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Le retrocessioni più inaspettate della Serie A
18 gen 2018
Squadre che per diverse ragioni pensavano a tutto tranne che a retrocedere.
(articolo)
23 min
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“Al parco del paese è possibile gareggiare per divertimento. Non appena fa capolino la questione del prestigio e si avverte che, in caso di sconfitta, il disonore ricadrà su di sé e su un’entità superiore, si scatenano gli istinti più brutali. Chiunque abbia giocato anche solo una partita di calcio a scuola è consapevole di questo fenomeno. Per dirla francamente, lo sport è un combattimento simulato. In altre parole, è la guerra senza gli spari”.

George Orwell, The Sporting Spirit, 1945

Mentre la corsa scudetto è riservata ai campioni, mantenere la categoria è impresa che spetta ai mestieranti del gioco, agli specialisti del girone di ritorno, ad allenatori che ne hanno viste di tutti i colori. La definizione lotta per la salvezza richiama in automatico un senso di sopravvivenza, di una guerra di posizione combattuta nelle trincee di provincia. Capita che squadre impreparate a una battaglia fisica e mentale di questo tipo finiscano nei guai. La Serie A, come insegna l’Empoli 2016-17, è un campo minato nel quale bisogna muoversi con estrema cura.

Abbiamo provato a rivivere cinque retrocessioni inattese degli ultimi trent’anni di A, tra chi ha stupito in negativo per blasone, chi per la qualità della rosa o per essere crollato in maniera inaspettata dopo una buona prima parte della stagione.

Torino 1988-89

Probabilità di riproducibilità: 25%

Chi potrebbe riuscirci: dopo una serie di risultati da incubo, Saputo licenzia Donadoni e riporta al Bologna Franco Colomba, che ottiene una vittoria in nove gare. Per le ultime tre giornate tocca al triumvirato della Primavera: Troise-Perez-Pagliuca. Il pari allo Stadium e la vittoria in casa con il Chievo non bastano, ko a Udine e retrocessione. Donadoni andrà a un passo dalla panchina dell’Italia, bruciato da Claudio Ranieri.

Tra le frasi più (ab)usate nel mondo calcistico britannico, svetta "Jesus saves - but nome di giocatore molto prolifico scores on a rebound". Dalle parti di Anfield, il giocatore molto prolifico negli anni '80 è Ian Rush. La Juventus lo acquista per 2 miliardi e 350 milioni di lire, convinta di aver messo a disposizione di Rino Marchesi una macchina da gol. Gianni Mura il mese del suo arrivo: «Uno pensa che Ian Rush soffra per l'assenza di cross e invece soffre per l'assenza di pub. Da un anno e mezzo prende lezioni di italiano, fin qui ha imparato quattro parole. Se si applica, sarà in grado di intendersi perfettamente con i compagni nel 2012».

Il Torino annata 1987-88 è una bella squadra: perde la doppia finale di Coppa Italia con la Samp e si gioca un posto in Uefa. Tre turni alla fine, derby della Mole. Polster risponde a Tricella, tutto pronto per l’1-1. Rush, in un attimo di rara ispirazione, batte Lorieri a 2’ dalla fine. Il campionato si chiude con Juve e Toro a pari punti, serve lo spareggio. La partita è di una bruttezza straziante. Ai rigori sbagliano Brio per la Juve e il duo Comi-Benedetti per il Torino. Il quinto penalty bianconero lo calcia Rush, il cui tiro bacia il palo prima di entrare in rete e spedire la Juve in Uefa. Mentre il gallese torna a Liverpool, le strategie della dirigenza granata, senza l’accesso al torneo continentale, cambiano.

