Abbiamo imparato a conoscerlo come un giocatore duttile e intelligente, capace al tempo stesso di mettere ordine, sfoggiare eleganza e inserirsi in avanti. Un ragazzo dalla fisicità buffa, che si fa benvolere in tutti gli spogliatoi e che ha chiamato Zlatan il suo cane, uno talmente simpatico da meritare il soprannome di “Paquirrín”, un personaggio della TV spagnola. L'abbiamo conosciuto come un'utile pedina nella grande Spagna che ha vinto tutto a cavallo tra gli anni Zero e gli anni Dieci. L'abbiamo visto più volte segnare e baciarsi gli avambracci, dove sono tatuati i nomi dei figli, Enzo e India.
Poi abbiamo seguito le settimane, e i lunghi mesi, che lo hanno tenuto fuori gioco, in balia di problemi fisici tanto seri quanto rari per un calciatore.
Abbiamo trovato consolazione, allora, nel ritrovarlo in campo 636 giorni dopo l'ultima volta. Quello era al tempo stesso un ritorno in campo e un ritorno a casa. A trentaquattro anni, dopo un infortunio del genere, non era scontato che continuasse l'attività. Anzi pareva un miraggio, quella maglia numero 19 nell'ex stadio Madrigal, se non un miracolo. Abbiamo scomodato così la resurrezione di Lazzaro da Betania, raccontata nel Vangelo di Giovanni.
La storia di Santiago Cazorla González però è fatta di cadute e riscatti, come quella di tutti, e i miracoli non esistono, e il mondo non è su una linea progressiva che porta verso l'alto o il basso inesorabilmente.
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A post shared by Santi Cazorla (@santicazorla) on Mar 19, 2018 at 11:18am PDT
Con il padre José Manuel, ex minatore nelle miniere di carbone delle Asturie.
10 giugno 2007, penultimo turno del campionato. Il Recreativo Huesca del tecnico asturiano Marcelino espugna La Coruña. Santi Cazorla, in prestito dal Villarreal, realizza la prima doppietta della sua carriera da professionista.
Pochi giorni dopo, viene premiato come miglior calciatore della Liga da Don Balón, ex aequo con Messi. Una soddisfazione su cui pesa l'ombra della morte improvvisa, durante l'inverno, di suo padre. Nell'estate che segue, il Villarreal esercita il diritto di recompra e lui torna nel club che non si era fidato di lasciarlo andare a titolo definitivo.
3 gennaio 2019. Sono trascorsi quasi dodici anni, in mezzo c'è quasi l'intero percorso di Cazorla. Il Villarreal riceve il Real Madrid nel proprio stadio, che ora si chiama “La Cerámica” e non più “El Madrigal”. I "blancos" sono in crisi d'identità dall'inizio della stagione, ma sono riusciti lo stesso a ribaltare le cose dopo il gol di Cazorla nelle prime battute.
Mancano pochi minuti e il risultato è di 1-2. Fornals riceve palla al limite dell'area, rientra e mette dentro un pallone spiovente. Santi Cazorla, dimenticato dalla difesa, si sposta sul secondo palo e colpisce di testa, nonostante sia alto solo 168 cm. Il pallone si infila sotto le gambe di Courtois, va in rete. Doppietta.
Cazorla corre verso la bandierina del calcio d'angolo. Solo qualche mese prima sembrava che gli dovessero amputare un piede. I medici gli dicevano: «Se riuscirai a camminare in giardino con tuo figlio, potrai ritenerti fortunato».
Foto di Jose Jordan / Stringer
Era cominciata con un fastidio al piede destro, che gradualmente era diventato qualcosa di più, e di più. Nell'ottobre 2016, Cazorla è in campo contro il Ludogorets e dopo un'ora deve chiedere il cambio. Quella notte piange dal dolore, insopportabile, benché lui abbia una soglia molto alta.
A quel punto smette di giocare e inizia a peregrinare per l'Europa, di medico in medico, in cerca di una diagnosi e di una cura. Un'avventura kafkiana, continui consulti, prima di scoprire che la causa è una gravissima infezione batterica al tendine del piede. Non riesce più a giocare con suo figlio, non riesce neanche a correre.
Dopo il primo intervento chirurgico, a fine 2016, l'Arsenal gli fa firmare un'opzione per un anno di contratto in più, come incoraggiamento. Ma lui con i Gunners non giocherà più, tornerà a vivere in Spagna e gli interventi in tutto saranno undici.
L'infezione gli mangia dieci centimetri di tendine. A toccare il malleolo, spiegherà Cazorla, si affonda come nella plastilina. In certi momenti vede solo nero, dice alla sua famiglia che è finita, dovrà ritirarsi.
Gli prendono pelle dal braccio per metterla sulla caviglia. Gli prendono pelle dalla coscia per metterla sul braccio. «Sono come un puzzle. Ci sono parti di me in posti dove non dovrebbero essere».
