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Le qualificazioni europee più inattese della Serie A
28 mag 2019
28 mag 2019
Chievo Verona, Udinese e altre qualificazioni in Europa totalmente insperate.
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L'Atalanta ce l'ha fatta, resistendo alla stanchezza, al calciomercato, alle tensioni, alle pressioni, alla sindrome della terza stagione. Il dato è enorme: l'unica squadra “provinciale” - ovvero, una squadra che non rappresenta un capoluogo di regione- finita sul podio della serie A negli ultimi vent'anni era l'Udinese di Guidolin, stagione 2011/12. Ma quella era ancora l'era in cui alla fase a gironi ci andavano di diritto solo le prime due, mentre la banda-Percassi – ancora prematuro chiamarla la banda-Gasp – ha già scaricato la suoneria della famosa musichetta di Georg Friedrich Handel. In attesa di celebrarla meglio ripassiamo la storia delle più brillanti sorelle maggiori della Dea, ricordando che solo una delle cinque “favole” di cui state per leggere è poi riuscita a partecipare alla UEFA Champions League.

Cesena 1975/76

E ora, qualcosa di completamente diverso! E in fondo neanche troppo celebrato, perché il Cesena 75-76 di Pippo Marchioro è rimasto una mera curiosità statistica, in un decennio – gli anni Settanta italiani – fondamentalmente cupo, dove non c’era spazio per isole felici, né tantomeno favole.

Dopo due ottime salvezze raggiunte dal non ancora “sergente di ferro” Eugenio Bersellini, il presidente Dino Manuzzi lo lascia andare alla Sampdoria e scommette su un altro emergente, il 39enne milanese Pippo Marchioro che è appena stato promosso in A con il Como. Gli unici due acquisti sono di alto livello, entrambi provenienti dalla Lazio che nel 1974 ha vinto lo scudetto: il terzino Giancarlo Oddi e il regista Mario Frustalupi, all’altezza di una squadra ormai esperta e matura per interpretare la categoria anche ad alti livelli.

Come spesso accade in provincia, molti giocatori hanno dietro anche una storia di riscatto umano e professionale, a cominciare dal libero Pierluigi Cera, campione d’Italia con il Cagliari nel 1970 e dato per finito dopo il Mondiale messicano; oppure il centrocampista Giorgio Rognoni, gregario nel Milan campione di tutto, protagonista in Romagna. In porta c’èLamberto Boranga, laureato in biologia, poeta per diletto, sosia di Franco Nero, classico numero 1 istrionico per cui ogni tifoseria impazzisce.Il numero 2 è Giampiero Ceccarelli, bandiera cesenate se ce n’è una, bianconero per sempre dal 1967 al 1985. Cera si riscopre libero di altra categoria, fiancheggiato dal giovane stopper Danova. Il mediano Zuccheri aggiunge l'acqua al sale in zucca di Rognoni e Frustalupi, al servizio di un pacchetto avanzato non esattamente stellare, in cui non ci sono titolari fissi ma Giuliano Bertarelli e Giovanni Urban disputano, semplicemente, la stagione della vita.

Il 21 marzo 1976 il Cesena batte in rimonta la Juventus con una doppietta di Ceccarelli e riapre clamorosamente il campionato anche in ottica scudetto.

Si gioca “all’olandese”, come va di moda dire all’epoca, e certi angoli di Romagna non sono certo meno libertini e goderecci di Amsterdam e dintorni. Ne giova anche il clima all’interno dello spogliatoio: «Fino alla passata stagione si poteva parlare solo di calcio», dice Boranga in un’intervista, 1c’erano tanti ragazzi in gamba e magari ogni tanto si iniziava un discorso, mettiamo, sull’aborto. Ma non facevi a tempo ad iniziare che piombava Bersellini ed il discorso era chiuso».