La stagione 1988-89 è rivoluzionaria: dopo ventuno anni si torna a una massima serie a diciotto squadre, con una retrocessione in più. Il Torino si sente al sicuro. In panchina siede Gigi Radice, l’artefice dello scudetto del 1976, tornato in granata nel 1984. Dal mercato esce una squadra trasformata. Corradini e Crippa al Napoli, Polster al Siviglia, Berggreen al Lyngby. Il talentuoso Lentini viene spedito ad Ancona a farsi le ossa. Lo farà, assistendo da lontano al tracollo. I tre stranieri sono Edu Marangon, Haris Skoro e Luiz Antonio Correia da Costa, noto come Müller. Ha tutto per diventare una stella ma, dal punto di vista comportamentale, è Edmundo dieci anni prima di Edmundo. In un campionato iniziato tardissimo per via dei Giochi di Seul, segna due gol nelle prime cinque giornate: quello con il Cesena traccia la strada per il primo successo stagionale. L’acuto all’Olimpico con la Roma, firmato da due prodotti del vivaio come Zago e Fuser, non è sufficiente a Radice per salvare la panchina. L’esonero arriva tra la sconfitta di Bologna e la sfida con il Milan.

Mentre Radice saluta, brilla la stella di Gigi Maifredi e del suo Bologna champagne.

Agroppi rifiuta l’incarico, la coppia Gerbi-De Finis sceglie Claudio Sala. Classifica alla mano, il Torino sarebbe salvo. Contro il Milan, Van Basten risponde alla doppietta di Müller, finisce 2-2 e sembra la scossa giusta. Alle porte però c’è il Natale e il brasiliano ha un guaio da risolvere. Jussara, la soubrette in carriera che ha sposato, lo ha lasciato per tornare in Brasile.

L’innamorato ferito prende un aereo e la raggiunge, barcamenandosi tra tentativi di riconciliazione e carte per il divorzio. Quando rientra in Italia, è solo. Il Toro raccoglie un punto in quattro gare e dopo l’1-0 di Ascoli è ultimo. I granata perdono anche Zago, vittima di un infortunio che ne devasterà la carriera. Sullo sfondo c’è il passaggio di proprietà del club: arriva il rampante Gian Mauro Borsano, imprenditore, futuro deputato socialista, presidente del colosso Gima. «Finisce 2-0 per noi», dice poco prima del battesimo da patron sul campo dell'Atalanta, non senza ansie da telecamera. Vincono 1-0 i nerazzurri. Ma l’esordio casalingo è positivo, Skoro stende la Fiorentina. Il Torino torna a respirare e crederci alla ventiquattresima. Il miglior Müller della stagione e Fuser piegano la Roma, i granata sono fuori dalle ultime quattro. E sotto la Mole, già da qualche settimana, è tornata Jussara. Il divorzio? Mai successo. Tra lei e Müller è riesploso l’amore.

Ma un punto di vantaggio sulle inseguitrici non può bastare, il Toro smette di vincere. Dopo tre pareggi e due ko, il 4-1 a Napoli è fatale a Sala. Il mago della Primavera granata, Sergio Vatta, viene promosso. L’esordio è una sconfitta a Pisa. Ci sono altri due scontri diretti all’orizzonte, con Ascoli e Como. Cravero e soci rimediano un pari con i bianconeri e ritrovano orgoglio e due punti in riva al lago: 2-3, a segno Müller, il rilanciato Edu Marangon, accantonato a lungo prima dell’arrivo di Vatta, e Benedetti.

Con 180’ da giocare, il Torino pesca il jolly Inter, da tempo campione d’Italia. Segnano Skoro e Müller, c’è ancora vita sul pianeta granata. Nella coda della classifica, l’affollamento è quello di un centro commerciale la mattina del 24 dicembre. Como, Pisa e Pescara sono in B: a condannare gli abruzzesi, a quota 26 punti, è lo scontro diretto in vista tra Ascoli e Lazio, appaiate a 28. In mezzo c’è il Torino a 27, chiamato ad affrontare il Lecce. I salentini fanno parte del gruppo di squadre a 29 punti, con Bologna, Cesena e Verona. Il Via del Mare è il teatro della festa di Mazzone e del dramma del Toro. Nell’anno del quarantennale della tragedia di Superga, i granata tornano in B per la seconda volta nella loro storia. Nel giro di tre anni arriveranno a contendere la Coppa Uefa all’Ajax.

