
Quella contro la Fiorentina non poteva essere una partita come le altre per Rafa Leão. Indipendentemente da come sia finita la sua avventura al Milan, per un tempo piuttosto lungo Stefano Pioli è stato una sorta di padre calcistico per il portoghese: l’uomo giusto al momento giusto per aiutarlo a inserirsi in un Paese come il nostro, che non perdona poi molto a quelli come lui, che cercano di prendere il calcio con leggerezza.
Quando Leão era arrivato in Italia, non si capiva bene che tipo di giocatore fosse. Il talento era sotto gli occhi di tutti, ma che forma avrebbe preso? Dopo qualche esperimento e una stagione e mezza tra campo e panchina, Pioli aveva capito che il ragazzo arrivato dal Lille andava messo innanzitutto a suo agio, libero di sperimentare e di guadagnare fiducia. E il modo più semplice per farlo era di schierarlo sulla fascia sinistra. In quel momento, per ciò di cui aveva bisogno il Leão poco più che ventenne, giocare da ala sinistra in ampiezza era sia la scelta più ovvia che quella migliore.
Poi, però, sono passati gli anni. Il Milan di Pioli si è atrofizzato, ma Leão non ha cambiato il suo modo di giocare. Fermo con i piedi in fascia, i compagni gli consegnavano il pallone e lo lasciavano da solo, in attesa che qualche sua iniziativa miracolosa portasse a qualcosa. Il risultato è che il progetto Pioli, alla fine, è naufragato, mentre Leão, che a quel punto avrebbe dovuto essere stabilmente uno dei migliori calciatori al mondo, non si è evoluto più di tanto.
Sono passati due anni da allora. Fonseca ha provato a sviluppare diversamente il gioco del portoghese, ma il suo interregno è stato breve. Conceiçao è tornato ad usarlo in maniera più tradizionale, senza concedergli troppa fiducia per la verità. Così arriviamo a quest’anno, alla gestione Allegri e al desiderio, palesato sin da subito, di trasformare il portoghese in un giocatore incisivo nella fascia centrale del campo.
Se contro la Juve, alla prima apparizione in campionato, Leão aveva sofferto le ricezioni spalle alla porta e non era riuscito a svariare molto (visto anche che il suo partner non era una vera punta ma Nkunku) nella mezz'ora che aveva avuto a disposizione, contro la Fiorentina si è visto qualcosa di diverso, non solo per i due gol.
Già nel primo tempo, dove aveva dovuto muoversi in un contesto simile a quello della partita dell’Allianz Stadium, il suo contributo era stato tutto sommato sufficiente, pur senza fiammate. Milan-Fiorentina non è stata una partita brillante, soprattutto nei primi quarantacinque minuti, dove l’unica occasione degna di nota, quella di Pavlović, è arrivata su palla da fermo.
Il gioco non era troppo fluido, ma che Leão stesse iniziando a prendere confidenza con le sue nuove vesti si vedeva dalle giocate più semplici. Costretto ancora una volta a ricevere spalle alla porta e a non potersi muovere troppo, visto che era l’unico attaccante in campo, il portoghese quando si proponeva riusciva comunque a dare continuità al gioco, risultando affidabile quando, con l’uomo dietro, doveva dare uno sbocco e rigiocare immediatamente di sponda la palla.
Nulla di trascendentale, certo, ma giocare in maniera pulita nonostante l’uomo alle spalle è la base senza la quale non esiste nessun vero attaccante. Magari Leão non diventerà mai eccellente in questo fondamentale, ma i palloni che ha perso non sono arrivati in quella specifica situazione. Sembra una banalità ma in realtà non è scontato, visto che il portoghese è ai suoi primi passi in quelle zone di campo e che con la Juve, come detto, di spalle aveva sofferto.
Le cose si sono come sbloccate con l'ingresso del messicano, è a quel punto che Leão è salito di livello, passando dal disputare una gara sufficiente ma anonima a una decisa in prima persona con una doppietta. Con Giménez a occupare il ruolo di centravanti, infatti, Leão ha potuto abbassarsi con più continuità, anzi, è stato proprio il contesto della partita a richiederglielo.
Ma andiamo con ordine. Al 55’ la Fiorentina è passata in vantaggio sugli sviluppi di un calcio d’angolo e allora la squadra di Allegri ha dovuto per forza prendere in mano la partita. Con Giménez punta e con la necessità di rimontare, Leão ha iniziato ad abbassarsi per provare a cambiare inerzia all’attacco del Milan.
E ci è riuscito trovando il gol del pari con uno dei rari tiri rasoterra – e in generale uno dei rari tiri da fuori area precisi – della sua carriera, lasciando andare la gamba in maniera abbastanza strana. Del resto, Leão è un giocatore estremamente particolare dal punto di vista fisico, non sembra neanche sforzarsi per dare potenza e precisione a quel tiro, scoccato quasi inginocchiandosi.