La ventata di novità ed entusiasmo porta a lezioni di calcio assortite come quella impartita a domicilio nel primo tempo nientemeno che alla Juventus campione d’Italia, sotto 0-2 al Comunale prima di strappare d’orgoglio un 3-3 più che lusinghiero. Nel girone d’andata, chiuso al terzo posto, alla voce sconfitte compare un incredibile numero uno, a Napoli alla terza giornata, il che equivale a una striscia di 12 risultati utili consecutivi, passando indenni a San Siro e all’Olimpico, battendo Milan e Roma alla Fiorita. Alla faccia di certa deprimente Romagna invernale che compare nei film di Fellini, l’onda lunga dura fino al 21 marzo 1976, primo giorno di primavera, quando la Fiorita impazzisce per un 2-1 in rimonta sulla Juventus: al gran gol di Damiani risponde la doppietta di Ceccarelli ed è un risultato clamoroso che riapre anche la corsa-scudetto, nella prima delle tre sconfitte consecutive con cui la Signora agevolerà il sorpasso del Torino di Radice. Il grande ex Gigi, tecnico della prima promozione in serie A nel 1973, è presente anche all’ultima giornata, in un Comunale da lacrime agli occhi, sopraffatto dall’emozione per il primo e unico scudetto granata del dopo-Superga. Festeggerà anche il Cesena, a distanza di un mese e mezzo: il 29 giugno 1976 il Napoli vince la coppa Italia e libera un posto aggiuntivo in UEFA per la sesta classificata che – in mancanza di spareggi – è proprio il Cesena, che precede il Bologna grazie alla differenza reti. In riviera è un’estate più dolce del solito.

A questo punto Pippo Marchioro non dovrebbe davvero andare via proprio adesso, ma come fai a dire di no al Milan? Invece in rossonero farà una brutta fine, fino all'esonero proprio dopo un triste Milan-Cesena 0-0, con il povero Diavolo che dovrà essere ripescato dal gorgo della retrocessione da Nereo Rocco in panchina. E la corsa europea del Cesena si fermerà subito, contro il più forte più carrozzato Magdeburgo della leggenda vivente Jurgen Sparwasser – partita di cui, apparentemente, non esiste alcuna immagine in movimento. Altri tempi, quando i diritti televisivi non venivano assegnati tre anni prima.




Chievo Verona 2001/02

«Il Chievo è la squadra più forte in quanto a strategia, sistema e organizzazione». Probabilmente Hector Cuper, arrivato in Italia sull'abbrivio delle tre finali europee consecutive (tutte perse) con Mallorca e Valencia, non si sarebbe mai aspettato di dire queste parole dopo il primo incontro ravvicinato con l'UFO Chievo Verona, che terremotò il girone d'andata del campionato 2001/02 come non ha mai più fatto nessuna piccola-grande bollata come favola o miracolo sull'onda di un entusiasmo fasullo. Se non c'eravate o non eravate abbastanza grandi per ricordare, lasciatevi raccontare che razza di meccanismo a orologeria era quel rigoroso 4-4-2 con pochi e centellinati ricambi, che non poteva durare tutta una stagione – e infatti non durò – ma arrivò a metà dicembre primo in classifica davanti all'Inter di Vieri e Ronaldo, alla Roma di Capello, alla Juventus di Buffon-Thuram-Nedved e al Milan di Rui Costa-Inzaghi-Shevchenko.

In porta l'estroso Lupatelli, scarto della Roma post-scudetto che l'aveva sostituito con Pelizzoli, che giocava col numero 10 e interpretava il ruolo prendendosi spensierate libertà che con Capello non avrebbero mai potuto avere cittadinanza. La difesa in linea come le migliori filastrocche mandate a memoria: Moro-D'Angelo-D'Anna-Lanna, con i terzini piuttosto bloccati e i due centrali perfettamente affiatati, entrambi abituati al pane duro della B e della C1. Regista di centrocampo Eugenio Corini, 31 anni, completamente rigenerato dopo due rotture dei legamenti del ginocchio destro, un miracolo di geometria e pulizia che entra di diritto nelle gallery degli abbagli delle grandi squadre; accanto a lui Simone Perrotta, 25 anni, non ancora il furibondo assaltatore reinventato da Spalletti, ma portatore di quell'intensità britannica che fa la differenza in un campionato meditabondo. Sugli esterni due incredibili ire di Dio: a sinistra Christian José Manfredini, ivoriano adottato da una famiglia di Battipaglia da bambino, un 27enne caduto letteralmente dal cielo in Serie A dopo una carriera di sostanziale anonimato, e a destra il brasiliano Luciano che non si è ancora ravveduto e si presenta ancora con il nome fittizio di Eriberto, dotato di incredibili accelerazioni che lo rendono in grado di saltare l'uomo tre volte su due. In attacco, una classica coppia assortita secondo i canoni del calcio anni Ottanta e Novanta: il guizzante Massimo Marazzina, prodotto del settore giovanile dell'Inter che come molti suoi compagni sembrava destinato al dimenticatoio, e lo spilungone Bernardo Corradi, dominante sui calci piazzati e sulle sponde per aprire corridoi su cui gli altri della banda si lanciano come assassini. In panchina il friulano Luigi Delneri (che all'epoca viene ancora scritto staccato, Del Neri), arrivato in serie A a cinquant'anni suonati con la determinazione e la sicumera di chi ritiene di avere qualcosa da dire.