Quando Barbas calcia la punizione del momentaneo 2-0, parte anche la corsa di Mazzone. Il movimento del pugno destro presenta già i requisiti dello schema ripetuto in occasione del più celebre “Limortaccivostra” della storia del calcio italiano (Brescia-Atalanta 3-3, 30/09/2001).

Fiorentina 1992-93

Probabilità di riproducibilità: 5%

Chi potrebbe riuscirci: Ferrero esonera Giampaolo in diretta tv, strappando il microfono a Riccardo Re di Sky dopo lo 0-2 con la Fiorentina. Nelle restanti 18 partite, la Samp di Bortolo Mutti raccoglie 5 punti. A giugno, su suggerimento di Franco Baldini, Giampaolo diventa il nuovo manager del Tottenham. La Samp riparte da Sandro Pochesci.

Vittorio Cecchi Gori non è ancora Senatore della Repubblica quando Bettino Craxi, tallonato dalle inchieste di Antonio Di Pietro, infiamma l’estate del 1992 con un discorso passato alla storia della Prima Repubblica. Si vota la fiducia al governo Amato e il segretario socialista chiama in correità l’intero Parlamento sul finanziamento ai partiti. Serviranno due anni per vedere il rampollo della famiglia Cecchi Gori eletto nelle liste del Partito Popolare Italiano. In mezzo c’è tempo per una retrocessione spettacolare.

Alla guida di una Fiorentina che vuole scrollarsi di dosso l’anno e mezzo di gestione Lazaroni c’è Gigi Radice, legato a filo doppio alle annate destinate a finire in malora. Nominalmente, il presidente viola è ancora Mario Cecchi Gori, padre saggio alle prese con le bizze di un figlio che non vede l’ora di disporre pienamente del giocattolo gigliato. Il mercato è di qualità. Le punte di diamante sono Effenberg, Brian Laudrup e Baiano. C’è tutto per una Fiorentina da zona Uefa. L’unica grana è il caso-Dunga, scaricato durante il mercato novembrino al Pescara. Cecchi Gori organizza una presentazione in grande stile, tutti in piazza Santa Croce, conduce Gianni Minà. Stona la scelta della seconda maglia con la svastica nascosta inavvertitamente tra le forme geometriche nella parte alta della divisa, ritirata dopo l'esplosione del caso su scala internazionale. Due pareggi per iniziare l’anno, poi sette gol all’Ancona. La Fiorentina gioca benissimo. Rischia in difesa ma centrocampo e attacco sono di livello assoluto. Batistuta piazza due doppiette esterne – Lazio e Inter – prima del tracollo con il Milan, un 3-7 che è fotografia fedele di una squadra pazza, da ricordare l’immancabile faccia a faccia tra uomini sereni e pacati come Rossi ed Effenberg dopo il gol del tedesco.

Il sistema spregiudicato di Radice funziona. Pur con qualche rovescio occasionale, la Fiorentina macina gioco. Dicembre si apre con un convincente 2 a 0 alla Juventus, Cecchi Gori arringa la folla dagli spalti. Nella giornata successiva i viola agguantano il secondo posto in classifica con Inter e Torino. A frenarne la corsa è il lungo stop del campionato: l’Italia soffre e vince a Malta con i gol di Vialli e Signori, con la sosta natalizia la pausa dura quasi un mese. Si torna in campo il 3 gennaio e l’Atalanta sbanca il Franchi di misura, risolvendo la sfida in contropiede con uno scavetto di Perrone. Negli spogliatoi, Cecchi Gori esonera Radice davanti ai giornalisti. «Con il presidente c’è stata una discussione e sono stato considerato il responsabile di questo cattivo andamento», dichiara un incredibilmente calmo Radice nella pancia del Franchi.

