, che decide di andare in visita alla Sinagoga di Roma a deporre una corona di fiori, ma si sa che Lotito è come il vostro parente che ai pranzi di Natale si mette a parlare di argomenti scomodi e di cattivo gusto senza capire quanto è fuori luogo. Per cui spunta una sua registrazione all’aeroporto di Linate, in procinto di prendere l’aereo per tornare a Roma per questa visita di riparazione, in cui sbotta: «Il vice rabbino ci sarà? Solo il rabbino c'è? Non valgono un c... questi. Tu hai capito come stamo? A New York il rabbino, er vice rabbino. Famo 'sta sceneggiata.... te te rendi conto».

Cassano, che ci sta 💔

Cassano quest'anno si è ritirato tre volte. Il 25 gennaio, dopo cinque mesi passati fuori rosa per motivi tecnici e il litigio finale con un tipo poco umorale come Ferrero, rescinde consensualmente il suo contratto con la Sampdoria. A quel punto lo contatta l'Entella che ha una voglia matta di salire in A, lui dice di sì, poi la notte non dorme e dice di no. Dice che “con le pippe che ci sono” può ancora giocare in Serie A. Aspetta qualche mese e arriva la chiamata dell'Hellas, Cassano è entusiasta e dice di sì. Presentazione e fuochi d'artificio, è il 10 luglio. Poi ci ripensa un attimo e dice di no, che non vuole starci all'Hellas Verona, non se la sente. Si ritira una seconda volta. Poi ci ripensa e dice che sì, in realtà gli piacerebbe, che ha avuto un momento di debolezza, ringrazia la sua famiglia e la società che gli è stata vicina e l'ha rassicurato, è il 18 luglio e lui giocherà coi gialloblu. Poi il 24 luglio prima dice su Twitter che vuole lasciare il Verona perché non ha stimoli, dopo qualche ora ci ripensa e dice che non vuole proprio più giocare a calcio. Il 27 luglio il contratto col Verona viene annullato; il 31 dello stesso mese dice che in realtà a calcio ci vuole giocare, però magari non a Verona, e che il suo numero di telefono ce l'abbiamo. Ok Antonio, ti chiamiamo noi, sicuramente non ce lo bidoni il calcetto.

Carlo Tavecchio, che ha trasformato le sue dimissioni in un autodafé

Il 20 novembre Carlo Tavecchio, ad una settimana dall’esclusione dell’Italia dal Russia 2018, annuncia le sue dimissioni da presidente della FIGC e si presenta in conferenza stampa. Tavecchio sta allo sport come Razzi sta alla politica, ovvero ti fa molto ridere fin quando non ti ricordi che effettivamente ha molto potere tra le mani. La conferenza stampa di dimissioni è assolutamente delirante, l’incedere è solenne da Istituto Luce, e si possono vedere quattro principali tendenze nel discorso di dimissioni.

Il complottismo. Tavecchio parla di un «livello di speculazione» mai visto prima (chi specula su cosa?); poi dimette l’idea di una «alleanza» con la Lega Pro facendo però sottintendere che l’alleanza ci poteva pure essere ma poi gli è girata male. In generale, parla di tutto e non parla di niente, con una serie di sottintesi che è meglio lasciare come tali. Si è dimesso «per un atto politico», dice solennemente; poi gli squilla il cellulare con la suoneria Sencha dell’iPhone.

L’esperienza extracorporea. L’atto politico è quello che l’ha fatto fuori, perché l’insuccesso sportivo non tange Tavecchio: parla di sé in terza persona e si smarca dalla scelta di Ventura come CT della nazionale. Si dice «disperato» dalla mancata qualificazione «come Carlo» e poi aggiunge una delle frasi più strane della conferenza: «e un atto di debolezza di un’emozione diventa una tragedia?! Questo [sic] è la filosofia che sta alle spalle di un sistema sportivo? Di un popolo? Di gente che lavora per produrre?». A questo punto alza il dito indice della mano destra arringando la folla pronto a buttare addosso a tutti la verità; i fotografi scattano con enfasi e il dimissionario ne accorge; «Se quel palo fosse entrato Carlo Tavecchio qui era un campione? No era lo stesso uguale! Però questa [sic] sistema, questa civiltà, questa politica, questa amministrazione dello sport è una cosa che non può andare avanti così. Le riforme non possono essere fatte per un campo di centoventi per sessanta, devono essere fatte a livello generale di sistema». La questione del palo torna più avanti, quando ammette che se «quel palo entrava, Tavecchio era un grande. Invece resto alto 1 metro e 61» confondendo il sé con l’altro, sogni e realtà, e tutti i Tavecchio del multiverso.

La perdita definitiva della brocca. All’inizio passa dalla botanica: «Io non so seminare, ma mi dicono coloro che mettono gli ulivi per terra che i primi frutti vengono otto anni dopo; l’hanno fatto qualcuno prima di me il frutto e il seme io ho preso quello che veniva dal seme!», ma degenera rapidamente. Dice che «i ragazzi piangono quando sentono parlare di Carlo Tavecchio» e sottintende che le nostre quattro squadre in Champions League sono opera sua, «perché abbiamo cambiato gli equilibri europei»; si prende i meriti per l’elezione di Uva, queste operazioni non le hanno fatto mica «i gnomi dietro le scrivanie italiche». Parla dei dilettanti e si esibisce in una boutade situazionista incomprensibile che parte da «Ha detto bene il presidente del Coni, che il mondo dei dilettanti chapeau» e da lì inizia a voler parlare francese («maintenant nous parlons français, tout-suite! [sic]») e poi si chiede «chapeau da chi? eh? da chi chapeau?». Diccelo tu Carlo, aiutaci.

La fase in cui legge. Tavecchio legge gli appunti scritti dai suoi collaboratori per ricordare a tutti i successi della sua gestione della FIGC; tra questi cita il VAR, ricordando come prima c’avesse pensato «quel signore della RAI» adesso morto, riferendosi a Biscardi; poi cita la «provvida sventura» di Manzoni. Cerca insomma di aggiustare il tiro, ma finisce per sembrare ancora più squilibrato, in una conferenza stampa che è una montagna russa di delirio.

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