A causa della sua dizione non proprio oxfordiana, Delneri divenne un piccolo feticcio delle trasmissioni di nicchia che ironizzavano sul calcio.

Il giocattolo regge magnificamente quasi per tutta l'andata, costellata di partite impensabili come la vittoria per 2-1 in casa dell'Inter nella sera dello splendido omaggio a Peppino Prisco, scomparso pochi giorni prima; due immeritate sconfitte per 3-2 in casa di Juventus e Milan, dopo essere stati in vantaggio e avere dominato a lungo contro Lippi e Ancelotti. Il primo a trovare la combinazione per inceppare il carillon è il solito Capello, che a tre giorni da Natale vince 0-3 al Bentegodi in 10 uomini per mezz'ora, con la solita ineffabile dimostrazione di pragmatismo prussiano. Ma, nonostante la fisiologica flessione a primavera, il Chievo conserverà le energie per restare in zona-Champions fino all'ultima giornata e festeggiare comunque un incredibile quinto posto, in una stagione passata alla storia del calcio scaligero anche per i primi due derby di Verona in serie A: all'andata vince in rimonta Malesani che non si trattiene daldare in escandescenze al fischio finale, ma al ritorno Delneri gli restituisce la pariglia con il centravanti di scorta Federico Cossato, vero dodicesimo uomo della stagione. E per l'ex responsabile della logistica della Canon che per abbracciare l'Hellas aveva rinnegato il Chievo dopo che doveva tutto alla famiglia Campedelli, quel 2-1 sarà determinante per il clamoroso tracollo in serie B.

Inter-Chievo 1-2, Corradi-Marazzina, il punto più alto della stagione dei “mussi volanti”.




Sassuolo 2015/16

Al terzo anno consecutivo di Serie A, dopo una salvezza faticosa nel 2014 e una più polleggiata nel 2015, il Sassuolo del rampante Eusebio Di Francesco fiuta l'impresa. Durante il triennio il suo 4-3-3 di severa osservanza zemaniana ha avuto alti e bassi, ma rimane un approdo sicuro per il suo calcio iper-verticale, in cui le traiettorie dei tre davanti disegnano quadri di Jackson Pollock. In porta c'è il regolarista Consigli, che diventa uno dei portieri migliori d'Italia nelle giornate di grande ispirazione come il 10 gennaio 2016, quando para da solo tutta l'Inter prima cheun obbrobrio di Murillo e Miranda al 95' regali a Berardi il rigore della vittoria. Il terzino destro è il croato Vrsaljko, tecnica eccelsa, che ha maggior libertà d'azione rispetto al suo pari-ruolo Peluso a sinistra; la coppia centrale composta da Acerbi e Paolo Cannavaro è tutto ciò che può desiderare una squadra di medio cabotaggio chiamata ad avere una difesa affidabile. La fenomenologia di ogni ambizione di provincia passa da un vecchio saggio, scrigno del passato e interprete del futuro, e nel Sassuolo questa parte spetta al “Puma” Francesco Magnanelli, neroverde dal 2005 fin dai tempi della C2, accompagnato dal fosforo della mezzala e secondo regista di centrocampo, l'intelligente Missiroli; completa il reparto Duncan, che nelle giornate di vena – tipo quella nello scontro diretto contro il Milan – si trasforma in un trattore a trazione integrale con quattro ruote motrici. Le cose più notevoli però si vedono in attacco, dove la combinazione di tecnica e velocità fa del Sassuolo un modello esportabile anche nel resto del Continente, con le tre punte che segnano esattamente lo stesso numero di gol (sette a testa).

