Si direbbe che in questa stagione il talento di Leao sia finalmente apprezzato dal grande pubblico. Da quasi tutti, cioè, anche quelli che lo trovavano, e a volte lo trovano ancora, non senza una parte di ragione, fumoso, scostante, se non proprio inaffidabile. Chi darebbe l’ultima palla di una partita a Rafael Leao aspettandosi qualcosa di decisivo? Quasi certamente non Pioli, che anche prima dell’infortunio di inizio dicembre scorso lo sostituiva spesso prima della fine. Non siamo ancora a quel punto ma quest’anno ha dimostrato una concretezza, una presenza, che non era scontato avrebbe mai avuto. Resta difficile dire cosa faccia meglio, rispetto alle passate stagioni, specialmente rispetto alla seconda parte di quella passata in cui sembrava giocare come uno che si accontenta di quello che gli può dare il proprio talento naturale praticamente senza farci nessuno sforzo sopra. Ed è difficile anche capire cosa è cambiato nella percezione del pubblico, cosa piace, adesso, di Leao. Posso dirvi, però, cosa piace a me.
Al 23esimo della partita con lo Spezia per qualche ragione Leao si ritrova nella fascia centrale del campo a provare a stoppare un campanile di Maignan mentre prova a resistere alla pressione che gli mette da dietro Nikolau. Fa rimbalzare la palla, prova a palleggiare, poi si ferma pretendendo che l’arbitro gli fischi il fallo. Cosa che non succede. Quindici secondi dopo Manaj sbaglia un passaggio per Kiwior e di fatto restituisce palla a Leao che la stoppa di interno, sul posto, aspetta l’arrivo di Kiwior e lo punisce con un tunnel che fa esultare i cinquemila fortunati a San Siro. Poi parte in conduzione, velocissimo, attira su di sé tutta la difesa spezzina e scarica, di esterno, sul suo lato cieco, a destra, dove arriva libero come l’aria Saelemaekers. Infine si libera dietro al dischetto, Saelemaekers lo serve rasoterra e Leao calcia alto di poco.
Sì, gli riescono più cose - dribbla 5.21 volte a partita, contro le 2.52 dello scorso anno e i 4 dell'anno prima, ovviamente è il giocatore che ha tentato e realizzato più dribbling in Serie A - e forse fa scelte migliori, più efficaci - su Fbref la sua partecipazione diretta alle azioni da gol (Gca) è salita a 0.79 in media ogni novanta minuti, da 0.33 e 0.45 delle due passate stagioni - ma non è questo l’aspetto più importante. Non per me almeno. Il punto è che finalmente Leao può permettersi di giocare scazzato perché, questa è l’impressione che dà oggi, è che possa diventare decisivo da un momento all’altro, trasformarsi da aria a fuoco. Leao spezza le partite è una frase che si sente spesso nelle telecronache del Milan e in effetti, contro lo Spezia, Leao ha prima conquistato il rigore sbagliato da Theo Hernandez e poi segnato il gol del momentaneo 1-0, approfittando in entrambi i casi di una leggera sbavatura difensiva, e in cui, in generale, ha creato quasi tutte le azioni più pericolose del Milan. Prima e dopo, ha avuto e costruito altre occasioni, andandosene sul sinistro come se un elastico immaginario lo avesse spinto lungolinea, oppure rientrando sul destro con l’esterno con una rapidità che fa sembrare i suoi avversari dei vecchi arnesi arrugginiti.
Un’intervista di Repubblica dello scorso novembre aveva come titolo: “Il mio calcio trap, talento, istinto e tanti dribbling”. Si parlava del suo primo, per ora unico, album, pubblicato col nome Way 45, e Leao diceva che quello è solo un hobby. Ma cosa c’è di trap nel calcio di Leao? Mi ha fatto venire in mente quello che ha scritto Simon Reynolds di Future, ovvero che gli «aspetti più palesemente artificiali di auto-tune hanno finito per simboleggiare l’autenticità più pura e vulnerabile». Lo stile di Leao è, a suo modo, barocco, esagerato, ma le parti più rischiose del suo gioco, i dribbling automatici, le conduzioni con cui porta a spasso la palla e gli avversari, sono la sua parte più autentica, quello che gli riesce meglio, quello che può renderlo davvero utile.
In Italia non amiamo il rischio, né tanto meno i giocatori rischiosi. E il dribbling porta con sé, per definizione, la possibilità di perdere palla. In Europa però quasi ogni grande squadra ha almeno un giocatore come Leao, capace cioè di trasformare la complessità di una battaglia tecnica e tattica in un duello rusticano tra chi è più veloce a estrarre la pistola della fondina e premere il grilletto. Il Real Madrid ha dato fiducia a Vinicius Junior e adesso ne sta raccogliendo i frutti, il City ha Mahrez, Sterling, Grealish, il Bayern ha Leroy Sané, Coman, Gnabry… sono giocatori preziosi, chi più chi meno, tutti talentuosi, ma nessuno di questi è perfetto e costante (forse l’eccezione sono i due esterni del Liverpool, Salah e Mané, che però negli anni hanno imparato a fare anche da attaccanti-ombra, partendo dall’esterno per finire al centro).