Torna d’attualità Agroppi. Una delle prime frasi da nuovo tecnico della Fiorentina è eloquente: «Se Vittorio vorrà fare l’allenatore, io farò il presidente». Si parte col botto: viola in svantaggio dopo nove secondi con il gol dell’ex Branca, a Udine finisce 4-0. Nelle prime otto partite sotto la guida di Agroppi, la Fiorentina rimedia la miseria di tre pareggi, perdendo anche ad Ancona contro una squadra allo sbando. Per il primo successo bisogna attendere il 14 marzo, 2-0 al derelitto Pescara. L’esonero di Radice incombe come una maledizione, il 2-1 sul Cagliari è un’iniezione di fiducia inattesa, nonché l’ultimo lampo della gestione Agroppi. Seguono tre pareggi e il 3-0 al Delle Alpi contro la Juventus: a un girone di distanza dal punto più alto della stagione, la Fiorentina è ufficialmente nel panico. La disperazione porta in panchina la strana coppia Antognoni-Chiarugi: pari con il Parma, sconfitta drammatica a Bergamo.

Il volto spaurito di Mario Cecchi Gori, un girone dopo la sfuriata del figlio Vittorio, è quello di una squadra che si ritrova a lottare per la salvezza senza averne la forza mentale.

Fiorentina-Udinese è uno spareggio, il 2-2 in rimonta è una mezza sconfitta. Il Brescia agguanta entrambe, Ancona e Pescara sono in B da mesi. Hagi e compagni rimediano un vitale 1-1 a San Siro nel giorno della festa del Milan scudettato, l’Udinese liquida 2-0 l’Ancona e stacca la Fiorentina (1-1 a Torino). Udinese 29, Brescia e Fiorentina 28, 90’ da giocare. I friulani fanno visita alla Roma, i viola ospitano il Foggia, i lombardi accolgono al Rigamonti la Sampdoria. Batistuta e Baiano archiviano in fretta la pratica (6-2), vince anche il Brescia. Il campo decisivo è l’Olimpico. La Roma non si gioca nulla, va in vantaggio con Hässler per poi alimentare un mare di polemiche: Andrea Carnevale, ex e futuro centravanti bianconero, ha il pallone del 2-0 ma calcia debolmente a porta vuota. Con l’1-1 di Desideri, l’Udinese strappa il pass per lo spareggio con il Brescia, condannando la Fiorentina a una delle retrocessioni più assurde di sempre.

Foggia 1994-95

Probabilità di riproducibilità: 50%

Chi potrebbe riuscirci: l’impulso di Iachini si spegne, Berardi segna un solo gol nel girone di ritorno – il classico rigore contro la Lazio – e il Sassuolo, dopo anni di serenità, scende in B.

Benvenuti nell’era dei tre punti. L’Italia ha appena perso in finale il Mondiale statunitense e Roberto Baggio non ha ancora in mente quanto sarà difficile vedersela con la concorrenza di Alessandro Del Piero. La Juve riparte da Lippi, il Milan campione d’Europa è ancora guidato da Capello, la Fiorentina di Ranieri è appena tornata in A.

A Roma, sponda Lazio, c’è una grossa novità. Il patron Cragnotti sposta Zoff dalla panchina alla scrivania, affidandogli il ruolo di presidente. Il nuovo allenatore biancoceleste è l’uomo che ha stravolto il calcio italiano negli ultimi anni, Zdenek Zeman. La dirigenza laziale si imbarca in trattative estenuanti per regalargli i pupilli Rambaudi e Chamot. Quest’ultimo è uno degli asset che il Foggia può monetizzare in vista della prima stagione post Zeman. L’argentino viene ceduto ed è uno dei tre addii eccellenti, insieme a Seno (Inter) e Roy (Nottingham Forest).

Durante il ritiro di Campo Tures, il calcio che conta riscopre le idee del tecnico chiamato per portare avanti l’utopia zemaniana. Scartati Maifredi e un allenatore più pragmatico come Bruno Giorgi, viene scelto Enrico Catuzzi, da tempo nel dimenticatoio. Una mossa controcorrente, poiché le fortune dell’erede del boemo risalgono alla prima metà degli anni ’80. Alla guida del Bari, aveva sfiorato la promozione in Serie A con la sua zona totale e il cosiddetto Bari dei baresi. L’idea di rilanciare Catuzzi è di Giuseppe Pavone, l’architetto degli organici low cost delle stagioni precedenti.

Ai tifosi dello Zaccheria non dispiace l'esperimento Catuzzi.