A destra l'ombroso Domenico Berardi, che ha già imboccato la parabola discendente anche se nessuno se n'è ancora accorto; a sinistra Nicola Sansone, classe e personalità nel fare ripetutamente gol alle grandi squadre (segnerà a Napoli, Milan e Juve, e non solo in questa stagione); in mezzo il veloce francese Defrel, a sostituire Zaza migrato in bianconero dove toglierà le castagne dal fuoco nel momento più importante a un altro ex sassuolese, Massimiliano Allegri.

Sansone è stato capace – e supponiamo lo sia tuttora – anche di perle balistiche come questa.

Dopo una splendida prima parte di stagione in cui al Mapei Stadium fanno lo scalpo al primissimo Napoli di Sarri e alla Juventus di Allegri (che proprio dalla sconfitta a Sassuolo trova lo slancio per infilare quell'irripetibile serie di 25 vittorie e un pareggio in 26 partite), il cinismo delle piccole e un minimo appannamento relegano i neroverdi nel brillante anonimato di una bassa colonna di sinistra. Sembra un finale ordinario, ma il crollo verticale del Milan di Sinisa Mihajlovic, poi sostituito in maniera ancora più sciagurata da Brocchi, lo riportano al contatto e poi addirittura al sorpasso, in un'allucinante domenica di inizio maggio in cui i rossoneri in bambola totale non riescono ad andare oltre il 3-3 in casa contro il Frosinone, mentre il Sassuolo fatica ma batte il Verona già retrocesso con un gol del giovane e talentuoso Lorenzo Pellegrini, vero DiFra-boy.

È il fine settimana che sancisce lo storico titolo del Leicester di Ranieri, curioso presagio del passaggio di consegne al comando della Roma 2018-2019. Il Sassuolo non perde più punti: chiude al sesto posto con le vele spiegate e poi si mette alla finestra a guardare la finale di Coppa Italia e a tifare Juventus. Se il Milan perderà, sarà Europa: il gol di Morata ai supplementari fa partire la morigerata festa del cavalier Giorgio Squinzi, tifoso rossonero doc che sostiene di essere stato presente al Marakanà di Belgrado la sera della nebbia. E al Marakanà tornerà, da patron del Sassuolo, nella sera d'agosto in cui i suoi ragazzi staccheranno il pass per la fase a gironi di Europa League 2016-2017.

Sassuolo-Juventus 1-0 del 28 ottobre 2015, tra le altre cose, è statisticamente importante anche perché è la partita dell'unica espulsione in serie A di Giorgio Chiellini negli ultimi dieci anni.


Empoli 2006/07

Tra quelli presi in esame, il piccolo miracolo dell'Empoli 2006-2007 è quello più concettualmente simile al Leicester. Il settimo posto e la qualificazione diretta alla Coppa UEFA senza Intertoto o altri orpelli preliminari arrivano dopo una stagione senza misticismi tattici o profeti di quartiere: l'allenatore è l'usato sicuro Gigi Cagni, rilanciatosi alla corte di Fabrizio Corsi dopo alcune stagioni difficili tra Sampdoria, Piacenza e Catanzaro. Il mercato estivo è stato fatto a costo zero, facendo cassa con la classica cessione di gran pregio (Tavano, ceduto al Valencia per 10 milioni) e investendo in entrata con soli prestiti e comproprietà, oppure pescando l'esperto Daniele Adani dal cestone degli svincolati. Incide molto, naturalmente, la caotica estate di Calciopoli, che toglie la Juventus dal lotto delle pretendenti all'Europa per ovvi motivi e azzoppa con pesanti penalità la Lazio, il Milan e la Fiorentina: ma nessuno dei 54 punti dell'Empoli sarà regalato o immeritato.