Qualche secondo prima, sulla stessa mattonella, ci aveva pensato Pongračić, con un fallo gratuito e qualche parola di troppo, a mettere quel pizzico di sale che, a posteriori, avrebbe cambiato sapore alla partita del portoghese (o almeno così è sembrato a me che ho visto la partita da fuori).
Abbassarsi di più ha permesso a Leao di staccarsi più facilmente dall’uomo e quindi girarsi e vedere il gioco fronte alla porta. Da lì ha potuto giocare più facilmente la palla e, nel migliore dei casi, trovare una soluzione come il tiro dell’1-1.
In un paio d’occasioni, poi, ha potuto tentare un tipo di giocata che idealmente gli piacerebbe cercare ad ogni azione: pescare il compagno tra le linee e muoversi in avanti per chiedere il triangolo. È quello che facevano una volta i veri numeri dieci, quando avevano libertà di prendere palla dove volevano. Leão, partendo da più dietro, può accelerare il gioco per associarsi con i compagni e insinuarsi tra le maglie avversarie. Si era visto qualche volta con Fonseca e si spera di vederlo il più possibile quest’anno. Quando ieri ci ha provato, i suoi interlocutori – Fofana nel primo tempo, Ricci nella ripresa – non sono stati all’altezza.
In potenza, insomma, abbiamo avuto un assaggio di quello che potrebbe regalarci Leão da una posizione più centrale, nel cuore del gioco. Di risvolti interessanti potrebbero essercene anche per i compagni. Nell’azione più pericolosa, e forse più bella, del secondo tempo del Milan, ad esempio, Leão non ha toccato palla, ma i suoi movimenti incontro e la sua posizione centrale sono stati decisivi.
In uno sviluppo sulla destra, contro il blocco medio-alto della Fiorentina, Leão si è abbassato a centrocampo, portando con sé Pongračić, che quindi ha lasciato un buco in difesa.

Quando Modrić ha cambiato gioco per Pavlović sulla sinistra, Ricci si è inserito alle spalle del centrocampo viola, attaccando proprio lo spazio svuotato da Pongračić. Sul cross di Bartesaghi, l’ex Torino ha lisciato il colpo di testa, ma la palla in questo modo è arrivata da Giménez, che ha non ha segnato solo per un intervento prodigioso di De Gea.

Il punto qui è il pericolo che porta il portoghese con la sola presenza. Se Leão si abbassa, o lo si lascia libero di girarsi, col rischio che punti la difesa e trovi una combinazione pericolosa; o lo si segue, lasciando un buco dietro. È questa la scelta davanti alla quale si è trovata la Fiorentina in questa azione. La parata di De Gea è servita solo momentaneamente ad allontanare la sconfitta, visto che cinque minuti dopo è arrivata l’azione che ha portato al rigore del 2-1.
Al di là della decisione dell’arbitro – sul perché non ne parliamo quasi mai aveva scritto Daniele Manusia qualche tempo fa – ciò che è interessante sottolineare qui è lo splendido colpo di tacco con cui Leão libera sul limite dell’area Ricci, che poi metterà in area il cross da cui nasce il fallo di Parisi su Giménez.
Peraltro, già nel primo tempo Leão aveva eseguito una giocata simile, pur in una zona diversa. Chiamato a ricevere tra le linee, di spalle, aveva controllato, addirittura con il piede debole, il sinistro, per potersi girare immediatamente e aprire il gioco su Bartesaghi.
Anche questa è una novità per Leão, che anche in fascia spesso era autore di primi tocchi pessimi, che si trattasse di controlli o appoggi, che lo mandavano fuori ritmo. Giocando al centro, con funzioni e problemi diversi, deve sforzarsi di entrare in contatto con la palla in un altro modo, perché si trova in una situazione scomoda, che impone la massima precisione. In questo senso, sono le nuove ricezioni che lo invitano a trovare giocate come quei colpi di tacco, pezzi del suo repertorio che hanno bisogno di essere stimolati.
Nell’azione che porta al rigore, peraltro, legge bene lo sviluppo del gioco e capisce prima quando inserirsi in area alle spalle di Pongračić che lo segue, e poi quando sfilargli davanti per dare la linea di passaggio a Bartesaghi.
L’evoluzione di Leão sarà uno dei temi principali del campionato. È impossibile dire come si concluderà, ma i presupposti per vincere la sfida ci sono tutti. Certo, Allegri, dovrà prendere scelte forti. Come detto, la maggior libertà di Leão è dipesa anche dalla presenza di una punta come Giménez. Ma cosa fare allora con Nkunku e, soprattutto, con Pulisic, che al pari di Leão giocherebbero meglio accanto a qualcuno che fissi i difensori? Il Milan riuscirà a reggersi su un attacco privo di punte o dovrà usare Giménez come specchietto per le allodole, nonostante non offra poi molto altro? Non tutti gli avversari, poi, saranno arrendevoli come questa Fiorentina in crisi.
Con il ritorno a pieno regime della rosa e col trascorrere delle giornate avremo una risposta più chiara.