Racconta Catuzzi: «Di una cosa sono certo: il primo a portare la zona in Italia sono stato io e credo che il grande merito di Zeman sia stato quello di continuare a fare questo tipo di gioco anche in A, prescindendo da quelle che parevano regole sacre. Se si avrà la pazienza di non fermarsi alla superficie, di questo Foggia si ammirerà il modo di stare in campo. Chi dice che la zona è sinonimo di spettacolo, non sa cosa sia la zona».

L’obiettivo del Foggia ai blocchi di partenza del campionato 1994/95 è la salvezza, lo scatto iniziale illude tutti. Pari all’esordio in casa della Roma (primo gol di Totti in A), vittoria sul Brescia e 1-1 con la Samp grazie a una perla di Di Biagio, trattenuto nonostante le sirene di mercato. Il capolavoro arriva alla sesta giornata: doppietta di Bresciani e Juve ko alla Zaccheria. Zeman non c’è più ma i tifosi rossoneri quasi non se ne sono accorti.

Catuzzi è sulle prime pagine dei quotidiani e ripercorre gli anni di oblio: “Sul campo non ho paura di nessuno – confessa a Giancarlo Padovan sul Corriere della Sera – perché posso far vedere come lavoro. Ero convinto di aver fatto bene sempre, e non per presunzione. Di errori ne ho commessi, però alcune chance, anche minime, non potevo permettermi di rifiutarle. Ci andavo perché era il solo modo di affermare la mia esistenza. Questa squadra non è solo mia: è per metà mia e per metà di Zeman. Gli schemi di attacco non li ho dovuti nemmeno toccare”.

Con 24 punti al giro di boa, i rossoneri si sentono già in salvo, più vicini alla zona Uefa che a quella calda. Ma non hanno fatto i conti con la riforma dei tre punti, che rende il +7 sul terzetto Cremonese-Genoa-Padova un gap decisamente colmabile. I primi scricchiolii erano arrivati a fine girone d’andata: sette gol presi nel secondo tempo dalla Lazio di Zeman.

Il ritorno si apre con sei sconfitte nelle prime sette gare, si passa dal sogno Uefa all’incubo retrocessione. Il Foggia deve vincere per muovere la classifica, il 4-1 al Padova alla 25^ vale doppio con il sorpasso sui biancoscudati. In coda ci sono due club virtualmente già in B, Brescia e Reggiana. Il plotone in lotta per la salvezza vede Foggia, Genoa, Cremonese e Padova. Purtroppo per Catuzzi, per un altro successo bisogna attendere la 31^, 2-1 sulla Fiorentina.

Mancano tre gare e il Foggia è a quota 33 come il Genoa, con la Cremonese avanti di due lunghezze. Alle porte c’è una giornata decisiva, che i grigiorossi sfruttano alla perfezione, risucchiando il Padova nella bagarre con un netto 3-0. Lo stesso risultato matura al Ferraris tra Genoa e Foggia, ai rossoneri non resta che l’aritmetica. Il calendario, per il colpo di grazia, sceglie gli antichi idoli dello Zaccheria. Tocca a Zeman e Signori firmare la retrocessione del Foggia.

La carriera di Catuzzi, colpevole di essere partito troppo forte nella sua unica stagione in A, riprenderà la strada dell’oblio: due mesi alla Pistoiese, tre al Como, un anno all’Acireale prima di un esodo bulgaro al CSKA Sofia a cavallo del nuovo millennio. Morirà nel 2006, a sessant’anni, forse pensando ancora di meritare una panchina sulla quale affermare la propria esistenza.

Verona 2001-02

Probabilità di riproducibilità: 15%

Chi potrebbe riuscirci: la scossa di Walter Mazz… No, non si va contro Mazzarri, c’è un limite anche agli scenari assurdi.

Crespo, Cannavaro, Buffon, Thuram, Veron, Chiesa e tanti altri stanno portando in trionfo un uomo. Hanno appena vinto la Coppa Uefa, schiantando il Marsiglia in finale. Da calciatore, l’uomo non aveva neanche un’unghia del talento di chi lo sta sorreggendo. Da allenatore, pare destinato a una carriera folgorante. Ma il mondo del calcio non aspetta, punisce ogni errore. Un anno più tardi viene esonerato dal Parma. L’uomo è Alberto Malesani. Cercarlo oggi su Google è un’esperienza mistica.