Sul modello dell'Italia di Lippi che ha conquistato il mondo con una filosofia pratica e camaleontica, l'Empoli di Cagni sa adattarsi agli avversari e alle situazioni, muovendo da un 4-3-1-2 con un solo straniero nell’undici titolare, che si concede anche il vezzo di un trequartista non banale da 38 partite su 38, il piccolo e svelto Ighli Vannucchi di cui si ricorderà soprattutto la passione per la pesca e per essere stato uno dei primi a cavalcare la velenosa moda del “bomberismo”. A guidare la sesta miglior difesa del torneo c'è il portiere 39enne Daniele Balli, alla miglior stagione della carriera. I quattro difensori in linea, con la rarissima licenza di oltrepassare la linea di centrocampo, sono guidati da Andrea Raggi, indifferentemente terzino destro o difensore centrale: i suoi colleghi di reparto, intercambiabili tra loro, sono Vanigli, Lucchini, Tosto, il suddetto Adani o il povero Pratali che avrà la sventura di prendersi in faccial'ultima grande pedalada di Ronaldo, in un Milan-Empoli del sabato di Pasqua. Il regista di centrocampo è Almiron, un argentino figlio d'arte (suo padre Sergio Omar, centravanti, indossava la maglia numero 1 dell'Argentina al Mondiale di Messico 1986, seppur mai impiegato), dal passo lento e cadenzato ma capace di visioni di gioco sontuose: un Veron in sedicesimo. Ai suoi lati corrono il motorino Buscé, 4 gol in campionato, uno dei giocatori più amati dal pubblico empolese, e il portatore d'acqua Moro, che si dà spesso il cambio con Marianini. Davanti a Vannucchi vive la stagione della vita Luca Saudati, ex promessa mai sbocciata del vivaio milanista che dopo una carriera senza mai andare oltre i 7 gol in serie A ne piazza 14 tutti d'un fiato. La sua spalla varia in base all'avversaria: nelle partite da vincere Cagni gli piazza accanto il secondo centravanti Nicola Pozzi, se c'è da correre e ripartire punta sulla velocità di Matteini, altro mestierante di serie B che vive una stagione sopra le righe.

Sergio Bernardo Almiron da fuori area non tirava affatto male.

In tutta evidenza non è una rosa che passerà alla storia, e in condizioni di vento normale staremmo forse parlando di una salvezza neanche troppo tranquilla (e l'anno dopo, difatti, l'Empoli retrocederà nonostante la freschezza portata a centrocampo e in attacco dai giovani juventini Giovinco e Marchisio). Ma è una di quelle stagioni in cui funziona tutto bene, anche gli incroci del calendario, come per esempio a metà febbraio quando l'Empoli batte la Roma dell'ex Spalletti distratta dall'ottavo di Champions contro il Lione. Il 4 marzo, dopo una vittoria per 1-0 a Udine che vuol dire salvezza acquisita, Cagni e i suoi ragazzi decidono di volerci credere e, con un'interpretazione del calendario e delle avversarie con grande umiltà, come se fossimo nel campionato 1983-84, costruiscono la qualificazione all'UEFA mattoncino per mattoncino: un 1-0 di qua, un 2-1 di là, tanti oculati pareggi contro squadre in lotta per la salvezza e qualche sconfitta indolore per non dare troppo nell'occhio. Si diffonde la classica diceria da bar dell'Empoli “che non vuole andare in UEFA perché non se lo può permettere”, ma la realtà è che l'aritmetica li premia già alla penultima giornata, dopo un festoso 3-3 al Castellani contro un altro ex, Walter Mazzarri, che sta riuscendo nel miracolo sportivo di salvare una Reggina partita da -11. Alla mezzanotte del campionato la carrozza ridiventa zucca e l'Europa dell'Empoli arriverà solo fino a Zurigo, ma è stato uno di quei casi in cui il viaggio è contato molto più della destinazione finale.

Sgroppata di Buscé e girata al volo fulminante di Pozzi: un classico dell'Empoli 2006/07.