Non è stato il primo stop: benché incomparabili, ha subito altri infortuni gravi.
Nella primavera 2009 si rompe il perone e non può lottare con i compagni per i vertici della Liga (il Villarreal si classificherà secondo). Nella stagione seguente un'ernia del disco lo tiene lontano dalla nazionale, impedendogli di essere convocato al Mondiale sudafricano e alzare la Coppa. Nell'autunno 2015 si rompe il legamento crociato e deve dire addio alla Spagna di cui era titolare, fermandosi a 78 presenze con la maglia della Nazionale spagnola.
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¡Muchas gracias a todos! Un placer cumplir años rodeado de todos vosotros. #cumpleaños #unomás
A post shared by Santi Cazorla (@santicazorla) on Dec 13, 2018 at 1:56pm PST
Asturiano di Lugo de Llanera, nasce il 13 dicembre 1984 da una madre addetta alle pulizie e un padre che dai sedici anni ha fatto il minatore. Cresce col mito di Michael Laudrup e Zinedine Zidane, insieme a un fratello maggiore che vuole diventare calciatore ma non andrà oltre la Tercera.
A dodici anni, Santi entra nella cantera della squadra del capoluogo, Oviedo, dopo aver iniziato nel Covadonga (altra squadra cittadina, dove si formerà anche Adrián López). Negli anni dell'adolescenza conosce Ursula, che diventerà sua moglie e la madre dei suoi figli.
Con la retrocessione in Tercera División per debiti, nell'estate 2003 il Real Oviedo subisce una diaspora. Cazorla si trasferisce al Villarreal. Dopo un anno d'ambientamento, con un piede nelle giovanili e uno in prima squadra, dal 2004/05 dimostrerà di poter stare stabilmente tra i grandi, superando il severo giudizio di Manuel Pellegrini. E con la maglia dei “Sottomarini gialli” diventerà il calciatore che conosciamo, raggiungerà la nazionale, attirerà club prestigiosi.
Facciamo un salto in avanti. Al 5 giugno 2018, quando il sito ufficiale della società annuncia: «Cazorla vuelve a casa» (cioè: "Cazorla torna a casa").
La presentazione allo stadio viene orchestrata dal mago Yunke, rosso di capelli, vestito con un gilet e delle scarpe improbabili. Cazorla appare tra i fumi, al centro del campo, dentro una capsula di vetro che via via si fa meno opaca. Non è un miraggio né un miracolo, ma un gioco di prestigio sì.
Campione d'Europa 2008 (foto di Franck Fife / Getty Images).
Nell'estate del passaggio all'Arsenal, Cazorla andava incontro ai 28 anni e aveva una carriera da media borghesia del calcio spagnolo. Sembrava un azzardo da parte dei Gunners farne l'acquisto più costoso della sessione di mercato (19 milioni di euro). E anche per lui oltrepassare la Manica poteva rappresentare un rischio, perciò chiese consiglio agli amici Robert Pires e David Silva.
Cazorla si era congedato dalla Liga con un grandioso anno in Andalusia, nell'arrembante Málaga che aveva Pellegrini in panchina e lo sceicco Al Thani alla presidenza. Oltre a lui il calciomercato estivo aveva portato in Andalusia gente come van Nistelrooy, Demichelis, Toulalan, Joaquin e il diciannovenne Isco. Alla fine Cazorla era stato il più impiegato della rosa, in una stagione che aveva visto il club arrampicarsi fino al quarto posto della Liga.
All'Arsenal, Cazorla vincerà 3 FA Cup e 3 Community Shield in sei stagioni, troverà in Wenger una figura paterna, si farà benvolere da tifosi e compagni, indosserà anche la fascia di capitano.
Foto di David Price / Getty Images
«Devo darmi un pizzico quando penso che nel weekend giocherò» ammetteva a settembre scorso. Sta giocando, e con continuità. Le cose si sistemano. Nel 2012, quando il Real Oviedo arrancava nel terzo livello del calcio spagnolo, Cazorla ha acquistato quote del club (al pari degli ex Oviedistas Juan Mata e Michu) per evitare la bancarotta al club dove si era formato.
Le cose lasciano tracce. Il treno per prendere una medaglia d'oro al Mondiale passa di rado, così come dev'essere frustrante provare sei o sette volte a vincere un campionato e non farcela. Il tatuaggio sull'avambraccio, col nome della figlia, si è rovinato per prendere la pelle necessaria a sanare la ferita.
Meglio, le cose si trasformano. In questi anni Santi Cazorla ha perso il padre ed è diventato padre due volte. Era arrivato al Villarreal come un ragazzino su cui scommettere a metà, ci è tornato come una vecchia gloria da onorare. E se quel tatuaggio sul braccio si è rovinato nella sua interezza, una parte si è trasferita altrove, sul piede, ed è illeggibile nel suo significante ma ha preso un nuovo significato.