Se ve lo state chiedendo, "Malesani freni" non è un passaggio oscuro di una conferenza stampa, bensì un'azienda che produce impianti frenanti per trattori agricoli.

Il declino di Malesani, passato da tecnico rampante a meme nel giro di tre lustri, inizia nella stagione 2001-02. Ha condotto il Chievo dal 1993 al 1997 e ora ha la chance di allenare l’altra squadra della sua città, l’Hellas. L’organico di quel Verona è uno dei manifesti dei nostalgici che cercano di far passare concetti come: “All’epoca si andava in B con Oddo, Gilardino, Mutu e Camoranesi, gente che oggi vincerebbe la Champions League scalza”.

Va detto che è un Hellas intrigante, che al debutto ferma la Roma campione d’Italia. In A, al primo giro tra i grandi, c’è il Chievo di Gigi Delneri. Quando arriva il derby dell’undicesima giornata la capitale calcistica è diventata la città di Romeo e Giulietta. L’Hellas ha raccolto tredici punti, in linea con le aspettative di inizio anno. Il Chievo è addirittura in testa. Il sindaco Michela Sironi non ha dubbi: prima del match, deve essere suonato l’inno d’Italia. I due capitani, Leo Colucci e Maurizio D’Angelo, apprezzano. Giunge un monito da Roma: Damiano Tommasi, giallorosso di maglia e scaligero di sangue, parla già da presidente federale: «Tutto giusto e bello ma sarebbe il caso di insegnare l'inno a scuola e non su un campo da calcio». Una stincata volante di Eriberto, non ancora Luciano, scavalca Ferron. Il derby sembra finito con il rigore del 2-0 di Corini, Oddo riapre tutto dal dischetto, nella ripresa una goffa autorete di Lanna rimette il conto in parità. Marazzina si fa espellere, Salvetti pesca Camoranesi e l’Hellas si prende il derby. I festeggiamenti di fine gara rappresentano uno dei momenti cult della carriera di Malesani. Il tecnico si inginocchia sotto la curva, si rialza, cade a terra, ha un raptus da centravanti di provincia e si toglie la giacca per lanciarla ai tifosi. Si sente come in quella notte al Luzhniki, anche se non ha Crespo e Veron a lanciarlo in aria. Viene anche travolto dalle polemiche per eccesso di esultanza e impazzisce davanti alle telecamere.

“L’ultimo allenatore in Europa che ha vinto, DIGHELO!”.

Alla quindicesima batte la Lazio e sente profumo di zona Uefa, andando a una sola lunghezza dal sesto posto. Il Chievo perfetto di Delneri perde colpi e l’Hellas si mantiene stabilmente a ridosso delle prime. La società mette sul tavolo il rinnovo, Malesani lo firma con entusiasmo. «Il Chievo non è più irraggiungibile» dice Malesani dopo l'1-1 di Lecce, «Ora può diventare uno dei nostri obiettivi». La sconfitta con l’Inter non fa suonare campanelli d’allarme, il ko a Bologna sa di giornata sfortunata, specialmente alla luce dell’1-0 inflitto poi al Parma. Il Verona perde a Torino con gol di Nedved e si presenta al derby di ritorno con soli cinque punti di vantaggio sulla zona retrocessione. Senza i due Colucci e Frick, i ragazzi di Malesani non reggono l’urto e l’insospettabile killer instinct di Federico Cossato mette nei guai l’Hellas.

L’Hellas ha paura, sente sul collo il fiato delle inseguitrici, ora a due lunghezze. Ma quando piega di misura l’Udinese, la salvezza pare in tasca. In casa della Lazio perde 5-4 e tutto si riapre, perché al Bentegodi si presenta un Milan a caccia di un piazzamento in Champions. Mutu inventa il gol del vantaggio, Serginho spara un rigore sul palo e Malesani inizia a pensare che sì, forse si è sofferto più del dovuto, ma la salvezza è cosa fatta.