Udinese 2004/05

Il laboratorio della famiglia Pozzo produce uno dei suoi massimi capolavori nella stagione 2004/05, punto d’arrivo del triennio d’oro di Luciano Spalletti. Già tecnico dei friulani nella parte finale del campionato 2000-2001, abbastanza per ottenere la salvezza, il pelato di Certaldo torna a Udine in cerca di rilancio e si sintonizza alla perfezione sulle frequenze di una squadra giovane, fisica e veloce, di orizzonti e idee mittel-europee ma rinfocolata dal genio italico del folletto Totò Di Natale, asso nella manica per risolvere le situazioni più scabrose. Sesta nel 2003, settima nel 2004, la terza Udinese di Spalletti trova lo slancio per alzare l’asticella proprio nel numero 10 napoletano, acquistato dall’Empoli retrocesso l’ultimo giorno di mercato su pressing del tecnico.

Allenatore duttile, in grado di cavarsela con numerosi sistemi di gioco, Spalletti trova la quadratura in un 3-4-2-1 che funziona alla grande soprattutto in trasferta, come dimostrano le cinque vittorie consecutive nell’autunno 2004 che trascinano l’Udinese al terzo posto a metà campionato. In porta c’è l’elettrico Morgan De Sanctis, non esattamente l’avversario più simpatico che abbiate mai incontrato, ma con la testa giusta per il gioco sempre in avanti che Spalletti intende impiantare nella sua creatura. In difesa a destra il capitano Bertotto, a sinistra il giovane brasiliano Felipe e in mezzo nonno Sensini, all’ultima stagione della carriera (quando necessita riposo, lo sostituisce il danese Kroldrup, uno dei tanti sconosciuti pescati dalla fertilissima squadra di scout in giro per l’Europa).

A centrocampo tutto gira intorno alla sapienza tattica del Pek, il cileno David Pizarro, pupillo di Spalletti, che si fa coprire le spalle dallo spigoloso Pinzi e dal ghanese Muntari, pescato dai Liberty Professionals, club della città di Accra, su segnalazione di Beppe Dossena. A sinistra domina il ceco Jankulovski, già promesso al Milan e oggetto di mille ironie quando deciderà proprio Milan-Udinese a favore dei rossoneri conuno spettacolare autogol. Alle spalle del cammellone Vincenzo Iaquinta, centravanti dal tiro secco e falcata da quattrocentista che Spalletti usa come la pallina di una fionda, si danno il cambio Mauri (prelevato dal Brescia), Di Natale e David Di Michele, seconda punta “di una volta” nel talento e nelle pause.

Iaquinta e Di Michele vanno a nozze negli spazi lasciati dal Palermo di Guidolin in disperato tentativo di rimonta.

Con Milan e Juventus che fanno corsa a sé per lo scudetto, la lotta per gli altri due posti Champions comprende anche la Sampdoria, il neo-promosso Palermo e l’Inter di Mancini, zavorrata dai troppi pareggi (uno di questi, proprio a Udine, culmina nell’estemporanea rete dell’1-1 realizzata allo scadere daun certo Goitom, alla prima e ultima presenza in serie A).

Sesta all’inizio della primavera, l’Udinese cambia passo a cominciare da un clamoroso 1-5 a Palermo, propiziato da un Di Michele scatenato. La volata a quattro diventa un duello che è anche confronto di stili con la quadrata Sampdoria di Walter Novellino, imperniata su un rigoroso 4-4-2. Si arriva allo scontro diretto alla terzultima giornata con le due squadre in parità, e l’1-1 che ne deriva lascia aperto ogni possibile epilogo: ma i blucerchiati s’inaridiscono improvvisamente negli ultimi 180 minuti e all’Udinese bastano due pareggi per vidimare il passaporto per l’Europa con le stellette.

All’ultima giornata al Friuli arriva un Milan in pieno hangover da sbronza per dimenticare Istanbul: l’1-1 basta e avanza, con annesso Spalletti-show a torso nudo sotto la curva per esibire il fisico da marine. Luciano da Certaldo saluterà per iniziare un nuovo ciclo di successi alla Roma: una volta tanto la scelta dei Pozzo non sarà felicissima, cadendo su un Serse Cosmi a disagio con l’atmosfera ovattata di Udine. Ma, superato lo Sporting ai preliminari, arriverà la qualificazione alla prima e fin qui unica fase a gironi di Champions League, contro Werder Brema, Panathinaikos e Barcellona – che è poi il motivo per cui l’Udinese è una delle pochissime squadre europee a cui Leo Messi non ha mai segnato.




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