In Italia, dicevamo, non amiamo il rischio e difatti questo tipo di giocatori praticamente non esiste. Per questo le difese italiane non sembrano preparate per affrontare Leao. Di solito, oltretutto, questo è un tipo di giocatore quantitativo, che si accoppia bene con il calcio intenso di Premier e Bundesliga, dove perdere palla in fin dei conti è meno importante se il resto della squadra è allenato per riconquistarla immediatamente dopo. E Leao non ha niente di intenso, il suo volume di gioco sta crescendo, in quantità ma anche qualità - adesso Leao viene anche incontro, cuce il gioco nella fascia centrale del campo, è più a proprio agio a portare palla in spazi stretti - ma il suo atteggiamento ciondolante è lo stesso di prima.
La camminata strascicata e lenta, la stessa. In parte è vera pigrizia (a Leao non piace difendere o correre all’indietro), in parte un’illusione. Sempre Reynolds, stavolta riguardo ai Migos, parla di una «nonchalance imperturbabile», e dice che «sembrano rapiti da se stessi, persi in un vortice Auto-erotico, avvolti in un’estasi che quasi trasuda dai loro corpi come una nebbia di Auto-Tune». La nonchalance di Leao, il fatto che anche lui sembra rapito da se stesso - con tanto di auto-documentario sul suo Instagram - però sono un inganno.
In un certo senso è il contrario della sensazione che dava nelle passate stagioni (comunque poche, questa è la sua quarta in tutto), quando magari era evidente il suo talento, era “bello da vedere”, ma lo accompagnava comunque un’aria innocua. Adesso è chiaro che il suo atteggiamento apparente svogliato è fumo negli occhi o, se preferite, una manovra diversiva, un modo semplice per far abbassare le difese al giocatore che ha davanti, per farsi sottovalutare, e in ogni momento potrebbe uscirsene con qualcosa di determinante. «Anche quando sbaglia, Leao è bellissimo», scriveva Emanuele Atturo giusto lo scorso maggio. Adesso, anche quando sbaglia, può venirne fuori qualcosa di pericoloso: col Genoa ha segnato provando a crossare di sinistro, col Bologna ha segnato con un tiro deviato.
La coolness di Leao oltretutto gli permette di restare calmo davanti alla porta e far sembrare semplici finalizzazioni complicate, come se la palla gli si muovesse al rallentatore davanti e si trattasse solo di essere preciso nell’esecuzione tecnica. Contro la Roma dopo aver bruciato cinquanta metri di campo trasformando una sponda di petto di Zlatan in un assist, in un passaggio per se stesso in profondità, colpisce forte alzando la palla sopra Rui Patricio; con lo Spezia supera Provedel con un pallonetto di collo a cui deve dare una parabola alta ma non troppo lenta, per non farci arrivare Erlic prima che entri in porta; contro l’Atalanta ha concluso con un tiro fortissimo sotto l’incrocio più lontano un’azione cominciata con un colpo di tacco per Theo nella propria metà campo. Fa cose con stile e in più le fa al momento giusto, in modo utile, con un istinto che sembra più raffinato, che gli fa prendere scelte migliori di qualche tempo fa.
Leao ha detto a Repubblica, quando gli è stato chiesto del rapporto con Zlatan (che cita in una delle sue canzoni): «Zlatan è un fratello maggiore, gli sto sempre vicino. Lui sa che posso fare la differenza con i piedi, ma mi mostra che l'importante è la testa, restare sempre concentrato». La sua forza, però, sta nel saper entrare e uscire da quello stato di elettrica concentrazione in cui deve vivere mentre dribbla - un tempo in cui Leao probabilmente invecchia il doppio velocemente di un uomo normale, del suo diretto avversario - alternandola con l’aria di uno capitato in campo per caso, anzi controvoglia.
Al tempo stesso, anche se non in maniera ossessiva, sta diventando decisivo con costanza, ha già segnato gli stessi gol delle due precedenti stagioni milaniste - con settecento minuti in meno - e gli mancano due assist per eguagliare i 6 della scorsa stagione. Forse stiamo solo vivendo un grande momento passeggero (tre gol e due assist nelle ultime quattro partite) ma sarebbe davvero bello se Leao riuscisse a diventare un grande giocatore in questo modo. Senza l’ansia robotica che sembra animare gente come Sterling, senza la tensione con cui Coman porta palla a scatti brevi, come una persona nervosa che batte il tallone mentre sta seduto.
Può essere proprio questo che mi piace di lui? Di Michael Jordan si diceva che, al di là del talento fisico e tecnico, era un killer. Bob Ryan del Boston Globe lo ha paragonato ad Hannibal Lecter. Io non ce lo vedo Leao segnare 38 punti, il tiro da tre che decide la partita, con la febbre. O meglio, è come se Leao ce l’avesse sempre, la febbre. Dopo essere stato sostituito, con lo Spezia, è uscito vicino alla porta, dal lato più vicino a dove si trovava, e si è fermato, appoggiato ai cartelloni pubblicitari, per guardare il calcio d’angolo a favore del Milan, come uno spettatore. L’arbitro gli ha chiesto di tornare in panchina e Leao ha eseguito l’ordine, solo che ci ha messo un paio di minuti, trascinandosi come se la stanchezza fosse troppa anche per camminare. E insomma, nel 2022, chi non si sente esausto come Leao?