Inzaghi lo riporta con i piedi a terra, al resto pensa Pirlo, il più rapido a capire dove Kaladze sta per mettere il pallone. Dribbling su Ferron, tocco a porta vuota e gol-vittoria: Verona per il Milan può anche non essere fatale, e la vittoria è il primo mattone del trionfo in Champions League l’anno successivo.

Il Verona, fermo a 39 punti con il Piacenza, prossimo e ultimo avversario, è nelle sabbie mobili. Il 5 maggio 2002 non è drammatico solo per i tifosi dell’Inter ma anche per quelli dell’Hellas. Roberto Baggio, rientrato a tempo di record dall’ennesimo infortunio al ginocchio per tentare di prendere parte al suo quarto Mondiale, affronta il Bologna per portare in salvo il Brescia: i rossoblù sono in corsa con il Milan per il quarto posto che vale i preliminari di Champions. La prestazione dell’Hellas a Piacenza è inquietante, Volpi e Hubner mettono i chiodi sulla bara scaligera. Le rondinelle sfoderano la partita della vita e battono 3-0 un Bologna che scivola addirittura in Intertoto.

Malesani inizia la sua lenta trasformazione in mito del web, vivendo tappe fondamentali ad Atene, con la conferenza stampa da tecnico del Panathinaikos, e a Genova, dove batte il record mondiale di utilizzo della parola “mollo” in 90 secondi. Una sua foto in pantaloncini e ciabatte al bancone di un bar, divenuta virale in un battito di ciglia, è il modo migliore per ricordare a tutti quanto sia effimera la gloria.

Sampdoria 2010-11

Probabilità di riproducibilità: 10%

Chi potrebbe riuscirci: Percassi, convinto di poter fare cassa senza subire ripercussioni grazie alle doti magiche di Gasperini, a gennaio vende Berisha, Toloi, Hateboer, Freuler, Cristante, Gomez e Cornelius. Caldara e Spinazzola anticipano l’approdo alla Juve. L’erede di Gomez è Ljajic. Gasperini si dimette, dal Levski Sofia arriva Delio Rossi. La situazione precipita fino alla retrocessione.

La Serie A, negli anni ’90, è una giostra divertentissima. La Coppa Uefa è il banchetto preferito dalle italiane con sette successi: Inter 1991, 1994 e 1998, Juventus 1990 e 1993, Parma 1995 e 1999. Con l’ingresso nel nuovo millennio, la partecipazione alle coppe diventa un boomerang per chi non può competere. E se la Fiorentina 2001-02 retrocede per motivi meramente societari, le discese in B di Perugia (2003-04), Chievo (2006-07, con comparsata ai preliminari di Champions nel tumulto post Calciopoli) ed Empoli (2007-08) sono figlie di rose decisamente non all’altezza. Nulla fa pensare che un simile copione possa ripetersi con la Sampdoria, brillante quarta nel 2009-10.

Foto di Massimo Cebelli / Getty Images.

Gigi Delneri è salito sul treno più importante della sua carriera: lo chiama la Juve, con lui ci sono anche Beppe Marotta e Fabio Paratici. Andrà meglio a loro. «Quella blucerchiata è un’offerta che non potevo rifiutare, la responsabilità non mi spaventa», dice il nuovo tecnico Mimmo Di Carlo. Il sorteggio del preliminare abbina la Samp al Werder Brema. In Germania, dopo un tempo ben giocato, Cassano e compagni vengono travolti. Fritz, Frings e Pizarro mettono al tappeto i blucerchiati in venti minuti, la testa di Pazzini al 90’ dà un senso alla sfida di ritorno. Il 24 agosto, in un Ferraris infuocato, fino al 93’ si vede la miglior Samp dell’intera stagione. Apre Pazzini, che concede il bis con un destro al volo uscito da una compilation dei migliori gol di Rooney o Shearer. A 5’ dal novantesimo, Mannini pesca Cassano a centro area. Fantantonio ci mette sopra fin troppa mostarda con un tacco inutile, la fortuna gli sorride. Wiese non si è ancora dato al wrestling ma combina un mezzo disastro, 3-0. Basterebbe amministrare e invece al 94’ un rasoterra di Rosenberg spedisce tutti al supplementare, dove Pizarro corona uno slalom speciale di Marin e pone fine al sogno.

Il contraccolpo si sente in parte: vittoria con la Lazio, pirotecnico 3-3 in casa della Juve, ko con il Napoli e tre pareggi consecutivi. Un’altalena tutto sommato accettabile per una squadra che deve riassestarsi dopo la sberla estiva.

A fine ottobre scoppia la bomba. Cassano non partecipa alla consegna del premio “Rete d’Argento”, il patron Garrone lo richiama all’ordine, secondo la ricostruzione della Gazzetta volano dei “sonori vaffanculo”. Passa qualche giorno e la Samp mette fuori rosa il suo leader tecnico ed emotivo, portandolo davanti al Collegio arbitrale. “Antonio è ineducato: fino a 15 anni era un piccolo delinquente, lo dice anche lui nei suoi libri”, attacca Garrone. La squadra viene trascinata di peso da Pazzini, scatenato nonostante tutto: la tripletta di Lecce scaccia via una mini-crisi.

A metà dicembre, il Collegio arbitrale stabilisce la sospensione dello stipendio di Cassano fino al 31 gennaio 2011 e una decurtazione dell’ingaggio pari al 50% fino alla scadenza del contratto (30 giugno 2013). La Samp cede Cassano al Milan. Resta Pazzini. Anzi, no. Garrone accetta l’offerta dell’Inter, dodici milioni e il cartellino di Biabiany.

Non perdetevi il colpo grosso del Milan.

Con sei punti di vantaggio sul Cesena e ben quattro squadre a fare da cuscinetto, nessuno pensa alla B. Per rinforzare l’attacco arrivano Macheda, inviato da Ferguson dopo che un suo gol al debutto lo aveva aiutato a vincere la Premier 2008-09, e Maccarone.

Con un quarto d’ora di fuoco contro il Bologna, la Samp va a +8 sul Brescia ma il 2-3 con il Cesena di Parolo e Giaccherini costa l’esonero a Di Carlo. Il compito di centrare la salvezza passa ad Alberto Cavasin, che subentra con tre punti di margine sui bianconeri, dieci gare da giocare e tre squadre tra i blucerchiati e il diciottesimo posto: Catania, Parma e Lecce. Nella fetta di campionato in cui dovrebbe costruire la permanenza in A, la Samp confeziona il disastro. Contro il Catania a trazione argentina decide un missile al volo di Llama, poi Parma e Lecce sbancano Marassi. Ai blucerchiati resta un punto di vantaggio sul Cesena e lo gettano via perdendo a San Siro col Milan.

Cavasin accetta il faccia a faccia con i tifosi e risponde a modo suo: «Ho perso sette chili».

Finalmente arriva una vittoria, uno striminzito 0-1 a Bari. Una partita condizionata, secondo la Procura federale, da Stefano Guberti, che avrebbe offerto 400 mila euro ad Andrea Masiello per indirizzare il risultato. I calciatori del Bari rifiutano, Guberti verrà comunque condannato a una squalifica di tre anni. Sarà poi assolto dal reato di frode sportiva dal Tribunale di Bari “perché il fatto non sussiste”.

Restano quattro gare da giocare, il 3-3 con il Brescia serve a staccare di un punto il Lecce. La 36^ giornata sancisce virtualmente la retrocessione. Il posticipo serale dell’8 maggio è il derby della Lanterna, i tifosi genoani accolgono i rivali con un coro che richiama la vittoria del Lecce nel pomeriggio sul Napoli, firmata da una perla di Chevanton. Floro Flores porta in vantaggio il Grifone, una papera di Eduardo rimette la Samp in carreggiata. Le lancette scorrono fino al sesto minuto di recupero e Mauro Boselli entra nella storia del Genoa dalla porta principale, dipingendo il sinistro che condanna, non aritmeticamente ma moralmente, i cugini alla B. Una clamorosa caduta resa ufficiale dal ko con il Palermo.

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